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Autore: Signorina Granger    15/08/2017    6 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
E’ passato così tanto tempo dalle Guerre che ormai Lord Voldemort e Tom Riddle sono nomi che si trovano solo negli archivi del Ministero, della Gazzetta del Profeta o nei libri della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Le distinzioni tra Purosangue e non sono finalmente cessate, ormai quelle famiglie che si davano tanta importanza per la purezza della loro stirpe non esistono quasi più nell’universo magico inglese.
I maghi hanno forse finalmente iniziato a guardare i Babbani con maggiore interesse, qualcuno ha persino pensato di unire scienza e magia, dando così vita alla Dollhouse, un’associazione segreta nascosta dietro ad una facciata di esperimenti, che seleziona giovani maghi e combinando le due forze ne resetta le menti: dimenticano chi sono, il loro nome, il loro passato. La loro personalità viene cancellata e reimpostata perché siano al completo servizio dell’associazione: sono solo bambole in mano a dei burattinai, addestrati e pronti ad eseguire qualsiasi ordine.
A qualunque prezzo.
- La storia prende ispirazione dalla serie “Dollhouse”
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 14: Erin Estelle LaFont
 
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La risata spontanea, sincera e cristallina di una bambina riempiva il cortile illuminato dal Sole e cosparso di fiori, mentre una piccola figura dai capelli biondi trotterellava in mezzo ad essi con un leggerissimo abitino bianco addosso.
 
“Dove pensi di andare?”
Sentendo, alle sue spalle, la voce del padre la risata della bambina echeggiò nuovamente, correndo sul prato a piedi nudi e con i capelli chiari che scintillavano sotto alla luce naturale, rendendola impossibile da non notare in mezzo ai fiori colorati.
 
Charles LaFont sorrise mentre “inseguiva” la figlia di quattro anni, quasi camminando invece di correre per far finta di non riuscire a prenderla.
Erin, che stava continuando a sgambettare in mezzo al prato, si lasciò sfuggire un piccolo urletto quando sentì due mani afferrarla per la vita e sollevarla, ritrovandosi poco dopo a ridacchiare mentre il padre, sorridendole, se la sistemava in braccio facendole il solletico.
 
“Ti ho presa, piccoletta.”
Charles sorrise alla sua unica figlia, lasciandole un bacio sulla fronte prima di girare sui tacchi e avvicinarsi nuovamente alla casa.
 
“Non voglio tornare dentro… voglio giocare con te.”
“Cucciola, tra poco è ora di pranzo…non hai fame? E poi papà deve tornare al lavoro.”
 
Sentì la bambina sbuffare leggermente, nascondendo il visino nell’incavo del suo collo mentre camminava per tornare dentro casa, evitando di dirle che avrebbe preferito a sua volta restare in giardino, giocando e ridendo con lei.
 
*
 
“DOVE DIAMINE SONO FINITI? Hai chiamato Carter?”
“Ci ho provato, non sono riuscito a mettermi in contatto con lui. Cecily, forse dovresti mandare qualcuno a cercarli, può essere che abbiano avuto un qualche incidente, dopotutto.”
 
“No. Nessun’altro uscirà di qui stasera. Pensaci tu, IO devo andare a placare e a scusarmi con il cliente… ma saprò come sono andate le cose stasera, Alpha, e ti assicuro che nel caso qualcuno pagherà per avermi costretta a fare una cosa che odio tremendamente: scusarmi e strisciare.”
Cecily sbuffò e, con un cenno, fece intendere ad Alpha di essere stato congedato.
Ma l’uomo non si mosse, rimase in piedi e con gli occhi chiari fissi su di lei, ripensando al modo in cui lo aveva costretto a tornare alla Casa, lasciando Diana a casa.
 
“Ho una figlia di quattro anni Cecily. Non può occuparsene qualcun altro?”
 
“Carter Halon e Juliet fanno parte della TUA squadra. E’ affare TUO. Quindi te ne occupi TU.”
 
Il tono di Cecily fece intendere che non avrebbe ammesso repliche sulla questione e Alpha, trattenendosi dal ribattere pesantemente, si vide costretto a girare sui tacchi e uscire dalla stanza, serrando i pugni con irritazione crescente.
 
 
Ma tu guarda che cosa devo fare per te, Mel
 
 
Attraversando il corridoio l’ex Auror finì con l’incontrare Erin, ferma in un angolo ad aspettare. Quando lo vide inarcò un sopracciglio, rivolgendogli un’occhiata quasi scettica:
 
“Allora? Novità?”
“Pare che Juliet non sia mai arrivata a destinazione… Non ci resta che scoprire che fine hanno fatto lei e Carter. Ti ha accennato qualcosa sul non volerlo fare?”
 
“No, certo che no, saltellava di gioia all’idea di prostituirsi.”
 
La bionda gli rivolse un’occhiata quasi carica di disgusto, facendolo sbuffare mentre la prendeva per un braccio, costringendola a camminare e sibilando qualcosa a mezza voce:
 
“Non è stata una mia idea… non piace neanche a me. E’ una barbarie, certo, ma sai come funziona.”
“Certo. La DeWitt dice “salta” e loro devono rispondere “quanto in alto?”.  Ma non credo che sia stata un’idea di Juliet, se non hanno avuto incidenti e hanno cambiato direzione di proposito… Sono “Doll”, sono appositamente programmati per fare quello che gli si dice… perché ribellarsi?”
 
