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Autore: queenjane    16/08/2017    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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 La mattina eravamo stati sugli scogli, una gita sulla costa   e ci eravamo svagati, divertiti e lo zarevic avrebbe proseguito ad infinitum, adorava saltare nell’acqua, costruire castelli di sabbia e raccogliere conchiglie, vogare. Tranne che era stanco, sua madre gli aveva promesso che ci sarebbe stata un’altra escursione più avanti, dopo avere fatto delle foto, eravamo in piena estate boreale e la notte era solo un pallido riflesso, il cielo era un nastro perfetto e sfumato di azzurro e rosa pesca. 
Mi era sembrato che scivolasse, ma non potevo dirlo, aveva vicino i suoi marinai barra tate ben vicine.. O forse dopo, nella vasca, un bagno veloce per togliere la sabbia.
E il medico di bordo lo aveva visitato, Aleksej aveva detto di non avere nulla.
Quello che  era strano, conoscendolo, era che si fosse fatto mettere a letto, nel primo pomeriggio, senza i soliti capricci, o forse non voleva far saltare la gita, quando gli conveniva era obbediente e mi ero pentita di quel pensiero maligno.
Ancora, il mio stupore era salito nel non avere udito i suoi strepiti, che sicuro come la morte detestava che gli mettessero il pannolone, per la notte o un riposino, a prescindere dalle crisi, in quello eravamo migliorati, fino ai suoi sei anni sua madre glieli faceva portare sempre.


Un’oretta  e mezzo dopo, la famiglia imperiale faceva delle foto “ufficiali”, mi ero schernita dal partecipare, il mio odio per le pose formali era leggendario, venivo decente solo se non me lo dicevano.
E avevo notato che lo zarevic camminava rigido, sulla sinistra.
Le  onde che battevano pigre sullo scafo, qui c’è qualcosa che non torna.
E mi ero avvicinata al Dr Botkin, sussurrando che mi pareva che camminasse male, scaricando il peso sulla destra e non piegava il ginocchio sinistro, appunto,  
Marie aveva osservato ridendo che aveva le mani calde, non è che ti senti poco bene, lui che le aveva perennemente fredde.

Alessio cercava di sorridere, disinvolto, ed era sudato,  vedevo il suo viso imperlato di sudore, ancora, lo avevo annotato quando mi aveva dato un bacio di saluto sulla guancia.. e soprattutto aveva ancora il pannolino, quando sta male vuole farsi toccare il meno possibile.


Il medico aveva iniziato a muoversi, io ero stata più veloce, stava per giungere in un punto sconnesso del ponte dove inciampavi se non facevi attenzione “Zarevic..”il mio corpo era stato un cuscinetto che gli aveva ammortizzato la caduta contro il legno,  mi si era serrato addosso, per istinto, gli avevo messo una mano sulla nuca, sussurrando tranquillo, lo avevo accostato contro di me, la sua gamba destra contro il mio busto, sostenendo la sinistra, e alzandomi in fretta lo avevo portato dentro, approfittando della confusione, da sempre attenta al protocollo, lo prendevo in braccio a quel modo in pubblico .. che avevo fatto  ..
La gamba sinistra, rigida, immobile..che hai .. non la pieghi..
E poi me lo avevano tolto dalle braccia e mi sarei messa a piangere. Che lo sentivo piangere  e poi urlare, con nitida precisione..
“Che ti fa male?”
“Il ginocchio.. “
“Quella maledetta.. forse lo ha spinto..” la Vyribova, querula e indisponente
“No..mi faceva male da prima… e..”
“Maestà, la principessa Raulov ha segnalato che aveva male alla gamba .. Se non prendeva batteva una testata..” e la Vyribova, querula e indisponente rincalzava che era colpa mia (quel pomeriggio sono andata vicina a strozzarla..)
“No.. fatto tutto io..”
“Perché..”
“Perché le cose non le dici mai..”
“Alexei .. dì la verità.. ti ha fatto qualcosa Catherine..?”
“NO.. lei no, te lo giuro Mamma.. lei è brava .. ” ancora “Mamma, Cat .. non mi ha fatto nulla!! Anya è una bugiarda..”
“Mamma, voglio Catherine !!”e ancora “Dice sempre tutto, anche se non voglio!! Ai dottori, di quando sto male o sono stanco.. Sempre!! E' peggio lei dei marinai” la zarina si mise a piangere.



