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Autore: Signorina Granger    21/08/2017    8 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
E’ passato così tanto tempo dalle Guerre che ormai Lord Voldemort e Tom Riddle sono nomi che si trovano solo negli archivi del Ministero, della Gazzetta del Profeta o nei libri della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Le distinzioni tra Purosangue e non sono finalmente cessate, ormai quelle famiglie che si davano tanta importanza per la purezza della loro stirpe non esistono quasi più nell’universo magico inglese.
I maghi hanno forse finalmente iniziato a guardare i Babbani con maggiore interesse, qualcuno ha persino pensato di unire scienza e magia, dando così vita alla Dollhouse, un’associazione segreta nascosta dietro ad una facciata di esperimenti, che seleziona giovani maghi e combinando le due forze ne resetta le menti: dimenticano chi sono, il loro nome, il loro passato. La loro personalità viene cancellata e reimpostata perché siano al completo servizio dell’associazione: sono solo bambole in mano a dei burattinai, addestrati e pronti ad eseguire qualsiasi ordine.
A qualunque prezzo.
- La storia prende ispirazione dalla serie “Dollhouse”
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 16: L’annullamento


 
“Che cosa diamine credi di fare? Toglimi immediatamente le mani di dosso.”
“Onestamente, non credo che tu sia più nella posizione di dirmi che cosa fare, Cecily.”
 
Joseph continuò a camminare con falcate lunghe e decise, attraversando un corridoio che tante volte aveva percorso mentre teneva una mano stretta intorno al braccio sottile di Cecily, costringendola a seguirlo e ignorando deliberatamente i suoi tentativi di divincolarsi e le sue proteste.
La donna contorse la mascella, ripiangendo di non avere la sua bacchetta a portata di mano… no, gli Auror avevano pensato bene di prendergliela e ovviamente senza magia non poteva fare proprio niente, tantomeno non trattandosi di qualcuno che aveva il doppio della sua forza fisica.
 
“Dove accidenti mi stai portando, Alpha?”
“A questo punto gradirei che tu mi chiamassi Joseph. E comunque, dovresti saperlo, no? Questa è casa tua.”
 
Il tono gelido dell’uomo e il fatto che continuasse a parlare senza guardarla o senza smettere di camminare non contribuì a renderla più tranquilla, chiedendosi che cosa volesse.
Le aveva chiesto, poco prima, se ci fosse un modo per far tornare gli Attivi alla loro impronta cerebrale originaria… e lei ovviamente si era rifiutata di rispondere, al che lui l’aveva presa e trascinata praticamente di peso al piano di sopra.
 
Certo, sapeva dove si trovavano… in quella parte della casa c’erano i laboratori.
 
“Non vorrai mica…”
“Entra.”
 
Joseph aprì una porta, costringendola a seguirlo nella stanza mentre gli occhi chiari e quasi sempre freddi di Cecily si posavano immediatamente su un lettino reclinabile decisamente familiare, collegato ad una macchina.
“Che cosa vuoi fare, annullarmi il cervello?”
“Forse, se non ti decidi a parlare. Siediti, avanti.”
 
Senza tante cerimonie l’ex Auror la spinse sul lettino, piazzandosi davanti a lei e continuando a scrutarla con odio, le braccia conserte e la mascella contratta.
 
“Allora, Cecily. So che c’è un modo, dimmelo.”
“Scordatelo. Non mi priverò della soddisfazione di sapere che quei ragazzi non torneranno mai com’erano prima, che non avranno indietro la loro vita. Devo ammetterlo, hai vinto tu, ma non mi toglierai anche questo.”
“Lo capisci che ci sarà un lungo processo, vero? Lo capisci che tutto quello che hai fatto negli ultimi dieci anni va pesantemente contro qualunque legge, anche morale? Fossi in te io accetterei, Cecily, forse un patteggiamento ti farà comodo, magari potremmo ridurre la tua pena… Ti consiglio di non continuare a provocarmi, perché ho la sensazione che la mia parola sarà determinante, da qui in avanti.”
 
Cecily non si mosse né parlò, limitandosi a ricambiare lo sguardo dell’uomo quasi con sfida mentre Joseph, sporgendosi verso di lei, le afferrava il volto con una mano:
 
“Te lo chiedo ancora. Come?”
“Non puoi costringermi a parlare, Alpha.”
“Oh, beh, tu sei un’esperta, dico bene? Negli ultimi anni non hai fatto altro che costringere dei ragazzi a fare ciò che volevi in cambio di esorbitanti somme di denaro… ma neanche tutto il tuo cervello e i tuoi soldi ti tireranno fuori da questa storia, Dottoressa. E non sai quanto sarà bello per me vederti precipitare.”
 
“Perché? Perché tutto questo? Eri in combutta con gli Auror, certo… ma perché?”
“Perché? Evidentemente c’è qualcosa su di me che ti sei fatta sfuggire, Cecily.
 
