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Autore: Rabbit_183    10/08/2017    1 recensioni
"Come si può essere così uguali e tanto diverse?" questa era la domanda che le due gemelle Scott si facevano da quando erano nate. Amelie Scott era la classica ragazza tranquilla, amante dei libri, delle serie TV e dei film della Marvel, in fondo chi non ama Capitan America o Thor?, Aileen invece era pura dinamite, solare e spigliata; Talmente diverse da amarsi incondizionatamente ed invidiarsi silenziosamente allo stesso tempo, in fondo si sa l'erba del vicino è sempre più verde. Così tutte e due alla disperata ricerca della loro strada hanno finito inesorabilmente per perdersi... Ognuna aveva la sua vita perfetta senza curarsi realmente dei sentimenti dell'altra, purtroppo, come dice Aristotele, la perfezione non esiste, infatti l'incidente della sorella riporterà Amelie ad Annapolis, la cittadina in cui era nata, abbandonando la Columbia e il suo sogno Newyorkese. Tra intrighi, vecchie amicizie, amori improbabili ed esilaranti figuracce, riuscirà Amelie a capire che in realtà la vita non sempre è perfetta? E soprattutto che la perfezione non rende felici solo... più soli ed è questa in realtà la grande differenza delle due gemelle, una sempre alla ricerca della perfezione, l'altra invece talmente imperfetta da aver trovato, paradossalmente parlando, la perfezione.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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P. O. V. 's Amelie

"Amy hai finito in bagno?"

La voce di Kat mi risvegliò dal coma in cui ero caduta, in effetti era da più di dieci minuti che ero chiusa in bagno a spazzolarmi i capelli:

"Guarda che se continui così non ti rimarranno più capelli, poi come farai a vantarti della tua chioma bionda naturale?" insisté lei e io a quelle parole risi

"Si Kat ho fatto, solo un minuto"


Posai la spazzola nel mio beauty case e presi il mascara, lo stesi sulle ciglia e guardai il risultato allo specchio. I capelli non sembravano più un nido di uccello e gli occhi blu erano messi in risalto dal mascara e dalle profonde occhiaie violacee, sospirai e presi il correttore il correttore di Kat per coprire i sintomi delle troppe notti passate a piangere e a non dormire, infine chiuse la trousse e uscii dal bagno.

"Eccoti finalmente, pensavo che ti avessero rapito le tartarughe ninja" le feci la linguaccia e posai l'ultima borsa nella valigia.

"Così te ne vai veramente..." sospirò la mia amica triste,

"Già, Kat mi mancherai tantissimo" dissi mentre la abbracciavo stretta,

"Anche tu, mi mancherai anche tu con le tue manie dell'ordine, i tuoi libri e le serate passate a guardare serie TV" mi rispose lei con le lacrime agli occhi.

"Guarda che potremo sentirci e potrai venire a trovarmi quando vorrai" lei mi sorrise

"Vai adesso, non voglio farti perdere il treno"

La salutai un'ultima volta, presi la valigia ed uscii dai dormitori.

"Perchè mi sembrava un dannatissimo addio quello?"

Fuori dal cancello mi voltai verso la mia ormai vecchia università, la Columbia è sempre stata il mio sogno e con tanto duro lavoro ero riuscita ad ottenere una borsa di studio, ma adesso non era più il mio posto, non dopo tutto quello che era successo, così le sorrisi e mi voltai.

"Okay, sapevo che la stazione di New York era grande... ma io non pensavo fosse COSI' grande... e ovviamente sul biglietto non c'e scritto il numero del binario... Amy calma... in fondo hai ancora venti minuti per cercare il tuo treno"

Finalmente dopo ben quindici minuti di ricerche riuscii a trovare il treno diretto ad Annapolis, potevo sentire gli angeli che in coro mi cantavano l'Alleluja. Se non altro il posto a sedere non fu difficile da trovare così dopo essermi accomodata tirai fuori il mio nuovo libro comprato apposta per il viaggio e mi estraniai al mondo, in fondo il viaggio durerà più di cinque ore...

Ero arrivata al momento più importante, il protagonista stava per scovare l'assassino ma non sapeva che in realtà era la sua ragazza, Il ragazzo stava per entrare nella stanza dove l'assassina era nascosta... Ma venni distratta da un uomo in giacca e cravatta che mi stava scuotendo

"No ma io dico voleva morire? proprio ora doveva distrarmi questo qui?"

L'uomo notando il mio sguardo assassino deglitì: "Scusi signorina, ma siamo arrivati alla stazione di Annapolis"

"Oh davvero?- buttai uno sguardo fuori dal finestrino ed effettivamente eravamo arrivati- grazie"  risposi sorridendo, radunai tutte le mie cose ed uscii dalla stazione la prima cosa che pensai fu la parola "casa": le case colorate, l'odore di mare, mio padre che si sbraccia per farsi notare e le persone che tranquille passeggiano per strada.