“Può succedere, a volte.”
“Ti riferisci a Viktor? Ne ho sentito parlare. E’ quello che avete dovuto sopprimere perché’ ha quasi ucciso il suo supervisore?”
 
Erin si rivolse ad Alpha con il tono carico di curiosità, desiderosa di vederci più chiari in quella storia che aveva sentito di sfuggita molte volte da quando era arrivata alla Dollhouse, senza però mai saperne i particolari.
“Aveva iniziato a dare di matto… il suo cervello era andato, non era più gestibile. Vedendolo, ho realizzato per la prima volta che c’è una falla in questo sistema. Che il lavoro della Dottoressa non è poi così perfetto.”
 
“E la cosa ti rende felice?”
“Forse. Ora, invece di chiacchierare, sveglia Hooland, o comunque trovalo. Dobbiamo rintracciare la macchina che hanno usato Carter e Juliet.”
 
“Penso che sia stata una sua idea. Di Carter, intendo… è innamorato di lei.”
 
Il mormorio di Erin costrinse Alpha a fermarsi, voltandosi per guardarla in faccia quasi come a volersi accertare che stesse dicendo il vero:
 
“Ne sei sicura?”
“Assolutamente… E forse non è poi un bene, innamorarsi del proprio Attivo, dico bene?”
“Ovviamente no. Coraggio, troviamoli in fretta… più tempo passa, meno la DeWitt sarà contenta.”
 
Erin annuì e si affrettò a seguirlo per fare quello che le aveva detto, trovare Hooland… anche se, infondo, non riuscì a non sorridere, felice per come erano andate le cose alla sua amica quella sera.
 
*
 
“Papà?”
“Che cosa c’è, principessa?”
 
Erin LaFont, appoggiata ai cuscini del suo grande letto a baldacchino, teneva gli occhi chiari fissi su suo padre mentre questi le rimboccava le coperte, sorridendole con affetto.
 
“Perché tu e la mamma non vi sorridete mai? E non vi date gli abbracci?”
Il sorriso svanì immediatamente dal volto del mago, che però allungò una mano per sfiorare i capelli chiari della figlia, cercando un modo per rispondere a quella domanda… come poteva spiegarlo ad una bambina di otto anni?
 
Infondo, però, aveva sempre saputo che prima o poi la figlia si sarebbe accorta del profondo distacco che c’era tra lui e la moglie… chiunque se ne sarebbe accorto, prima o poi.
 
“Beh… Tu perché mi dai gli abbracci?”
“Perché ti voglio bene.”
“E anche io ti voglio bene… Ma io e la mamma forse ce ne vogliamo un po’ meno.”
“Perché?”
 
                         “Vedi… a volte le persone si sposano perché si vogliono bene. Altre volte si sposano per motivi diversi. Ma sono felice di aver sposato la mamma, principessa, perché altrimenti non avrei una bellissima bambina. Forse io e la mamma non ci amiamo poi molto, ma amiamo comunque te.”
 
Charles sorrise, sporgendosi per darle un bacio su una guancia mentre la bambina restava in silenzio, continuando a guardarlo tenendo la sua bambola di pezza sottobraccio come se stesse cercando di elaborare quello che le aveva detto.
 
“Quindi anche io, se mi sposerò, non sorriderò e non darò abbracci?”
“Spero tanto di no, Erin… Faremo in modo che non accada, ok?”
 
La bambina annuì con aria lugubre e quando il padre le chiese se volesse che dormisse con lei acconsentì senza esitare nemmeno per un attimo, lasciando che l’uomo si stendesse accanto a lei per abbracciarla.
 
E prima di addormentarsi, quella sera, Erin LaFont si ripromise di non trovarsi mai intrappolata in un matrimonio senza il minimo affetto come quello dei suoi genitori.
 
*
 
“Hool? Ehy?”
“Mh?”
 
Hooland Magnus aprì pigramente un occhio, cercando di mettere a fuoco la figura che lo aveva svegliato in mezzo al buio della sua camera.
Quando si rese conto di chi si trattasse distese le labbra in un sorriso, allungando un braccio per afferrare la sua mano:
 
“Ah, ciao… visto che sei tu ti perdono per avermi svegliato. Però voglio le coccole.”
 
Fece per attirare a sé Rose con uno strattone ma la ragazza, sbuffando, fece leva sul suo stesso braccio per restare in piedi, guardandolo con leggera esasperazione:
 
“Hool… Ti devi alzare. Davvero, Alpha ha chiesto di te.”
“Che cosa vuole a quest’ora?”
“Non lo so, ma Erin mi ha detto di svegliarti… coraggio, alzati.”
 
“Va bene…”
 
Hooland, sbuffando, si scostò le coperte di dosso e si mise a sedere sul letto mentre Rose, rendendosi conto che il ragazzo non indossava il pigiama ma solo i boxer, arrossiva violentemente per poi squittire che lo avrebbe aspettato fuori dalla porta.
 
L’ultima cosa che la ragazza sentì fu la risata di Hooland, insieme ad un borbottio che suonò molto come “pudica”.
 
 
“Perché sei viola?”
“Niente… L’ho svegliato, comunque.”
 