“Io so un sacco di cose su di te, Joseph Richardson. Conosco il tuo nome, so che ad Hogwarts eri un Serpeverde, so che sei stato un Auror, diplomato a pieni voti in Accademia, oltre al lavoro sul campo ti occupavi anche dei ragazzini, che tenero da parte tua… So che sei stato sposato, so che hai una figlia di quattro anni e che tua moglie è morta di parto. Le informazioni su di te non mi sono mai mancate, Joseph.”
“Davvero? Mi spiace deluderti, ma anche tu hai commesso un errore. Ti sei fatta sfuggire l’unica informazione che hai sempre avuto sotto al naso. Ti dice niente il nome Melanie? Melanie Richardson? Era una ragazzina a cui hai rovinato il cervello dieci anni fa, ma forse la brillante Dottoressa non rammenta i nomi di quelle incuranti marionette che ha usato e poi buttato via quando ha capito che non le sarebbero state utili.”
 
La presa della mano dell’uomo sul volto della donna si strinse, e Joseph non riuscì a trattenere un sorriso carico di soddisfazione nel cogliere lo stupore balenare, per una volta, sul volto della Dottoressa che tanto odiava essere colta impreparata.
 
“Era tua sorella…”
“Già. E se l’ho persa è stato merito tuo, Dottoressa. Sono tre anni che aspetto di poterti dare il ben servito e sbatterti in un aula del Wizengamot. E non sai con che soddisfazione mi godrò lo spettacolo…”
“E ora che cosa vuoi fare, Joseph? Mi vuoi sottoporre al trattamento per ripicca?”
 
Cecily inarcò un sopracciglio, continuando a parlare con quel tono supponente e l’espressione carica di sfida che Joseph aveva tanto imparato a conoscere e ad odiare nel corso degli ultimi anni. Ma non perse la calma, come sicuramente lei voleva, si limitò a sfoggiare un piccolo sorriso, sollevando le sopracciglia con teatralità:
 
“L’annullamento? Oh, no, per niente. Voglio che il tuo prezioso cervello rimanga intatto, voglio che tu non dimentichi mai gli ultimi anni, quello che hai fatto a tutti quei ragazzi e alle loro famiglie. Voglio che mai tu possa dimenticare la mia faccia, la persona che ha mandato a monte la tua preziosa messa in scena, a cui hai tanto lavorato. Ora non vuoi parlare? Lo farai. Io non sono un mostro come te, non rovino il cervello delle persone… ma farò personalmente in modo che questa macchina venga polverizzata, e allora, finalmente, il tuo giochetto finirà.”
 
*
 
Joseph Richardson mantenne la promessa fatta: pochi giorni dopo tutti gli Attivi della Dollhouse vennero trasferiti al San Mungo, tenuti sotto costante osservazione mentre i Medimaghi facevano esami su esami, cercando di capire come riportare il loro cervello allo stato originario.
Tutti i Guardiani e i collaboratori di Cecily DeWitt vennero interrogati a lungo dagli Auror nei giorni che seguirono, alcuni riuscirono a sfuggire alle accuse grazie alle parole dello stesso ex Auror: tutti i Guardiani della sua squadra più Charles LaFont.
 
Alla richiesta di riprendere il suo lavoro al Dipartimento Joseph accettò senza esitazioni, chiedendo in cambio al vecchio amico Richard solo una cosa: voleva vedere Cecily DeWitt affondare, insieme a tutti i clienti che aveva accumulato nel corso degli anni, i cui nomi vennero divulgati quando gli Auror misero le mani sul computer della donna.
Come aveva previsto, prima dell’inizio del processo le venne proposto di patteggiare… grazie al suo denaro la donna era riuscita a procurarsi degli ottimi avvocati e questi le consigliarono vivamente di accettare: infondo ormai la Dollhouse era finita, che cosa aveva da perdere?
 
Eppure, sembrava ancora restia a parlare.
 
 
“E’ testarda, ma forse insistendo cederà. Avete rintracciato le loro famiglie, intanto?”
“Sì… vuoi che procediamo con il ripristino della memoria? Meritano di ricordare dei loro figli.”
“Ovviamente… ma è meglio aspettare che gli Attivi abbiano i loro ricordi. Non vorrei che delle famiglie iniziassero a cercare strenuamente dei ragazzi che non le ricordano.”
 
*
 
“Posso vederlo?” Quando il medimago annui Isla fece lo stesso, aprendo lentamente la porta della stanza che era stata destinata a Foxtrot, Quebec ed Echo da quando erano stati trasferiti al San Mungo. Non c’erano stati ancora miglioramenti con gli esami e anche se odiava ammetterlo ne era quasi felice.
Almeno poteva godersi il suo Foxtrot ancora per un po’.
 
“Fox? Posso entrare?”
“Isla! Certo… è bello vederti.”
 
Un sorriso sincero increspò il bel volto del ragazzo, che la strinse in un abbraccio non appena gli fu abbastanza vicino. L’americana si sforzò di rispondere al sorriso, sedendo sul letto del ragazzo, di fronte a lui.
“Come stai?”
“Non lo so, continuano ad imbottigliarci di farmaci… e ho il braccio più perforato di quello di un drogato, ormai. Mi dici che cosa sta succedendo? Noi non ci capiamo più niente.”
“Lo so, mi dispiace… spero che presto le cose cambino, ma per ora dovete restare qui. Devono… assicurarsi che stiate bene.”
 
