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Autore: Tessie_chan    19/08/2017    6 recensioni
Amor tussique non celatur.
Questa sentenza fa sorridere e riflettere allo stesso tempo. L’amore non si può nascondere. Si può fingere in ogni modo di non provarlo, si possono trovare scuse, ma se si ama una persona sarà evidente in ogni gesto, in ogni sguardo. Al contrario, laddove amore non c'è, non lo si può fingere, la finzione non può andare oltre qualche bella parola, qualche fatua promessa. Amore non si può nascondere, e chi è amato lo capisce. Così è vero il contrario. Non si può tossire e negare di aver tossito, non si può amare e negarlo.
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- Vorresti insinuare che non mi trovi abbastanza attraente, ragazzina?
- Non è questo il punto, Trafalgar. Non potrei neanche volendo, visto che oggettivamente sei davvero molto attraente.
- Oh ti ringrazio, dolcezza!
- Non ringraziarmi. Il mio non era un complimento, ma una semplice constatazione empirica, che in ogni caso non cambia il risultato. E dolcezza sarà tua madre!
***
- Non posso tollerare di vederti con lui!
- Piantala Ace, non c’è niente tra me e Law.
- Ah, davvero? E quegli sguardi complici che vi lanciate in continuazione me li sono immaginati?
- Cosa dovrebbe essere questa, una scenata di gelosia?
- Sì, dannazione!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Portuguese D. Ace, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Triangolo
Capitoli:
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Amor tussique non celatur





Capitolo 6
 
 



Se non s’inviscera in qualche evento
o situazione straziante, un amore vale qualcosa?
Quali anatomie e anime incementa,
se manca di disperazione?
Guido Ceronetti
 



Buio. C’era solo buio intorno a lei, un buio così intenso da sembrare tangibile, concreto. Un piacevole tepore la riscaldava, e una calma ancora più gradevole la circondava … ma una voce la chiamava, scuotendola da quella condizione di oscura pace. Una voce che tanto tempo prima aveva perseguitato i suoi sogni per mesi, e che negli ultimi giorni era tornata a tormentarla, divertendosi a logorare quella serenità che con tanta fatica la ragazza si era costruita.

Katie…         
Ace?
Dormi ancora, piccola? Coraggio sveglia, non puoi scappare per sempre…
Non voglio svegliarmi… sto così bene qui…
Devi farlo, Katie. Kate. Kate. Kate…

- Kate! – chiamò di nuovo Bepo – Kate! Svegliati!
Kate balzò a sedere sul letto ansimando, i capelli incollati al collo dal sudore freddo. I suoi polsi erano stretti in una presa salda, e la ragazza cercò istintivamente di liberarsi prima ancora di rendersi conto di chi la stesse tenendo.
- Bepo?
-Sì. – rispose l’orso, che era seduto sul bordo del letto - come era finita in quel letto?! - con un'aria arruffata e semiaddormentata.
- Lasciami.
- Scusa. -  Le sue dita scivolarono via dal polso di lei. - Hai cercato di colpirmi quando ti ho chiamata…
Kate si afferrò le tempie, il volto contorto in una smorfia sofferente - Mi dispiace. Mi sa che sono un po’ nervosa…
- Non importa. – le sorrise l’orso.
Kate lasciò cadere le spalle, e si guardò intorno. Era nella sua cabina sul Catorcio: il grande letto in ferro battuto con le lenzuola porpora, la scrivania e l’armadio in palissandro, l’enorme libreria a muro, la moquette color pervinca sul pavimento… sì, indubbiamente era nella sua stanza.
Sì, era nella sua stanza… ma come diavolo c’era arrivata?!
Kate si sforzò di concentrarsi, di dissipare quella nube scura che le riempiva la testa… ma niente, era come se per un periodo di tempo la sua mente fosse andata in black-out. L’ultima cosa che ricordava era lei che richiudeva l’ultima ferita di Thatch con Law accanto… e poi il buio.
- Come ci sono arrivata qui? Cosa è successo, non ricordo…
- Dopo che tu e Law avete finito di operare tuo fratello ti sei accasciata come un sacco vuoto. Eri completamente esausta. – raccontò Bepo – Law ti ha presa e ti ha portata sul sottomarino, e ha dato a me il compito di spogliarti e metterti a letto. Ci sono stati un po’ di problemi nel portarti qui, tuo padre e gli altri non volevano lasciarci andare… ma alla fine li abbiamo convinti.
- Davvero? Cavolo. Non mi ricordo niente. – mormorò la ragazza, scostandosi i capelli dal volto. – Ma che ore sono?
- Più o meno le sette.
- Di sera?
- No, del mattino.
- Del mattino?! – esclamò sconvolta Kate – Ma com’è possibile?! Erano più o meno le dieci quando è finita l’operazione…
- Infatti, e ora sono le sette. Hai dormito per più di venti ore, Kate.
- Venti ore? – soffiò incredula la ragazza.
- Eh, già.
Kate gemette sconfortata e si prese di nuovo la testa fra le mani, massaggiandosi le tempie nel vano tentativo di alleviare la feroce emicrania che la torturava.

Dannati postumi del Boost.
­
- Dai Kate, reagisci. Tieni, ti ho portato un caffè e delle aspirine. – le sorrise Bepo porgendole una tazza fumante e delle pillole.
A quella vista Kate sgranò gli occhi felice e si avventò su quello che Bepo le porgeva.
 – Oh Bepo, Bepo! – cominciò a recitare con un sorriso divertito - Perché sei tu Bepo? Ah, rinnega tuo padre! … Ricusa la tua specie! … O, se proprio non vuoi, giurami amore, ed io non sarò più una donna! – rise la ragazza ingoiando le pillole e portandosi la tazza alle labbra.
Bepo ridacchiò e Kate continuò – La tua specie soltanto m’è nemica; ma tu saresti tu, sempre Bepo per me, quand’anche non fosti un Ursus maritimus. Rinuncia dunque, Bepo, alla tua pelliccia e alle zampe, che non sono parte della tua persona, e in cambio prenditi tutta la mia!
- Io ti prendo in parola! – declamò melodrammatico Bepo, afferrandole la mano libera e stando al gioco - D’ora in avanti tu chiamami “Amore”, ed io sarò per te non più un Ursus maritimus, perché m’avrai così ribattezzato!
I due risero insieme di gusto, e Kate sfilò le gambe da sotto le coperte – Ho bisogno di una doccia. Mi aspetti? Così poi andiamo sul ponte insieme.
A quelle parole per un momento gli occhi di Bepo mandarono un lampo di disagio. Tuttavia l’orso si ricompose subito e rispose – Certo. Aspetto qua fuori. –. Poi uscì e Kate, rimasta sola, puntò dritta verso il bagno dipinto di blu elettrico. Una volta dentro aprì l’acqua per far riscaldare il getto, e si diresse allo specchio sistemato sopra al lavandino.
Il volto era stanco e pallido, perfino dopo venti ore di sonno. Aveva indosso solo una canottiera bianca e gli slip, e i capelli erano così arruffati che Kate non si sarebbe sorpresa se da un momento all’altro la testolina piumata di qualche passerotto avesse fatto capolino tra le ciocche. Sentendosi debole e nauseata, Kate si tolse sbuffando la canottiera e la biancheria intima, buttando poi tutto nel cesto della biancheria sporca. Poi si infilò nella cabina della doccia, e l'acqua le lambì le spalle, riscaldandola. La ragazza rimase immobile, lasciando che il calore le penetrasse le ossa gelate. Lentamente cominciò a rilassarsi e chiuse gli occhi...

Perciò a quanto pare ho perso i sensi subito dopo l’operazione, e ho dormito per più di venti ore. Ormai saremo lontani dalla Moby Dick… speriamo solo che la guarigione di Thatch proceda senza intoppi. A proposito, chissà dove sarà Memphis… sarà rimasto sulla nave? Appena posso devo provare a chiamarlo, e assicurarmi che stia bene. Accidenti, non l’ho nemmeno salutato…

Già, e non solo lui. Praticamente Law l’aveva portata via dalla nave senza darle il tempo di parlare con nessuno, come se quegli ultimi due giorni fossero stati una specie di sogno. Era una cosa positiva o negativa? Kate non avrebbe saputo dirlo; da una parte si sentiva dispiaciuta per il fatto di non aver potuto almeno salutare Thatch e gli altri, ma dall’altra se ne sentiva immensamente sollevata, perché la decisione di Law di allontanarsi in fretta e furia le aveva almeno risparmiato la pena di dover affrontare il loro giudizio. Il giorno prima non c’era stato tempo per fare o dire nulla, ma adesso…
No, era decisamente meglio che le cose fossero andate così. Meglio il silenzio del biasimo, assolutamente. Anche se in effetti era parecchio strano che fossero riusciti ad andarsene senza che Barbabianca e gli altri glielo avessero impedito… probabilmente Law aveva dato l’ordine di avviare i motori e scappare non appena sulla Moby Dick avessero abbassato la guardia. D’altro canto il sottomarino in casi simili era davvero utile…inseguire un mezzo capace di viaggiare sott’acqua a diversi nodi di velocità come il Polar Tang era infatti tutt’altro che semplice, perfino per un pirata consumato come Edward Newgate.
Kate fece un sospiro liberatorio e allungò la mano verso la saponetta al profumo di limone e violetta, e si strofinò corpo e capelli fin quando non fu convinta di essersi ripulita il più possibile. Poi si avvolse in un morbido asciugamano di spugna, e tornò in camera a vestirsi.
La ragazza rimase davanti all’armadio aperto per più di dieci minuti prima di decidersi: di norma non era il genere di donna che perdeva ore e ore a prepararsi per fare colpo sulle persone, tutt’altro; tuttavia la ragazza aveva sempre avuto l’abitudine di vestirsi seguendo l’umore, e dato che quella mattina Kate proprio non riusciva a decifrare il proprio umore, di conseguenza non riusciva neanche a decidere cosa mettere, neanche si fosse trattato di un affare di stato.
Alla fine si arrese e scelse a caso con un sospiro, preoccupandosi a malapena di non mischiare colori troppo diversi fra loro. Indossò un paio di pantaloncini neri, un crop top verde pino che le lasciava scoperto l’ombelico con il piercing, una camicia lavanda pallido che annodò in vita senza abbottonarla affinché le lasciasse in mostra sia il piercing che il top verde, e un paio di robusti tronchetti neri. Poi si raccolse i capelli ancora umidi nella solita treccia, e con immenso piacere indossò di nuovo tutti i suoi amati orecchini.
- Bepo, sei ancora là fuori? – chiese a voce alta la ragazza mentre si sistemava la spada alla cintura.
- Sì!
- Ok, arrivo! – rispose la ragazza afferrando il borsello da medico e aprendo la porta della cabina. – Scusa se ci ho messo tanto. Andiamo?
Bepo annuì senza parlare, e i due cominciarono ad avviarsi lungo il corridoio.
- Allora, che aria tira qua in giro? – chiese Kate sforzandosi di fare conversazione.
 – Tutto tranquillo… - rispose nervosamente l’orso, come se non volesse discutere dell’argomento.
Kate si voltò a guardarlo, perplessa da quella improvvisa mancanza di loquacità che proprio non era da lui – Va tutto bene, Bepo?
- Sì, sì…
Kate alzò un sopracciglio - Che è successo, hai combinato qualche guaio e ora Law minaccia di usarti come cavia per ricreare il bacillo della peste bubbonica?
- No…
Ok, era troppo, stabilì Kate piantando i piedi sul pavimento e incrociando le braccia al petto. Bepo non rispondeva mai a monosillabi, e adesso questa era la terza volta che lo faceva in meno di dieci minuti. C’era decisamente qualcosa che non andava.
- Bepo, hai intenzione di sputare il rospo e dirmi che problemi hai, oppure devo torturarti?
Bepo si fermò a propria volta, e iniziò a fissare con uno strano interesse il pavimento – Be’, vedi Kate, c’è una cosa che forse non hai notato…
Quelle parole funzionarono alla stregua di un interruttore nella testa della ragazza, che solo in quel momento si rese conto del fatto che c’era qualcosa di strano nel sottomarino.
Cos’era tutto quel silenzio? Perché in giro non c’era anima viva?