Alix mi aveva ringraziato, poi, una volta compreso, lui mi aveva detto che ero cattiva, avevo rovinato tutto, perché non posso essere come tutti, perché.. era arrabbiato nero, il resto di quel pomeriggio, sera e notte, mentre urlava e gemeva per i dolori si era fatto avvicinare da tutti, tranne che da me e Marie, avendo io riferito a Botkin, lei osservato che forse stava poco bene non fummo ammesse.. dopo, che nel breve momento mi voleva.
“Ti vuole vedere” avevo posato la tazza di tè, ormai fredda nella porcellana smaltata, a fiorellini, ravvivandomi i capelli con le dita, erano le sei di mattina e l’equipaggio si era dovuto mettere tamponi di cotone nelle orecchie per non sentire le sue urla, dopo ore i gemiti erano scemati, calati, forse era in fase di remissione.  Io ero nella mia cabina, la pagina di un libro aperta a caso, da ore, prima ero stata con Marie e Anastasia, cercando di distrarle, Olga era insieme ad Alix e Tata con lo zarevic.
“Va bene, Olga, arrivo subito..”
“Io vado a dormire un poco..”Era esausta, le occhiaie scavavano un solco sul suo viso rotondo  “Idem Mamma e Tanik..”
“Olga.. stava già male, non l’ho fatto cadere io, te lo giuro su quello che vuoi”
“CAT.. Grazie. Non hai colpe, gli hai evitato di cadere malamente, alla peste.. E lo ha detto, che non lo hai spinto, si era fatto male da prima. È una peste,ma non è un bugiardo…”
“ La Vyribova sostiene che lo ho spinto” amara. Lei era la migliore amica di Alix, già una volta mi avevano allontanato e non avevo combinato nulla, ora ero sospettata di avergli fatto male
“CATHERINE..idiota, quella mette solo zizzania. Dai, vai da lui” mi ero tormentata per ore. E non era vero. Mi aveva passato un braccio sulla vita, strofinando la guancia contro la mia spalla, affettuosa, per rassicurarmi “Vai, so che you love Aleksey for all the long, and he loves you .. too Go.”


SEI CATTIVA .. perché lo hai detto” era esangue, spiritato, i candidi  cuscini che lo sostenevano aveva più colore di lui
“Stavi male..”
“Per me è troppo chiedere di poter fare una gita, essere come tutti..” Per la collera riusciva a parlare, sovrastando il dolore, la stanchezza. Tacqui , spiazzata
“Hai rovinato tutto.. Perché non posso essere come tutti, perché?”Avevo taciuto, di nuovo, senza toccarlo, oltre a soffrire a livello fisico era tormentato dalla sua fragilità, che scivolava e aveva una crisi.. “Togliti di torno, voglio mia mamma”
“Si è stesa un’oretta…” che sennò sarebbe collassata
“Chiama Tatiana” “Anche lei.. si è stesa..”
“ E va bene, forza, vieni qui”  Tata era bravissima, passava ore ad assisterlo e a giocare con lui, quando stava male, tranne che un poco di riposo occorreva pure a lei.
E gli sistemai i cuscini,mi  mandava via e poi mi voleva, e mi sentivo in colpa, come se lo avessi spinto io.
Asciugai il sudore, in tanti anni ero diventata brava ad assisterlo
“Perché non posso essere come tutti, perché..”gli appoggiai una mano sul braccio, mi allacciò le dita “Perché..”
“Mi dispiace, Alessio, ma stavi male, volevo evitare che stessi peggio.. Per mio fratello Alexander avrei fatto uguale..”si mise a piangere, piano, desolato.
“E non è colpa tua, ci sono nato così, disgraziato”