Isla abbassò lo sguardo, incapace di guardarlo in faccia senza dirgli la verità mentre la mano di Foxtrot, appoggiata sul materasso del letto, si avvicinava alla sua, sfiorandola.
 
“Io sto benissimo, e anche gli altri. Solo vorremmo sapere cosa sta succedendo.”
“Mi dispiace, vorrei parlartene, ma non posso dirti come molto. Forse presto ti sarà tutto più chiaro, se le cose andranno come devono andare.”
 
“Mi basta che tu continui a passare a salutarmi di tanto in tanto, passerotto. Un po’ mi manchi dopo aver passato due anni sempre insieme.”
 
Foxtrot sorrise, mettendole una mano sul viso e sporgendosi per baciarla. Tuttavia Isla si scostò, affrettandosi a scivolare dal lettino del ragazzo:
“Scusa, devo andare adesso. Echo e Quebec dovrebbero tornare presto, stanno facendo degli esami.”
 
Colse lo sguardo confuso del ragazzo ma non gli diede il tempo di parlare, girando sui tacchi e quasi scappando fuori dalla stanza.
 
*
 
E poi, alla fine, ci erano riusciti. Dopo che tutti i progetti, i macchinari e gli intrugli trovati nella Casa erano stati confiscati ed esaminati e nel caso dei primi due distrutti Cecily DeWitt aveva accettato di parlare faccia a faccia con Joseph Richardson, per la prima volta da quando il processo era iniziato.
 
L’Auror guardò la donna entrare nella stanza e si stupì nel trovarla diversa da come l’aveva sempre vista, i capelli non più così in ordine e senza i suoi costosi abiti addosso o un paio di Louboutin.
La guardò prendere posto di fronte a lui senza battere ciglio, aspettando che fosse lei la prima a parlare… ma Cecily non lo fece, forse non volle dargli quella soddisfazione perché si limitò a ricambiare il suo sguardo, osservando con gli enigmatici occhi grigio-azzurri.
 
“Dottoressa, ho sentito che volevi vedermi… Posso ancora chiamarti “Dottoressa”? Sei stata radiata dall’albo, se non sbaglio.”
“Sì, e lo sai benissimo, ma ciononostante per te rimango ancora Dottoressa.”
 
Il suo tono acido non lo scalfì minimamente, limitandosi a sorriderle con soddisfazione crescente.
“Come ti pare. Comunque… hai finalmente deciso di darmi ascolto e di patteggiare, Cecily? Perché penso che tu sia troppo intelligente per decidere di non farlo solo per mero orgoglio.”
 
Dopo un attimo di esitazione, quasi come se stesse prendendo definitivamente quella decisione, Cecily annuì, parlando con tono pacato:
“Hai ragione, probabilmente sono troppo intelligente. Ti dirò come fare Richardson, ma IO non posso e non farò niente.”
“Che cosa vuoi dire? Se è l’ennesimo giochetto…”
“Nessun giochetto, sono serissima. Posso dire come fare, ma io in prima persona non muoverò un dito… dovranno essere i loro Guardiani a farlo, a DECIDERE, se farlo o meno. Ricordi tutti quei contratti? Su una cosa hai sempre avuto ragione, non sono una sprovveduta… Gli Attivi sono affidati ai loro Guardiani in tutto e per tutto, saranno loro a farlo, non è niente di troppo complicato… devi solo far recuperare un paio di cose dalla Casa, sperando che non abbiate distrutto tutto il contenuto dei laboratori.”
 
Cecily sfoggiò un piccolo sorriso e Joseph contorse la mascella, sperando la stessa cosa.
“Bene. Firma qui, allora… e spiegami questa storia per filo e per segno, riferirò personalmente ai ragazzi quando li vedrò.”
 
*
 
Nicholas Bennet si chiuse la porta alle spalle, indirizzando un lieve sorriso alla ragazza bionda che era seduta su una delle quattro sedie inchiodate alla parete del corridoio.
“Ciao… Tu hai già “finito”?”
“Sì. Non ho esitato neanche per un momento, ma temo che lo stesso non si potrà dire di qualcun altro… Quanto a te, non ti ho mai visto sorridere così.”
 
Erin inclinò le labbra in un lieve sorriso mentre Nicholas annuì, avvicinandosi all’ex compagna di Casa e collega per sedersi accanto a lei, appoggiando il capo contro il muro:
“No, per me non è stato molto difficile. Certo, mi ero davvero affezionato a November… ma è giusto che riabbia indietro la sua vita. La pozione che abbiamo iniettato ridarà loro tutti i ricordi che sono stati resettati, l’ippocampo si aggiusterà. Ma Joseph ha detto che non perderanno i ricordi degli ultimi due anni.”
“Lo so, e ne sono felice… Quando ho avuto quella siringa tra le mani non ho avuto nessuna esitazione con Echo, ma non posso fare a meno di chiedermi… Tu la conoscevi forse meglio di chiunque. Pensi che le piacerò ancora?”
Nicholas sorrise, annuendo quasi intenerito dal tono vagamente preoccupato e malinconico della bionda:
 
“Sì, penso di sì. Sappiamo entrambi che sei molto di più di una bella faccia e due gambe lunghe che indossano abiti striminziti, Erin. Tuo padre è stato lasciato andare, spero.”
“Gli hanno fatto qualche domanda, nulla di più per fortuna… ora mi chiedo solo che cosa faremo. Tu, immagino, tornerai sulla strada da Auror, ma io non so proprio cosa farò.”
“Sono sicuro che troverai la tua strada Erin, come tutti noi. Ora spero solo di poter abbracciare presto mia sorella… Quanto tempo ci vorrà perché faccia effetto?”
“Un paio d’ore, credo. Quando si sveglieranno dovrebbero ricordarsi tutto… e anche la loro vecchia personalità dovrebbe ricostruirsi, progressivamente.”
 
