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Autore: emychan    16/06/2009    4 recensioni
Pairing:Rogan con qualche accenno a Magneto/Mistica! X-men 3 ci ha lasciati con una pace temporanea e una cura che ha privato molti personaggi dei loro poteri,ma cosa accade quando essa è solo temporanea?Come si vendicherà Magneto degli x-men?Mistica tornerà con lui?E Rogue come farà ad affrontare di nuovo la sua mutazione?Questo ed altro nella mia storia!
Genere: Romantico, Azione, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Erick Lensherr/Magneto, Raven Darkholme/Mistica, Anna Raven/Rogue, Logan/Wolverine
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note:Grazie a Cicciolgeiri, thembra e goku94 per i vostri commenti! Spero che la storia continui a piacervi e che continuerete a commentare e a guidarmi nel suo sviluppo!!


Note sul capitolo: Probabilmente alla fine i pensieri di Mistica vi sembreranno un po' confusi e contorti...il fatto è che non riesco a immaginarmela diversamente!:P


Tratto dal film X-men 3:

Raven?Raven ti ho fatto una domanda”

Non rispondo al mio nome da schiava”

Raven Darkholme,è questo il tuo vero nome giusto?Oppure lui ti ha convinta

che non hai più una famiglia?”

La mia famiglia ha tentato di uccidermi patetico ammasso di carne”




Cap.2: Raven.


La vita non era mai stata facile per lei. Ad onor del vero non era stata neppure difficile.

Non particolarmente.

Era nata in un quartiere come migliaia d'altri, da una famiglia di ceto medio che, pur non essendo ricca, poteva permettersi una vita serena.

Aveva vissuto in una villetta a due piani col giardino fiorito e la staccionata dipinta di bianco, in una cameretta tutta bambole e peluches, l'incarnazione del sogno americano insomma.

A dieci anni il suo unico problema era l'aspetto fisico, ma anche questo forse era normale.

Quante ragazzine esistevano al mondo che, come lei, erano bassine e goffe? Con l'apparecchio ai denti e dei grossi occhiali squadrati? Decine, migliaia?

Lei era una di loro.

Così a sei anni era stata soprannominata la racchia Raven o solo la cozza e il nomignolo l'aveva perseguitata per tutta l'educazione elementare ed oltre.

Alle medie aveva smesso di essere coraggiosa e aveva deciso che rinchiudersi in bagno a piangere invece di andare a lezione per sopportare le continue prese in giro, pur se poco dignitoso, era pur sempre liberante. Sicuramente preferibile.

Odiava la scuola, odiava i suoi compagni, odiava i suoi genitori che l'abbracciavano ripetendole che era carinissima così. 

Non era vero e lei lo sapeva.

Non aveva forse due occhi funzionanti come gli altri?

Non era forse in grado di capire da sola se era brutta?

E la verità incontestabile era questa... era orrenda.

Così piangeva nei bagni della scuola e piangeva in camera sua, davanti allo specchio impietoso che si rifiutava di rifletterla un po' più carina e pregava ogni giorno con tutte le sue forze che un miracolo la rendesse bella.

Voleva diventare come Jennifer, la ragazzina del primo banco con i lunghi riccioli rossi e le lentiggini, voleva essere Carol con i suoi splendidi occhi azzurri e nessun orrendo occhiale a nasconderli al mondo. Voleva crescere per avere il corpo della sua insegnante di matematica, voleva che tutti la notassero, che tutti la ritenessero bella, ma più di tutto, voleva potersi guardare allo specchio e piacersi per come era.

Ma sapeva che era impossibile.

Impossibile finché un giorno, in un attimo, non lo fu più.

Fu il giorno in cui Raven iniziò a sparire, il giorno in cui al suo posto Mistica prese forma.

Accadde come per magia, un istante teneva gli occhi serrati sperando di poter essere come Carol e l'istante dopo era davvero diventata Carol! Gli occhi azzurri, i lunghi capelli dorati, la pelle liscia color pesca, sembrava assurdo eppure era la realtà.

Confusa si portò una mano al volto, toccandosi con la paura che tutto fosse solo uno scherzo e la se stessa allo specchio compì lo stesso gesto, era vero!

Lei era Carol ed era bellissima, perfetta.