E soprattutto, perché diamine non si sentiva neanche un debole ronzio, visto che i motori avrebbero dovuto essere accesi?!

- Bepo… - mormorò la ragazza atona – Dove sono tutti?
Bepo, intuendo ciò che stava passando per la testa della ragazza, fece inconsapevolmente un passo indietro – A terra…
- E “terra” dove sarebbe, esattamente?
Bepo deglutì e non spiccicò parola, e Kate sentì i muscoli del proprio volto contorcersi in una smorfia terribile – Bepo…
- Banaro! Siamo ancora a Banaro! – esplose alla fine Bepo, gesticolando dispiaciuto – Law me l’aveva detto che probabilmente non ne saresti stata contenta… ma non ha voluto comunque sentir ragioni, è voluto rimanere a tutti i costi…

Siamo ancora a Banaro. Siamo ancora qui…

ATROCE SOSPETTO.

Senza neanche riuscire ad arrabbiarsi, Kate si lanciò verso il primo oblò che trovò, e guardò fuori mentre un brivido freddo già cominciava a percorrerle sadicamente la schiena.
La nave ammiraglia dei Pirati di Barbabianca faceva bella mostra di sé nella baia principale dell’isola, così maestosa e imponente che l’isola stessa, seppur grande, appariva del tutto insignificante in confronto a lei. Kate ammirò con amarezzaa la sua magnifica polena raffigurante la balena bianca che le dava il nome, contò uno alla volta i numerosi cannoni che svettavano sulle due fiancate, notando che in tre anni non erano aumentati - quaranta erano e quaranta erano rimasti -, lesse il nome in caratteri d’oro inciso sulla fiancata di tribordo… e sentì una bruciante collera montarle nel petto, mentre nella sua mente il puzzle si ricomponeva un tassello alla volta, mostrandole la situazione in tutta la sua crudele chiarezza.

Questa è la vendetta di Law.

Kate si staccò dall’oblò tremante di rabbia, e molto lentamente si voltò verso l’orso che ancora farfugliava – Dov’è quel cretino?
Bepo interruppe bruscamente il suo soliloquio e la fissò con occhi spalancati – Oh, ehm, lui…
- DOV’È?!
- Sulla nave di tuo padre! – strillò spaventato Bepo – Tuo padre ha insistito affinché facesse colazione insieme a loro…

Ah sì, eh? Fino a due giorni fa non voleva che io li vedessi nemmeno dipinti i miei parenti, e adesso lui stesso se ne va pure a mangiare a casa mia, neanche fosse il mio ragazzo?!

Senza aggiungere altro Kate si allontanò per il corridoio pestando rumorosamente i piedi per terra e lasciando Bepo da solo come un palo, fermamente decisa a mettere le mani addosso a quell’imbecille e a trasformarlo in una borsetta, un portafogli, un paio di guanti e, se fosse avanzata altra pelle, anche in un paio di mocassini.


Se lo prendo lo ammazzo. Lo distruggo. Lo disintegro. Lo metto dentro ad un pilastro. Lo imbalsamo e lo trasformo in un attaccapanni…

Questi erano i pensieri distruttivi che scorrevano rapidamente nella mente di Katherine mentre camminava a grandi passi lungo la spiaggia, diretta alla nave del padre. Ormai era quasi arrivata, mancava solo qualche centinaio di metri.
Come aveva potuto fare una cosa simile?! Law non era stupido, tutt’altro. Nonostante il silenzio che lei aveva tenuto nei suoi confronti doveva di sicuro aver compreso comunque quanto fosse complessa la situazione, quanto fossero complicati i problemi che lei aveva con la sua famiglia… perché, dopo tutti gli sforzi che aveva fatto per contrastarla, ora si stava comportando in quel modo?!
Niente da fare. Come al solito Law non cambiava, faceva sempre di tutto per farla incazzare, e se feriva i suoi sentimenti, pazienza. Tanto a lui cosa importava?!
Kate si sentiva in balia di emozioni contrastanti: rabbia, delusione, paura, disagio, sconvolgimento…
E aspettativa, Sì, perché c’era anche l’aspettativa, e a scatenarla in lei era un ragazzo in particolare.
Ace. È vero, il suo giudizio e la reazione che avrebbe avuto nel rivederla erano quelli che la ragazza temeva di più, eppure non riusciva a non sentirsi impaziente. Malgrado i propri timori Kate voleva rivederlo, almeno per un’ultima volta.
Chissà come stava… era cambiato, o era ancora il ragazzino allegro, focoso e segretamente insicuro che era stato? Era felice con gli altri? Era diventato più forte?
Ma soprattutto, era riuscito a dimenticarla?
Kate sospirò: se quella domanda l’avessero fatta a lei, onestamente non avrebbe saputo che rispondere; o meglio, lo avrebbe saputo, ma non sarebbe stata al cento per cento sicura della sincerità della propria risposta.
I giorni immediatamente successivi alla sua fuga erano stati un vero inferno. Senza Ace, Kate si era sentita svuotata, paralizzata dal dolore; sembrava incredibile rendersene conto solo in quel momento, ma quel dannato scaldino rompiscatole era riuscito davvero ad insinuarsi nel suo erroneamente creduto cuore di pietra, e quando lei era andata via una piccola parte di esso era stata strappata via, lasciandola ferita e sanguinante, apparentemente senza speranze di guarire. Le ferite al cuore di solito sono mortali, e quando vengono inflitte dall’amore fanno ancora più male.
Eppure in qualche modo lei ne era uscita. C’erano voluti mesi, mesi di sofferenze e notti insonni tollerati in silenzio, ma alla fine ne era venuta fuori: il suo cuore aveva accettato quella così brusca e dolorosa rottura e il fatto che lei e Ace, al di là di ciò che era accaduto, non erano comunque fatti per stare insieme, e un po’ alla volta aveva smesso di soffrire, complice anche la distrazione che le portava la sua nuova e avventurosa vita.
Sì, con il tempo Kate aveva dimenticato Ace; l’aveva dimenticato, ma non del tutto, ed era quel “non del tutto” la chiave del suo problema. Contro il volere di Kate il ragazzo continuava ad occupare una piccola parte del suo cuore, e la ragazza era dolorosamente consapevole del fatto che sarebbe stato così per sempre. Non se ne sarebbe mai liberata del tutto, doveva farsene una ragione.
Ecco perché non voleva restare là! Ci aveva messo così tanto a trovare un po’ di serenità, e adesso stando lì avrebbe rischiato di rovinare tutto. Nel migliore dei casi dolore e sensi di colpa avrebbero ricominciato a consumarla proprio come tre anni prima, e nel peggiore… be’, nel peggiore Kate avrebbe potuto cominciare a rimpiangere la propria decisione e, Dio non volesse, anche considerare l’idea di tornare indietro solo per stare con lui.
Kate scosse la testa. No, mai, non avrebbe mai permesso che una cosa simile accadesse. Lo avrebbe visto, lo avrebbe abbracciato, l’avrebbe preso affettuosamente a pugni, avrebbe parlato con lui ancora una volta, ma non avrebbe mai permesso ai sentimenti di travolgerla ancora una volta. Piuttosto si sarebbe gettata dalla balaustra del Catorcio, prima di avere la possibilità di fare qualcosa di stupido.

Bah, non c’è pericolo. Tanto quel maniaco del controllo di Law non me lo permetterebbe mai.

Già, a proposito di Law… Rammentando chi fosse il responsabile di quella situazione così complicata Kate digrignò i denti e allungò il passo, per percorrere più in fretta i pochi metri che le erano rimasti.

Se lo prendo lo smembro. Lo viviseziono. Gli rompo la testa e mi bevo il suo cervello come se fosse un uovo crudo…

Si arrampicò su una scala di corda che sporgeva da una fiancata, e atterrò con un balzo sul ponte, ignorando deliberatamente gli occhi spalancati degli uomini di vedetta che la stavano fissando come se fosse stata un animale mitologico o qualcosa di simile.  Con una smorfia di impazienza si lanciò verso i locali interni, diretta alla sala da pranzo.

Gli strappo gli occhi dalle orbite. Gli strappo le budella e gliele annodo intorno al collo come un guinzaglio…

Era ormai arrivata davanti alla porta che cercava. Con un angolo della bocca sollevato in un sorriso isterico Kate la spalancò con un calcio, ed entrò a testa alta.


Nella mensa dominava la totale confusione. L’aria intrisa del fumo delle vivande rendeva le voci arrochite, al punto che più d’uno tossiva. I tavolacci neri, abbondanti di cibo e bevande di ogni genere, erano gremiti di uomini esaltati dalla massiccia dose di caffeina o altro che ormai dovevano avere già in circolo. I più tranquilli discutevano sommessamente, lanciandogli di tanto in tanto torve occhiate; gli occhi iniettati di sangue, lucidi, le barbe lunghe, i capelli, scuri nella maggior parte, incolti, li rendevano spaventosamente simili l’uno all’altro. Altri invece parlavano male di lui a voce deliberatamente alta per farsi sentire, e continuavano a lanciargli minacce terribili, e altri ancora mangiavano solitari e in silenzio, apparentemente indisturbati, eppure guardinghi, pronti a balzargli addosso se solo avesse osato fare una mossa azzardata.
Law dal canto suo sogghignava, per nulla intimorito da quella situazione. Quella marmaglia di pirati erano come un branco di cani randagi in gabbia, abbaiavano tanto ma non avrebbero potuto mordere nessuno. Non con il vecchio imperatore che continuava a lanciare occhiate di avvertimento in giro, almeno.
Tutto sommato era contento di aver accettato l’invito del vecchio ad unirsi a loro per la colazione. Al di là del fatto che questo avrebbe fatto incazzare ulteriormente Katherine, quella stata era un’opportunità interessante per studiare quella gente.
Non che avesse scoperto qualcosa di nuovo, in realtà; per il momento Law restava semplicemente della propria opinione inziale, e cioè li riteneva solo un branco di idioti con i neuroni bruciati capaci solo di fare danni senza un minimo di logica o metodo. Non solo, erano pure ingrati, visto che il fatto che Law avesse notevolmente contribuito a salvare la vita del loro prezioso fratello non sembrava contare nulla per loro, a giudicare da come lo stavano guardando… l’ingratitudine e l’irascibilità dovevano essere un vizio di famiglia.
Il chirurgo ci aveva pensato e ripensato, ma continuava a non capire cosa potesse trovarci Katherine di così interessante in loro. Tuttavia una cosa doveva loro concederla: possedevano un notevole istinto di protezione verso i loro cari, questo era fuor di dubbio… altrimenti come spiegare quegli sguardi così rancorosi che gli stavano rivolgendo da più di mezz’ora, neanche fosse stato il Grand’Ammiraglio Sakazuki in persona?