Erin si strinse nelle spalle e Nicholas annuì mentre un’altra delle porte si apriva per poi richiudersi subito dopo, permettendo ad una Rose piuttosto allegra di avvicinarsi al duo.
“Ciao… avete già fatto?”
“Sì. Tu hai avuto problemi?”
“No, Seth era un bravo ragazzo, sono felice che stia per “tornare”. Isla mi preoccupa, però.”
 
“E anche Halon era parecchio scosso, stamattina. Oh, ciao Magnus.”
Un Hooland pimpante raggiunse il trio, mettendo un braccio sulle spalle di Rose per poi chinarsi e lasciarle un bacio sulla tempia, sorridendo:
“Non vedo l’ora di abbracciare Ginger! E Seth, ovviamente… e Julian.”
“Mi manca tantissimo.”
 
Rose annuì con un piccolo sorriso, pensando con affetto al suo vecchio amico, che ormai non “vedeva” da anni. Certo, tecnicamente non si erano mai persi di vista, se non per le prime settimane, ma non era stata certo la stessa cosa.
 
“Anche a me, come di certo a Nick mancherà sua sorella… Isla e Carter sono ancora dentro?”
“Già… immagino che per loro sia più difficile.”
 
*
 
Era immobile, seduta su una sedia accanto al lettino dove lo avevano sistemato, gli occhi scuri incapaci di staccarsi dal suo volto rilassato mentre teneva la siringa stretta in mano.
Non era difficile, doveva solo iniettargli quella pozione… perché era lì da dieci minuti senza riuscire a farlo?
 
Isla Robertson non era mai stata indecisa, o titubante. Isla Robertson sapeva sempre quello che voleva, se faceva qualcosa era perché ne era sicura, sempre.
Isla non indugiava, non aveva ripensamenti.
O almeno, questo prima di entrare nella Dollhouse, prima di diventare una Guardiana, prima di conoscere Foxtrot, prima di innamorarsi di lui.
               
“Io te l’avevo detto.”
La sua voce ruppe il silenzio tombale della stanza e, ne era consapevole, risuonò rotta e incrinata mentre continuava a ripetersi di non piangere.
“Te l’avevo detto, che non era una buona idea… sono la tua Guardiana, no? Perché ho deciso di darti ascolto quel giorno?”
 
L’americana sospirò, deglutendo a fatica mentre si sporgeva leggermente, sfiorando il volto del ragazzo profondamente addormentato con le dita.
 
“Lo so che è giusto così… Hai una famiglia che ti aspetta da tempo, anche se ancora non lo sa. Nessuno dovrebbe perdere la memoria, nessuno dovrebbe perdere la propria famiglia e la propria identità, ma mi rendi davvero difficile fare la cosa giusta questa volta.”
 
Lo conosceva da più di due anni… conosceva così bene quel ragazzo, il suo Fox pasticcione. Sapeva sempre cosa pensava anche solo guardandolo, e non solo grazie alle sue abilità di Legilimens. Sapeva che cosa faceva quando era nervoso o felice, conosceva la sua risata e sapeva persino che cosa gli piaceva mangiare.
 
Lo conosceva davvero bene, ma all’improvviso sentiva di avere davanti un estraneo. Perché, in fin dei conti, lei conosceva Foxtrot, non Cecil. Non aveva idea di chi fosse.
Sarebbe riuscita a guardarlo in faccia, guardare quello stesso sorriso, senza però riconoscerlo?
Sarebbe riuscita a guardarlo e a leggere i suoi pensieri? Forse non avrebbe retto rendendosi conto che lui, Cecil, non era minimamente attratto da lei.
 
“Non so chi tu sia… ma ti auguro buona vita, Cecil Krueger. Quanto a te, mio caro Fox… credo proprio che mi mancherai moltissimo.”
Isla si sporse, lasciando un lieve bacio sulle labbra del ragazzo mentre avvicinava la punta della siringa al collo di quello che, al suo risveglio, non sarebbe più stato Foxtrot bensì Cecil.
Gli iniettò quel maledetto intruglio con un gesto secco, deciso, certa che se avrebbe esitato avrebbe potuto non riuscire a farlo fino in fondo.
Poi si alzò, allontanandosi dal letto per raggiungere la porta chiusa e gettare la siringa vuota nel cestino. Si voltò solo una volta prima di uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle, lanciandogli un’ultima, fugace occhiata prima di andarsene.
 
