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Autore: queenjane    15/08/2017    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Eravamo due adolescenti, come tante, nonostante il rango smisurato, la differenza era nella qualità della nostra amicizia, un legame speciale e unico.
Lei era la figlia dello zar, io di un principe, il mondo pareva appartenerci, avevamo grandi speranze, attese e avventure, lo rivelano i nostri sguardi, rifletto a posteriori, osservando le foto di noi in bianconero di quel periodo, prese a tradimento, nelle pose ufficiali mi irrigidivo e venivo sempre male.
In una, Olga che mi abbraccia, possessiva, appoggio la schiena contro il suo torace, le sue  braccia mi cingono. Sei mia e solo mia, scherzava, in apparenza, la mia principessa.
E ti sono appartenuta, sai, in senso traslato, amiche e sorelle, nonostante tutto,  il nostro legame, troppo perfetto, ha sfiorato la feccia e l’amaro, abbiamo bevuto ogni goccia di assenzio, prima di diventare cenere, ci siamo perse e  ritrovate, fino all’ultimo gioco di dadi, di respiro.
Granelli di sabbia, la vita, che ci ha diviso, mai separato per davvero, ti sarebbe piaciuto viaggiare, avere una famiglia, leggere il più possibile.


A 15, 16 anni era stupenda, senza alcuna goffaggine di adolescente, snella e leggera,  i capelli dorati e screziati di castano, le iridi di zaffiro, venate di grigio o indaco nelle sfumature quando era in collera o pensierosa.
E si muoveva leggera e senza peso nella corsa, raccoglieva le gonne nel passeggiare con suo padre o nel cavalcare, era un portento.
La mia sola amica, in questa vita.
Unica e sola.
Due diverse, due controcorrente, un miracolo.



Ed era un miracolo che il nuovo palazzo a Livadia fosse pronto, non la palazzina di legno dove era morto Alessandro III, padre di Nicola II, dopo una lunga agonia.
Era appellato  the White Palace, situato su un prato che discendeva verso la spiaggia, svettava alto sopra le terrazze e i giardini di rose, in basso ecco la città di Yalta .
I muri del palazzo de quo, rilevai, che contava 60 stanze,  erano circondati da terrazze, logge e colonnati, ricordi dell’infanzia di Alix a Osbourne e dei viaggi in Italia compiuti da ragazza, con sua nonna.
E rievocavo le dolci pietre di Ahumada, arrossate dal tramonto, piene di edera, la rocca dei Fuentes, costruita per difesa, non per il piacere.
E le sere profumavano di fumo di sigarette e petali di rose, chiacchiere sparse.
Dolcezza.
Come lo zarevic, quando voleva,  riusciva ad essere molto dolce, come le sere estive, i tremanti tramonti autunnali., come quella volta che era sulle spalle di Nagorny, teneva in mano il filo di un aquilone e lo faceva innalzare, abilissimo. “Vola, vola ..” doveva compiere sette anni, era esile e abbronzato, con i pantaloni corti e una camicia da marinaio, il profumo delle rose e del mare stordiva, poi me lo aveva passato e lo avevo fatto schizzare ancora più in alto, una rapida torsione del polso “Brava .. Catherine! Lascialo, libero, via!!”  “Facciamolo insieme.. me lo potete passare, signor Nagorny?” ero sempre gentile, con loro, chiamandogli signore Derevenko o Nagorny, usando per favore e simili. E mi era salito tra le braccia, ridendo, che andava sulle nuvole, magari fino in America e facendo ciao con la manina.
Ed era, ancora e sempre, il mio piccolino, che ti rigirava con un sorriso e una battuta “Catherine..” mi annunciò una volta “ Sono grande” “Eh..” “Non porto più i pannolini!!!” entusiasta, omettendo che glieli mettevano per il riposino pomeridiano e per la notte, non ci badai. “Lo so” poi “ A volte ti ho cambiato pure io, lo saprò” salvo lodarlo, era suscettibile come pochi.