Rose si strinse nelle spalle mentre Erin, in piedi davanti a lei e appoggiata alla porta chiusa della camera di Whiskey, la guardava con fronte corrugata per un attimo prima di sorridere leggermente, guardandola con aria divertita:
 
“Fammi indovinare… era in mutande.”
“Erin, preferirei evitare questa conversazione.”
“Oh, andiamo Rose, prima te lo slinguazzi senza ritegno in cucina e poi fai la pudica?”
 
“ERIN!”
“Dico solo quello che penso. E quello che ho VISTO. In genere non sono una grande fan delle coppiette innamorate, ma credo di essere felice per voi… Sono del parere che in genere non durino, ma credo che voi due vi amiate sul serio.”
 
La bionda si strinse nelle spalle e Rose sfoggiò un piccolo sorriso, rilassandosi leggermente sentendo quelle parole:
“Davvero? Grazie.”
 
“Sì, insomma, era piuttosto chiaro quando ti ha regalato un completino intimo di pizzo, il messaggio subliminale “te lo regalo perché poi mi piacerebbe togliertelo” era lampante…”
 
ERIN! Io vado di sotto...”
 
Con un piccolo sbuffo Rose girò sui tacchi per allontanarsi e raggiungere le scale, lasciando Erin sola e intenta a ridacchiare leggermente.
Stava aspettando che Hooland uscisse dalla sua camera quando la Guardiana venne raggiunta da un altro collega, visibilmente preoccupato:
 
“Erin… che succede? Dov’è mia sorella?”
“Ciao Bennet… Non lo sappiamo, dobbiamo rintracciare l’auto. Ma non preoccuparti, sono sicura che sta benissimo.”
“Ho sentito che è stata mandata da qualche parte da sola con Carter… perché solo lei? E perché non è arrivata a destinazione?”
 
“Bennet… non dare in escandescenza, ok? Diciamo che Carter ha avuto la brillante idea di cambiare rotta… ma non gli si può dar torto, vista la situazione.”
“Perché? Cosa doveva fare? Qualcosa di così pericoloso?”
 
“Non proprio… diciamo che doveva… passare la serata con uno dei clienti della DeWitt.”
 
La bionda vide il ragazzo sgranare gli occhi chiari con sincero orrore, prima che questi cedette il posto alla rabbia:
 
Cosa? Siamo scesi a questo punto? Non ho mai apprezzato Carter Halon come in questo momento, penso.”
Erin fece per replicare ma s’interruppe quando la porta davanti a loro si aprì e Hooland uscì dalla sua camera borbottando che non si riusciva più nemmeno a dormire in pace in quella Casa.
 
“Scusa Magnus, piccola emergenza… Alpha ti aspetta di sotto. Coraggio, andiamo e troviamo Juliet in fretta, o la DeWitt comincerà a sputare fuoco!”
 
La bionda prese i due ragazzi sottobraccio per trascinarli con sé al piano terra, mentre Hooland annuiva distrattamente, parlando con un tono vago:
 
“In effetti me la vedo molto chiaramente trasformarsi in un drago terrificante come Malefica…”
 
“Non so di che parli Magnus, ma presumo sia una cosa Babbana.”
 
*
 
Erin LaFont era sempre stata, fin dal primo momento, ben felice di essere stata Smistata a Serpeverde. Non le sarebbe piaciuto affatto essere etichettata come “secchiona” finendo tra i Corvonero, o “pallone gonfiato” tra i Grifondoro.
No, era ben felice della sua Casa… anche se forse era il più grande concentrato di malelingue di tutto il castello, anche nei suoi confronti.
Sapeva di non essere particolarmente simpatica o loquace, in effetti era molto selettiva con le sue amicizie ed era perfettamente consapevole di essere spesso molto acida e sarcastica.
 
Aveva un lato più gentile, affettuoso, ma questo si manifestava di rado, solo con le poche persone alle quali riusciva ad affezionarsi davvero.
E tra questi, di certo, non rientravano i ragazzi che le sorridevano quando passava, forse più interessati alle sue lunghe gambe esili che a lei.
 
Qualche relazione l’aveva avuta, in realtà, ma non era mai durate a lungo e sempre per scelta sua: con il tempo, forse perché cresciuta con una coppia come i suoi genitori, si era lentamente convinta di non volersi mai trovare intrappolata in una relazione o in un matrimonio come il loro.
Era diventata piuttosto scettica rispetto al tanto decantato “grande amore” e aveva preso la ferma abitudine di essere, in una relazione, la prima a stroncarla, sempre.
 
Infondo non si era mai affezionata realmente a nessuno di loro, ormai quasi pensava che non si sarebbe mai innamorata.
 
Erin, quando attraversava un corridoio o entrava in aula, sentiva distintamente i mormorii che seguivano il suo passaggio… non sapeva se a parlare fosse l’invidia che alcune compagne nutrivano verso di lei e il suo bell’aspetto, probabilmente in parte era così, ma essere etichettata con certe parole a volte faceva quasi male.
 
Quasi, poi si ripeteva di non darci peso e di continuare dritta per la sua strada, tenere la testa alta e continuare ad essere se stessa, sempre.
Anche quando si sentiva chiamare “sgualdrina”, forse a causa del suo aspetto provocante o per le parole che alcuni ragazzi sibilavano alle sue spalle dopo essere stati rifiutati da lei.
 