Magari sono semplicemente gelosi. A quel pensiero Law sogghignò.

La donna entrò con disinvoltura, la testa alta, il passo arrogante, lo sguardo privo di timore. Lungo il tavolo con il buffet alcuni marinai si voltarono. Il vociare intenso si spense in un indistinto mormorio: un insieme di sibili e sussurri, qualche respiro trattenuto, e innumerevoli occhi sgranati. Un uomo alto, muscoloso e dal petto ampio, con un fisico imponente e piuttosto abbronzato, dei baffi ricci neri e un cilindro blu scuro sulla testa sopra i capelli neri e ricci si staccò dai suoi compagni, e le si avvicinò lentamente per parlarle.
La donna sembrò non farci caso: si guardò attorno, come se cercasse qualcuno in particolare. Quella vista li incuriosì prima di tutto, e molti dimenticarono il piatto o il bicchiere che avevano davanti, o la discussione in cui erano immersi poco prima, e la seguirono con gli occhi, improvvisamente vivi, curiosi, affamati.
Law sogghignò. Indubbiamente il demonio in gonnella sapeva come attirare l’attenzione…
Kate passò con sguardo apparente noncurante i volti scuri rivolti verso di lei, e si addentrò nella sala. Qualcuno si scostò inconsapevolmente, corrucciandosi nel rendersi conto della debolezza di quell’atto, qualcuno tentò di bloccarle il passo, ma senza particolare determinazione. Erano semplicemente indecisi, e incuriositi.
Il ghigno di Law si allargò. Quella piccola intrigante poteva fingere quanto voleva di essere perfettamente tranquilla, ma le fiamme che ardevano nei suoi occhi non mentivano: era furibonda, proprio come il ragazzo aveva sperato. Law si leccò le labbra con impazienza, e la accolse con una risata sinistra.
- Buongiorno, dolcezza! – esordì Law con il suo solito tono strafottente – Finalmente la nostra bella addormentata si è svegliata! Chi ti ha baciata?
Kate lo individuò in mezzo alla folla e gli scoccò un sorriso altrettanto strafottente – Bepo. Una limonata memorabile, dico sul serio! Chi l’avrebbe mai immaginato che gli orsi polari baciassero così bene? Dovresti farti dare qualche lezione pratica, ti sarebbe davvero utile…
Law ridacchiò sotto i baffi. Se riusciva ad essere ironica e a provocarlo deliberatamente allora era davvero arrabbiata, molto più di quanto avrebbe potuto sperare – Cosa ti fa pensare che io ne abbia bisogno? Tu non mi hai mai baciato… potrei anche sorprenderti.
- Un represso come te? Nah, ne dubito. Probabilmente se tu mi baciassi l’unica cosa a cui riuscirei a pensare sarebbero le calze sformate, il talco e le dentiere.
Ci era andata giù pesante, Kate lo sapeva. Ma era arrabbiata e delusa dalla sua immaturità, e non aveva saputo trattenersi. Che poteva farci? Era pur sempre umana, e l’umanità era da sempre una gran brutta specie.
Law le fece un sorriso arrabbiato – Tu, piccola sfacciata…
- Oh su, non fare quella faccia! Stavo solo scherzando! – lo interruppe Kate, avvicinandosi a lui con stampato in faccia un sorriso amabile più falso dei soldi del Monopoli – Te l’hanno mai detto che sei più permaloso di una donna?
Il sorriso arrabbiato di Law si accentuò, e il ragazzo le puntò in faccia un dito accusatore – Dio, come vorrei poter mettere a tacere una volta per tutte quella tua dannata boccaccia. Sarebbe la soddisfazione più grande della mia vita.
- Nah, poi ti annoieresti senza la mia vena spiritosa e ironica. - ridacchiò Kate, posandogli una mano sulla spalla e chinandosi su di lui. Sembrava essere sul punto di posargli un bacio sulla guancia come per salutarlo, e invece gli bisbigliò all’orecchio con voce omicida – Alza in fretta il culo da questa panca e seguimi fuori senza far capire niente a nessuno; sii veloce e discreto, e forse non ti ucciderò in maniera lenta e dolorosa. Se tra tre secondi non sei ancora fuori giuro che ti sgozzo e mi bevo il tuo sangue come se fosse una piña colada.
Detto questo si risollevò e si avviò tutta impettita verso l’uscita così com’era arrivata, ancheggiando leggermente. Law sogghignò e la seguì senza dire una parola, pregustandosi già il divertimento.
La trovò ad aspettarlo appoggiata con la schiena contro la balaustra, le braccia incrociate al petto e il piede che batteva inconsciamente sul ponte per il nervosismo.

Sembra quasi a disagio su questa nave. Constatò perplesso Law. Questa faccenda mi è sempre meno chiara.

- Spero tu ti renda conto – esordì Law con un sorriso, apparentemente non facendo caso all’espressione cupa dell’amica – di come, a giudicare dal modo cospiratorio con cui mi hai trascinato qua fuori, tutti ora penseranno che noi due siamo amanti o qualcosa del genere. Oddio, in molti già lo pensavano, ma alcuni erano ancora disposti a concederti il maleficio del dubbio…
- Il maleficio del dubbio? – chiese scettica Kate.
- Ovvio! Insomma, qualsiasi fratello o padre con almeno metà della testa a posto spererebbe di vedere una sorella o una figlia impegnata con il sottoscritto! – si pavoneggiò Law – Voglio dire, sono bello, intelligente, forte, carismatico…
- Odioso, prepotente, arrogante… - aggiunse annoiata Katherine - Ma questi sono solo aggettivi. Qual è il punto?
Law sogghignò – Il punto è che là dentro sono tutti convinti che noi due andiamo a letto insieme. Tuo padre in prima battuta.
- Grandioso. Così tra le altre cose mi hai anche rovinato la reputazione. – brontolò la ragazza – Essere associata ad un pivello spocchioso e pieno di boria come te… socialmente parlando potrei finire in Siberia! E dire che una volta godevo di una certa considerazione su questa nave…
Il ghignò del chirurgo si contorse – Ah, tu e la tua linguaccia lunga… ribadisco, prima o poi te la taglierò. O peggio.
- Vedremo. Perché invece ora non parliamo di te? – ribatté la ragazza, fissandolo con aria truce.
- Vuoi parlare di me? – chiese divertito Law, fingendo di pavoneggiarsi – Ti accontento volentieri. Allora, di cosa vuoi parlare? Del mio fantasmagorico talento nella medicina, del mio incredibile fascino…
- Pensavo più alla tua praticamente inesistente empatia nei confronti del genere umano, in realtà. – ribatté gelida Kate – Si può sapere cosa ti è saltato in mente di fare?!
- Be’, non saprei. Di quale delle tante cose che ti ho fatto stiamo parlando, esattamente? – chiese Law, scimmiottando le stesse parole superficiali che lei stessa gli aveva rifilato il giorno prima. Tuttavia non c’era un nervoso divertimento nel suo tono, ma un’ironia sorprendentemente tagliente, come una lametta dorata bordata d'acciaio affilato.
- Non provarci. Le mie battute sono coperte dal diritto d’autore. – replicò Kate, ignorando il suo tono freddo – Perché siamo qui?! Fino a ieri non volevi neanche che mi avvicinassi a questa nave, e adesso accetti anche di fare colazione con la mia famiglia?! A cosa stai mirando, esattamente?
Law alzò un sopracciglio, fingendosi perplesso – Fammi capire: fino a ieri era seccata dal fatto che io non volessi farti venire, e adesso lo sei perché hai ottenuto quello che volevi?
- Che vuoi che ti dica? Mi diverto a rompere! – replicò sarcastica Kate – Rispondi alla mia domanda!
- Conoscere gente nuova? Comportarmi in maniera educata? – chiese Law con finto tono innocente – Tuo padre è stato così gentile da invitarmi, come facevo a dire di no…?
- Non farmi ridere con questa sceneggiata da bravo ragazzo! Tu ti comporti da zotico quando qualcuno non ti piace, ti comporti da presuntuoso… e ora vorresti farmi credere che all’improvviso sei diventato un fan della mia famiglia in meno di ventiquattr’ore?! – un sorriso canzonatorio incurvò le labbra della ragazza – Allora possiamo aspettarci un lieto annuncio per la fine della settimana? Tanto tra milleseicento pirati hai l’imbarazzo della scelta…
- Ah, non saprei… certo in una settimana possono accadere tante cose. E visto che putacaso staremo qui per almeno una settimana, non è un’ipotesi che posso escludere…
Aveva parlato con incredibile noncuranza, si rese conto Law, come se si fosse trattato di un dettaglio di poco conto, al pari di “L’ho preso rosa invece che blu” oppure di “Arrivo in autobus invece che in treno” … ma il significato delle parole era tutt’altro che di poco conto, e l’improvviso pallore cadaverico del volto di Kate ne era la chiara dimostrazione.
- Scusa… - sussurrò la ragazza con aria allucinata -… potresti ripetere?
Il sorriso di Law si spense. Non era di certo quella la reazione che aveva immaginato che Kate potesse avere. Aveva sperato in una reazione furibonda, infuocata… e invece Katherine lo guardava come se fosse sul punto di cadere nel vuoto, pallida e spaventata a morte. Alla fine, dopo qualche secondo di turbato silenzio, Law ripeté – Resteremo qui per una settimana, almeno. Tuo padre si è dimostrato molto riconoscente per il mio fondamentale intervento nel curare tuo fratello – cosa che non posso dire degli altri, tra l’altro –, e per la mia solerzia nell’occuparmi di lui mentre tu dormivi, e così ha insistito nel volerci tutti qui ospiti per una settimana, per avere la possibilità di conoscerci meglio. Non è una bella notizia?
- Una bella notizia?! – rantolò incredula Kate – Tu non sai cosa hai fatto, Law.
- Allora dimmelo tu cosa ho fatto. – replicò Law, con una durezza che non sentiva.
- Credi che l’essere il mio capitano ti dia il diritto di impormi una decisione del genere, di entrare nella vita di persone che non conosci, o di immischiarti in cose che non puoi capire e che non ti riguardano? – chiese gelida Kate – Tu non sai un bel niente di me, e non hai il diritto di fare così! Tu non capisci… non ti rendi conto di quello che significa quello che hai fatto…
- Hai ragione, non me ne rendo conto. – la interruppe furioso Law, ormai incapace di continuare a tenersi dentro la frustrazione che provava – E puoi biasimare solo te stessa per questo! Se tu fossi stata sincera con me sin dall’inizio, io non avrei reagito così!
- Oh, adesso capisco… – annuì Kate con una smorfia amareggiata – Io ho ferito te, e quindi ora tu ferisci me. Davvero maturo da parte tua, non c’è che dire.
- Ferito? Credi davvero di avermi ferito? – sibilò Law con un sorriso odioso. Improvvisamente sentiva l’impulso di ferirla, di ferirla davvero, solo per dimostrare a sé stesso Dio solo sapeva che cosa – Non sopravvalutarti, ragazzina. Ammetto che lo scherzo che mi hai giocato ieri mi ha fatto abbastanza incazzare, ma di certo non mi hai ferito. Non darti troppe arie, non conti poi così tanto, per me.
Law aveva parlato senza pensare, troppo accecato dalla rabbia… ma trattenne il fiato nel vedere l’espressione della ragazza. La giovane lo fissò sbalordita per un momento, per poi allontanarsi istintivamente, come se lui l’avesse spinta via. Gli occhi erano lucidi di lacrime, e le labbra serrate come per impedirsi di scoppiare a piangere.
Law si maledisse, consapevole di aver esagerato, e tese una mano verso di lei – Kate, mi dispiace, non volevo…
- No, non ti dispiace. Non dispiacerti. – replicò lei, la voce improvvisamente rigida e formale – Se la tua posizione era questa sin dall’inizio, allora avresti dovuto dirlo subito. Se l’avessi saputo prima mi sarei risparmiata un sacco di seccature.
- Kate… - la chiamò Law tentando di metterle una mano sulla spalla, ma lei si scostò bruscamente dal suo tocco, l'espressione chiusa e impenetrabile come un muro. In quel momento era difficile credere che l'avesse mai guardato in un altro modo. – Kate, ascolta…
- No. Non voglio più ascoltarti. Hai già fatto abbastanza.
Senza aggiungere altro Kate si allontanò. Law tentò di fermarla, ma lei era già fuori portata, già troppo lontana da lui. La chiamò di nuovo, ma lei non si voltò.