Ma l'illusione doveva svanire e lo fece in un doloroso formicolio che le attraversò tutto il corpo lasciandola priva di forze.

Lo specchio tornò a mostrarle Raven.

E le sembrava ancora più brutta quell'immagine dinanzi alla gioia di un attimo prima.

Forse le cose sarebbero state diverse se, in quell'istante, Raven avesse capito che l'aspetto non era poi così importante, se la paura fosse stata sufficiente a non provarci più, ma se così fosse stato Mistica non sarebbe mai esistita.

No, quella sera Raven si concentrò e, con lo specchio come suo testimone, riuscì a trasformarsi ancora e ancora, scoprendo di poter diventare chiunque volesse.

Poteva copiare i vestiti, le voci, ogni cosa, le bastava volerlo e il suo corpo le obbediva.

Lentamente il dolore delle trasformazioni svanì lasciando al suo posto solo un lieve formicolio, niente in confronto al grande dono che le era stato concesso.

Raven non esisteva più.

Raven poteva essere chiunque volesse.

La magia si interruppe coi passi di sua madre, la stava chiamando.

Raven si fermò impaurita, cosa avrebbe detto trovandola così?

Sentendola salire le scale, provò a tornare se stessa, per quanto non lo desiderasse affatto, ma quella che mostrava lo specchio non era più Raven.

Inorridita si ritrovò a guardare qualcosa che mai prima d'allora aveva visto.

La sua pelle si era fatta squamosa e blu, spessa come la corazza di un rettile. I suoi capelli neri erano diventati rossi e ispidi.

I suoi occhi erano gialli, come quelli di un gatto.

A nulla valsero i suoi tentativi di tornare alla sua forma originale, Raven ormai non esisteva più.

Presa dal panico finì col gridare a squarciagola, attirando entrambi i genitori nella sua stanza.

Quando videro com'era diventata, entrambi rimasero paralizzati sulla porta.

“Chi... cosa diavolo sei? Dov'è Raven? Raven?” gridò suo padre guardando impaurito nella stanza mentre sua madre la fissava con gli occhi sgranati dalla paura.

“Sono io.. non so cosa è successo, ma sono io” balbettò lei spaventata.

“Non dire sciocchezze, è impossibile...”

Il padre fece per avvicinarsi e Raven vedendolo infuriato non poté fare a meno di indietreggiare impaurita, ma la madre sapeva...

Con quell'istinto che appartiene solo alle donne le era bastato un attimo per riconoscere gli occhi di sua figlia “John...” sussurrò placando il marito e posandogli una mano sul polso ”Credo che dica la verità.”

E mentre guardava i suoi genitori litigare su chi lei fosse, mentre guardava i loro occhi riempirsi di paura e disgusto, Raven capì che il prezzo per avverare il suo desiderio era stata la sua vita, la sua famiglia.

Le ordinarono di non uscire dalla sua stanza, le dissero che presto il medico l'avrebbe visitata e tutto sarebbe andato a posto, ma la verità era che non era sicura di volere che le cose tornassero a posto.

Rimase per ore a fissarsi allo specchio, a fissare quel volto che per ogni persona normale sarebbe stato orribile, ma che a lei in fondo piaceva.

Sì, perché adesso, finalmente era speciale.

Adesso era unica.

Poco importava se agli altri non piaceva.

Piaceva a se stessa, non era sufficiente?

“Pare che i tuoi genitori non ti trovino più così carina, eh?” sorrise sprezzante al suo riflesso che in tutta risposta le sorrise a sua volta, complice di quello strano scherzo del destino.

Qualche ora dopo sentì l'arrivo del medico seccato perché obbligato ad una visita a domicilio, sperava almeno che si trattasse di una vera un'emergenza.

Suo padre lo rassicurò sulla gravità della situazione. Sua figlia, disse, era gravemente malata e tutto ciò che avrebbero discusso o visto doveva rimanere in quella casa o sarebbe stata una tragedia, il prezzo non importava.

Il medico lo rassicurò con qualche sciocchezza sul segreto professionale.

Quando la vide il suo volto impallidì, ma non disse nulla.

La visitò in tutta fretta con mani tremanti, come impaurito dalla possibilità di diventare come lei solo toccandola, Raven sorrise tutto il tempo della sua sciocca paura.