Lo era davvero?
Infondo non aveva avuto chissà quante storie, alla fin fine… ma forse doveva solo lasciarli fare.
Fece per tirare la stoffa della gonna che, a causa della sua altezza, le lasciava scoperta una bella porzione di gambe… ma poi si bloccò e non lo fece, dicendosi che quello che dicevano non aveva importanza e non doveva lasciarcisi influenzare.
 
Dicevano che era una sgualdrina? Bene, allora ai loro occhi lo sarebbe stata.
 
*
 
“Non avrei dovuto lasciarmi convincere. E’ stato stupido e avventato.”
“Juls, andrà tutto bene.”
 
“No invece! Ci ucciderà, di sicuro a quest’ora lo saprà già e quando torneremo alla Casa sarà lì ad aspettarci con una forca in mano.”
“Che immagine pittoresca…”
“Dico sul serio! E’ stata una pessima idea, avrei dovuto farlo.”
 
“No, invece, è stata una delle idee migliori che io abbia mai avuto da quando lavoro per lei.”
 
Carter sorrise, apparentemente rilassato mentre guidava e Juliet, seduta accanto a lui sul sedile del passeggero, sbuffava scuotendo leggermente il capo, borbottando che avesse perso la testa.
 
“Juls, avresti anche potuto non lasciarti convincere così in fretta, ma IO di sicuro non avrei cambiato idea in ogni caso. Rilassati, non ti succederà niente, se la prenderà con me.”
“E’ questo il punto, non voglio che tu te ne vada.”
 
Juliet sospirò, continuando a chiedersi se la Dottoressa avrebbe davvero licenziato Carter… conoscendola non era da escludere, ma lei sicuramente non voleva perderlo.
 
Carter invece le sorrise come se non si fosse pentito neanche un po’ della sua scelta, ripensando con gioia al bacio mozzafiato che si erano scambiati in riva al mare.
 
“Non succederà, nemmeno io voglio andarmene… non voglio perderti.”
 
“Perché continui a sorridere, mi dai i nervi! Possibile che tu sia così tranquillo?”
“Non ho paura di Cecily DeWitt, Juls.”
“Beh, forse dovresti.”
 
 
 
“Li hai rintracciati?”
“Rosie, così mi offendi, pensi davvero che non sia in grado di fare una cosa così semplice?”
 
Hooland distolse lo sguardo dallo schermo del computer per voltarsi verso la ragazza, lanciandole un’occhiata quasi offesa che venne subito ricompensata da un sorriso di Rose, che scosse leggermente il capo mentre teneva entrambe le mani sulle sue spalle.
 
“No, certo che no… scusa, sono solo un po’ agitata per la situazione.”
“Ti perdono solo se mi massaggi le spalle.”
 
“Avete finito di tubare? Dove accidenti sono finiti quei due?”
 
“Erin, non fare la guastafeste mentre mi arruffiano Rose… Comunque, a dire la verità, sono abbastanza vicini… anzi, sembrerebbe che l’auto stia proprio tornando qui.”
 
*
 
Scendendo dal treno gli occhi chiari di Erin LaFont vagarono sulle persone che affollavano la stazione, cercando un paio di volti familiari.
Teneva una mano stretta intorno ad uno dei manici del suo baule, sperando che suo padre fosse venuto per aiutarla a trasportarlo… e anche perché non moriva dalla voglia di stare da sola con sua madre.
 
Quando posò gli occhi su un uomo che, sorridendo, si stava avvicinando al vagone provò quasi un moto di sollievo, avvicinandoglisi d’istinto per abbracciarlo.
 
“Mi sei mancato.”
“Ciao Erin… Anche tu ci sei mancata.”
 
La figlia si allontanò leggermente dal padre per rivolgergli un’occhiata quasi scettica, inarcando un sopracciglio:
 
“Ci? Davvero?”
“Erin, non ricominciare… ti vuole bene, lo sai.”
 
La ragazza sbuffò debolmente mentre il padre prendeva il baule per aiutarla a trasportarlo, rivolgendole un’occhiata eloquente come a volerle dire di evitare di sollevare discussioni. Decise di ascoltarlo, decise di volersi godere l’inizio delle sue ultime vacanze estive prima dell’ultimo anno di scuola e di non avere voglia di discutere con sua madre.
 
Non sapeva nemmeno di preciso quando quella situazione ridicola fosse iniziata, ma da qualche tempo la Serpeverde si era resa conto che sua madre nutriva una specie di leggera invidia nei suoi confronti, forse rimpiangendo la giovinezza ormai persa e la bellezza della figlia.
Sentimenti a dir poco ridicoli, a parere della ragazza, da nutrire nei confronti della propria figlia, Erin continuava a chiedersi come fosse possibile avere certi pensieri per qualcuno che tu stessa hai messo al mondo.
 
In fin dei conti, però, lei non era affatto nata da un sentimento vero e proprio. Forse il precario rapporto con sua madre era dovuto anche a questo.
 
*
 
“Smettila di fare quella faccia… Non preoccuparti.”
Carter e Juliet, dopo essere scesi dall’auto, stavano attraversando il piazzale di ghiaia per raggiungere l’ingresso della villa dove, ad attenderli, avrebbero trovato alcuni membri della loro stessa squadra insieme ad Alpha e ad una Cecily DeWitt non proprio allegra.
 