Sembrava che nella cambusa della Moby Dick fosse esplosa una bomba. Il frigorifero di dimensioni ciclopiche era completamente vuoto, con le superfici un tempo candide ora decorate da strani spruzzi di ketchup, il bottiglione di sciroppo d’acero formato extralarge era stato svuotato, con liquido ambrato che ricopriva quasi tutte le superfici disponibili. Il pavimento era disseminato di sacchetti di caramelle vuoti, e il piano cottura era dir poco carbonizzato, con strani fumi che si liberavano nell’aria…
Ma soprattutto c’era il tavolo. Il lunghissimo e gigantesco tavolo che troneggiava al centro della cucina era completamente ricoperto da resti di cibo non identificati, dalle lunghe strisce di zucchero ai pezzettini di carne di carne essiccata, più una quantità scandalosa di briciole di vario genere. Sembrava quasi che su quel tavolo si fosse appena consumato un duello all’ultimo sangue invece che una colazione.
E poi c’era lei, la responsabile di tutto quel casino. O’Rourke D. Katherine sedeva con sfacciata alterigia al centro di quel macello come una cavolo di Maria Antonietta in mezzo ad una folla di plebei, stravaccata su una sedia con i piedi poggiati sul tavolo, il volto e le mani disgustosamente macchiati da sostanze non identificate dai colori più disparati, le guance gonfie di cibo come quelle dei criceti quando si riempiono la bocca di semi, e l’espressione perversamente soddisfatta che di solito hanno i camerieri quando sputano nei caffè dei clienti antipatici. Masticava quello che aveva in bocca con studiata lentezza, quasi a voler sfidare l’inesistente pubblico a rimproverarla di qualcosa, e girava con un cucchiaino l’inquietante contenuto di un bicchiere dal colore decisamente allarmante.

Ma cosa diavolo era successo? Vi chiederete voi…be’, per dirla in due parole…bulimia affettiva.

Ecco cos’era accaduto esattamente: subito dopo essersi allontanata da Law, per prima cosa Kate era corsa in infermeria a controllare le condizioni del padre e di Thatch. Li aveva trovati profondamente addormentati, sereni come bambini, con due infermiere che facevano loro da angelo tutelare, perfettamente padrone della situazione. Con aria rassegnata Kate si aveva minuziosamente visitati, assicurandosi della stabilità delle loro condizioni, e poi era andata via, dolorosamente consapevole dell’inutilità di cui era vittima in quel momento in quell’infermeria. L’unica cosa che avrebbe potuto fare era stare a guardare il gocciolare della flebo, e la ragazza aveva seri dubbi sul fatto che questo avrebbe potuto far guarire più in fretta i due uomini.
Così, una volta fuori dall’enorme stanza, aveva cominciato a vagare per i corridoi della Moby Dick come un fantasma, nel vano tentativo di calmarsi e di evitare di mettersi a frignare come una ridicola adolescente ipersensibile, sopraffatta da un groviglio di emozioni così travolgente da rischiare di annientarla completamente. Aveva incontrato molte persone mentre girava senza meta, ma le aveva ignorate tutte, continuando ad errare stordita per la nave come uno zombie… fino a quando a furia di vagabondare era arrivata alla cambusa, e si era resa conto solo in quel momento di essere a digiuno da quasi due giorni, ormai.
Così era arrivato il momento in cui si era ritrovata a fare una scelta: o provava a sconfiggere la depressione nera che l’aveva aggredita scegliendo di andare a pettinarsi con un frullatore acceso – dando così il proprio personale e violento addio al mondo -, oppure tentava di riempire l’immenso vuoto interiore che quella situazione e le parole crudeli di quello stronzo di Law le avevano creato nel petto con l’ausilio del cibo.
Inutile dire che la scelta era stata scontata. Law era senza dubbio un bastardo senza pari, ma nemmeno la sua monumentale cattiveria merita un suicidio così sanguinario. E poi scegliendo di abbuffarsi riusciva anche ad ottimizzare!
E così la ragazza si era seduta al centro del lungo tavolo della cucina e aveva cominciato a divorare in preda ad una forsennata furia famelica ogni cosa dall’aria anche solo vagamente commestibile che le fosse capitata a tiro: buona o cattiva, grassa o magra, solida o liquida, primo o secondo o dessert che fosse non faceva alcuna differenza; la ragazza si limitava a riempirsi ogni anfratto della bocca con tutto quello che le capitava sotto mano, mescolando senza alcun ritegno dolce, salato, amaro e piccante, neanche fosse stata una donna al settimo mese di gravidanza, mangiando direttamente con le mani alla stregua di una cavernicola.
Ormai era da quasi un’ora che se ne stava rintanata là sotto, con la pancia gonfia come una palla, e fino ad allora in quest’ordine aveva trangugiato:
  1. Dieci barrette di cioccolata alle nocciole, al gianduia e via dicendo;
  2. Una ventina di toast con mortadella, formaggio, uova all’occhio di bue, marmellata, crema di nocciole, tonno, pomodoro, crema pasticcera, budino al cioccolato, bacon, lattuga, salsa di soia, salsa wasabi, salsa tartara, senape, ketchup (e mi fermo qui, altrimenti non basterebbe la pagina);
  3. Una teglia gigante di riso, patate e cozze;
  4. Una pentola delle dimensioni di un calderone piena di polpette;
  5. Cinque pizze con sopra olive, salsiccia, scamorza affumicata, pepe, cipolla, peperoni e crauti;
  6. Caramelle, bignè, biscotti, frittelle e altri dolci assortiti, in quantità tali che avrebbe potuto sfamare una ventina di persone;
  7. Latte, caffè, aranciata, limonata, succo di mora e thè freddo tutto mescolato insieme, e in dosi tali da poter praticamente riempire una cisterna.
Insomma, uno schifo totale. E ora, come se tutto questo non le fosse ancora bastato, quella peste ora stava tristemente rimestando in un bicchiere un’inquietante miscuglio che pareva composto da latte, cacao, panna acida e Pepsi con il preciso scopo di farsi male da sola, anche se ovviamente ancora triste e scoraggiata, perché non è di certo con un’atroce abbuffata che si risolvono problemi di questo tipo.

Bah, al diavolo. E dire che Murphy lo ripeteva sempre! “Se una cosa può andare male, andrà anche peggio”. Non me li ricordo mai li assiomi della filosofia quando servono.

Kate sospirò ingoiando l’ultimo gigantesco boccone, posò il bicchiere ancora intonso sul tavolo e si accese una sigaretta, ormai consapevole dell’inutilità di quanto aveva fatto fino a quel momento. La ragazza si alzò dalla sedia con un altro sospiro, si pulì alla bella e meglio il viso e le mani con un tovagliolo, e andò a cercare un secchio d’acqua e uno straccio, sperando di poter ripulire almeno in parte il casino che aveva combinato.
Come aveva potuto illudersi? Law era Law, e lei non avrebbe dovuto aspettarsi che fosse qualcos'altro. Tre anni prima il suo istinto l’aveva messa in guardia, l’aveva avvertita del fatto che probabilmente Law era velenoso, crudele e insensibile proprio come appariva, e che affezionarsi a lui avrebbe potuto essere pericoloso… ma lei non vi aveva badato, scegliendo piuttosto per il proprio bene di credere che in realtà Law, sotto quella corazza di strafottenza e gelida indifferenza che si portava costantemente addosso, nascondesse gentilezza e sensibilità proprio come tutti gli altri esseri umani.
Si era sbagliata, dannazione. A quanto pareva Law in realtà era cinico e meschino proprio come sembrava, e se anche una parte di lui provava davvero affetto per lei, allora era un affetto insano e orribilmente contorto, che esigeva vendetta se deluso o ferito.
In che mani si era consegnata? Chi era davvero l’uomo che per tutti quegli anni aveva chiamato “amico”? Lo conosceva davvero, almeno?!

No, non lo conosco.

