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Autore: _Joanna_    13/08/2017    1 recensioni
Fan fiction ambientata durante la II guerra magica.
Una nuova minaccia si allunga su tutto il mondo magico, ancora più terribile di quella rappresentata da Lord Voldemort, che al momento regna quasi indisturbato, con l'unico intento di porre fine una volta per tutte alla vita del Ragazzo-che-è-Sopravvissuto.
Ma le cose stanno per cambiare: un nuovo personaggio entrerà in scena nella lotta per il potere e per la libertà.
Sarà forse uno dei nuovi servi del potente mago oscuro a rivoltarsi contro il suo padrone? E a cosa sarà disposto a rinunciare Voldemort pur di salvarsi?
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Avvertimento: è tutto "lievemente" OOC
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Nuovo personaggio, Tom Riddle/Voldermort, Un po' tutti | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: OOC, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo, Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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2.2
Capitolo I
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The First Dark Lord

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Continuava a marciare su e giù per la stanza, disegnando ampi cerchi invisibili sul pavimento.
La sala dove si trovava doveva essere stata lussuosa un tempo, ma della vecchia gloria ormai rimanevano solo un bel divano di pelle scura e un raffinato orologio d’argento. Le lancette puntavano sul numero 9, finemente tratteggiato con piccoli smeraldi. Per il resto la stanza era spoglia e buia e l’unica fonte di luce proveniva da un piccolo candelabro appeso alla parete accanto alla porta.
Era lì da quasi due ore, considerò Octavio. Un’attesa piuttosto lunga, ma era fiducioso che ne valesse la pena.
Dopo qualche minuto, finalmente, la porta di legno lucido si spalancò.
Un ometto basso e quasi calvo entrò nella stanza. Aveva liquidi occhi chiari che saettavano da tutte le parti e sembrava scosso da un lieve tremito.
Dopo qualche istante il suo sguardo si fermò su Octavio e disse «Il Signore Oscuro è pronto a riceverti» e senza aspettare un cenno di assenso uscì dalla stanza.
Octavio lo seguì oltre la soglia, giù per le scale e attraverso l’ampio ingresso fino a una doppia porta che, pensò Octavio, doveva aprirsi sul salone principale della villa.
Il suo accompagnatore si fermò davanti alla soglia, bussò delicatamente e dischiuse l’uscio quel tanto che bastava per far passare un uomo grande la metà di lui. Tuttavia l’ometto riuscì ad entrare agevolmente e Octavio, a fatica, fece lo stesso.
La grande sala era immersa nella penombra.
Un lungo tavolo di lucido legno scuro occupava il centro della stanza.
Alle pareti quadri, un grande specchio e innumerevoli candelabri erano avvolti dalle ombre che il grande camino non riusciva a penetrare. Fiamme rosse e arancioni guizzavano pigre e lente, il loro bagliore soffocato dall’atmosfera cupa e solenne.
Un’alta figura ammantata di nero si stagliava davanti alla grande finestra, dando loro le spalle.
La luce lunare la colpiva in modo diretto e gettava sul pavimento un’ombra profonda, deformata dal timido sfavillio del fuoco.
«Puoi andare, Codaliscia» disse una voce acuta e fredda.
L’uomo chiamato Codaliscia, che nel frattempo aveva ricominciato a tremare, fu scosso da brividi ancora più violenti.
Con inchini impacciati e una sequela di «Grazie, Padrone» e «Sì, Padrone» uscì a testa bassa dalla stanza, camminando all’indietro.
Evidentemente Voldemort era il genere di persona che incuteva un sacro terrore nei suoi sottoposti. Tuttavia, Octavio non poté fare a meno di chiedersi se, oltre a temerlo, i suoi servitori gli fossero anche devoti.
Paura e ammirazione, timore e passione.
Octavio aveva da tempo capito che nessuno, per quanto grande e potente, poteva davvero sperare di trionfare prescindendo da uno dei due.
Quanto ci avrebbe messo un servo fedele, devoto ma ambizioso, a rivolgere altrove le proprie simpatie e qualità, una volta trovato qualcuno più ben disposto a celebrarle?
E quanto avrebbe resistito un codardo spaurito prima di trovare la forza per fuggire?
Pensò a questo durante il lungo momento nel quale regnò il silenzio.
Poi Lord Voldemort, che ancora gli dava le spalle, parlò di nuovo.
«Siediti» disse con voce fredda e leziosa e nel mentre si voltò per guardare finalmente in faccia il suo interlocutore.
Un singolo brivido percorse la schiena di Octavio: la nuca pallida e glabra, scintillante alla luce della Luna, era nulla paragonata al volto che c’era davanti.