“Puoi sempre dirle che è stata una mia idea, che io mi sono rifiutata…”
“Non so se ci crederebbe, Juls.”
 
Carter accennò un sorriso mentre camminava tenendola per mano, trattenendosi dal farle notare che era molto improbabile che un Attivo si rifiutasse di eseguire un ordine, visto che erano stati programmati a tal proposito.
“Beh, provaci. Non penso che con me se la potrebbe prendere più di tanto, quanto meno non credo che mi licenzierebbe.”
“Non licenzierà anche me, vedrai.”
 
Erano quasi arrivati sulla soglia quando il ragazzo si fermò, prendendole il viso tra le mani per darle un bacio a stampo sulle labbra e poi sorriderle leggermente:
 
“Coraggio… andiamo dentro.”
 
 
 
“Juliet!”
Vedendo entrare l’amica insieme al suo Guardiano Erin scattò in piedi, avvicinandolesi quasi di corsa per poi abbracciarla.
 
“Tutto bene?”
“Sì. Mi spiace se ti sei preoccupata.”
 
Juliet rivolse un piccolo sorriso all’amica, che fece saettare lo sguardo prima su Carter e poi sulle mani intrecciate dei due ragazzi, non riuscendo a trattenere completamente un piccolo sorriso a quella vista.
 
“Carter.”
Sentendo la familiare voce di Alpha Erin si voltò, guardando l’uomo che si era fermato a qualche metro da loro e stava osservando il ragazzo con le braccia conserte e nessuna particolare espressione dipinta sul volto.
 
“La Dottoressa vuole vederti… vai nel suo ufficio.”
“Ovviamente. Dovresti andare a dormire adesso, Juls.”
 
“Non posso andare con lui?”
“No, vuole vedere solo Carter. Erin, accompagnala di sopra.”
 
L’ex Auror rivolse un cenno alla bionda, che annuì mentre prendeva l’amica sottobraccio e Carter le superava per raggiungere le scale, rivolgendo un ultimo sorriso rilassato in direzione di Juliet, quasi a volerla rassicurare.
 
“Vieni, andiamo.”
 
 
 
“In pratica, Carter si è innamorato di Juliet, per questo era geloso di Nick, pensava che il suo attaccamento fosse dovuto a dell’attrazione, quando invece è sua sorella. Però da qualche tempo non hanno più fatto scenate, dici che Nicholas glie l’ha detto?”
 
“Può essere. Ma non sono affari nostri!”
 
Rose rivolse un’occhiata in tralice a Hooland mentre, appoggiati alla ringhiera delle scale del primo piano, osservavano la scena sotto di loro.
“Non serve sottolinearlo, lo so bene!”
“Non provarci, avevi già assunto il tono da comare.”
 
“Beh, in ogni caso… Seth e Kate stavano insieme all’ultimo anno, e lui sbavava per lei già dal quinto, me lo ricordo intento a fissarla con aria da pesce lesso durante le lezioni o in Biblioteca. Ovviamente nessuno dei due ricorda l’altro e ora Juliet sembra provare qualcosa per Carter… anzi, sono entrati tenendosi per mano e dallo scambio di sguardi secondo me è successo qualcosa tra loro… Dici che Carter sa che l’alter ego di Quebec stava con “Juliet” a scuola?”
“A meno che Nicholas non gli abbia detto anche questo no, non credo.”
“E’ proprio un bel pasticcio… chissà come andrà a finire! Non mi hai detto che Quebec si sente un po’ “strano” ultimamente, riguardo a quei due?”
“Così mi ha detto.”
“Magari è una specie di gelosia inconscia che si risveglia… Dopotutto lui ha molto spesso delle “crisi” notturne dove ricorda delle cose, no? Oh, che bell’intrigo, come mi diverto!”
 
“Si Sherlock Holmes, continua con le congetture, io vado a dormire…”
“Io avanzo ancora delle coccole, ti ricordo.”
 
Rose roteò gli occhi quando Hooland le impedì di andarsene placcandola con un abbraccio, sorridendole e dandole un lieve bacio sulla nuca prima di mormorarle qualcosa all’orecchio:
 
“E comunque… Fox mi ha detto che lui e Isla si sono baciati, avevo ragione io.”
 
 
 
“Sicura che vada tutto bene? Sembri un po’ scossa.”
“Spero solo che Carter non passi troppi guai, Erin.”
“Forse innamorarsi della propria Attiva non è una grande idea, infondo… io voglio parlare con Alpha a riguardo, quindi torno di sotto. Ci vediamo domattina, cerca di dormire.”
 
Juliet annuì, fermandosi davanti alla propria camera prima di aprire la porta, mentre Erin girò sui tacchi per attraversare il corridoio a ritroso e scendere al piano terra e parlare con Alpha: voleva chiedergli se avesse idea di cosa avrebbe fatto la Dottoressa al collega.
 
La ragazza era ormai giunta a metà del corridoio semi buio quando si fermò, restando perfettamente immobile per un istante prima di parlare a mezza voce:
 
“Lo so che sei lì. Ti conosco.”
 
