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Autore: tixit    19/08/2017    5 recensioni
Una ragazzina torna a casa e cerca di adeguarsi alla vita in famiglia.
Breve storia minore su personaggi minori che non è diventata originale.
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorelle Jarjeyes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sigyn la rossa'
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Il Generale Augustin di Jarjayes era seduto alla sua scrivania. Le spalle larghe erano ben erette, i palmi della mani appoggiati sul legno dello scrittoio ed il volto impassibile.
Sigyn pensò che sembrava la statua di un leone a guardia del tempio di un dio barbaro della guerra: maestoso, elegante e pericoloso.
Il parrucchino immacolato e rigonfio sembrava una criniera - un leone venuto da un mondo gelido, e, indubbiamente, molto ordinato.
 
Gli occhi chiari - di ghiaccio - si piantarono in quelli della ragazzina e lei si sentì improvvisamente più piccola di almeno quattro pollici. Il leone, a quanto pareva, non era di buon umore.

“Tua sorella Joséphine mi ha fornito un quadro abbastanza completo della situazione, c’è qualcosa che desideri puntualizzare?” Le parole schioccarono per lo Studio.

Sigyn si irrigidì: anzitutto perché non capitava tutti i giorni di essere a pochi passi da un leone - non ci era più abituata.
Poi per via del ”tu” al posto del “Voi” che non sapeva interpretare.
Infine quello che la lasciava perplessa era che non aveva la minima idea di cosa potesse aver raccontato sua sorella: come poteva fare delle obiezioni a qualcosa che ignorava?
D’altro canto se non avesse obiettato nulla avrebbe avallato implicitamente qualunque cosa Joséphine si fosse inventata. 

Si guardò intorno cercando inutilmente una risposta: questo era un indovinello senza soluzione e nell'angolo c'era il frustino del Generale e pure la sua canna - vero bambù. A disagio trascinò i piedi sul tappeto, non sapendo che fare.

C'era anche un terzo problema, che al momento era secondario, ma non irrilevante nel lungo periodo: lei era stata esposta alla compagnia di Joséphine fin da bambina ed era sopravvissuta, il che alla luce degli ultimi avvenimenti, aveva dell’incredibile. Ma se le intenzioni di quella pazza erano, per il futuro, di spifferare al Generale le sue personalissime interpretazioni di ogni fatto che la riguardava, lei, Sigyn, non sarebbe sopravvissuta molto a lungo lì a Palazzo Jarjayes, prima della follia o di un omicidio. Amleto ne era la prova vivente, se solo fosse esistito davvero.

L’uomo sfiorò con la punta delle dita la lettera color avorio e fissò a lungo quella grafia aguzza che conosceva benissimo. Poi sospirò e la gettò in un cassetto con un gesto stizzito - il tempo era scaduto. “Forse dovrei leggere tutti i dettagli, ma non ho tempo. Quando un ufficiale viene trasferito improvvisamente dal suo reggimento è per fellonia, pigrizia, gioco d’azzardo, comportamento ribelle o oltraggioso, debiti, uno scandalo... la lista può essere molto lunga, ma alla fine i dettagli non sono rilevanti: il succo è che l’elemento in questione non è accettabile per chi lo deve comandare e non è bene inserito. Gli viene data quindi una seconda chance. Altrove.” Sottolineò l’ultima parola con voce secca.

Sigyn spalancò gli occhi, ma tacque.

“Personalmente non credo molto a questa magia della seconda possibilità! Per raddrizzare una pianta storta serve duro lavoro e disciplina, ma so che la vita è intessuta di responsabilità e la mia, in questo momento, è di accoglierti.”

“Non volete leggere…” Sigyn strinse la mani dietro la schiena - lei doveva, doveva sapere!

“Credevo di essere stato chiaro: adesso non mi interessa.” la voce del Generale risuonò per lo studio e Sigyn sobbalzò. Si chiese se quello era il ruggito del leone prima di abbattersi sulla sua preda.
Il Generale, chiaramente esasperato, proseguì con un tono di voce forzatamente più pacato, “Qualunque cosa sia successa è solo il frutto di un lento processo che ad un certo punto è giunto al suo compimento, un misero dettaglio, mentre quello che conta è il quadro generale. Ora che mio fratello non c’è, non sei gestibile da un uomo anziano ed irragionevole, e, probabilmente, sei incapace di soddisfare delle aspettative che io non conosco e che non mi interessano.”