Infine, senza nemmeno rivolgerle la parola, uscì in tutta fretta seguito dai suoi genitori.

Rimasta sola, Raven scese dal letto e si avvicinò alla porta per origliare la loro conversazione.

“Non c'è molto che possa fare.”

“Cosa? Intende dire che resterà così? Per sempre?”

“John per favore, ti sentirà se alzi la voce.”

“Come se non vedesse da sola cosa è diventata!”

“John!”

“E' un mostro Jusy! Un mostro! E lui ci sta dicendo che non esiste cura!”

“Mi ascolti Sign. Darkholme, ciò che ha contagiato sua figlia è un fenomeno in larga diffusione negli ultimi anni. La chiamano mutazione e le cause sono ancora fortemente discusse. Per alcuni dipende dai geni, per altri è una semplice malattia, può arrivare in ogni istante e in forme diverse. Ci sono notizie di persone che controllano il metallo, di artigli che spuntano dalle mani o persone che possono entrare nelle nostre menti e controllarle. Certo, la condizione di sua figlia è molto... particolare, ma non si conosce ancora alcuna cura purtroppo.”

“Quindi avevo ragione, è irreversibile.”

Ci fu un attimo di silenzio, quasi come se tutti stessero trattenendo il fiato “Mi dispiace... “ sussurrò infine il medico, sigillando per sempre il destino di un'intera famiglia.

Da quel momento Raven divenne il segreto della famiglia Darkholme.

I suoi genitori la evitavano come la peste, tenendola chiusa nella sua stanza con la scusa della sua malattia.

Non poteva uscire, non poteva alzarsi, era pericoloso, poteva peggiorare.

'Non vuoi stare male, vero Raven?'

Rimasta sola col suo specchio, quel volto così strano lentamente divenne il suo unico punto di riferimento.

Lentamente la sua mente iniziò a sfaldarsi.

La tristezza, la solitudine, il senso di abbandono e tradimento, lasciarono il posto a rabbia e tormento.

Cosa importava se nessuno la voleva?

Cosa importava se nessuno la amava?

Bastava lei per sopravvivere.

Bastava lei per amarsi.

Gli umani erano tutti stupidi.

Superficiali.

Odiosi.

Lei era diversa, non apparteneva più a loro.

Lei era una mutante. Ed era bellissima.

'Lasciali perdere, non ti meritano, sono anche loro come gli altri. Bugiardi. Un giorno ti vendicherai di tutti.'

Strappò tutte le foto, tutti i ricordi della sua vita precedente, tutti i poster e i diari, tutti i quaderni e i libri. Ogni cosa che portasse lo stampo di Raven.

Il solo nome le faceva venire la nausea.

Raven era goffa.

Raven era brutta e stupida.

Raven era schiava della sua condizione umana, ma adesso era libera.

Raven era morta e defunta e non sarebbe mai tornata, mai.

Preferiva morire che tornare ad essere lei.

E, se Raven era morta, quelle persone che la odiavano e la tenevano prigioniera non erano più i suoi genitori, lei non aveva genitori, lei era venuta dal nulla e non aveva alcun padrone.

Le ci vollero mesi, forse anni, non ne era certa, per uscire dalla sua prigione, ma quando finalmente ebbe il coraggio di farlo, lo fece in grande stile.

Un giorno ne ebbe semplicemente abbastanza.

Non voleva più essere un segreto.

Non voleva più stare nascosta.

Voleva uscire e farsi vedere dalla gente.

Che provassero pure a dirle qualcosa, ci avrebbe pensato lei a farsi rispettare.

Era abituata a sentirsi criticare, ma stavolta non sarebbe finita in un bagno a piangere.

Avrebbe smesso anche di indossare vestiti, perché non mostrare al mondo la sua nuova pelle?

Fu con quei pensieri che decise di scendere in salotto.

Trovò suo padre seduto sul divano, con il volto nascosto tra le mani e una bottiglia vuota sul tavolo, l'odore d'alcol e di chiuso rendevano l'aria irrespirabile.

Lo guardò indecisa sul da farsi, attendendo che fosse lui il primo a muoversi, il primo a parlare.

Finalmente parve notarla anche se non la guardò “Cosa ci fai qui? Non ti avevamo detto di restare in camera tua?”

