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Autore: Civaghina    13/08/2017    3 recensioni
Com'era la vita di Leo, prima della terribile scoperta della Bestia?
Com'è cambiata la sua vita quando si è trovato davanti ad una verità così devastante?
La storia di Leo prima di Braccialetti Rossi, ma anche durante e dopo: gioie, dolori, amori, amicizie, passioni, raccontate per lo più in prima persona, sotto forma di diario.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Sabato, 18 agosto 2012

"AHÒ!!! E che è 'sto casino?!"; la voce di Ulisse ci fa sobbalzare ed io e Matteo smettiamo immediatamente di ridere e urlare; stiamo giocando con la mia Play, seduti sul mio letto, spalla contro spalla, lui usando la mano sinistra ed io quella destra e ci stiamo divertendo da matti; o almeno lo stavamo facendo, prima che arrivasse Ulisse a interromperci. "Ve si sente da in fondo al corridoio! E che credete, de essé allo stadio, per caso?!"

"Eddai Ulisse! Non rompere!" esclamo io sorridendo. "Ci stiamo solo divertendo un po'!"

"Eh, me despiace per te ma è l'ora de annà da Orietta! Sò venuto a chiamarte!"

"Adesso?! Aspetta che finiamo la partita, facciamo subito!"

"A' Leo, te stai a scherzà spero!"

"Leo, tanto abbiamo già perso" mi fa notare Matteo; guardo lo schermo della Play e vedo subito la scritta Game Over: l'arrivo di Ulisse ci è costato la vittoria della partita.

"E va bene..." sbuffo lasciando la Play in mano a Matteo e alzandomi dal letto.


"Oh! Mister Sorriso! Non ricordavo ci fossi tu adesso, è sempre un piacere vederti!" mi accoglie Orietta quando entro nel suo studio.

"Lo stesso non posso dire di te..." dico sedendomi alla scrivania, di fronte a lei.

"Oh grazie tante! Ed io che ti ho dato pure un bel soprannome!"

"Eddai non prendertela! Niente di personale, eh! È che trovarmi qui mi fa pensare a dove mi troverò tra due giorni e... diciamo che non muoio dalla voglia!"

"Va bene, per questa volta ti perdono" sorride lei prendendo la solita scheda da compilare, che ormai so a memoria, più quella della volta precedente. "E Riccioli d'oro come sta?"

"Bene! Domattina lo dimettono!"

"E tu? Tu come stai?"

"Io?! Sono contento per lui, anche se un po' mi dispiace che vada via... È un impiccione ma insieme ci divertiamo!".

Lei mi guarda e accenna un sorriso: "Certo che sei bravo, tu, ad evadere le domande a cui non vuoi rispondere, eh?!"

"Così dicono" rispondo sorridendo.

"Vabbè, vedi di rispondere come si deve a queste, almeno!" esclama prendendo una biro.

"Ok, allora ti dico subito che dall'ultima volta che me l'hai chiesto, ho cominciato a fumare e ad assumere stupefacenti" le dico in tono molto serio.

Orietta mi guarda con gli occhi sbarrati, per un attimo, poi scoppia a ridere. "Tra un po' ci cascavo veramente e ti mandavo a fare l'antidoping!"

"Ah beh, con tutta la roba che mi hanno dato nell'ultimo mese, di sicuro risultavo positivo!".

Mi fa le solite domande, a cui do le solite risposte, poi mi fa la solita visita e come al solito dice che va tutto bene e poi, sempre come al solito, torniamo alla scrivania e guarda la mia cartella clinica e i risultati degli esami che le interessano.

"Oh, un cuor di Leone, proprio!" esclama ridendo mentre legge il referto dell'elettrocardiogramma. "Non che avessi dei dubbi, eh! Va bene, Mister Sorriso, è tutto a posto."

"Quindi non si scappa?" le domando storcendo le labbra, un po' angosciato e un po' sollevato.

"No, non si scappa! L'intervento è fissato per le nove e mezza. Ti ricordi tutto? Il digiuno a partire da dodici ore prima, i possibili effetti collaterali..."

"Sì, sì. So tutto."

"Va bene, ci vediamo lunedì, allora! Verrò intorno alle 8:45 per la puntura del coraggio!".

Stavolta mi sa che me ne servirebbero come minimo due, di punture del coraggio!

"Ok" sospiro alzandomi.

"Ah! E mandami tuo padre più tardi!" mi dice lei mentre sto uscendo. "Deve firmarmi il consenso informato."

"Sì" le rispondo alzando la mano per salutarla.

Mio padre?

Si farà vivo oggi?