“Ho solo sentito un po’ di trambusto e sono uscito a controllare…”
“Certo, sia mai che qualcosa sfugga al tuo controllo. Torna a dormire, Echo.”
 
Erin sbuffò leggermente ma il ragazzo non le diede retta, comparendo dal nulla dietro di lei per poi iniziare a seguirla, camminando ad un passo di distanza:
 
“Qualcuno è nei guai?”
“Carter, non ha fatto come la DeWitt gli aveva detto… e sappiamo tutti che a lei piace quando le persone obbediscono ai suoi ordini. E passerai dei guai anche TU se non fai quello che ti dico, stanne fuori, non sono affari tuoi.”
 
“Dei guai? Che cosa farai riccioli d’oro, mi colpirai con una delle tue mosse da arti marziali?”
“In effetti potrei, magari poi direi alla DeWitt che sei accidentalmente scivolato mentre scendevi le scale… Te l’ho detto Echo, stanne fuori.”
 
La bionda rivolse un’ultima occhiata gelida all’Attivo prima di accelerare, avvicinandosi alle scale per scendere al piano terra mentre Echo, ascoltandola, si era fermato qualche metro più indietro, limitandosi a seguirla con lo sguardo.
 
Chissà che cosa voleva andare a dire ad Alpha…
 
*
                                                                                          
Il giorno del Diploma ormai si stava avvicinando e non poteva esserne che felice: dopo sette lunghi anni sarebbe finalmente uscita da Hogwarts, avrebbe posto fine al suo periodo di studio.
Il suo unico interrogativo, a quel punto, era il seguente: che cosa avrebbe fatto una volta arrivato quel giorno? Che cosa avrebbe fatto quando sarebbe scesa dall’Espresso per Hogwarts per l’ultima volta?
 
Non lo sapeva, non ne aveva idea. Ma di certo non voleva giocare a fare la moglie, non voleva sposarsi molto giovane con qualcuno che non le piaceva e che semplicemente conveniva alla sua famiglia come era successo a sua madre.
Non voleva vivere una vita così grigia e infelice.
 
Erin sbuffò, rigirandosi nel letto e pensando a suo padre, che da un paio d’anni aveva cambiato lavoro. Le aveva parlato spesso di quel suo nuovo impiego e sembrava entusiasta a riguardo… anzi, una volta le aveva suggerito che magari avrebbe potuto intraprendere la sua strada proprio in quel settore.
Non era una cattiva idea, ma non ne era comunque sicura al 100%... Però poteva sempre provarci, dopotutto, in mancanza di ispirazione.
 
*
 
“Pensi che lo licenzierà?”
“Non so che cosa passa per la testa di Cecily DeWitt, non l’ho mai saputo. Ma spero di no, perché in quel caso gli cancellerebbe anche la memoria, Carter non ricorderebbe più la Dollhouse, e neanche Juliet.”
 
Nicholas annuì distrattamente alle parole di Alpha, restando in silenzio mentre rifletteva, così come il suo ex allenatore.
Entrambi alzarono lo sguardo quando sentirono qualcuno scendere le scale, rilassandosi quando si resero conto che era soltanto Erin.
 
“Ah, sei tu… lei come sta?”
“Bene, è un po’ in pensiero per Carter. Ora, visto che tutti gli altri staranno dormendo ormai… Joseph, sei sicuro che l’uomo che qualche giorno fa ha visto fosse un Auror?”
“Assolutamente… il Ministero muore dalla voglia di mettere le mani su questo posto e sbaragliarlo, così come il Dipartimento. Con il tempo, tuttavia, ho capito che questo posto è inscrivibile, non può comparire sulle cartine ed è quindi piuttosto difficile da rintracciare… Per fortuna gli Auror hanno avuto un piccolo “aiutino” interno.”
 
Le labbra dell’uomo s’inclinarono in un sorriso mentre Nicholas, seduto di fronte a lui, sbuffava leggermente, quasi con impazienza:
 
“Se gli Auror sanno dove si trova la Casa perché non vengono qui e non mettono tutto a ferro e fuoco? Quello che la DeWitt fa è illegale al 100%!”
“Ovviamente, ma tu per primo rivuoi indietro tua sorella, giusto? E lei è, si suppone, l’unica che sa come farli tornare com’erano prima dell’annullamento. Prima di dare il via agli Auror voglio capire se c’è un modo per annullare l’annullamento stesso. Erin, tu non sei riuscita a scoprire niente?”
 
“Ancora no, pare che non sappia granché, ma domani gli farò nuovamente visita e insisterò.”
 
La bionda si strinse nelle spalle e Joseph annuì prima di alzarsi in piedi:
 
“Bene. Se succede qualcosa di rilevante a Carter informatemi, in caso contrario ci vediamo domattina… io torno a casa.”
 
“Buonanotte.”
 
Nicholas rivolse un cenno all’uomo, che ricambiò prima di allontanarsi per uscire dalla Casa e Smaterializzarsi oltre i confini, mentre i due ex Serpeverde rimasero per qualche minuto seduti uno accanto all’altro, intenti a parlottare a mezza voce.
 
“Sei riuscito a capire perché anche lui vuole la disfatta della Dollhouse?”
“No, a riguardo è muto come un pesce… Ma non credo che sia solo una semplice talpa inviata dal Dipartimento. Secondo me c’è del personale, quando parla della Dottoressa il suo disprezzo è fin troppo evidente.”
 