*
 
“Ho sentito che stai avendo qualche remora.”
“Che cosa ci fa qui?”
Carter parlò senza nemmeno staccare gli occhi dal volto di Juliet, continuando a studiare quei bei lineamenti che lo avevano lasciato incantato fin dal primo momento. Quasi come se volesse imprimerli nella sua testa.
Non si voltò sentendo la familiare voce vagamente melliflua della Dottoressa, sentendo i suoi passi prima che la donna si avvicinasse al lettino, osservando la sua “creatura”.
“Beh, sono venuta a scambiare un paio di parole con uno dei miei ex dipendenti, non credo sia ancora classificabile come reato… mi hanno permesso di fare un giretto qui, controllare che tutti voi facciate il vostro dovere nel modo corretto. Sai, non sei costretto a farlo.”
 
“Lo so. Ma lo devo fare.”
Carter serrò la mascella, sibilando quelle parole a denti stretti e quasi con fatica, mentre il suo buon senso e la sua coscienza combattevano contro i suoi stessi sentimenti, razionalità contro emotività, testa contro cuore.
 
“Immagino che moralmente dovresti, sì… Ma sappiamo entrambi che sei innamorato di lei, no? Ti sei innamorato di un’Attiva Carter, e non una qualunque… la TUA. Te l’ho detto, non è stata una grande idea.”
“Crede che sia divertente per me questa situazione? No, non lo è affatto. Crede che abbia scelto, che sia felice? Forse se non mi fossi innamorato di lei sarebbe tutto molto più facile adesso.”
 
“Senza dubbio lo sarebbe, i tuoi colleghi sono tutti qui fuori, hanno già fatto… Ho incrociato Isla in effetti, è uscita dalla stanza di Foxtrot quasi di corsa, credo avesse gli occhi lucidi. Forse teneva al suo Attivo più di quanto non pensassimo, come te.”
 
Carter non rispose, continuando a rigirarsi la siringa tra le dita mentre Cecily si spostava, facendo il giro del lettino per poterlo guardare direttamente in faccia. Sentì i suoi penetranti occhi chiari studiarlo ma si sforzò di non guardarla, continuando a concentrarsi su Juliet finché non sentì di nuovo la sua voce parlare in poco più di un sussurro:
 
“So a cosa stai pensando, Carter.”
“No, non lo sa. Da quello che ha fatto per anni, non credo che ci sia un briciolo di amore verso il prossimo in lei.”
“Le persone che hanno potuto dire di conoscermi sono davvero poche Carter, non fare insinuazioni se non ti sei prima informato… è un consiglio che voglio darti. Non sono una Legilimens, ma ti assicuro che SO a cosa stai pensando in questo momento, so perché ancora non le hai permesso di tornare a quella che era un tempo.”
 
Carter non rispose, assolutamente certo che la donna non stesse mentendo e che avesse intuito benissimo ciò che lo tormentava ormai da giorni, da quando gli Auror avevano fatto irruzione nella Casa.
“Juliet prova davvero qualcosa per te, Carter.”
 
“Davvero lo pensa?”
“Sono le mie creature, Carter… esistono grazie a me. La ragazza per cui tu faresti di tutto esiste grazie a ME. Forse questo è stato un grande errore da parte mia… Li ho resi troppo umani. Non erano delle bambole, non abbastanza, con il tempo hanno iniziato a provare sentimenti sempre più forti per chi li circondava. Non sono riuscita a disumanizzarli abbastanza.”
“Non sono animali da vendere all’asta, ma lei li ha sempre trattati così… glie l’ho già detto una volta.”
 
“Beh, ormai le cose sono andate così… Juliet, così come tutti gli altri, era in grado di provare sentimenti. E so per certo che tu non le eri indifferente, Halon. No, Juliet ti ama davvero… Ma la domanda che ti stai ponendo con insistenza è: Kate sarà in grado di fare altrettanto? Inoltre, mi chiedo se TU per primo saresti in grado di continuare a starle vicino… Tu non conosci Kate Bennet, ma io ne so abbastanza per dirti che sono due persone diverse. Riusciresti a stare accanto ad una persona che ha lo stesso aspetto di quella che ami, ma che non è lei?”
 
“Vada via. Esca.”
 
Carter scattò in piedi, facendole cenno di uscire mentre Cecily sorrideva, annuendo e allontanandosi dalla sua Attiva:
 
“Come preferisci Carter… è stato bello fare due chiacchiere con te, eri uno dei miei preferiti. Immagino che ci vedremo in aula quando testimonierai.”
Il ragazzo la guardò uscire dalla stanza, raggiungendo l’Auror che l’aspettava fuori dalla porta per tenerla d’occhio, per poi rivolgersi di nuovo a Juliet, sospirando mentre sedeva sul letto, accanto a lei.
Allungò una mano per sfiorarle i capelli, sforzandosi di non continuare a sentire le fastidiose parole della DeWitt che gli rimbombavano nella mente. Infondo sapeva che aveva ragione, non riusciva a smettere di pensarci e a chiedersi quelle medesime cose.
 
“Sono stato proprio un idiota, vero? Ha ragione lei, è stata una pessima idea. Non pensavo che sarebbe mai arrivato questo giorno, egoisticamente, lo ammetto. Possibile che debba avere quel tono supponente di chi sa di aver ragione anche adesso?”
 