Sigyn arrossì ed abbassò lo sguardo. Il Generale non la stava picchiando, ma lei lo avrebbe preferito, e, detto questo, aveva detto tutto.

La voce dell’uomo si ammorbidì, “Non pretendo che tu capisca,” disse, “sei troppo piccola e troppo semplice e non intendo fartene una colpa. Leggerò tra qualche tempo, e farò le mie valutazioni, ma ora non voglio partire con dei pregiudizi. Questa è la tua seconda chance, cerca di non sprecarla.”

Sigyn annuì.

“Troppo tempo libero alla tua età non va bene, per cui per ora, tentando di interpretare correttamente le intenzioni di…” l’uomo abbassò la sguardo mentre la bocca prendeva una piega amara “di Madame Marguerite, tua madre, ti terrai occupata assistendo alle lezioni di Oscar.”

Il Generale sollevò le mani ad arco, con le punta delle dita che si toccavano “Cerca di non rallentare il suo studio, perché è molto importante: sta costruendo il suo futuro...” disse con voce seria, cercando di essere il più possibile paziente “Sei ovviamente dispensata dall’esercizio fisico e dalla scherma. Il guardacaccia mi aveva accennato, una volta, che avresti un’ottima mira per cui potresti partecipare alle esercitazioni di tiro, dato che ad Oscar farebbe comodo uno stimolo: André è in gamba e conosce il suo posto, ma in questo è meno dotato. E vedersi battere da una femmina, beh, darà sicuramente una sferzata all’orgoglio di Oscar...“

La fissò cercando di capire se lei lo stava seguendo e Sigyn annuì - qualunque cosa purché quella follia finisse. Avrebbe passato il resto dei suoi giorni a sparare ad una zucca assieme al guardacaccia che masticava tabacco con la saliva nera che gli colava tra i denti mancanti, già per le gengive. Qualche volta per fortuna sputava - il che era una ben misera consolazione. 
Quanto a sua sorella, se ne sarebbe stata lì, irritata perché lei era solo una femmina e quindi un essere inferiore e di sicuro si sarebbe messa in mente di poterla comandare per ripicca. Posizione per cui a quanto pare c’era la fila.

“Studierai con il Precettore. Se riesci a seguire il ritmo di Oscar, bene, se non sei in grado, troveremo qualcosa da farti fare - deciderà Joséphine, io non ho la minima idea. Nessuno pretende niente di spettacolare da te, solo che tu non faccia perdere tempo prezioso alle persone. Cerca di non monopolizzare il Precettore nel tentativo di colmare le lacune tra la tua istruzione e quella di Oscar: sarebbe inutile.”

“Farò del mio meglio.” disse Sigyn con voce piccola piccola.

“Mi sembra il minimo.” ribatté l’uomo seccamente. 

Rimasero lì senza niente da dirsi e l’uomo la congedò con un gesto brusco.

Uscita dalla studio, salì su una sedia, incurante della tappezzeria - non gliene importava proprio! venisse Nonnina a dirle qualcosa! - e si osservò nello specchio sulla mensola del camino. 
E così era andato tutto storto. Era stata così sicura che avrebbe finalmente potuto chiedere scusa per qualcosa di concreto - come aveva detto  Alo? - Espiazione. E invece… nulla. 

L’esilio era stato ratificato. 
La sua nuova vita pianificata con poche parole - stai con Oscar, non disturbarla, se puoi studia, se non puoi non ce ne importa un fico secco, basta che non dai fastidio, sai fare solo una cosa che potrebbe esserci utile, che poi sarebbe sparare ad un bersaglio così bene da esasperare Oscar al punto da spingerla a fare meglio di te, per il resto ci penserà Joséphine perché qui nessuno sa che diavolo farsene di una Sigyn.  E non sprecar tempo a rispondere perché lo sappiamo tutti che sei semplice.
Bell’affare.