 
Olga amava vestire di rosa, semplice, classica, una fascia argentata le circondava i  capelli dorati, al collo portava una collana di perle.
Era fresca, esuberante, la gioia di vivere in persona.
A sedici anni, nel 1911,  festeggiò la cosiddetta maggiore età con un ballo a Livadia, in Crimea.
Ciò significava poter portare i capelli raccolti, le gonne lunghe ed il busto, riti di passaggio, minimi gesti che avevano una immensa importanza.
Si parlava di progetti matrimoniali in fieri, dato che era la figlia di un imperatore, non una comune cittadina, ma lei ci rideva sopra, l’idea di lasciare la sua famiglia le appariva lontana come un miraggio incongruo, una chimera, il principe ereditario di Romania, il principe di Galles e via così, declinavamo l’elenco, annotando che il caro granduca Dimitri, suo cugino, era sempre scapolo.
Comunque, in via ipotetica, tra noi ne parlavamo, tanto per ridere.
Mi suggerì l’estate, per organizzare il matrimonio, il mio, lei e le sue sorelle che mi avrebbero fatto da damigelle, anche se io ritenevo che non mi sarei mai maritata. Meglio quello che riflettere sul bizzarro comportamento di Alessandra, oggetto di eterni pettegolezzi, la passività apparente dell’imperatore, il disorientamento dei ministri e del parlamento, la Duma, dopo l’assassinio di Stolypin, primo ministro nel settembre 1911 a Kiev.
Era scoppiata una bomba, dinanzi al palco dello zar, che assisteva all’opera, con lui le granduchesse più grandi.
Uno stillicidio, Olga era rimasta ferma, composta, mentre i grandi occhi a mandorla di Tata si riempivano di lacrime, in seguito aveva avuto incubi, per un lungo periodo.
Il tutto aveva acuito i sospetti su Rasputin, poco prima che entrasse in teatro il siberiano  aveva detto al povero S. che la morte gli camminava vicino e poi vi era stato l’attentato, sapeva qualcosa od era un mero caso?
La  polizia lo teneva sotto controllo, annotando le sue malefatte e, insieme, lo proteggeva dai propri e altrui alterchi.
Si vociferava di alterchi, volgari litigi, visite alle prostitute e ai bagni turchi, notori luoghi malfamati, di ubriacature costanti. E si parlava di nuovo delle (presunte) lettere che la zarina Alessandra gli aveva scritto e che giravano in copie, si vociferava che il siberiano e l’imperatrice fossero amanti.
Rasputin, come un sultano orientale, aveva molte donne, mai conobbe carnalmente la zarina, tuttavia frasi come “.. Dove sei, mio adorato Maestro? Quando sei con me sono sollevata da ogni pena, vorrei dormire tra le tue braccia, per sempre..”destavano molti dubbi.
La Tedesca, tanto  controllata e fredda nella sua austera apparenza, nascondeva allora ogni turpitudine, era ricettacolo e sentina di ogni vizio, come mai l’imperatore non controllava quella sciagurata di sua moglie.
Forse era un burattino nelle grinfie della Nemka, che ancora non spiccicava quattro frasi insieme di russo decente, lei che era moglie dello zar.
Le caricature che seguirono la pubblicazione di tali missive (le riforme del 1905 avevano abolito la censura e garantito la libertà di stampa) raffiguravano Alix tra le braccia del soggetto innominato e innominabile, circondate dalle donne della casa imperiale nude e lascive.
In un’altra, Rasputin, tratteggiato come un gigante, teneva tra le mani due burattini, gli zar, con l’imperatore nudo tranne che per gli stivali e un cappello in testa, intorno a loro principi e granduchi.
Nicola II lo aveva rimandato  in Siberia.
Quel giro di danza nei confronti della morte me lo ero risparmiato, annottavo tra me che Olga era coraggiosa e ferma, Tata troppo sensibile, a prescindere dalle sue severità apparenti.
Era una principessa cigno, delle fiabe, troppo perfetta per quel mondo, io e Olga no



Meglio tornare al ballo di Olga, ai solenni inviti inviati su pesanti biglietti color  crema in solenne e nero inchiostro: “Their Imperial Majesties invite[You] to dinner and a dancing party to be held on Thursday November 15th, at 6:45 in the evening, at the Livadia Palace.” Il dress code per quell’occasione era strettamente regolato, i militari dovevano mettere l’alta uniforme, ai civili era prescritto il vestito da sera con la cravatta bianca.
La cena venne servita su piccoli e rotondi tavoli con candidi tovaglioli e posate d’argento, lo champagne scorreva come la musica e i prelibati vini di Crimea.
I fiori, rose e gigli primeggiavano, le candele luccicanti che tremolavano per la brezza .. e Olga che portava i capelli raccolti, ufficiale, per la prima volta, in uno chignon.. e tutti le baciavano la mano e volevano ballare con lei, era la gioia di vivere quella sera, sottile e perfetta.  
.. ci ritirammo alle 23, credo, rievocai una sera di molti mesi prima, come se non bastasse quello che avevo addosso.