Il ragazzo sbuffò leggermente, quasi sperando che la ragazza aprisse gli occhi e gli rispondesse, per prendere in giro la DeWitt insieme a lui.
Ma non sarebbe successo, lo sapeva. No, quando avrebbe aperto gli occhi non ci sarebbe più stata traccia di Juliet, ci sarebbe stata soltanto Kate… e probabilmente era giusto così, anche se non gli piaceva pensarlo.
 
La Dottoressa aveva ragione, ancora una volta: non solo si chiedeva se Kate sarebbe riuscita a provare qualcosa per lui come aveva fatto Juliet… lui stesso sarebbe riuscito ad amare una persona diversa ma che continuasse a ricordargli dolorosamente lei?
 
Ci pensava da giorni, ma non era comunque riuscito a trovare una risposta.
 
Carter si avvicinò leggermente alla ragazza, rivolgendole un ultimo, debole sorriso prima di decidersi e infilarle lago alla base del collo, iniettandole il filtro che avevano trovato nella considerevole scorta della DeWitt.
Solo quando il liquido violaceo si esaurì nella siringa il ragazzo estrasse l’ago, sporgendosi verso di lei per lasciarle un ultimo bacio su una guancia:
“Non mi dimenticherò facilmente di te, Juls.”
 Poi Carter si alzò e uscì dalla stanza, senza voltarsi indietro.
 
*
 
Aprì gli occhi pigramente, sentendosi piuttosto intorpidita, quasi dolorante come se non si fosse mossa per un lungo lasso di tempo.
Si mise lentamente a sedere, sfiorandosi la testa che le girava leggermente con le dita mentre si guardava intorno, confusa.
Dov’era?
 
Poi tutto iniziò ad esserle i chiaro, i nodi si sciolsero e un fiume di volti, nomi, ricordi, parole, conversazioni e immagini le invasero la mente, ripensando a tutto quello che era successo negli ultimi due anni… Il treno che non aveva mai preso, Alpha, poi il buio, si era svegliata in una stanza buia insieme a Kate, Cecil e altri loro compagni di scuola… accolti da una donna bionda, la Dottoressa, che aveva parlato loro di un’assurda operazione. Aveva rifiutato, sì… ma ricordava comunque di aver firmato, di aver dato il suo consenso.
Li aveva raggirati con la magia, ovviamente.
 
E poi la sua famiglia. I suoi fratelli, i suoi genitori… Kate, Cecil. Come si chiama?
Keller. Il suo nome era Keller Reynolds.
Per la prima volta dopo due anni ricordava tutto quanto… non aveva alcun vuoto di memoria, ricordava benissimo anche i due anni passati alla Dollhouse. Alpha, Nicholas… Kate che era diventata Juliet, Cecil che era diventato Foxtrot.
 
Scivolò lentamente giù dal lettino, barcollando leggermente mentre si avvicinava alla porta chiusa della stanza, camminando a piedi nudi sul freddo pavimento liscissimo.
Aprì leggermente l’anta e subito un mare di voci, tutte familiari, giunsero alle sue orecchie.
 
Sentì una specie di grido strozzato e poi vide Rose Williams quasi correre verso qualcuno alle sue spalle, qualcuno che voltandosi scoprì essere Julian Jones… o Echo, certo.
“Rose?”
“Sei davvero tu… Julian!”
 
Keller sorrise leggermente mentre i due amici si abbracciavano, lui sorridendo e lei praticamente in lacrime. E poi ovviamente vennero raggiunsi da Hooland, che coinvolse i due in un abbraccio collettivo borbottando all’amico che era felice di vederlo ma che se pensava di fregargli la ragazza si sbagliava di grosso.
 
Gli occhi di November vagarono sui restanti presenti, cercando qualcuno di preciso con lo sguardo. Intercettò quello di Nicholas, che le sorrise e accennò con il capo verso una porta che si stava aprendo, proprio accanto a lei.
Un sorriso incurvò le labbra della Corvonero nel trovarsi davanti a quello che per anni era stato uno dei suoi migliori amici, abbracciandolo quasi senza pensarci.
 
“Ciao, Keller. Mi sei mancata, credo.”
“Anche tu mi sei mancato Cecil… Kate?”
 
Entrambi si voltarono verso Erin e Nicholas, ma il ragazzo scosse il capo:
“Non è ancora uscita.”
 
“Non vedo l’ora di abbracciarla… siamo sempre state insieme ma è come se non la vedessi da anni, è strano.”
“Oh, credimi Keller… lo so.”
 
Nicholas sfoggiò un lieve sorriso, quasi divertito dalle parole della sua ex Attiva mentre invece Cecil, senza smettere di sorridere, faceva scivolare le braccia dal corpo dell’amica, guardandosi intorno con un velo di impazienza mentre scioglieva l’abbraccio:
 
“Isla dov’è? Non viene a salutare proprio adesso?”
 
Nicholas ed Erin si scambiarono un’occhiata incerta, prima che la bionda si schiarisse leggermente la voce:
 
“Beh, a dire la verità Foxt… Cecil. A dire la verità, Isla non c’è.”
“Come sarebbe a dire che non c’è?”
 