Con sommo orrore, e solo in quel momento, a Kate fu chiaro il fatto che, proprio come lei non aveva mai voluto raccontargli nulla del proprio passato, allo stesso modo lui le aveva mai detto nulla di sé. Ma come aveva fatto a non accorgersene prima?!
Kate mollò lo straccio, improvvisamente svuotata di ogni energia, e si lasciò cadere sconfitta su una sedia, la sigaretta ormai esaurita. Ok a voler vivere pericolosamente e con il mondo apparentemente in pugno, va bene mettersi nei guai con uomini poco raccomandabili… ma così era un po’ troppo. Rischiava di farsi male sul serio, e di non riprendersi mai più stavolta. Non poteva rischiare di legarsi così tanto a quel ragazzo, altrimenti avrebbe finito per fargli compagnia nella sua orribile condizione di fredda e odiosa infelicità. O peggio, avrebbe finito per innamorarsi di lui.
Kate scosse febbrilmente la testa a quel pensiero. No, questo non sarebbe mai dovuto accadere, mai e poi mai. Altrimenti poi qualcuno avrebbe dovuto raccogliere i suoi pezzi con un cucchiaino, sempre ammesso che di pezzi ne fossero rimasti. Law era già fin troppo bravo a ferirla da amico…
- Hai un aspetto davvero poco rassicurante, sorellina. Anche se non quanto la stanza, in effetti.
Kate cadde dalla sedia con un grido, atterrando rovinosamente di sedere per terra, e rivolse seccata lo sguardo verso la porta.
Marco se ne stava appoggiato allo stipite della porta, e malgrado la sua onnipresente e irritante calma fissava il caos della cucina con gli occhi così spalancati da sembrare piatti, come se la stanza fosse stata appena distrutta da un’esplosione atomica. Il che non era poi così distante dalla verità, ora che Kate ci faceva caso.
Il comandante della Prima Divisione entrò prudentemente nella stanza, e si guardò intorno con spirito critico – Hai visto un topo e hai tentato in tutti i modi di catturarlo, per caso?
Kate sbuffò e distolse lo sguardo da lui – No.
Marco alzò un sopracciglio - Facevi qualche esperimento?
- No!
- Allora cos’è, stavi tentando il suicidio?!
Kate alzò infastidita gli occhi al cielo e gli fece un sorriso irritato – Ok, mi hai beccato: volevo fare la fine del ratto impigliato nel malto. Sai com’è, impiccarsi fa così tanto Medio Evo…
Marco però non si fece impressionare dal suo tono insofferente. Le si avvicinò, stando bene attento a non pestare niente di strano, e si chinò accanto a lei – Su, dimmi cosa c’è che non va.
Scioccata, Kate sbatté ripetutamente le palpebre. Sul serio Marco le aveva appena chiesto come stava?!
Ma stava scherzando?! Come poteva essere così gentile e comprensivo?! Dopo tutto ciò che aveva combinato, dopo il modo in cui si era comportata quel giorno, snobbando tutto e tutti… cos’era, improvvisamente gli era venuta la vocazione della crocerossina?! Fino a quel momento Kate era stata convinta che, dopo anni di isterica relazione con Izou, Marco ne fosse rimasto sprovvisto di palpiti di umanità, e che fosse per questo che la sua faccia a trentasei anni ora sembrava pericolosamente simile ad una scodella di porcellana…
- Non c’è assolutamente niente che non va! – replicò lei allontanandosi da lui – Avevo solo fame.
- Wow, alla faccia! – esclamò sarcastico Marco, guardandosi di nuovo intorno – A questo punto direi che le opzioni sono due: o non mangi da più di due mesi, o hai avuto un attacco piuttosto grave di bulimia affettiva. Personalmente io propenderei per la seconda ipotesi… e se ho ragione, allora questo significa che hai effettivamente un problema su cui piangere. Allora, confessi o no?
Kate lo guardò male, nel goffo tentativo di nascondere il proprio disagio – Dì un po’, non hai niente di meglio da fare che venire qui a rompere?!
Un angolo della bocca di Marco si sollevò – No, oggi è una giornata un po’ piatta. Cerco altri modi per ingannare il tempo. Allora?
Kate alzò di nuovo gli occhi al cielo, e recuperò lo straccio dal pavimento – Ho litigato con il mio capitano. – ammise a malincuore.
Marco sollevò un sopracciglio – Chi, Trafalgar?
Kate annuì.
- Perché?
Kate si strinse nelle spalle, fingendo noncuranza – Niente di che. Litigi tra amici. Sono cose che capitano...
- Bugiarda.                             
Kate sbuffò infastidita. Marco era sempre stato bravo a leggerle dentro, a volte perfino più di Thatch… non c’era nulla che si potesse nascondere alla Fenice.
Tuttavia questo non voleva dire che doveva confidarsi per forza con lui… anche perché era consapevole di non meritarsi né gentilezza né conforto, e soprattutto non da lui, che a dispetto tutto era stato sempre incrollabilmente onesto e premuroso nei suoi confronti. Non dopo ciò che aveva fatto, non dopo aver effettivamente abbandonato la propria famiglia, non dopo essere scomparsa senza dare notizie per anni, e non dopo la cattiveria con cui si era comportata da quando era di nuovo lì.
No, decisamente non aveva voglia di piagnucolare dei suoi problemi proprio con lui. Non era poi così disperata da essere pronta a piangere senza ritegno sulla porta di chiunque, tanto meno sulla porta di chi avrebbe dovuto volerla prendere a calci nel sedere invece di offrirle supporto morale. Aveva ancora un orgoglio in mezzo all’informe ammasso di lipidi che le ingolfava il corpo.
- Perché ti interessa così tanto? – indagò Kate.
- Non posso più interessarmi alla vita della mia sorellina, adesso?
Kate non sapeva cosa rispondere, per cui rimase in silenzio. Strinse la presa sullo straccio e tornò a concentrarsi sul pavimento sporco, sperando che ignorare il fratello avrebbe scoraggiato la sua curiosità.
- Non ignorarmi, Mocciosa Malefica.
Kate sbuffò una risata amara – Era da anni che nessuno mi chiamava così…
- Perché era da anni che non mettevi piede qui.
Marco aveva parlato con grande tranquillità, limitandosi a constatare l’ovvio… e fu proprio per questo che le sue parole le fecero così male, per la serenità con cui Marco parlava della cosa, come se fosse stata una faccenda di poco conto. Kate avrebbe di gran lunga preferito che si arrabbiasse, che le urlasse contro… così invece era come usare l’alcool per disinfettare una ferita. Sicuramente efficace, ma così tanto doloroso da farti arrivare a rimpiangere la scampata infezione.
- Ho avuto… da fare. – biascicò la ragazza.
- Lo vedo. – replicò Marco con voce leggermente dura – Come ad esempio riempirti di buchi e seguire per i mari il primo irriverente bastardo che incontri e che ti fa arrivare sull’orlo delle lacrime? Onestamente da te mi aspettavo qualcosa di più.
Kate si coprì il piercing all’ombelico con una mano e fissò il fratello in cagnesco – Non parlare di Law come se lo conoscessi.
- Perché, tu invece lo conosci?
- È mio amico. – replicò Kate, la voce fredda e pungente come un ghiacciolo. – Certo che lo conosco!
- Sembra quasi che tu voglia autoconvincerti.
Le mani della ragazza si serrarono a pugno. Si sentiva arrabbiata con sé stessa, con il mondo intero, ma soprattutto con Marco, che le stava rigirando il dito nella piaga – No. Non dirmi quello che sento.
- Allora spiegamelo tu, cosa senti!
- Ascolta, che vuoi che ti dica?! Che è un irriverente bastardo, come dici tu?! Sì, lo è! Vuoi che ti dica che mi ha ferita e che mi ha fatto arrabbiare?! Sì, l’ha fatto, però…
- Però? – chiese scettico Marco, con un sopracciglio sollevato.
Kate si mordicchiò una guancia, cercando di trovare le parole. C'erano molti motivi per cui, anche dopo tre lunghi anni di convivenza, Kate detestava ancora Law. Anzi, fino ad un paio di anni prima avrebbe potuto mostrare a Marco intere liste scribacchiate proprio su quell'argomento. Lo odiava perché lui era così schifosamente attraente e affascinante con quella sua aria da cattivo ragazzo da poter ottenere praticamente qualunque cosa volesse semplicemente con uno dei suoi sorrisi strafottenti, mentre lei era così piatta e senza curve da potersi quasi faxare, ed era costretta a camminare su tacchi dall’altezza criminale pur di evitare di scomparire in mezzo all’erba alta, e accanto a lui sfigurava come un tosaerba accanto ad una Porsche. Lo odiava perché non poteva mai dirgli niente che lui non sapesse già, lei che era sempre stata abituata ad essere l’irriducibile genio della propria famiglia. Odiava il fatto che lui riuscisse a ferire i suoi sentimenti così facilmente, quasi lei fosse stata creta nelle sue mani, mentre lui sembrava essere così indistruttibile e impenetrabile che a volte a Kate era venuta la tentazione di sparargli con un lanciafiamme solo per vedere se, tra le altre cose, era pure ignifugo. Lo odiava perché era prepotente e dispotico, perché pestava i piedi come un bambino se le cose non andavano esattamente come voleva lui, e perché lei, a dispetto dell’atteggiamento da dura che si sforzava di tenere nei suoi confronti, non era mai riuscita a negargli nulla.
Eppure, molto molto nel profondo, di tanto in tanto Kate era veramente molto felice che quell’irriverente bastardo fosse il suo migliore amico. Perché talvolta Law sapeva anche dimostrarsi gentile, e quando accadeva a Kate pareva di non poter desiderare altro nella vita se non stargli vicino, e non gliene importava niente di sembrare patetica per questo; perché quando si faceva male in battaglia era sempre Law che si prendeva cura di lei, pulendole e fasciandole le ferite, e fingendo di rimproverarla per la sua impulsività e la sua imprudenza mentre lei fingeva di non aver bisogno del suo aiuto; perché Law alcune volte riusciva anche a mettere da parte il suo noioso atteggiamento di superiorità per andare a trovarla in cabina, per studiare con lei o semplicemente per stare insieme a lei a parlare di tutto e niente, e quei momenti per Kate erano più preziosi di qualsiasi tesoro, anche se a voce alta non l’avrebbe mai ammesso, nemmeno se qualcuno l’avesse minacciata di toglierle caffè e sigarette per un mese; ma soprattutto perché Law le aveva insegnato tanto, così tanto che Kate non riusciva neanche ad immaginare che al mondo ci potesse essere un modo per ricambiare quel favore.
Forse però quei bei tempi erano finiti. O forse non erano mai iniziati davvero.
Ma come poteva spiegare tutto questo a Marco?
- Senti, è lunga da spiegare. – tagliò corto alla fine Kate – ti basti sapere che lo rispetto e lo apprezzo, almeno finché non esagera come ha fatto stamattina. Tutto qui. Di solito andiamo molto d’accordo, credimi.
- Sarà…ma io ho i miei dubbi.
Quella fu l’ultima goccia. Perché si stava comportando così?! Ok, era chiaro che l’affetto di un fratello, nonostante tutto, non poteva essere distrutto così facilmente, ma quello che stava facendo in quel momento… perché lo faceva? Come riusciva a far finta di niente?! Come poteva non essere arrabbiato?!
- Oh, ma insomma, la vuoi piantare?!
Marco alzò un sopracciglio – Di fare cosa?
- Questo! Essere così apprensivo, così attento… perché diavolo lo stai facendo?! Io non me lo merito! Dovresti essere arrabbiato, dovresti avercela con me… tutti quanti dovreste! E invece…
- Kate. – la interruppe Marco con tono calmo – Smettila di starnazzare come una gallina. Quello che dici non ha senso…
- È per compassione o qualcosa di simile che lo fai?! – chiese altera Kate, ignorando quello che il fratello aveva appena detto – Se le cose stanno così, puoi anche risparmiartelo. Non voglio la pietà di nessuno, e tanto meno sopporto tutto questo buonismo, mi fa sentire ancora peggio!
- E allora cos’è che vuoi? – chiese paziente Marco. Sembrava di vedere un adulto che tentava di spiegare con calma ad un bambino per quale motivo non può soddisfare uno dei suoi capricci infantili. Nel vedersi trattare in quel modo Kate si infuriò ancora di più, e qualcosa dentro di lei si incrinò e si spezzò, e le parole si riversarono fuori.
- Voglio che ti arrabbi! Voglio che mi dici che sono una spregevole ingrata! Voglio che tu mi dica che sono solo una piccola arrogante con la bocca ancora sporca di latte che si è montata la testa! Voglio che tu mi dica che non sono altro che una bambina viziata che ha abbandonato le persone che l’amavano solo per andare a combinare guai in giro per il mondo! – urlò con voce sempre più tremante, non sapeva se di rabbia o lacrime – Dimmi quello che vuoi, MA ARRABBIATI, MALEDIZIONE!
- Perché dovrei farlo? Non sono arrabbiato. – replicò con calma Marco.
- Be’, dovresti esserlo! – commentò aspra Kate, consapevole di stare riscaldandosi di nuovo – Perché al tuo posto io lo sarei. Sono stata pessima, una stronza…
- Tu sei sempre stata stronza. Non è una novità dell’ultimo momento… - scherzò Marco.
- Sì, ma più stronza… - mormorò Kate – Sì insomma, voglio dire, più del solito…
- Hai solo fatto ciò che ritenevi giusto per te stessa. E questa nave non è una prigione. Non eri obbligata a restare, se non volevi…
- Oh, ma vedi di smetterla. Smettila di giustificarmi. – replicò Kate decisa. Ecco, ora sì che aveva perso del tutto il controllo – È insopportabile. So che nel profondo sei arrabbiato, che tutti voi lo siete, perciò non cercare di ammorbidirmi con questo atteggiamento conciliante, ne ho le scatole piene di questo modo di fare da pastorella Bernadette. Sì, sono scappata di casa, sì mi sono riempita di piercing solo per l’infantile gusto di trasgredire le bigotte regole di questa società, sì ho come migliore amico un irriverente bastardo, sì, tu e tutti gli altri avete tutto il diritto di essere arrabbiati con me, sì, sì a qualunque altra cosa tu voglia rinfacciarmi. So che pensi tutto questo, non serve che tieni questo atteggiamento del cazzo da guru spirituale.
Ed ecco che diventava di nuovo aggressiva. Kate era peggio di un gatto quando si sentiva messa alle strette. Marco non si scompose più di tanto davanti a quello sfogo isterico, era abituato al caratteraccio della sorella minore – Quello che fai non è affar mio, sorellina.
- Però sei arrabbiato.
- No, penso che ognuno abbia il diritto di seguire la strada che vuole, e senza dover chiedere scusa per questo. Tu puoi fare quello che vuoi, andare dove vuoi, e puoi frequentare chi cavolo ti pare, se la cosa ti rende felice. Punto.  – Marco le sorrise un po’ esasperato – Ora mi fai il favore di smetterla di stare così sulla difensiva? Non fare come al solito di ogni cosa una questione di vita o di morte, o ti verranno i capelli bianchi prima dei trent’anni.
- Ma… - protestò ancora Kate, ma Marco la interruppe.
- Basta discutere, stai diventando noiosa. Ora noi andremo dagli altri, e tu dirai loro esattamente quello che hai detto ora a me, ma con meno parolacce e sarcasmo. Così magari ti darai una calmata, e ti renderai finalmente conto del fatto che non c’è niente, ma proprio niente al mondo che potresti fare per guadagnarti il nostro odio. Ficcatelo bene in testa, Mocciosa Malefica.
Kate sentì gli occhi inumidirsi di lacrime, e questa volta non erano lacrime di rabbia – Marco, io…
- Niente smancerie, lo sai che non le sopporto. - la interruppe Marco con un sorriso, per poi porgerle la mano per aiutarla ad alzarsi – Su, andiamo.
Kate sbatté le palpebre, improvvisamente sopraffatta dalle emozioni e dagli eventi. Era tutto vero o aveva fatto indigestione al punto da avere le allucinazioni? Marco le aveva appena detto di non essere arrabbiato. Aveva detto che avrebbe potuto fare ciò che voleva, purché qualunque cosa fosse potesse renderla felice…