“Ho deciso di non tornarci più.”

“Cosa?” finalmente si degnò di guardarla.

“Mi hai capito benissimo, sono stufa di rimanere nascosta qui. Non sono malata e lo sai bene.”

In tutta risposta l'uomo scoppiò a ridere “E dove vorresti andare, fuori? Ti sei vista ultimamente?”

“Sì e non mi importa.”

“Non ti importa...” mormorò lui sovrappensiero per poi sospirare come sconfitto “Non ho voglia di discuterne ora, vai di sopra Raven.”

“Non chiamarmi così.”

“E' il tuo nome.”

“Non più. Raven è morta e io farò quello che mi pare.”

La bottiglia si schiantò poco lontano dalla sua testa, lasciando una macchia più scura sulla carta da parati, i cocci caddero a terra poco lontani dai suoi piedi.

“Nonostante il tuo aspetto sei ancora mia figlia e mi porterai rispetto come tale!Adesso va' di sopra!”

In tutta risposta Raven incrociò le braccia sul petto e rimase immobile, fissandolo in sfida “Altrimenti?” pronunciò con lentezza.

“Perché fai così? Non ti basta quello che ci hai fatto passare? Non ti bastano le domande dei vicini? Le bugie, le scuse? Tua madre piange ogni giorno, io non so più cosa fare, ogni giorno ci svegliamo con l'incubo che qualcuno ti veda, che qualcuno scopra cosa sei diventata!”

“E cosa sarei diventata?”

“Non farmelo dire, Raven.”

“Un mostro? E' questo che intendi?”

Non ci fu risposta e il silenzio valse più di ogni parola, se c'era una piccola parte di lei che ancora amava suo padre, morì in quell'istante.

“Ora basta” sibilò velenosa “Sono stanca di voi e della gente, sono stufa di vivere in funzione degli altri, di sentirmi dire che non vado bene. Questo è il mio aspetto che lo vogliate o no e sai una cosa?A me piaccio così! Andatevene tutti al diavolo!”

Uscì correndo dal salotto, salì in camera sua a prendere la borsa che aveva preparato per andarsene, ma vedere quei vestiti, quei soldi, tutta quella roba che non era sua, che non le apparteneva, la fece infuriare ancora di più.

La gettò contro il muro in preda alla collera.

Non avrebbe preso niente con sé.

Non aveva bisogno di loro e dei loro soldi.

Sarebbe vissuta con le sue sole forze.

Suo padre la trovò lì, in piedi in mezzo alla stanza, col corpo teso nell'ira.

“Che vuoi ancora?” gridò voltandosi in preda alla rabbia, ma si bloccò nel vederlo.

L'immagine che mai avrebbe scordato in tutta la sua vita.

L'immagine dell'ultimo tradimento.

Suo padre se ne stava in piedi con una pistola in mano e il volto rigato di lacrime “Cerca di capirmi” sussurrò con voce rotta “E' meglio che sia io a farlo, prima che qualcuno ti faccia di peggio”

La confessione di un pazzo, di un uomo che credeva di amarla e l'avrebbe uccisa per quell'assurdo sentimento.

Le sparò due volte, la prima mancò il colpo e la seconda il suo addome prese fuoco. Fu colpa sua, troppo goffa, troppo lenta, non riuscì a reagire in tempo, ad afferrare la lampada dal tavolino e a spaccargliela sulla testa prima che la colpisse.

L'uomo perse i sensi sul colpo rovinandole addosso.

Raven si tirò su ansimante, con gli occhi pieni di lacrime e un dolore terribile in tutto il corpo, il sangue usciva copioso, ma non si sarebbe arresa, non sarebbe morta lì.

Avrebbe dimostrato al mondo cosa poteva fare un mostro come lei.

Si trascinò fuori dalla stanza e giù per le scale, scivolò lungo la parete reggendosi su gambe tremanti fino alla porta.

'La prima volta che esco in chissà quanto tempo e guarda come sono ridotta' pensò tra sé e quasi le venne da ridere all'ironia del momento.

Si lasciò cadere nel vicolo dietro casa sua, tra i bidoni dell'immondizia, sperando che suo padre non venisse a cercarla, sperando che sua madre non tornasse ancora da lavoro, sperando che qualcuno la aiutasse...