“Beh… è andata via un paio d’ore fa. E’ uscita dalla tua stanza ed è praticamente corsa via, ho provato a parlarle ma ha detto che voleva andarsene prima che vi svegliaste. Mi dispiace, Cecil…”
 
Il Corvonero si voltò verso Rose, che aveva appena parlato e lo guardava con gli occhi azzurri sinceramente dispiaciuti:
“Sai dov’è andata?”
“Ha detto che visto che ormai questa storia è finita… beh, ha detto che niente la legava all’Inghilterra e che voleva tornare dalla sua famiglia in America.”
“IN AMERICA? Non può andare in America… merda!”
 
Cecil sbuffò prima di allontanarsi in fretta e furia, quasi correndo via e ignorando i richiami dei compagni:
“Aspetta, vi devono visitare!”
“Lascia perdere Rose, tornerà… dici che prova ancora qualcosa per lei?”
“Non lo so, ma spero davvero di sì. Fox ti mancherà?”
“Molto… ma almeno ho ritrovato Julian. Nanetto, mi sei mancato!”
 
Hooland sorrise, allegro come un bambino la mattina di Natale mentre afferrava Julian con un braccio e iniziava a grattargli energicamente la testa con una mano come aveva fatto per anni, ignorandole le sue lamentele:
“Smettila Hool! La mia altezza è perfettamente nella media, sei TU che sei un gigante!”
 
 
“Quello sarebbe Julian? Mi ci vorrà un po’ per abituarmi al cambiamento, credo…”
Erin inarcò un sopracciglio mentre teneva gli occhi fissi su Julian, parlando con tono dubbioso mentre Nicholas, in piedi accanto a lei, sorrideva.
Il ragazzo fece anche per risponderle ma si bloccò sul nascere quando si sentì chiamare da una voce flebile, ma senza dubbio impossibile da non riconoscere:
 
Nick?”
 
Il ragazzo si voltò, mentre il silenzio era calato sul piccolo gruppo nel corridoio del San Mungo.
Nicholas Bennet si voltò e, per la prima volta dopo quasi tre anni, ebbe la certezza di avere di fronte sua sorella. Non una ragazza che aveva il suo aspetto e basta, sua sorella Kate.
 
“Katie…”
Nicholas sorrise quasi senza accorgersene, muovendo istintivamente qualche passo verso di lei mentre la ragazza ricambiava il sorriso, avvicinandoglisi quasi di corsa per gettargli le braccia al collo, gli occhi lucidi.
“Mi sei mancato, fratellone…”
“E’ bello poterti abbracciare, finalmente… Non immagini quanto sia stato difficile aspettare tanto.”
 
Nicholas sorrise, lasciandole un bacio tra i capelli mentre la stringeva a sé con decisione, quasi temendo inconsciamente che qualcuno potesse portagliela via di nuovo.
Ma sicuramente non l’avrebbe più permesso, non l’avrebbe più lasciata andare.
 
La ragazza sciolse l’abbraccio per poterlo guardare in faccia, sorridendogli con gli occhi verdi colmi d’affetto, di gioia e probabilmente anche di un sacco di altre cose a cui sul momento il ragazzo non badò.
“Carter non c’è? Vorrei parlargli…”
“E’ andato via, ma sono sicuro che lo vedrai presto.”
Juliet annuì, sorridendogli e Nick si limitò a ricambiare il sorriso prima che la sorella minore si voltasse, rivolgendo la sua attenzione alla sua vecchia migliore amica per abbracciare anche lei.
 
Ginevra, Julian, Keller, Cecil, sua sorella… si erano tutti svegliati, ad attenderli persone che avevano aspettato di poterli riabbracciare per anni.
Ormai, mancava solo uno tra gli Attivi della loro squadra.
 
Kate era impegnata a parlare con Keller, sorriderle, chiederle dove fosse Cecil… non si accorse minimamente del ragazzo piuttosto alto che aveva appena fatto la sua comparsa nel corridoio, gli occhi eterocromatici leggermente vacui che vagarono sui vecchi compagni di scuola come se stesse cercando qualcuno in particolare. E si soffermarono inevitabilmente su di lei, anche se gli dava le spalle.
Nicholas lo guardò senza osare dire niente, chiedendosi come si sarebbe comportato con sua sorella… come tutti i presenti sapevano erano stati insieme durante l’ultimo anno di scuola.
Ma da quel che aveva capito Seth era stato l’unico a sottoporsi all’annullamento senza subire la Maledizione Imperius… lo aveva fatto spontaneamente e molto probabilmente Kate lo sapeva, lo ricordava.
Non era sicuro che avrebbe reagito bene… e poi c’era da considerare Carter, che come Isla non c’era e se n’era andato da un paio d’ore.
 
“Kate.”
La ragazza smise di parlare con Keller, esitando prima di voltarsi verso la fonte della voce.
Seth le rivolse un lieve sorriso ma l’ex fidanzata non ricambiò, limitandosi ad osservarlo:
 
“Ciao Seth.”
 