Il teschio bianco era rivestito da un sottilissimo strato di pelle talmente teso sulle ossa da sembrare trasparente.
Un tempo, forse, Lord Voldemort era stato un uomo attraente: lo suggerivano gli alti zigomi e i rigidi lineamenti regolari.
Ma ora, laddove avrebbe dovuto esserci il naso, si aprivano due fessure sottili. Gli occhi erano di un’intensa tonalità rossastra e le pupille erano strette e allungate, nonostante la sala fosse immersa nella semioscurità.
La bocca, infine, era sottile e priva di labbra.
E quella voce poi, così gelida, era più raccapricciante dell’urlo di una Banshee.
Octavio, represso un fremito di disgusto, obbedì e si sedette.
Lord Voldemort fece lo stesso, prendendo posto davanti a lui, all’altra estremità del tavolo. Allungò le sinuose dita bianche sui braccioli del suo scranno, distendendosi come un serpente che svolge le sue spire, quindi cominciò «Ho sentito parlare delle tue gesta, signor?»
Octavio dubitava che non si fosse informato sulla sua identità, tuttavia riconobbe in quella domanda un’abitudine comune ai potenti: non dimostrarsi mai più interessati del dovuto.
«Murphy, Killian Murphy» rispose prontamente Octavio.
«Molto bene, Killian» approvò Lord Voldemort «Il Signore Oscuro ricompensa chi lo serve fedelmente, tuttavia preferisco sempre sentire un resoconto di prima mano» proseguì.
Octavio annuì brevemente e prese a raccontare.
Quando ebbe finito, entrambi rimasero in silenzio per un lungo minuto.
«Molto bene» ripetè Voldemort. La sua bocca senza labbra si piegò in un ghigno orrendo, poi i suoi occhi si fecero più scuri e profondi e il rosso sanguigno delle iridi brillò per un attimo come vero sangue.
Tremendo, un dolore come mai ne aveva provati prima, si insinuò nella testa di Octavio, minacciando di frantumarla: Lord Voldemort gli stava leggendo la mente, cercando la conferma delle sue parole o la prova che aveva mentito.
Octavio sapeva che sarebbe successo e si era preparato. Non distolse lo sguardo e si concentrò: era un ottimo Occlumante e aveva imparato a compartimentare i suoi ricordi.
Le immagini della sua infanzia, sfocate e frammentarie, sfrecciarono davanti ai suoi occhi. Vide il volto di sua madre, una solitaria casupola sulla montagne, una ragazza dai capelli d’argento. Tutte cose per cui non provava altro che disprezzo.
Poi il suo arrivo in Inghilterra, le battute di caccia con i Ghermidori, la cattura dei traditori; Octavio lasciò che ognuna di queste cose riaffiorasse facilmente nella sua mente, mentre ogni particolare si disegnava in maniera nitida e precisa, accompagnato da una sensazione di esaltazione e di feroce soddisfazione.
E poi, così come era arrivato, il dolore cessò.
«Bene, Killian» disse Voldemort «Sono molto compiaciuto. Tuttavia, ho notato qualcosa, qualcosa che forse desideri tenere nascosto al tuo Signore» aggiunse, la voce simile a un sibilo, fredda e inquietante. Non era una domanda.
Octavio si era aspettato anche quello: dopotutto Voldemort era un Legilimens di grande abilità.
Tacque per un po’, fingendo di ponderare una questione. Poi, come se ogni sillaba pronunciata gli costasse un enorme sforzo, disse «Sì, mio Signore. Ci sono cose, cose del mio passato, di cui mi vergogno. Da ragazzo, diciamo che non sono stato cresciuto come un vero mago».
In fondo era la verità, una parte della verità.
Come era una parte della verità quello che aveva detto quando era stato portato al Ministero. Aveva dovuto rispondere a molte domande, incluse alcune riguardanti la sua famiglia. Octavio aveva così raccontato che i suoi genitori, una Babbana e un mago, erano morti prima che lui iniziasse la scuola, in seguito a una brutta infezione da Vaiolo di Drago mal curata. Era così stato istruito privatamente da una lontana parente e una volta appresi gli incantesimi fondamentali, aveva imparato il resto da solo.
Era una menzogna e Voldemort lo sapeva, ma lasciò che il Signore Oscuro percepisse i suoi sentimenti.
Non c’era tristezza o dolore in quei ricordi falsi, così come non c’era stata tristezza nel momento in cui aveva saputo dell’accaduto.
Una fuga di gas.
Solo la più misera e inutile delle creature avrebbe potuto morire per una banale fuga di gas.
Era forse colpa sua se i suoi genitori erano deboli?
Era colpa sua se era un Nato Babbano, come dicevano lì in Inghilterra?
Doveva essere sminuito solo perché i suoi genitori erano degli sporchi Moldus?  Avrebbe dovuto rischiare di essere estromesso dal mondo magico, quando non c’era mago o strega più degno di lui di farne parte?
La storia delle sue origini era una menzogna, ma i sentimenti di odio e di disprezzo erano veri e sinceri.