Aveva detto che andava tutto bene.

Sentendo un sorriso raggiante nascerle sul viso, Kate afferrò con decisione la mano del fratello, e insieme fianco a fianco si avviarono verso l’uscita, come se il tempo per loro non fosse mai passato.
- Ehi… - lo richiamò Kate, dandogli una leggera gomitata - … guarda che dicevo sul serio, prima. Law a volte è un po’ difficile da gestire, ma è fondamentalmente un tipo a posto. Davvero.

Almeno spero… Si augurò Kate nei propri pensieri.

Anche Marco non sembrava molto convinto, ma annuì – D’accordo. Ma alla fine perché stamattina avete litigato?
- Per niente che non sia già accaduto prima. Semplicemente Law è un imbecille che non sa tenere la bocca chiusa. – mentì clamorosamente Kate.
Marco, com’era ovvio, non ci cascò, ma replicò accondiscendente – Ho capito, non ne vuoi parlare. Ma rispondi ad un’altra domanda, almeno.
- Sentiamo… - sospirò Kate.
- Non è che voi due siete amanti, vero? – chiese Marco con gli occhi leggermente spalancati, come se solo l’idea lo spaventasse.
Kate sgranò gli occhi di rimando – Ma cosa… no…no! Assolutamente no! Dio me ne scampi! Ma te l’immagini come sarebbe essere la donna di un tipo del genere?! – Kate rabbrividì al solo immaginarselo, ripensando anche a quello che Law le aveva detto qualche ora prima a proposito delle dicerie che giravano su di loro – Credo che perfino tentare di asciugare il mare munita solo una tazzina per il caffè sarebbe meno problematico!
- Ed essere sua amica? – chiese divertito Marco, mettendole un braccio intorno alle spalle mentre camminavano – Com’è essere sua amica?
Kate ci pensò su un attimo prima di rispondere – È tosto, indubbiamente… ma sai… - la ragazza sorrise in maniera strana - … a me non sono mai piaciute le cose facili.


Law se ne stava seduto per conto suo in perfetta solitudine da quasi due ore ormai, ascoltando il rumore delle onde e riempendosi le narici del profumo della salsedine. I pirati di Barbabianca si affaccendavano intorno a lui ignorandolo deliberatamente, anche perché non c’era gusto a provocare uno che non reagiva agli insulti e alle istigazioni. Prima ci avevano provato quasi tutti a stuzzicarlo, ma Law si era comportato dall’inizio alla fine come se fosse stato cieco e sordo, cosicché dopo un po’ i pirati avevano cominciato inevitabilmente ad annoiarsi, e l’avevano lasciato in pace. Meglio per loro, perché se avessero continuato a pungolarlo in quel modo, ben presto quello stramaledetto ponte sarebbe stato invaso dai loro corpi smembrati.
Un qualunque estraneo che l’avesse visto in quel momento avrebbe semplicemente pensato che si trattasse di un ragazzo che si stava godendo una bella giornata di sole, rilassandosi sul ponte di una nave libero da qualunque pensiero… ma se invece al posto di quell’ipotetico estraneo ci fosse stato Bepo, o Shachi, o Penguin, allora ciascuno di loro avrebbe immediatamente compreso quanto il ragazzo, sotto infiniti strati di apparente indifferenza, fosse in realtà sconvolto e fuori di sé, e che in verità si trovava seduto defilato su quel ponte nel disperato tentativo di riacquistare il controllo delle proprie emozioni, e di calmare quella profonda agitazione interiore che l’aveva aggredito, lasciandolo indifeso come un bambino. Gli sembrava ancora di vedere Katherine che lo fissava prima sconvolta, poi addolorata, poi gelida…
Sconcerto. Dolore. Rabbia. Sono queste le fasi che una persona attraversa in rapida successione quando qualcuno che ama la ferisce o gli fa un torto. Prima si incassa il pugno che arriva totalmente inaspettato, poi ci si sforza di sopportare il dolore che ci investe come un tornado… e poi il dolore sparisce, e al suo posto appare la rabbia, che ci travolge come una furia, togliendoci il respiro e la ragione, e lasciando spazio ad un solo pensiero.

Vendetta.