Rifiutando di trasformarsi perché iniziare la sua nuova vita nella menzogna non avrebbe avuto senso, che importanza aveva uscire di prigione se poi ci si nascondeva lo stesso?

No, preferiva morire piuttosto.

E probabilmente sarebbe stato così se lui non fosse arrivato.

Il suo salvatore.

Il suo mentore.

I bidoni sembrarono muoversi da soli, spostandosi attorno a lei e creando un passaggio.

Raven li guardò con stupore.

“Ma guarda cos'ho trovato” un ragazzo dai corti capelli neri e gli intensi occhi azzurri la guardava con interesse “Sembra che qualcuno abbia abbandonato un gatto ferito. Ebbene, visto che non ti vogliono più, cosa ne pensi di venire con me?”

Fu così che Eric la prese con sé.

Curò le sue ferite e le insegnò a controllare il suo potere.

Le insegnò ad essere orgogliosa di ciò che era e la chiamò Mistica, perché tutti i mutanti hanno un nome e anche lei ne meritava uno.

Le insegnò a combattere e a difendersi, la tenne al suo fianco trattandola da pari, usandola per i suoi scopi, certo.

Lo sapeva bene, non era certo una stupida, ma non le era mai importato.

Perché Eric aveva bisogno di lei, la riteneva indispensabile, la riteneva unica e questo era più di quanto mai avesse desiderato per sé.

Ma ovviamente anche quella gioia era destinata a svanire.

Alla fine anche Eric l'aveva abbandonata, ormai non aveva più bisogno di lei.

E come dargli torto? Una mutante curata... cosa se ne faceva Magneto di una così tra le sue fila?

Eric voleva solo Mistica, non Raven e Mistica era morta con la cura.

Non sei più una di noi.

Le parole le rimbombarono nella mente risvegliandola dall'incubo che continuava a perseguitarla da mesi.

Raven si mise seduta con le mani tremanti e il cuore martellante nel petto.

Accese la luce e guardò nella stanza come per assicurarsi di essere davvero da sola.

Non faceva che sognare del passato da quando era tornata umana.

Non sei più una di noi.

Certo le cose erano diverse adesso.

O potevano esserlo... forse se avesse parlato con Eric per solo un paio di minuti.

Il fatto era che Mistica era stata forgiata da Magneto, era nata per lui, aveva combattuto e vissuto per lui e adesso non era più sicura di voler combattere se significava farlo da sola, ma Eric non l'aveva cercata perciò non voleva più nulla a che fare con lei.

E Mistica non poteva cercare Eric perché... perché lo odiava.

Mistica non conosceva la parola perdono, non sapeva come darlo, non era nella sua natura.

La sua natura era la vendetta.

Era la rabbia, la collera, l'orgoglio.

Non poteva chiedere ad Eric di riprenderla con sé, sarebbe stato come ammettere che le importava qualcosa di lui e non era vero.

Inoltre non poteva dimenticare il suo tradimento e fare finta di niente.

Avrebbe dovuto vendicarsi.

Non poteva rischiare di trovarselo davanti ed essere consumata dalla rabbia che, lo sapeva, albergava nel suo cuore, avrebbe finito con l'ucciderlo... e lei non voleva fare del male ad Eric.

Non sei più una di noi.

Quanta distanza c'era tra la rabbia e il dolore?

Non lo sapeva, non lo capiva.

Gli mancava Magneto eppure voleva che soffrisse.

Voleva proteggerlo dai suoi nemici eppure voleva vederlo distrutto.

Non sei più una di noi.

Raven fissò la mano ricoperta da lucida pelle squamosa... già le cose adesso sarebbero potute tornare come prima, ma il problema era che lei non otteneva mai nulla gratuitamente.

Un lieve formicolio e la pelle tornò 'normale', rise al pensiero.

Alla fine era di nuovo prigioniera, ma stavolta nessuno sarebbe accorso in suo aiuto.

Perché Mistica viveva per Magneto, ma adesso non gli serviva più.

Perché Mistica era troppo pericolosa, troppo selvaggia e indomabile per essere lasciata libera come prima.

Perché Mistica non sapeva come concedere il perdono ad Eric, perciò era meglio che restasse nell'oblio.



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