Li avevo sentiti discutere, era molto tardi, i miei genitori, lui aveva perso non so quale cifra al tavolo verde e chiedeva a mia madre di intercedere con R-R, il mio caro zione, che si era stufato di pagare a nastro.
Aveva un frustino e..Le assestò una scudisciata in viso” una rosa di sangue fiorì sulle sue guance delicate.
Era  mia madre e veniva frustata.
Ero schizzata a difenderla, la rabbia e la frustrazione di anni esplose in un solo ruggito, ero una fiera leonessa, una combattente, gli avevo strappato di mano quell’arnese di tortura ed era andato fuori controllo, mi aveva colpito sulla schiena, in rapida successione, poi aveva smesso, che mia madre gli aveva tirato in testa una caraffa di brandy vuoto, ecco la leonessa che difendeva i suoi cuccioli, lui era stramazzato per terra.
Con lui avevamo finito entrambe, che si arrangiasse. Poteva sopportare per sé, Ella, non che toccasse i suoi figli.
Tra le scapole avevo un geroglifico di cicatrici grazie alle staffilate, lasciamo stare gli altri segni sulla spina dorsale, squarci che  avevano messo una lunga eternità a saldarsi, io a non impazzire per il dolore. Quando  mio zio le aveva viste, fresche,  aveva perso la calma, come Ella lanciando la caraffa, non lo aveva inibito mentre mi assisteva, disse solo che lei era lei, adulta, io solo una ragazzina che le aveva prese per averla difesa e  non era giusto, che quei segni me li sarei portati per sempre addosso. E mi cambiavo e vestivo da sola, ero indipendente fino alla nausea.
La bambina che ero stata, arrabbiata, sempre sulla difensiva.. che temeva gli sguardi del principe padre, i movimenti sofferti di sua madre, fino a esplodere, furia cieca, una ribelle ora e per sempre.
Da allora facevo conto di essere orfana, la figlia di Ella e basta, lui era solo una figura di rappresentanza,  se succedeva qualcosa mio zio o  chi per lui lo ammazzavano, Raulov, dopo averlo pestato a sangue.
 
Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine “ ..l’anima nuda su un quaderno, come la schiena, ho deglutito per l’orrore, e sì che le avevo già viste, una sola volta, eri di spalle e oltre ai geroglifici tra le scapole altre cicatrici correvano traversali fino alla vita, incise sulla pelle come monito di un incubo. Linee contorte e trasversali, ormai rimarginate, bianche, ogni tanto un reticolo  od un nodo in un punto, provocato da un colpo che aveva lasciato una ferita troppo larga e i lembi non erano rimarginati bene Squarci su squarci, dolore su dolore.E ti eri girata, solo pochi attimi, non volevi mostrare quelle sulle braccia, rivestendoti come un fulmine, Tata si premette le dita sugli occhi, per non mettersi a piangere”
Dai quaderni di Catherine“.. sono contenta che voler fare da sola, senza cameriere, passasse per l’ennesima delle mie stramberie, a dire la verità questo arsenale che ho sulla schiena mi ha sempre fatto vergognare. Per settimane ho dovuto dormire sul fianco, sorvoliamo che quando mia madre mi medicava le ferite mi cacciavo un lenzuolo in bocca per non urlare.. E mettere il busto, con le fasciature, era una tortura, ho sempre evitato, il più possibile.. E da allora ho chiuso con il principe Raulov, come mia madre..Diciamo che gli tirò in testa una caraffa di brandy vuoto per farlo smettere dal suo zelante e nuovo passatempo.. Mio zio andò fuori controllo, credo che tra lui e Andres gliele abbiano ben suonate, ormai è andata.. “
Andres dei Fuentes, pupillo di mio zio e mio futuro marito, amore di una vita.
   
 
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