E mi arrabbiai io, ero partita per la tangente “Disgraziato è chi non ha nessuno,  chi non è amato.. il discorso lo facciamo quando stai meglio, non ti devi stancare”Gli baciai i capelli, badando a non sfiorare la gamba lesa, mi misi sul lato destro “Sai quanto ti voglio bene?” Aprendo le mani, tracciando il segno dell’infinito. E sapevo che il Dr Botkin era sulla soglia, vigilava, e lui sapeva che ero più disgraziata io dello zarevic, in un dato senso, che il marito di mia madre, il principe Raulov, aveva picchiato me e lei, da sempre,  fino  a incidermi la schiena a frustrate.. L’ultima rottura, lo sfregio, la separazione definitiva. Preferivo non pensarci, per non ammattire, ero oltre la rabbia, non avevo dormito, che in genere non lo volevo toccare, appunto, se aveva una crisi, più o meno in atto, per tema di dargli più dolore.
“Aleksej, zarevic, mio prediletto, unico e viziato .. Cocciuto come un mulo, un lottatore nato..” aveva riso tra le mie braccia, realizzando poi quella novità. “Vieni qui.. “Serrandolo addosso, il viso contro il mio collo, gli baciai i capelli, gli toccai la nuca “Vieni qui .. Non ti faccio male, vero ?”
“ ..no.. “
“Aleksej, zarevic..amore, abbracciami”
Quando mai gli dicevo che gli volevo bene? Allora molto poco.  Ed era un evento incredibile che lo toccassi, quando aveva una crisi, del genere come la neve che cade in Castiglia in estate, quando all’ombra vi sono 40 gradi. O lo appellavo in modo tenero, molto dopo, ai tempi dei miei ingaggi, sancì che a volte riuscivo a essere dolce, ma va.

“Fatti visitare, se vuoi torno dopo”
“No .. resti, mi dai la mano” Avevo obbedito, già allora, dopo, se avessi voluto avrei abbattuto le distanze.


Una frase di una storia, un boccone. Le trame di un caleidoscopio, giocare con i soldatini, leggere .. boh.. Tartarino di Tarascona, Peter Pan e ridere e tenerlo tranquillo.
Mi appoggiava la testa contro la clavicola, il libro aperto davanti, serravo le palpebre e inventavo, la brezza batteva sui visi e i capelli, alla fine si appisolava e lo circondavo con il braccio libero, era leggero come un sacco di piume, era un tesoro il mio, appunto. “Racconta.. un boccone, una frase della storia e mi devi imboccare”
“Allora.. Altezza imperiale, potremmo partire da una storia di pirati e tesori..” Se lo chiamavo imperatore dei viziati avevo ben ragione, e tanto avevo contribuito io pure..E lo preferivo in quella modalità che prostrato dalla sofferenza.
“Aspetta, che fretta abbiamo.. io non ne ho..Mangia con calma” gli pulivo il viso sporco di minestra,mi sorrideva, un paio di volte mi imboccò lui, figuriamoci.
E diventai un tormento nel breve periodo, se non stava con sua madre o le sorelle, lo zar compariva a rate, voleva me.


“Braccio” mi aveva comandato dopo  quattro giorni
“Aspetta..”  lo avevo circondato e sollevato con dolcezza, portandolo fuori su una sdraia
“Ti voglio bene, Zarevic” 
“Io no..”
“Ah.. “ che soddisfazione e tanto decodificai che mi stava prendendo in giro, aveva un angolo delle labbra sollevato in un sorrisino”Ti adoro, Cat, è diverso”
“Tu sarai un grande rubacuori, fidati” e mi aveva smontato lo chignon, intanto, i capelli mi piovvero sulle spalle, fino alla vita, una massa castano scuro venata da riflessi ramati che avvolse tra le dita “Ed un birbante” sorrisi, esasperata, tenera, facendo una treccia improvvisata
“Me le hai prese poi le conchiglie?”
“No.. sì“tuffai le mani in tasca e le ritirai“Secondo te, in quale mano sono?” Mettendogli i pugni chiusi davanti, alle volte ero più bambina di lui.
“ In tutte  e due..”
“O in nessuna..”
“In tutte e due” baciandomi le guance
 “Aleksey.. vuoi fare le bolle di sapone?Guardami” “
Posso soffiare..questo posso farlo”
“Scusami”

E poi si era rialzato io ero rientrata a San Pietroburgo, mentre la famiglia imperiale si recava a Spala per le cacce autunnali, pareva risolto e così non era, che poco dopo aveva avuto un’emorragia spaventosa che  lo aveva quasi  spedito al Creatore. E di averlo trattato in quel duro modo me ero pentita per un pezzo, dopo, e tanto me ne ero andata, senza appello o revisione.
 
   
 
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