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Autore: tixit    16/08/2017    2 recensioni
Una ragazzina torna a casa e cerca di adeguarsi alla vita in famiglia.
Breve storia minore su personaggi minori che non è diventata originale.
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorelle Jarjeyes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sigyn la rossa'
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Si trova un po' di pace

Sigyn, seduta sul letto, desiderava con tutto il cuore tornarsene al sonno denso degli ultimi giorni, un sonno che la inghiottiva e la stremava, ma che aveva il buon gusto di lasciarla in pace, senza tutto quel fastidio non richiesto dei sogni.

Joséphine aveva appena fatto quello che ultimamente le riusciva meglio.
Davanti ad Alo poi, che si era limitato ad uno dei suoi soliti commenti sibillini che avrebbero richiesto una nota a pié di pagina, come minimo, per trovarci dentro un senso. Cosa gli sarebbe costato dire, per una volta, che lei, Mademoiselle Reynier, non poltriva tutto il giorno? Solo che poi era vero.
Si raggomitolò contro il cuscino sentendosi molto stanca e un pochino triste.

E poi se ne era uscito con una frase senza senso, che aveva fame - avrebbe dovuto dirlo a sua sorella Joséphine che avrebbe spedito Margot a buttare giù dal letto qualche povera ragazza appena arrivata dalla campagna, più piccola di lei, che stava sicuramente “poltrendo” dopo sedici ore di lavoro filate. Tutto per farla trottare terrorizzata in una cucina dove sapeva fare poco o niente, a parte pulire, scrostare e lucidare. Perché Margot non ce lo avrebbe avuto mai il fegato di svegliare la cuoca.

Sigyn spalancò gli occhi di colpo - Alo non lo aveva detto a sua sorella.
Si mise a sedere pensierosa. E così forse lei aveva un impegno. Forse.

Si infilò scontrosa un paio di calze. 
Cambiò anche la veste da camera con quella ereditata da Joséphine, accorgendosi con stupore, che le era diventata larga. Scese per le scale fino alla cucina e la attraversò fino a sbucare nella cucina piccola.

Alo era lì. Con l’orologio in mano. 

“Mi spiace essermi fatta attendere.” disse in tono compito.

“Stavo per andarmene.”
Sembrava un lupo, pensò Sigyn, un lupo molto elegante, anche giovane, e magro ed allungato, ma sempre un lupo.
“Cosa posso offrirti?” chiese con vocetta cortese - mentre avrebbe voluto chiedergli stizzita cosa diavolo vuoi?

Lui la scrutò con i suoi occhi chiari da spettro “Un tè caldo con il miele e qualche biscotto, dovrebbero andare.” disse alla fine.

Uno spuntino serale per bambini pensò lei, stupita - ad Alo piacevano la birra e la senape.

Si alzò sulla punta dei piedi per arrivare alla mensola dipinta di blu e lui le fu accanto. In silenzio, prese ogni cosa al posto suo. Le passò la teiera di ceramica, con il disegno di un drago blu scuro, e poi via via in ordine, aspettando ogni volta un suo cenno di assenso, la coppa per lo zucchero, il piatto per i biscotti, lo slop basin, come lo chiamava Cassandra - la ciotola per mettere via gli avanzi, insomma - e, infine, due tazze senza il manico con il loro piattino panciuto.

Sigyn lo guardò perplessa - due?

“Non mi piace prendere il tè da solo.” La voce era fredda e lei si sentì respinta ai margini della loro compagnia.

Scoprì con sollievo che Alo aveva già provveduto al fuoco e si chiese, stancamente, perché, se voleva così tanto un tè, non avesse già fatto tutto da solo - non se ne sarebbe accorto nessuno e, se proprio proprio, nessuno se ne sarebbe scandalizzato: il compito Monsieur de Girodelle, che non disturbava mai.

Fu lui a versarle da bere con gesti noncuranti - e la mano un pochino pesante col miele registrò Sigyn con disapprovazione.
Lei si limitò a sorseggiare in silenzio come se fosse stata ad una cena di una Principessa Conti, nonostante le maniche troppo lunghe che le coprivano le punta delle dita ed i riccioli in disordine che sfuggivano dalla cuffietta. 

Avrebbe sparato lui la prima cannonata o toccava a lei genuflettersi? Dopo le parole di Joséphine non si poteva parlare del tempo - e poi erano non so più quanti giorni che lei non aveva la minima idea se fuori stesse piovendo o meno: non era preparata sull’argomento.
 
“Cosa hai combinato?” chiese Alo con voce cortese. Sigyn sentì che le stava venendo da piangere 

“Non lo so.” Non le spiaceva affrontare il discorso con lui, ma intuiva di non possedere le parole adatte.

“Andiamo Lingua d’Argento...” la voce era dura e lei spalancò gli occhi in quelli di lui “Non lo so,” ribadì. Amleto le avrebbe creduto, rifletté rattristata, e senza fare troppe domande, ma Alo era grande, più grande di Clément, distante da lei quanto la luna dalla terra, nessuno lo aveva più preso a bacchettate sul palmo della mano da un pezzo, che ne sapeva, quindi?
“C’è una lettera che lo spiega ed io devo consegnarla al Generale.”