Non ne ho idea.

Sono tre giorni che non si fa vedere ed io di sicuro non lo chiamo.

Mal che vada, a firmare manderò Asia.


E invece mio padre, inaspettatamente, arriva; arriva verso le tre di pomeriggio mentre io sono sdraiato sul letto ad ascoltare la musica con le cuffiette e Matteo è in bagno.

"Oh, ciao!" esclamo sorpreso, togliendomi le cuffiette e mettendomi seduto, con le gambe giù dal letto.

"Ciao" mi risponde lui un po' a disagio. "Come stai?".

Davvero lo vuoi sapere?

Sto cercando di decidere se dargli la risposta che vuole sentire o se dirgli realmente come mi sento, quando Matteo esce dal bagno, come al solito in mutande: "Salve!".

"Ciao" lo saluta mio padre con un sorrisetto divertito. Credo che Riccioli d'oro faccia simpatia pure a lui. "Senti Leo, possiamo andare a fare due passi? Così parliamo..."

"Va bene" dico alzandomi, anche se non sono tanto sicuro di voler parlare con lui; immagino già quello che deve dirmi e so già che finirà male; per fortuna che come dice Orietta ho un cuor di Leone, perché a parlare con lui la tachicardia è assicurata.

"Ma no, restate pure qua" interviene Matteo che nel frattempo si è vestito. "Tanto io sto andando in palestra per la fisioterapia!"

"Ah... ok. Restiamo qua allora" dico tornando a sedermi.

Quando Matteo se ne va anche mio padre si siede sul letto, accanto a me; io me ne sto in silenzio e mi mordo nervosamente il labbro mentre aspetto che si decida a parlare.

"Sono stato dalla dottoressa Lisandri poco fa..." mi dice giocherellando con la fede, senza guardarmi. "Mi ha detto che tutto considerato sei in ottima forma e che questo per l'intervento è..."

"Sì, lo so" lo interrompo io. "Me l'ha già detto. Io comunque mi fido poco."

"Cioè?" mi domanda voltandosi verso di me. "Temi che vada male qualcosa?".

Io mi stringo nelle spalle e mi alzo. "Diciamo che per la chemio non mi ha aiutato poi molto essere in ottima forma!"; mi avvicino al tavolino e mi verso un bicchiere di succo di mela. "Non mi voglio illudere che fili tutto liscio."

"Vedrai che andrà bene"; il suo tono di voce è basso e i suoi occhi sono veramente tristi.

Vedrai che andrà bene glielo ripeteva sempre la mamma, prima di ogni intervento a cui veniva sottoposta, per rassicurarlo, dato che lui era sempre più agitato di lei; e quando si risvegliava dall'anestesia la prima cosa che gli diceva, con un sorriso tirato, era: "Hai visto che è andato tutto bene?" e lui sembrava finalmente riprendere fiato.

"Quando parti?" gli chiedo a bruciapelo; so benissimo che è venuto qui per dirmi questo e non voglio tirarla troppo per le lunghe.

Lui viene preso alla sprovvista e rimane un attimo in silenzio, probabilmente cercando qualcosa da dire per non essere troppo diretto, ma alla fine, contro ogni mia aspettativa, mi dà una risposta secca: "Il cinque settembre."

"Va bene" dico annuendo, ma credo che il mio viso e la smorfia che fanno le mie labbra tradiscano tutto il mio disappunto.

Eppure... non riesco ad incazzarmi davvero, non so perché.

Quando ne abbiamo parlato l'altro giorno ero nero, e adesso mi sento solo... infastidito; forse perché stavolta ero preparato e mi aspettavo già che avrebbe deciso di partire; come se sapessi già che il volerne parlare prima con me era stato solo un modo per dirlo a se stesso e realizzare che lo avrebbe fatto davvero.

Credevo che gli avrei urlato addosso, che avrei dato un pugno o un calcio a qualcosa, che me ne sarei andato sbattendo la porta, e invece niente; non provo rabbia e nemmeno delusione, quella l'ho già metabolizzata.

Risentimento, quello sì.

E frustrazione.

Anche un po' di paura che si faccia realmente ammazzare, ma è tutto come sbiadito, come se tutte queste emozioni non mi appartenessero veramente..., non so perché. Non so se dipenda dal fatto che me lo aspettavo, se è il pensiero dell'operazione imminente ad offuscare tutto il resto, se è perché al momento sono molto più preso dalla mia sopravvivenza per preoccuparmi seriamente della sua o per cos'altro, non lo so.