E tanto bastò al Signore Oscuro che disse «Non importa, nessuno è responsabile delle scelte dei propri padri»
Aveva parlato con una voce ancora più fredda e crudele. Forse anche lui aveva dovuto nascondere un’eredità scomoda?
Voldemort arricciò le labbra inesistenti in una smorfia terribile, quindi si alzò dalla sedia.
«Puoi andare, ora» disse con la consueta voce leggermente stridula, poi, senza più guardarlo, rivolse la propria attenzione al fuoco morente.
Octavio esitò per un istante, quindi con un rigido inchino lasciò la sala.
Uscì nell’aria gelida della notte.
Era già ottobre inoltrato e il cielo blu scuro era limpido e stellato. Decisamente una visione rara: gran parte del Paese, infatti, era ormai da mesi stretto nella morsa dei Dissennatori e una nebbia pesante e malinconica ricopriva ogni cosa.
Inspirò l’aria pulita della notte, quindi varcò i confini della proprietà e si Smaterializzò.
Un secondo più tardi comparve in viottolo sudicio della periferia di Londra. Si avviò a passo svelto, calpestando con foga l’asfalto irregolare lavato dalla pioggia gelida.
Svoltò un angolo percorse un altro tratto di strada, quindi si fermò un momento, assicurandosi di essere solo.
Tirò su il colletto del mantello per ripararsi dal vento feroce e riprese a camminare.
Dopo qualche minuto giunse davanti a una ripida rampa di scale. Era fradicio e con le scarpe infangate. Tuttavia, sapeva che non era prudente Materializzarsi troppo vicini alla destinazione, era una cosa che aveva imparato a proprie spese qualche anno prima.
Scese gli stetti gradini consunti, attraversò il piccolo cortile e raggiunse l’angolo più lontano, completamente al buio, dove c’era un pannello di legno umido.
Octavio avvicinò la propria bacchetta dove in una porta normale ci sarebbe stata la serratura e mormorò «Le Cougar est Libre». Il pannello scattò di lato, quindi con una leggera pressione, lo fece scorrere fino a rivelare un’apertura abbastanza grande da consentire il passaggio di un uomo adulto.
Octavio vi si infilò, quindi il pannello ritorno al suo posto con un lieve click.
Levò la bacchetta, fece altri incantesimi per assicurarsi che nessuno fosse entrato lì in sua assenza, quindi percorse lo stretto tunnel che scendeva di qualche metro sotto terra.
Dopo circa un minuto, sbucò in un piccolo locale buio. Con un rapido tocco, le molte lampade a olio si accesero all’istante, illuminando una stanza accogliente e sobria.
Nonostante la morbida poltrona di chintz lo chiamasse invitante, Octavio si diresse a passo sicuro nell’unico altro locale del suo spartano rifugio.
Una pesante porta di ferro ne sbarrava l’ingresso e molti incantesimi lo proteggevano.
Octavio li attraversò senza problemi, sciolse i catenacci e spalancò la porta.
La stanza era piccola, tuttavia il moncherino di cera, che ancora bruciava su un basso tavolino al centro del locale, non riusciva a scacciare del tutto le ombre. I quattro angoli della camera erano bui.
Octavio li setacciò con gli occhi.
Nell’angolo in fondo a destra, rannicchiata tra le coperte ruvide, c’era una figura minuta. Il groviglio di capelli argentati le copriva il volto.
Se anche l’aveva sentito aprire la cella, non ne diede alcun segno.
Octavio passò il suo sguardo indagatore sul resto del locale, quindi evocò dal cucinino nell’altra stanza una ciotola di riso scondito, una pagnotta di pane duro e raffermo, una brocca d’acqua e una candela nuova.
Dispose il tutto sul basso tavolino al centro, quindi ritornò davanti alla soglia.
La ragazza era rimasta per tutto il tempo immobile.
«Non ti permetterò di morire, Mademoiselle Delacour» disse sprezzante «Non ancora» aggiunse e con un gesto rapido sbarrò la porta.

     Nella luce tremula, la prigioniera sollevò leggermente il bel viso, contemplando con occhi sconsolati quello scenario misero e tremendo.
Lentamente si avvicinò alla ciotola di riso. Aveva un odore terribile, ma lei ne ingurgitò il contenuto senza quasi masticarlo.
“Hai ragione” si disse “Non morirò in questo buco orribile”.




°°°

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Angolo Autrice
Benritrovati!
Allora mi scuso subito per il ritardo nella pubblicazione e per il contenuto del capitolo che è prettamente di transizione.
Nel prossimo avremo un po' più di azione e prometto anche che sarà più curato nella forma (l'ho scritto un po' di fretta e non è venuto come lo avevo in testa qualche giorno fa... devo cominciare a portarmi carta e penna ovunque XD)

Grazie a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite e a chi ha recensito e che recensirà.

Alla prossima,

_Jo
  
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