Neanche una parola su tutto un legame fatto di affetto e di rispetto che veniva messo in discussione - perché se il Generale aveva ragione, non era qualcosa di specifico che aveva fatto, ma quello che lei era ad averla messa in quel guaio. Lei era un fallimento perfino per il Nonno. Ci aveva messo anni per accettarlo ed ora aveva ceduto le armi, rispedendola da dove era arrivata - in fondo non era stato lui a portarla lì, fino al mare, ma lo zio Jean-Claude.
Si sentì come un cane abbandonato dal suo padrone.  

Aveva sempre pensato che l’espressione “sentirsi stringere il cuore” fosse una espressione convenzionale, come il pié veloce Achille, ma in quel momento le parve come se qualcuno, il suo cuoricino, glielo stesse tenendo tra le mani, trattandolo davvero molto male.

Cercò di ricacciare indietro le lacrime, alzò il nasino in aria e si sfilò la cuffietta. Cominciamo con le cose semplici, pensò ricordando gli insegnamenti dell'Asciutta. Guardò con occhio critico i suoi riccioli rossi e la treccia: l’avrebbe disfatta e avrebbe sistemato i capelli al modo della defunta Madame de Pompadour. Più o meno.

I capelli rossi erano sciolti sulle spalle, in onde morbide e riccioli ribelli e lei cominciò ad annodarli.

Non si accorse che il Generale la stava fissando dalla porta ancora aperta.

L’uomo si avvicinò e i loro sguardi si incrociarono nello specchio.
Sigyn si voltò di scatto “Stavo solo…” disse imbarazzata.
Il Generale le porse la mano per aiutarla a scendere - un gesto cortese e Sigyn gliene fu grata, in fondo non l’aveva punita e avrebbe potuto: i primi tempi che Mère se ne era andata, le bacchettate erano fioccate, come se loro fossero state dalle trottole da tenere in movimento a colpi di frustino. La ragazzina abbozzò un sorriso.

L'uomo si schiarì la voce “Non è colpa tua,” tuonò imbarazzato stringendole il polso senza accorgersene “è colpa di chi ha voluto che tu avessi un destino diverso da quello che ti spettava…” 

Sigyn si irrigidì e lo guardò con orrore, un destino diverso? Nel senso che sarebbe stato meglio se fosse morta alla nascita come avevano pensato tutti? Ma non lo disse - le sembrò una cosa troppo grossa per essere discussa proprio tra di loro che non parlavano mai di niente.

I due si fissarono, poi l’uomo notò la moneta che la ragazzina portava al polso e di colpo mollò la presa. Sigyn si inchinò e scappò via in fretta per le scale.

Dopo poco il Generale si diresse stancamente verso le stalle. Aveva il volto contratto.
 

“L’ho presa.” disse Oscar con voce trionfante.

André la guardò sorpreso “Cosa?” chiese con educazione, mentre stava lucidando la spada.

“La lettera! Dalle mensole del cornicione si può entrare nello Studio, lo sai no?”

“Potevi farti male” disse André irritato, passandole la mano tra i capelli in una specie di ruvida carezza. 

“Ma non è successo.”

“Devi aspettare che succeda per capire che è pericoloso?” la voce del ragazzo era gentile e con le dita le ravviò i capelli dietro le orecchie, “Non puoi pensare prima di agire, qualche volta?”

“Era una cosa importante, André, volevo sapere cosa era capitato a Sigyn e così ho ascoltato tutto.”

“Ma cosa ti importa cosa è successo?” chiese il ragazzo con un sospiro, passandosi una mano tra i capelli scuri. “Quando te lo vorrà dire, te lo dirà… che cambia? Intanto è tornata, no? Non ti  basta?”

“Dorme sempre, non gioca mai, durante il viaggio ha pianto: aveva gli occhi rossi e gonfi e la polvere non c’entrava un bel niente! Ho pensato che magari, senza volere, avesse cucinato qualcosa di strano ed avvelenato qualcuno.”

André spalancò gli occhi verdi e trattenne una risata. “Cosa hai scoperto?”

“Che non lo sa nessuno! Il Nonno ha spiegato tutto in una lettera e Sigyn l’ha consegnata al Generale che però non l’ha letta, perché le sta dando una seconda possibilità.”

“E’ un’ottima cosa, no?”