E così era stato per Law nelle ultime ventiquattr’ore. Scoprire che la ragazza lo avesse ingannato, e che quelle pochissime cose che aveva creduto di sapere di lei in realtà erano tutte balle lo aveva a dir poco sconvolto, anche se per fortuna era durato solo per poco. Normalmente Law non permetteva a nulla di turbarlo, e anche se in quel momento il suo autocontrollo d’acciaio aveva seppur per poco ceduto, il chirurgo ci aveva messo poco a riacquistare il controllo di sé. Perché era stata la situazione a richiederlo, ma anche il suo equilibrio mentale.
Poi si era arrabbiato, e tanto anche. Sì, lo so che da come ve l’ho raccontata non sembrava affatto, ma Law non era Law mica per niente. Il ragazzo si era sì arrabbiato nero, ma aveva deciso comunque di sfoderare la migliore faccia da poker del proprio repertorio, e di tirare avanti come se niente fosse, almeno fin quando l’emergenza medica non fosse stata superata. Era riuscito perfino a scherzare con Katherine, l’eterna responsabile del proprio disordine emotivo…
Poi però l’emergenza medica era stata superata: Thatch e Memphis erano stati curati e messi fuori pericolo, e la situazione si era di conseguenza risolta.
Lato positivo? Come già detto, la situazione si era risolta, e tante felicitazioni a tutti quanti.
Lato negativo? Proprio nel momento in cui la furia di Law avrebbe potuto avere la possibilità di sfogarsi, il bersaglio prescelto era venuto a mancare. Infatti proprio nel momento in cui Law si era voltato verso Katherine, pronto a riversarle addosso tutto il risentimento che fino ad allora aveva seppellito per questioni pratiche, lei era caduta a terra come una pietra, sfiancata nella mente e nel corpo da tutte le emozioni e gli sforzi che era stata costretta ad affrontare nelle ultime ventiquattr’ore. Ovviamente Law l’aveva comunque controllata per sicurezza, ma era stato molto chiaro sin dall’inizio che la ragazza godeva di ottima salute, e che quindi non c’era motivo di preoccuparsi… e che di conseguenza non c’era niente che avrebbe potuto aiutarlo a liberarsi del proprio risentimento finché era ancora tale. E questo era stato l’innesco per il disastro.
D’altro canto, come diceva Francis Quarles: la rabbia può nutrirsi di te per un’ora, ma non giacere per una notte; la continuazione della rabbia è odio, e la continuazione dell’odio diventa cattiveria.
E così era stato per Law: non aveva potuto liberarsi della propria rabbia subito poiché chi l’aveva scatenata aveva opportunamente “deciso” di rendersi indisponibile, e di conseguenza la rabbia aveva stagnato dentro di lui fino a diventare cattiveria e desiderio di vendetta.
Certo, se si fosse trattato di un’altra persona, di una qualsiasi altra persona, Law non si sarebbe lasciato toccare dalla faccenda e se ne sarebbe fregato di sicuro, e per il semplice motivo che quasi mai nessuno riusciva a farlo arrabbiare, se non mettendogli i bastoni tra le ruote… ma il problema non nasceva da una persona qualsiasi, nasceva da quella infida gattaccia selvatica, e se era lei la causa allora le solite regole non valevano più.
Così aveva trascorso l’intera giornata precedente a pensare a come fargliela pagare, fino a quando a sera non era stato Barbabianca stesso a dargli l’idea giusta… e il resto era storia.
Aveva provato uno strano piacere perverso nel vedere la sua espressione di rabbia mista a smarrimento quella mattina, come se dentro di lui ci fosse stato un demone infame che godeva nel vedere il dolore che con le sue azioni aveva portato… e che lo aveva spinto ad infierire ancora, come un assassino che continua a pugnalare la vittima pur sapendo che questa è già morta. Solo per puro desiderio di far del male.

Non sopravvalutarti, ragazzina. Ammetto che lo scherzo che mi hai giocato ieri mi ha fatto abbastanza incazzare, ma di certo non mi hai ferito. Non darti troppe arie, non conti poi così tanto, per me.

Ora si vergognava Law di quelle parole: non solo perché era stato stupido e immaturo proprio come aveva detto lei, ma anche perché era stato cattivo senza motivo, ma soprattutto perché aveva mentito. Non era affatto vero che lei non contava, non lo era mai stato.
A quanto pareva certe cose non cambiavano proprio mai, non importava quanto tempo potesse trascorrere. Lui le aveva sempre allontanate le poche persone che per lui erano state importanti o che avevano rischiato di diventarlo, in una strana e automatica reazione di autodifesa, e le aveva ferite deliberatamente nell’insensato tentativo di ristabilire l’equilibrio con sé stesso e i propri sentimenti, nel timore di soffrire ancora come quando era stato bambino. Se non ami non soffri quando perdi, era questa la logica che aveva sempre seguito.
A che livello era arrivato il suo coinvolgimento con quella ragazza? Da quando il pensiero di perdere qualcuno lo spaventava così tanto?! Quanto si era insinuata quella piccola strega nella sua testa e nei suoi pensieri?!
Law era sempre stato piuttosto piatto nel proprio modo interagire con le persone, piuttosto lineare. Di solito né le apprezzava né le disprezzava, semplicemente non gli importava di loro, e ne rimaneva del tutto indifferente, totalmente incapace di provare empatia verso di loro o anche solo di desiderare di provarne; per lui le persone, ad eccezione forse dei propri compagni d’equipaggio, non erano altro che strumenti da usare e rigirare a proprio piacimento per raggiungere uno scopo, nient’altro.
Ma quella ragazzina era diversa: riusciva a toccare corde in lui che erano rimaste inerti per anni, al punto che Law aveva quasi dimenticato di averle dentro di sé, e a mandare il suo cervello e il suo autocontrollo in tilt peggio di un virus in un computer.
Il rumore di una porta aperta lo riscosse, riportandolo alla realtà. Sperando di distrarsi Law si alzò, e andò a vedere cosa stava succedendo. Adocchiò un oblò e si chinò per dare un’occhiata agli ambienti interni, piuttosto sicuro del fatto che il rumore fosse arrivato da lì.
Aveva visto giusto. I pirati di Barbabianca – o meglio, alcuni di loro – si erano riuniti di nuovo nella mensa. Erano poco più di una dozzina, e stavano raggruppati tutti insieme, e avevano tutti lo sguardo puntato nella stessa direzione, in chiara posizione di ascolto. Il vecchio non c’era, probabilmente era tornato alla sua cabina.
Perplesso, Law seguì la traiettoria degli occhi dei pirati, per cercare di capire cosa stavano guardando…e vide Katherine seduta su una sedia di fronte a loro, con le mani strettamente intrecciate in grembo e la schiena quasi innaturalmente dritta, come una scolara attenta e impaurita dal proprio insegnante.
Law sgranò gli occhi. Era la prima volta che la vedeva così intimorita e imbarazzata, lei che era sempre altera e sicura di sé… Law non riusciva sentire ciò che diceva, ma aveva il forte sospetto che la ragazza, a giudicare dalle espressioni sempre più intenerite dei fratelli, si stesse scusando per qualcosa, anche se Law non riusciva ad immaginare per che cosa; allungò una mano per tentare di aprire la finestrella, quando si sentì battere una mano su una spalla.
Law sobbalzò e si voltò. Un uomo biondo lo stava fissando con aria apparentemente impassibile, anche se Law riuscì a leggere nel suo sguardo anche una certa dose di curiosità. Strano, era il primo su quella nave che non lo fissava con evidente ostilità.
 - Non te l’ha mai detto nessuno che non è molto carino origliare? –  chiese il biondo alzando un sopracciglio.
Law serrò la mandibola. L’idea di essersi fatto beccare a spiare la propria migliore amica in quel modo tanto patetico lo irritava non poco, specie se a coglierlo con le mani nel sacco era uno di quegli insulsi leccapiedi di Barbabianca. Tuttavia riuscì a replicare con altrettanta calma – Tecnicamente non stavo origliando, visto che non ho sentito niente.
Marco ignorò quella battuta polemica e lo fissò con aria scettica per qualche secondo, prendendosi del tempo per studiarlo. Alla fine, dopo quasi mezzo minuto di silenzio decretò – No, non riesco proprio a capire cosa ci trovi di così speciale Katherine in te. Ma d’altro canto non sta a me giudicare.
Law si riscosse, e lo fissò indagatore - Katherine ti ha parlato di me?
- No, in realtà non mi ha detto niente. In effetti ha fatto di tutto per evitare l’argomento… non credo che le faccia piacere parlare di te. – ragionò Marco a voce alta - Ma è forse proprio questo il punto… se mia sorella cerca di evitare qualcuno, allora c’è sotto qualcosa di grosso.
- Ah sì? Perché, è sua abitudine evitare le persone che le piacciono? – chiese beffardo Law. Aveva parlato con leggerezza, ma una strana sensazione gli stava opprimendo il petto.
Infatti Marco gli sorrise in maniera strana, come se avesse appena intuito la più grande verità dell’universo. Annuì tra sé e gli rispose enigmatico – Non te lo immagini neanche. – Lo fissò con ancora più curiosità e riprese – È proprio così, non è vero? Tu non lo immagini sul serio. Lei non ti ha parlato di Ace.
Law serrò leggermente la presa sulla sua nodachi – L’ha nominato un paio di volte… ma no, non mi ha mai parlato di lui.
- Lo immaginavo. Anche perché, se l’avesse fatto, non saresti così tranquillo.
Law assottigliò lo sguardo. Più parlava con quel tipo più gli stava antipatico, e più l’agitazione cresceva – Cosa vuoi dire?
- Dico solo che se mio padre ha ragione, e a questo punto credo proprio che ce l’abbia, se tu avessi saputo dei trascorsi di Katherine non avresti mai accettato di restare. Al contrario, avresti portato via Katherine di peso, e a quest’ora saresti sul tuo sottomarino a migliaia di miglia da qui.
- Oh, e perché mai? – chiese Law, per una volta costretto a sforzarsi pur di mantenere il suo tono strafottente – Per proteggere Katherine, magari? Cos’è, in realtà su questa nave praticate il cannibalismo o qualcosa di simile?
Marco scoppiò a ridere – Per proteggere Katherine? Scherzi? Allora ho ragione, tu non hai capito davvero nulla di come stanno le cose! – La Fenice smise di ridere – No, saresti fuggito per proteggere te stesso.
- Me stesso?! – Ora fu il turno di Law di scoppiare a ridere – Credi che Katherine stia pensando di uccidermi?! Non lo farebbe mai, anche ammesso che ne sia in grado.
- Ci sono cose peggiori della morte, Trafalgar Law – rivelò Marco – Ed è una cosa che imparerai presto, se continui a starle vicino come hai fatto finora. Se sei furbo invece cercherai di togliertela dalla testa, anche se a questo punto dubito che sia una cosa fattibile. Mia sorella ha sempre avuto un modo tutto suo di essere crudele.
Law lo guardò senza capire. Cosa intendeva dire con quelle parole? Stava per chiederglielo, ma venne interrotto da un boato di voci che avevano iniziato entusiaste a gridare tutte lo stesso nome.
- ACE! SEI TORNATO! – urlavano tutti, sbracciandosi dalla balaustra della nave. Anche dalla mensa cominciarono ad uscire i comandanti, ma Law non vide Kate in mezzo a loro.
- Ciao ragazzi! – rispose una voce profonda e allegra – Allora, chi mi dice cos’è successo? Thatch sta bene, vero?
- Si, sta bene. – gli rispose Marco, avvicinandosi al nuovo arrivato con un sorriso sincero – Ora dorme, ma se la caverà. È stato molto fortunato.
Ace lanciò un’esclamazione di sollievo e abbracciò Marco, che lo strinse appena e gli dette un paio di pacche sulla schiena.
Così è questo il famoso Ace. Law lo studiò con attenzione. Il tipo in questione era un ragazzo alto che sembrava avere poco meno di vent’anni, lievemente tarchiato e piuttosto muscoloso, che se ne andava in giro sfacciatamente a petto nudo e con in testa un ridicolo cappello arancione con delle perle rosse sulla tesa. Il volto, dai tratti spigolosi e marcati, era tempestato dalle lentiggini, e i folti capelli neri gli cadevano selvaggi ai lati del viso.
A Law bastò un’occhiata per decidere che quel tipo gli stava terribilmente antipatico: sembrava essere così allegro, così espansivo, così fastidiosamente esuberante … insomma, aveva l’aria di essere il tipo più irritante di tutti gli oceani.
- Ma allora qualcuno mi dice cos’è successo? Alla fine lo avete trovato un medico? – stava chiedendo ora Ace, mentre tutti gli si avvicinavano per salutarlo.
A quella domanda quasi tutti sussultarono e cominciarono a fissare con insistenza le assi del ponte, evitando accuratamente lo sguardo del ragazzo. Marco si portò la mano alla nuca, chiaramente in difficoltà – Be’, non è che non l’abbiamo proprio trovato…
- No, non l’abbiamo trovato. – intervenne sarcastico Teach – In compenso però la Mocciosa Malefica s’è degnata di tornare per ricucirlo come un patchwork. Suppongo che il titolo di “medico” si possa ragionevolmente considerare sprecato per quella piccola strega…
Ace lo fissò leggermente confuso, come se non avesse inteso bene quello che aveva detto – Che cosa? Chi è che è tor-…?
Ace non riuscì a finire la frase. Un’ombra piccola e scura sfrecciò tra i due pirati come una saetta, e un thud molto forte vibrò nell’aria… e un attimo dopo Teach era finito di sedere sul pavimento, intento a massaggiarsi con aria dolente un punto della testa dove era spuntato un bernoccolo grosso come un’arancia.
- Stupido, vecchio grassone… - borbottò Katherine sdegnata, sovrastando l’uomo con il pugno ancora alzato, e dando le spalle ad Ace – …modera i termini quando parli della sottoscritta, o la prossima volta ti farò sputare a suon di pugni quei quattro denti che ti sono rimasti in bocca!
Ace trattenne il fiato, incredulo. Quella fisionomia… quel tono di voce… quelle parole minacciose…
Ace aprì la bocca per chiamarla… ma prima di poter dare voce a quello che voleva dire si sentì colpire con forza alle caviglie, e pendendo la presa sul pavimento ruzzolò a pancia in giù per terra con un tonfo. Fece per raddrizzarsi… ma si sentì afferrare per un polso e storcere il braccio, e qualcosa cominciò a pesargli sulla schiena, bloccandolo a terra. Uno strano baluginio entrò nel suo campo visivo, accecandolo per un istante.