"Aspetta un attimo... mio padre che si sbraccia?"

"Papà!" lo chiamai e gli corsi incontro

"Ciao tesoro,- mi disse abbracciandomi- sono così felice di rivederti"

"Anch'io papi"

Mi staccai dal suo abbraccio per guardarlo, era un bell'uomo considerata l'età, i capelli sale e pepe, gli occhi del mio stesso colore e il leggero strato di barba gli davano quell'aria affascinate e misteriosa. Anche lui portava il peso delle ultime settimane dato che gli occhi di solito brillanti erano spenti e stanchi e circondati da rughe più profonde e pronunciate.
 

"Come stai?" mi chiese ed io abbassai lo sguardo,

"Come stavo?" Bella domanda.

Ero sospesa in un limbo, in fondo al mio cuore ero convinta che fosse tutto un brutto sogno, uno scherzo di cattivo gusto... Mentre dall'altra parte soffrivo, un dolore sordo che non riuscivo a scacciare.

Così gli risposi come rispondevo a tutti che in quel periodo, con un semplice: "Sto bene" ed un'alzata di spalle.

"Amy, non mentirmi, lo vedo che non stai bene"

"E allora perchè lo chiedi? Insomma come posso stare bene se una parte di me sta spegnendo?" mi domando io

"Papà non ti preoccupare, piuttosto come sta lei?" lui sospirò

"E' stazionaria..." rispose guardandomi, ed io annuii, era da più di tre settimane che mi rispondevano così.

"Mi porti a trovarla?" Papà annuì e dopo aver caricato le valige, si diresse verso l'ospedale, il viaggio non fu particolarmente lungo ma a me sembrò infinito.
 

Gli ospedali mi hanno sempre messo ansia, insomma tutti qui colori sbiaditi e l'odore opprimente di disinfettante. Lei li ha sempre odiati, un po' per colpa di tutti gli horror che guardava, un po' per il suo terrore delle punture, tutte le volte che doveva farsi un vaccino o un semplice prelievo iniziava a piangere o a fingere svenimenti, era davvero divertente.

"In che stanza è?" chiesi a mio padre.

"La 128 in fondo al corridoio" mi rispose indicandola, io annuii e mi diressi verso la stanza, presi un profondo respiro ed entrai.

La prima cosa che notai fu che la stanza era interamente colorata di un triste grigio topo, solo la parete intorno al letto era colorata, c'erano delle foto, un peluche e un mazzo di rose rosse, sorrisi, erano le sue preferite. Lei invece era sdraiata sul letto, aveva le braccia piene di file distese accanto al corpo, la testa fasciata e l'aria serena, mi scese una lacrima che asciugai in fretta, lei odiava veder piangere le persone.

"Ehi sorellina, mi dispiace non essere venuto prima" le dissi mentre le spostavo un ciocca di capelli dal viso.

"Mi manchi sai? Non ricevo più telefonate ad orari improbabili"

 

Rimasi in silenzio a guardarla, non sapevo cos'altro dirle, il che era un eufemismo dato che io e lei passavamo ore intere al telefono, una parte del mio cervello sperava in una sua risposta, sperava di vedere i suoi occhi celesti aprirsi e la sua bocca schiudersi in uno dei suoi soliti sorrisi, purtroppo non successe nulla ed io rimasi li ferma ad osservarla.

"Amy, dobbiamo andare, tua madre ti sta aspettando"disse mio padre entrando in stanza, io annuii e le posai un bacio sulla fronte:

"Ci vediamo sorellina."

Una volta fuori scoppiai finalmente a piangere e papà mi abbracciò.

"Mi manca, non so cosa fare, h-ho paura che di non poterla più riabbracciare." singhiozzai sulla sua spalla.

"Shh, vedrai che si sistemerà tutto, lei è forte,  che ce la farà, lo so che per te lei è importante e perciò noi ora più che mai dobbiamo starle vicino."

Quelle parole mi lasciarono l'amaro in bocca, erano intrise di ipocrisia e ripianto un mix davvero strano ma tremendamente azzeccato per lui. Lui che aveva abbandonato tutto e tutti, lei per prima per rifarsi una vita altrove, scartandoci come oggetti di seconda mano.

Mi staccai dal suo abbraccio: " Andiamo, mamma odia aspettare." sussurrai pronta ad affrontare l'altro scoglio della mia adolescenza.
 

Angolo autrice:

Ecco il secondo capitolo, fatemi sapere che ne pensate.

Baci 

C.

 
   
 
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