Alo non disse niente, non le domandò nemmeno un dettaglio di quella sera, si limitò a porgerle un biscotto, poi con aria seria le chiese “Hai ucciso qualcuno? Questo te lo ricorderesti, immagino.”

“Ma no!”

Alo alzò le spalle “Per tutto il resto c’è una soluzione ed una punizione adeguata. Domani tuo padre è qui. Se il problema è qualcosa che hai fatto, ci sarà l’espiazione e poi volterai pagina e ricomincerai. Se è qualcosa che non dipende da te, idem, espiazione a parte.”

Sigyn non gli credette - lei aveva implorato l’Asciutta, non c’erano più pagine da voltare.

Alo si limitò a lanciarle una occhiata obliqua. “Non ti ho detto che sarà facile, solo che è possibile. Domattina scrivi un biglietto a Cassandra, per piacere: mia sorella si offenderà se sa che sei qui e non l’hai nemmeno cercata.”

Sigyn abbassò lo sguardo ostinato. Voleva solo tirare il fiato.

“E scrivi a Victor.” Si sentì schiacciare dalla vergogna, sentendosi come ciò che restava sul fondo delle loro tazzine.
Alo le versò in fretta di nuovo da bere e aggiunse il miele.

“Cosa gli dico?” sussurrò senza guardarlo.

Lui le allungò un altro biscotto, che lei si mise a sgranocchiare, obbediente.

“Potresti chiedergli dell’uso del pentametro giambico nella poesia inglese di John Donne.” disse Alo con voce seria, con gli occhi che però brillavano divertiti.

“Non so neanche cosa sia...” Sigyn non era per niente convinta.

“Oh ma quel deficiente lo sa.” le tolse la cuffietta, sfiorandole i capelli con la punta delle dita “All’Harcourt ha scritto un saggio proprio su questo che ha fatto il giro dei suoi amici intellettuali. E dopo questo argomento di conversazione, tutto il resto, vedrai, ti sembrerà una passeggiata.”

“Perché sono ignorante.” soffiò sul piede di guerra.

“Enormemente, ma su certi argomenti,“ convenne Alo, con voce garbata “lì si sfiora l’incredibile. In questo caso, però, è solo perché tu sei troppo piccola e Victor troppo noioso.” 

Sigyn lo guardò irritata - Clément era in gamba e stava preparandosi in anticipo per la maîtrise ès arts- ma non ribatté perché Alo queste cose le sapeva benissimo e poi aveva anche lui la maîtrise, che più che un esame da superare in qualche modo era la conferma di un buon lavoro fatto per anni ed il riconoscimento delle capacità di un allievo in gamba. Bisognava aver seguito il corso di filosofia per due anni, e i numeri dicevano, grosso modo che su cento iscritti al primo anno, solo la metà arrivava al secondo, e di questi solo una ventina arrivava in fondo senza problemi e sosteneva l'esame. E probabilmente pure Alo aveva scritto dei saggi su roba astrusa, letta al massimo da altre dieci persone, per cui decise che avrebbe dato una chance al pentametro giambico.
Alo nel frattempo stava corrugando la fronte, pensieroso. ”Ultimamente la vita di un eremita raggiunge dei picchi che quella di Victor si può solo sognare - dovresti essere così cortese da portarlo fuori, quando ne avrai voglia e tempo. E poi ti mancano delle tazze per la cioccolata.”

“Quella piace ad Oscar.” la vocetta si era fatta scontrosa.

“Piace anche a me .”

Sigyn digerì l’informazione non sapendo bene che farne.

Alo si alzò e lei lo accompagnò alla porta.

“Sigyn?”

“Si?” alzò gli occhi per guardarlo nella penombra.

“Sogni d’oro piccola.”
 

Quello notte sognò dell’Asciutta, come l’aveva vista l’ultima sera, nel suo vestito nero, seduta alla sua scrivania come un gargoyle di Notre Dame, dura quanto la pietra di cui erano fatti quei doccioni. Non le piaceva quel sogno, ogni volta che lo faceva le veniva l’angoscia, e anche stavolta non le riuscì di svegliarsi.

“Devi andartene.” 

“Perché? Io sono nata qui.”

“No, tu sei arrivata qui. Non appartieni a questo posto.”

“E ora me ne devo andare?” 

“Si.”

“Ma perché?”

“Per il tuo bene.”

“Ma io sto bene qui.”

“Sei troppo piccola per capire cosa è meglio per te.”

“Il meglio è nemico del bene”

“Non essere impertinente, signorinella.”

Ma io ti voglio bene. Lo aveva pensato quella volta, ma non glielo aveva detto, per non sembrare patetica. Sentì le lacrime in gola e tutta la disperazione di quella sera. Le parole non le uscivano eppure erano importanti, forse avrebbero fatto la differenza. Forse non l'avrebbero mandata via.