“Può darsi, ma sicuramente non ne parlerà con noi, nemmeno sapevamo che avesse una figlia fino ad una settimana fa! E comunque, io continuo a non essere del tutto convinta: chi ci dice che c’è davvero un modo per restituire a tua sorella e agli altri la loro memoria e la loro vecchia personalità?”
 
“Ovviamente nessuno, possiamo solo sperarci.”
Nicholas si strinse nelle spalle ed Erin annuì, sperando che l’ex compagno di scuola non si sbagliasse e che avrebbero trovato il modo per riportare alla “normalità” gli Attivi, senza rendersi conto che Echo, appoggiato alla ringhiera delle scale, aveva seguito con lo sguardo tutta la conversazione.
 
*
 
“Sei sicura?”
“Assolutamente, ho deciso. Potresti parlarci?”
 
“Certo, potrei… se è quello che vuoi.”
“Sì, lo è.”
 
Erin annuì, rivolgendo un sorriso al padre che era seduto di fronte a lei, dietro alla sua scrivania. Il mago annuì distrattamente, senza smettere di guardarla come se stesse riflettendo sull’eventualità:
 
“D’accordo Erin. Ti posso procurare un colloquio con lei, sta cercando dei “Guardiani” per la nuova squadra. Ma per il resto dovrai cavartela da sola, Cecily DeWitt si è fatta da sola e, di conseguenza, non presta attenzione al cognome dei suoi collaboratori, non le importa di chi sei figlio.”
“Benissimo allora. Lasciamici parlare, al resto penserò io.”
 
Erin non si era sbagliata, era riuscita immediatamente ad entrare nella Dollhouse dopo aver parlato con la sua fondatrice. Mai, tuttavia, avrebbe pensato che un giorno si sarebbe ritrovata al punto di progettarne la dipartita.
 
*
 
Teneva gli occhi fissi sul soffitto, incapace di addormentarsi. O meglio, forse nemmeno voleva dormire: ci aveva provato e si era svegliato sudando freddo e con un terribile mal di testa, come spesso gli succedeva.
 
Sbuffò leggermente, girandosi su un fianco e chiedendosi se anche gli altri avessero quegli strani incubi. Juliet sì, ne era certo… ma forse i suoi erano più intensi. A volte si ritrovava persino a disegnare persone che non aveva mai visto su un foglio di carta dopo essersi svegliato, ne aveva fatti decine di un uomo con una pistola in mano, dei guanti di pelle, lo sguardo truce e vestito in modo strano. Altri in cui comparivano cadaveri imbrattati di sangue o una casa in fiamme.
 
Quebec si sollevò, mettendosi a sedere sul materasso e accendendo quasi senza pensarci l’abat-jour posta sul suo comodino, afferrando il blocco da disegno e una matita.
 
Ancora una volta iniziò a disegnare, ma questa volta fece semplicemente un ritratto, disegnando i lineamenti di un viso che, contrariamente agli altri, conosceva molto bene e che vedeva ogni giorno.
 
Fermò la mano solo quando ebbe terminato di contornare il viso con i capelli lunghi, fissando il disegno prima di lanciare la matita dall’altra parte della stanza, prendendosi la testa tra le mani.
 
Juliet. Perché disegnava Juliet?
Perché l’aveva sognata, poco prima?  Solo che quasi non sembrava lei… l’aveva vista ridere, sembrava molto più rilassata ed estroversa della spesso cupa e quasi solitaria Juliet che gli faceva compagnia quasi sempre nelle operazioni.
 
Chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi, e la vide sorridergli con addosso degli strani abiti neri che non aveva mai visto, sembrava quasi una divisa, per poi avvicinarglisi e sederglisi sulle ginocchia.
“Ciao Seth.”
 
Chi accidenti era Seth? Eppure, anche se aveva un suono familiare, specialmente con quella voce, era sicuro che Juliet non gli si fosse mai seduta in grembo… né, tantomeno, lo aveva mai baciato.
 
E poi c’era quello strano fastidio che provava da qualche giorno quando la vedeva accanto a Carter. Non capiva perché lo infastidiva, lei poteva fare quello che voleva con chi voleva.
Non aveva risposto alla sua domanda quando avevano evocato i Patronus e si era convinto di aver ragione, c’era davvero qualcosa tra quei due. Eppure non erano affari suoi… lei poteva baciare o andare a letto con chi voleva, erano sempre stati solo amici.
 
Ma si stava rodendo il fegato lo stesso, e moriva dalla voglia di capirne il motivo.
 
*
 
“E così tu sei Echo.”
“E così tu sei la mia baby-sitter.”
 
Erin piegò le labbra in un accenno di sorriso, continuando a tenere gli occhi verdi fissi sul volto del ragazzo che era seduto davanti a lei.
 
“Non mi definirei propriamente così… insomma, non mi sembri un bambino. Ma potrei sbagliarmi, certo. Comunque, mi chiamo Erin LaFont.”
“Sì, lo so, la Dottoressa me l’ha detto. Perché vuoi fare la baby-sitter?”
 
“Affari miei.”
 
Erin rispose senza battere ciglio e con un tono neutro, continuando ad osservare quello che era appena diventato il suo Attivo con leggera curiosità.
 