Quel "va bene" è tutto ciò che mi viene da dirgli. "Devi andare dall'anestesista a firmare il consenso" aggiungo poi versandomi un altro bicchiere di succo di mela.


Io e Matteo abbiamo da poco finito di cenare e siamo ancora seduti al tavolino; è la sua ultima sera qui e devo ammettere che mi dispiace; ormai mi ero abituato ad averlo tra i piedi e senza di lui questa stanza tornerà ad essere troppo silenziosa.

Io do le spalle alla porta ma mi giro immediatamente quando sento la voce di Giulia avvicinarsi e la sua inconfondibile risata riecheggiare nel corridoio; la vedo entrare, ancora intenta a ridere per non so cosa, con Tommaso e Filippo, due degli amici di Matteo, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, e già questo mi dà fastidio; poi noto che indossa praticamente delle mutande che devono averle spacciato per pantaloncini e quella canotta scollata e faccio uno sforzo immane per trattenermi dall'alzarmi di botto e farle una scenata. Rimango seduto, respiro lentamente e aspetto che la smetta di fare la cretina con quei due e si degni di salutarmi.

"Ciao amore!" esclama finalmente chinandosi verso di me e stampandomi un bacio sulle labbra; ed io ci provo a fare l'orgoglioso, ma ad averla così vicina, e a respirare il suo profumo, ho già abbassato del tutto le mie difese; mi sposto leggermente con la sedia e la faccio sedere sulle mie gambe mentre Tommaso e Filippo vanno a sedersi sul letto di Matteo. "Sai che Tommaso viene nella mia scuola?!" ride Giulia buttandomi le braccia al collo. "Pensa che strano, non ci siamo mai visti!"

"Non mi sembra così strano... Sarete in cinquecento!" le rispondo con disappunto.

"Sì, ma andiamo tutti e due nel corso D! Solo che lui deve andare in quinta! E abbiamo anche la stessa prof di latino, sai quella pazza di cui ti ho parlato?!"

"Ma chi, la famosa Gallina?!" si intromette Matteo.

"Sì!" esclama Tommaso ridendo.

E da lì, lui e Giulia cominciano a raccontare una serie di episodi che fanno ridere tutti tranne me, troppo impegnato a notare la complicità con cui lui le sorride e il modo in cui non le stacca gli occhi di dosso; istintivamente le circondo la vita con un braccio e la avvicino di più a me.

Ok, forse non istintivamente ma di proposito, anche perché mentre lo faccio lo guardo dritto negli occhi, fino a che lui distoglie lo sguardo da Giulia e lo rivolge a Matteo, mentre finisce di raccontare di quella volta che la Gallina si tolse le scarpe in classe.

"Andiamo a farci un giro" dico a Giulia alzandomi, costringendola quindi ad alzarsi a sua volta.

"Ma..."

"Ho voglia di fare due passi."

"Ok, come vuoi" sospira lei prendendomi per mano, un po' imbarazzata.

"Ciao!" esclamo lanciando volutamente un'ultima occhiata a Tommaso, mentre usciamo dalla stanza.


"Perché sei voluto andare via?!" mi domanda Giulia imbronciata mentre camminiamo per il corridoio senza una meta precisa.

"Volevo fare un giro."

"Ma mi stavo divertendo!" protesta corrugando le sopracciglia.

"Eh, ho notato...! Vuoi un gelato?"

"No. Ma fammi capire, siamo andati via perché mi stavo divertendo?!" mi chiede lasciandomi la mano e fermandosi in mezzo al corridoio.

"No, te l'ho detto, volevo fare un giro" le rispondo sfregandomi un occhio. "Nel caso te lo fossi scordata, da lunedì non potrò camminare per un sacco di tempo."

"Non me lo sono scordata" dice lei incrociando le braccia. "Sei sleale a tirare in ballo questa cosa!".

Sì, ha ragione, è stata una mossa sleale, ma di sicuro non ho intenzione di ammetterlo. "Io prendo un gelato. Sei sicura che non lo vuoi?"

"Non lo voglio! Te l'ho già detto!"

"Come ti pare, il mio però non te lo faccio assaggiare!"

"Ti aspetto fuori" dice andandosene a passo svelto verso il balcone.

Io prendo il mio solito cono limone e fragola e poi la raggiungo fuori: è affacciata alla ringhiera e non si volta verso di me nemmeno quando mi fermo accanto a lei.

"Vuoi assaggiare?" le domando avvicinandole il cono.

"Lo sai che quei gusti non mi piacciono".

Sì, lo so, cercavo solo un modo per farle dimenticare che è incazzata con me. Comincio a mangiare il gelato e guardo l'orizzonte, mentre con una mano gioco distrattamente con i suoi capelli.