Poi sognò di Clément, nella cucina piccola: lui era seduto in terra vicino al camino con le gambe incrociate e gli stivali appena appena impolverati, elegante come sempre, e lei se ne stava con il gomito appoggiato al suo ginocchio, la gamba di lui a farle da cuscino, per via del corsetto. Insieme stavano leggendo un libro, lui che lo reggeva e lei che lo sfogliava per tutti e due. La cosa più vicina ad un abbraccio.

L’ultima cosa che sognò fu Alo, circondato da una montagna di tazze per la cioccolata, una diversa dall’altra, che le osservava con sguardo critico.

“Forse dovresti provarle tutte.” disse in quel modo esasperante che gli riusciva benissimo.

“Forse dovremmo.”

Quando si svegliò era meno stanca e un po’ più rinfrancata - forse Alo aveva ragione: il Generale l’avrebbe sicuramente punita, ma non era poi così giusto punire due volte una persona per lo stesso errore, ad un certo punto la faccenda si sarebbe dovuta chiudere in modo definitivo. Questo almeno era il punto di vista del Nonno e al momento opportuno glielo avrebbe fatto notare.

Scese dal letto e aprì la finestra

E aveva ragione anche sua sorella - quella sciocca, non quella pazza - era ora di farsi un bagno.
 

Più tardi, seduta a gambe incrociate accanto al camino per asciugare in fretta i ricci - nonostante il caldo - cercò le parole giuste

Caro Nonno,

credo proprio che comprerò un servizio per la cioccolata

Era il suo primo progetto da tanto tempo, non era un granché, ma il futuro era un tempo verbale che ultimamente le sembrava minaccioso, toccava accontentarsi. E poi le ceramiche le piacevano molto, di sicuro più che sentire le lamentazioni di Joséphine - ci avrebbe messo il tempo che ci voleva per scegliere con cura.

Forse non lo sai, ma non è più la bevanda del momento, credo che adesso escano tutti pazzi per il caffé, che è amaro e così non sembra davvero un peccato di gola.

Sigyn aggrottò le sopracciglia - il Nonno avrebbe capito che non stava seguendo una moda? Non glielo aveva detto, ma non avrebbe messo mai più la cipria sui capelli.  Anche se Joséphine ieri sera stava benissimo.

Credo che la persona a cui è dedicata una delle tazzine preferirebbe un boccale da birra e una torta di cipolle, o un panino con arrosto e mostarda di senape, ma credo che la cioccolata sia una specie di compromesso accettabile tra la birra ed il tè, che invece a me piace moltissimo ed un giorno andrò a Londra, nei Kew Gardens, a sorseggiarlo alla Pagoda di Chambers.

I biscotti se li era mangiati tutti lei, lui l’aveva ingozzata, uno alla volta, e non sapeva se essere offesa perché l’aveva trattata come una bambina piccola, o essere grata perché non era stato indifferente, cosa in fondo più che legittima, dato che lei non era Cassandra.

Un po’ come i pentametri giambici, che gli inglesi chiamano "blank verse", e a cui mi è stato suggerito di interessarmi.
Ero perplessa, ma poi mi sono ricordata che Donne ha scritto delle belle poesie d’amore e forse questo compromesso potrebbe rivelarsi in fondo piacevole.


Non sempre si può fare quello che si vuole, sospirò Sigyn, ma Clément era molto bravo a spiegare quando si trattava di letteratura e la maîtrise riconosceva anche quello: che poteva andare in giro per il mondo ad insegnare, e almeno lui, a differenza di sua sorella Joséphine, aveva una specie di autorizzazione alla pedanteria, cosa che sua sorella proprio no - aveva studiato in un convento e questo diceva proprio tutto. E poi poteva sempre saltare le parti noiose in una lettera di Clément.
In ogni caso ci avrebbe provato, senza battere i piedi.

Non intendo battere i piedi, non mi piace questo esilio, su questo spero di risultare chiara, e Joséphine dovrebbe trovarsi una occupazione che la renda felice, perché ora come ora è parecchio antipatica, ma non intendo parlarne oltre.

Il Nonno voleva bene anche a Joséphine e non avrebbe apprezzato queste critiche anche se Joséphine non la si poteva proprio sopportare e anche da un bel pezzetto, per quanto la riguardava.

Volevo solo assicurarti che non ho un malcontento di tipo personale da esprimere

Non stava cercando la rottura.

Ti voglio molto bene, e voglio bene all’Asciutta e…

Che doveva dire? Che sperava che le volessero ancora bene? Se gliene avessero voluto non l’avrebbero esiliata, quella era roba da Antico Testamento, come la distruzione di Gomorra, la deportazione del popolo eletto a Babilonia e il diluvio universale.

Concluse con i soliti convenevoli, asciugò in fretta l’inchiostro, ripiegò il foglio con gesti precisi e lo sigillò con la ceralacca. Poi mise via tutto con cura.



Sigyn si guardò con aria critica nello specchio appoggiato al camino. Era salita su una sedia apposta! Sistemò i capelli rosso fuoco sotto la cuffietta dai nastri verde chiaro, in modo che non si vedesse nemmeno un ricciolo, poi scese con un salto e, con decisione, bussò alla porta dello Studio del Generale.
   
 
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