Echo invece sfoggiò un piccolo sorriso, guardando la ragazza quasi con cipiglio divertito:
“Sei sicura che riuscirai ad assolvere il tuo compito? Insomma, non sono sicuro che nel corpo a corpo riusciresti a mettere al tappeto qualcuno.”
“Tu dici?”
“Forse più che a questo posto sei adatta a farti scattare fotografie.”
 
“Sapevo che avrei incontrato un cretino che l’avrebbe detto. Io so difendermi alla perfezione Echo, e ti assicuro che sarò in grado, se necessario, di difendere anche te. Certo, sempre se non mi farai arrabbiare.”
 
*
 
“Perché l’hai fatto? E’ stato stupido. E tu non sei affatto stupido, Carter… io non li assumo, li stolti.”
 
“Era giusto così. Quello che voleva farle fare era sbagliato… Sono persone Dottoressa, non animali. Forse ha perso di vista questo punto, ormai.”
“Io non ho perso di vista niente Carter… Tu, invece, forse l’hai fatto.”
 
Cecily inarcò un sopracciglio, appoggiandosi allo schienale di pelle della sedia girevole senza staccare i freddi occhi chiari dal volto del ragazzo, studiandolo con attenzione:
 
“Ti sei innamorato di lei, non è vero?”
Per la prima volta da quando era entrato in quella stanza Carter esitò, non sapendo come rispondere a quella domanda. Invece di parlare il ragazzo abbassò lo sguardo, evitando di guardare la donna sorridere con una punta di soddisfazione, certa di non essersi sbagliata:
 
“Oh, Carter… che pessima idea. Innamorarsi della propria Attiva…”
“Se vuole ridere di me faccia pure.”
“No, non riderò di te, Carter. Infondo, come si suol dire, al cuore non si comanda, giusto? Forse è per questo che non ti licenzierò.”
 
“Come?”

Di fronte al tono e allo sguardo sorpresi del ragazzo Cecily piegò le labbra sottili in un sorriso, continuando a guardarlo con una punta di divertimento nello sguardo:
 
“Sei sempre stato praticamente impeccabile Carter, negli ultimi due anni. Sempre attento, sempre puntuale, sempre pronto a fare ciò che ti veniva detto… e Juliet non si è mai fatta un graffio, forse ora il motivo mi è ancor più chiaro, ma in ogni caso sei stato praticamente esemplare, non sono sicura di volerti perdere. E poi, se sei davvero innamorato di lei, forse potresti essermi ancora più utile, perché ora so per certo che farai in modo che non le accada niente.
Ma disobbedisci di nuovo e ne pagherai le conseguenze, Carter Halon, non mi piace quando qualcosa non va come ho programmato.”
 
*
 
“Non pensi di esserti lasciata prendere un po’troppo la mano? Mi hai distrutto la schiena!”
“Non fare la mammoletta Echo, ti sto solo temprando… e poi non eri tu quello scettico nei confronti della mia forza fisica, quando ci siamo conosciuti?”
 
Erin sfoggiò un sorrisetto soddisfatto in direzione dell’Attivo, che sbuffò massaggiandosi una spalla mentre camminava accanto a lei per uscire dalla palestra dove si erano allenati.
“Ok, ammetto che FORSE ti ho giudicata troppo presto…”
“Oh, beh, del resto lo fanno tutti, sei scusat- UN RAGNO!”
 
Un attimo dopo Erin stava camminando accanto a lui e un attimo dopo Echo si ritrovò con la ragazza ferma alle sue spalle, indicando il minuscolo ragno fermo sulla parete.
 
“Ma che… Erin, è solo un ragnetto!”
“Appunto, un viscido e schifoso aracnide ad otto zampe che corre sui muri e sui pavimenti… che schifo! Uccidilo, per favore.”
“Fammi capire, prima mi metti KO con due mosse e poi hai paura di un ragnetto?”
“Sì! Oddio, sta venendo verso di noi, fallo sparire!”
“Fallo tu!”
“No, mi fa schifo, non lo tocco neanche morta… andiamo, sii gentile per una volta!”
 
Echo roteò gli occhi mentre Erin continuava a nascondersi dietro di lui e a tenergli le mani sulle spalle, implorandolo di uccidere il ragno.
“Senti, non possiamo semplicemente girargli al largo?”
“Sei impazzito? E se poi magari arriva nella mia camera? Non posso sopportare l’idea di condividere il tetto con un ragno.”
“Quante storie… andiamo.”
 
Echo, sbuffando leggermente, prese la ragazza per un braccio per trascinarla lontano dal ragno, ignorando le sue sonore proteste. 






 


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Angolo Autrice:

Buonasera! Chiedo scusa per l'assenza ma, come alcune di voi già sanno, sono tornata da pochi giorni da una settimana di vacanza e di conseguenza non ho avuto modo di scrivere.
Mi spiace, inoltre, di non aver inserito il banner per Erin e per Carter nello scorso capitolo ma da qualche tempo tinypic fa i capricci, li caricherò appena possibile.
Ovviamente il prossimo capitolo sarà quello dedicato ad Echo, nonchè il terzultimo, e dovrebbe arrivare piuttosto in fretta.

A presto e buona serata,
Signorina Granger 
   
 
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