“No, perché poi la leggerà e prenderà una decisione su cosa fare con Sigyn.”

“Non è che c’è molto da fare, mi pare.” disse in tono critico André, scrollando le spalle. Il Generale con quel suo frustino sapeva andarci pesante, però in casa c’era olio in quantità per evitare le vesciche e Sigyn lo sapeva benissimo. Anche un pochino d’oppio.
E forse era giusto che anche lei non avesse più la Normandia: Oscar, la sua peste, la possibilità di scapparsene via per un po’, non ce l’aveva. Non era giusto verso Oscar.

“Ha parlato di altrove, sai cosa vuol dire vero?” Oscar lo guardò irritata, spalancando gli occhi azzurro zaffiro.

André scosse la testa.

“Dove vanno a finire le femmine? Non te lo sei mai chiesto André?”

“Si sposano?” chiese il ragazzo incerto.

“Ma no! Sigyn? Ci mancherebbe pure questo!” Oscar lo guardò scandalizzata, “Sposarsi, ma che idea! Non è adatta. Non è nemmeno bionda, sai che dote dovrebbe sborsare il Generale solo per questo difetto?” 

“Dove finiscono, quindi?” André era molto paziente e non aveva nessuna intenzione di discutere delle abitudini dei Jarjayes concernenti i pacta dotalia, per quanto affascinanti fossero. E poi nei capelli di Sigyn non ci vedeva proprio nulla di male. Si certo, non era un colore che si vedeva a Corte: chi era così sfortunata e ci teneva a non apparire fuori moda, li ricopriva subito di cipria o li tingeva, ma, per i suoi gusti, quelli di Sigyn non erano niente male - e poi lui veniva da una famiglia di campagna, e le spose al suo paese, per quanto si ricordava, le si giudicavano con altri parametri, tipo la robustezza, la buona salute… c’erano orti da zappare ed essere biondi non rendeva il compito meno faticoso.

“In convento! Probabilmente a Malta.”

“Malta?”

“Ci sono tanti conventi a Malta: il monastero di Santa Caterina, quello di Santa Scolastica, quello di Sant’Orsola, quello di Santa Agostina, Nostra Signora di Mellihea, Nostra Signora del Monte Carmelo…”

“Ho capito, ho capito, non mi serve l’elenco completo…” André le sorrise.

“E’ un’isola piccola, ho letto che c’è un punto da cui la si vede tutta, a che servono tutti questi conventi su un’isola così piccola?”

“I Maltesi saranno dei gran peccatori,” ribatté André con voce svagata “e servirà molta gente che preghi per  le loro anime…”

“No! E’ un’isola in mezzo al mare da cui non si può fuggire, è il posto perfetto dove mettere le femmine, quando c’è bisogno di mandarle altrove. E il Generale ha sottolineato proprio questa parola: altrove.”

“Se tuo padre sta minacciando l’altrove, io non lo esaspererei, anzi lo lascerei molto tranquillo…” André cercò di essere ragionevole, “Rubare una lettera di tuo padre, Oscar, ti pare il caso?” il ragazzo cominciò ad innervosirsi, “Così passi il segno, non è come fare un dispetto al Precettore o andarcene in giro di nascosto… Rimettila subito dove l’hai trovata!”  

“Prima voglio sapere cosa c’è scritto!”

“Sarà sicuramente sigillata, Oscar, non la puoi leggere e lo sai.“ la voce si era fatta improvvisamente severa. ”Lascia perdere.”

“La devo esaminare, prima, per ora l’ho nascosta.” Oscar quando ci si metteva era davvero testarda.

“Santi Numi! Se la trovano passerai tanti di quei guai, altro che Malta!”

“Tranquillo, l’ho nascosta in camera tua. Nessuno la cercherà lì!”

André strabuzzò gli occhi e si sentì mancare il respiro. Il concetto di quanto avrebbe voluto comunicare gli era molto chiaro, ma le parole non erano sufficienti o lo erano fin troppo - la fissò paonazzo, boccheggiando.

Oscar rise divertita “Dovresti vederti… sta sereno, stavo solo scherzando… andiamo su, che dobbiamo esercitarci con la spada, sei pronto?”
   
 
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