"Non ti sopporto quando ti comporti così!" sbotta lei voltandosi verso di me.

"Così come, scusa?!"

"Da prepotente!"

"Da prepotente?!" le domando io, allibito, alzando la voce.

"Sì! Io mi stavo divertendo, tutti ci stavamo divertendo! E siccome tu hai deciso che dovevamo andare a fare un giro, siamo andati a fare un giro!"

"Ah beh, non ti ho mica obbligata! Potevi restartene con quello là!"

"Con quelli là, vorrai dire!"

"No, no, proprio con quello, volevo dire!"

"Ma quello chi?!"

"Come chi?! Quello che non ti toglieva gli occhi di dosso!"

"Mamma mia! Per te tutti non mi tolgono gli occhi di dosso!"

"Per forza! Se te ne andassi vestita un po' più decentemente, forse..."

"Cosa?! Ancora questa storia dei miei vestiti?!"

"Sì, ancora questa storia! Ma guardati, scusa!" esclamo indicandola con la mano dall'alto verso il basso. "Sei praticamente nuda!"

"Ma come ti permetti?! Non me lo dice mio padre come mi devo vestire e me lo devi dire tu?!"

"Tuo padre non lo sa come ti guardano tutti!"

"Oh! Ma basta!" urla lei andandosi a sedere sulla panchina e troncando di netto la discussione.

Ecco, pensavo di discutere con mio padre, oggi, e invece ho finito col discutere con Giulia. Il risultato non cambia: sono nervoso, arrabbiato e il cuore mi batte troppo veloce.

Finisco di mangiare il mio gelato con calma, appoggiato alla ringhiera, fissando il mare in lontananza, e poi vado a sedermi accanto a lei che si sta mordicchiando compulsivamente le unghie.

"Dopo ti lamenti che ti si spezzano" le dico con tono dolce prendendole la mano, allontanandola dalla sua bocca e tenendola stretta nella mia.

"Sei un maschilista retrogrado! Ecco cosa sei!" esclama lei guardandomi con rabbia, ma intanto non accenna a liberare la propria mano dalla mia stretta.

"Mi dà solo fastidio... che gli altri possano guardarti più di quanto possa fare io" ammetto sospirando; e basta già questa mia ammissione a farle tornare il sorriso.

"Ma nessuno mi ha mai vista come mi hai vista tu..., no?" mi domanda arrossendo leggermente.

Io sospiro di nuovo: "Sì... ma anche questo mi dà fastidio" dico mentre lei mi guarda perplessa. "Non sapere quando potrò vederti di nuovo in quel modo..., quando potremo ancora... vabbé, hai capito!" rido un po' imbarazzato, muovendo in aria una mano.

"Sì, ho capito" sorride lei poggiandomi una mano sul braccio e accarezzandomelo piano. "Presto. Vedrai...".

Io scuoto la testa e stringo le labbra: "Dovrò starmene qui come minimo un mese".

Giulia rimane un attimo in silenzio, poi prende fiato e parla: "A questo proposito... Mattia e gli altri vorrebbero venire a trovarti e..."

"No. Mattia lo sa già che non voglio."

"Ma perché?! Ti farebbe bene!"

"No."

"Ma hai visto quando vengono gli amici di Matteo... Ti ricordi l'altra sera come siamo stati bene?"

"Giulia, non insistere. Non voglio che vengano qui. Punto".

Sembra che lei stia per dire qualcosa, ma poi rimane zitta; probabilmente non ha voglia di litigare ancora, e tantomeno ne ho io, quindi non posso che sentirmi sollevato dal fatto che lei si sia trattenuta dall'insistere ancora.

Non voglio che i miei amici vengano a trovarmi qui.

Non voglio passare del tempo con loro in questo cazzo di posto.

Già è difficile accettare di dovercelo passare con Giulia, ma lei non riuscirei a fare a meno di vederla per tutto il tempo che mi toccherà restarci chiuso.

Far venire i miei amici qui renderebbe questo posto ancora più familiare; sarebbe come accettare davvero che è qui che si svolge adesso la mia vita, ed è una cosa che assolutamente non voglio.

È vero: è qui che mi addormento ogni sera ed è qui che mi risveglio ogni mattina.

Qui ho una stanza e un bagno, pieni delle mie cose e del mio disordine.

Qui ho delle abitudini, delle routine, degli spazi di normalità.

Qui ho addirittura delle persone.

Ma la mia vita vera è ancora fuori, da qualche parte, e non le permetterò certo di insediarsi qui.

   
 
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