Un bisturi.

- E così ci ritroviamo in questa posizione per l’ennesima volta. – ridacchiò Katherine seduta sulla sua schiena – Si può sapere perché finiamo sempre così?
Ace si divincolò per poter girare la testa… e riuscì finalmente a vederla.
Era ancora più bella di quanto ricordasse, pensò confuso. I suoi ricordi non le rendevano giustizia, si rese conto, sebbene avesse trascorso gli ultimi tre anni a pensarla quasi fino a sfiorare l’ossessione, nel terrore che i tratti del suo volto e il particolare verde dei suoi occhi potessero sfuggire alla sua memoria, come acqua tra le mani.
Ma il sorriso pestifero e malizioso era proprio come lo ricordava. E anche la sensazione, la stessa che aveva avuto sin dal primo giorno, che da fuori sembrava una bambolina di porcellana, ma dentro era d’acciaio, non era scomparsa.  
- Io aspetto, Portgas. – lo richiamò Kate scuotendolo appena, e Ace si risvegliò dalla trance in cui la sua vista lo aveva gettato, ricambiando il sorriso con altrettanta malizia, incapace di nascondere la felicità che stava provando.
- Dimmelo tu, Katie. Forse perché a te piace stare sopra?
Kate si portò una mano alla bocca, fingendo di offendersi – Portgas D. Ace! Come osi fare simili insinuazioni di bassa lega su di me?!
Ace allargò il sorriso senza rispondere, e con un movimento deciso e ben studiato se la scrollò di dosso. La ragazza rotolò via e Ace si affrettò a rimettersi in piedi e a sguainare il pugnale che portava alla cintura, subito imitato anche dal giovane medico, che sollevò esaltata il bisturi che aveva ancora in mano.
- Così alla fine sei tornata. – constatò Ace mentre iniziava a muoversi in circolo, come un predatore che studia la preda, e si metteva in guardia per non lasciare punti scoperti. Kate lo imitò con altrettanta abilità, e Ace fischiò ammirato – E hai anche fatto i compiti a casa! Sarai fiera di te stessa! Non so perché, ma ho la sensazione che batterti non sarà facile come lo era tre anni fa…
- Ma quando mai! Tu non mi hai mai battuto, scaldino!
- Certo che no, tu giocavi sporco!
- Be’, adesso non ne avrò più bisogno! – dichiarò Kate, per poi lanciarsi verso di lui con il coltello sollevato.
Ace scartò per evitarla e sollevò a propria volta il coltello per colpirla, ma la lama cozzò contro quella della ragazza. Ace roteò rapido su sé stesso per allontanare il braccio di Kate e darsi slancio, e attaccò di nuovo… ma la ragazza si mosse rapida come una freccia e gli afferrò con forza il polso della mano armata torcendoglielo, e Ace lasciò cadere il coltello con una smorfia di fastidio misto a divertimento mentre la ragazza gli puntava il bisturi alla gola – Mi arrendo, mi arrendo…
- Non ti sei impegnato minimamente! – sbuffò delusa Kate, abbassando la mano – Non è stato affatto divertente…
- Vuoi divertirti? Ti accontento subito! – esclamò Ace con un sorriso malefico. A quella vista Kate trasalì e cercò di indietreggiare, ma stavolta fu Ace ad essere più veloce: le afferrò il polso proprio come aveva fatto lei qualche istante prima, e la disarmò con la stessa facilità con cui lei aveva prima disarmato lui. Kate lanciò un verso oltraggiato, e intuendo cosa voleva fare il ragazzo tentò di sfuggirgli, ma Ace l’afferrò prontamente per i fianchi e la attirò a sé, premendo con impazienza le labbra sulle sue.
Ace la sentì trasalire contro di lui, e udì anche con la coda nell’occhio risatine maliziose percorrere le fila dei pirati di Barbabianca. Non se ne curò, in quel momento esistevano solo loro due. Ace assaporò delicatamente con la lingua il sapore familiare di limone e mela della sua bocca avvertendo brividi percorrergli tutto il corpo, e nel sentirla tremare allo stesso modo tra le sue braccia la avvolse in un abbraccio per sorreggerla. La sente respirare contro di sé, un gemito fra un bacio e l’altro, e incapace di resistere le fece scivolare le mani lungo la schiena… e Kate gli posò le mani sul petto per allontanarlo, ma Ace si tirò indietro prima di darle la possibilità di respingerlo. Mollò anche la presa sui fianchi, ma non volle lasciarle la mano.
La ragazza ansimò per riprendere fiato, e rabbrividì ulteriormente nel sentire il calore del ragazzo propagarsi lungo tutto il braccio – Non vale… ora sei tu che giochi sporco…
Ace le sorrise di nuovo – Com’è che dicevi tu? Mi prendo gioco di te solo perché a te piace essere giocata…?
A quelle parole Kate spalancò gli occhi e scoppiò a ridere – Che bastardo… usare una frase che ti ho detto tre anni fa solo per baciarmi…
- Già, la prima che ti ho baciato ho dovuto fare di peggio. – le ricordò Ace allargando il sorriso.
A quel ricordo Kate rise ancora più forte e lo abbracciò, alzandosi in punta di piedi per arrivare a circondargli il collo e le spalle – Mi sei mancato, fiammifero.
Ace lasciò andare l’aria che aveva trattenuto inconsapevolmente nei polmoni e la strinse con foga a sé, affondando il viso nei suoi capelli e respirando il suo profumo – Anche tu. Non sai quanto.
I due ragazzi rimasero stretti l’uno l’altra per diversi istanti, completamente dimentichi del mondo circostante, completamente presi l’uno dall’altra. Anche gli altri li stavano fissando, sorridendo coinvolti da quella scena…
Tutti, tranne uno. Quando Ace aveva baciato Katherine, Law aveva sgranato gli occhi così tanto da rischiare quasi di farseli cadere dalle orbite, tanto era stato lo shock. Ma aveva fatto presto a riprendersi dalla sorpresa, e ora li stava fissando con espressione che si faceva man mano più gelida, terrificante e omicida, i pugni e la mandibola che si serravano sempre di più. Faceva male, molto male, ma lui se ne accorse a malapena, divorato com’era dalla rabbia.
All’improvviso tutto era chiaro. Law ripensò a quando due giorni prima Kate aveva invocato quel ragazzo nel sonno, in preda ad un sentimento che in quel momento Law non aveva riconosciuto, ma che ora sapeva essere nostalgia, una nostalgia inconscia ma inesorabile… non aveva voluto vedere, la sua mente non aveva neanche preso in considerazione quell’eventualità, che adesso invece gli balzava davanti con la prepotenza e l’ineluttabile chiarezza di un lampo che si abbatteva ai suoi piedi.

Katherine... Kate! Tra le braccia di un uomo. Tra le braccia di un altro.

Gli si ottenebrò la vista. Sentì una strana sete asciugargli la gola, una sete bollente e quasi dolorosa, che neanche cento bicchieri d’acqua avrebbero potuto saziare...
Perché solo il sangue di Portgas D. Ace avrebbe potuto placarla.
Dovette ricorrere a tutto l’autocontrollo che possedeva per non sguainare la spada e farlo a pezzi come avrebbe tanto voluto fare. Serrò i pugni ancora di più – avvertendo il calore viscido del proprio sangue scorrergli tra le dita – e si allontanò in silenzio per evitare di fare una strage.
Non era stupido, Law. Aveva problemi a gestire i sentimenti, è vero, ma sapeva riconoscere la gelosia quando la vedeva o la sentiva. Una vocina flebile nella sua testa – probabilmente la sua razionalità - gli stava chiedendo già da un po’ per quale motivo si sentiva così, visto che lui e Katherine erano solo amici, ma Law, probabilmente per la prima volta in ventiquattro anni, non l’ascoltò neanche per un istante.
Non gli importava sapere perché si sentiva così, l’unica cosa che lo preoccupava era cosa lo faceva sentire così. E gli premeva assicurarsi che una cosa simile non si verificasse mai più.
 


Angolo autrice:
Ciao ragazzi! :D
Lo so, sono in ritardo, mi dispiace tanto! Purtroppo ho avuto l'ennesimo blocco dello scrittore che mi ha tenuta bloccata per diversi giorni, e il caldo che ci ha afflitto non è stato per niente d'aiuto... ma alla fine ce l'ho fatta, non mi sembra vero! :D
Allora, finalmente Ace ha fatto la sua entrata in scena (non ci speravate più, eh? XD), e con lui finalmente i giochi possono avere inizio! Non vi spoilero niente, ma sappiate ci sarà parecchia azione d'ora in poi!
Ci vediamo alla prossima!
Baci e abbracci! <3
Tessie

 
   
 
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