Keller si rivolse a Nicholas, consigliandogli con un cenno del capo di togliere il disturbo:
Lasciamoli da soli.”
Con un mormorio l’ex Corvonero lo prese per un braccio, allontanandolo mentre Erin annuiva, imitandoli e suggerendo a voce alta di andare a cercare Cecil, rivolgendo un inequivocabile cenno in direzione di Hooland, Rose e Julian.
 
Hooland non sembrò particolarmente felice di doversene andare, forse avrebbe voluto salutare l’amico appena ritrovato o ancor meglio assistere alla conversazione tra lui e Kate… ma l’occhiata piuttosto eloquente di Rose lo convinse a lasciar perdere, allontanandosi di malavoglia insieme a lei, Julian e gli altri.
 
Quando rimasero finalmente soli Seth sorrise, avvicinandosi alla ragazza e sollevando una mano per sfiorarle il volto:
 
“E’ bello vederti… E’ come se mi fossi svegliato da un lunghissimo sogno, ma credo che tu mi sia mancata comunque.”
La ragazza si ritrasse, continuando a non rispondere al suo sorriso e limitandosi a ricambiare il suo sguardo, osservandolo con attenzione.
Di fronte a quel gesto Seth esitò, sospirando prima di abbassare lentamente la mano: era comprensibile, dopotutto… non poteva aspettarsi che lei lo accogliesse a braccia aperte.
“Kate, lo so che…”
“Che cosa, Seth? Che cosa sai? So per certo che SAPEVI quello che voleva farci la DeWitt, dell’annullamento… ora a cosa ti riferisci?”
“Kate, te lo giuro, non avevo idea che volesse farlo a TE. Avevo solo… preso la sua offerta in considerazione. Volevo parlartene, ma non ho mai avuto il coraggio di farlo, non sapevo quando farlo…”
“QUANDO? Forse la sera prima di andarcene da Hogwarts sarebbe stato un buon momento, non pensi? Quando ti ho detto “Seth, voglio perdere la verginità con te stasera”, forse avresti dovuto rispondermi “Ok, prima però dovresti sapere che da domani sparirò nel nulla”. Forse invece di dirmi che mi amavi e illudermi avresti dovuto dirmi QUESTO. Dimmi Seth, che cosa sarebbe successo se la DeWitt non avesse incluso anche me nel suo progetto? Avrei passato settimane, mesi a disperarmi perché eri sparito nel nulla, a cercarti? Tu lo sapevi. Dovevi parlarmene.”
 
“Lo so, mi dispiace… se potessi tornare indietro lo farei. Ma non avrebbe cambiato le cose, mi avrebbe costretto anche contro la mia volontà, come ha fatto con te e gli altri.”
Non è questo il punto!”
 
Il tono di voce di Kate si alzò di un’ottava e Seth rimase in perfetto silenzio, non sapendo cosa dire mentre la guardava, morendo dalla voglia di abbracciarla e baciarla ma sapendo che in quel momento lei lo avrebbe preso a pugni, probabilmente.
 
“A prescindere da ciò che sarebbe successo… Dovevi dirmelo. Dicevi che ero “l’unica cosa bella che ti fosse capitata in quell’anno”, ma forse non ti rendevo felice a sufficienza.”
“Non è questo, lo pensavo davvero… lo penso anche ora. Sei stata una boccata d’aria dopo mesi di apnea, Kate. Ti prego, cerca di capire, è stato un anno molto difficile per me, volevo dimenticare quello che era successo… anche se voleva dire dimenticare anche te. Quando mi sono svegliato in quella stanza, insieme a voi, e ti ho vista… non lo so, da una parte volevo dirti di scappare e dall’altra ero quasi felice, almeno non avresti passato la pena di cercarmi e aspettare un mio ritorno.”
 
Kate non disse niente, evitando di guardarlo in faccia mentre Seth le sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio, continuando a tenere gli occhi fissi su di lei:
“Kate… Quella sera ti ho detto che ti amavo. Ti amo anche adesso, non è cambiato niente.”
“Sì invece. Sono cambiate molte cose, temo.”
 
La ragazza fece un passo indietro, allontanandosi leggermente da lui mentre scuoteva il capo. Seth sentì una specie di incudine affondare nel suo stomaco mentre deglutiva, parlando con un tono fin troppo calmo:
“Ha a che fare con Carter?”
“Forse… anche. Ma a prescindere da Carter, credo di aver bisogno di un po’ di tempo. Scusami, vado a cercare Cecil, voglio salutarlo.”
 
Prima di dargli il tempo di ribattere Kate girò sui tacchi, allontanandosi rapidamente per raggiungere il fratello e gli amici.
Seth non ebbe il coraggio di fermarla, guardandola allontanarsi senza muovere un passo per raggiungerla.
Aveva ragione, aveva sbagliato a non dirle nulla, a pensare di poter scappare dalla sua stessa vita senza che ci fossero conseguenze… però non sopportava affatto l’idea di perderla di nuovo.
 
 
 
                  
 
 

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Angolo Autrice:

Buonasera!
Eccomi a tempo di record anche con questo capitolo, spero davvero che vi sia piaciuto.
Ora l'unico interrogativo che vi resta è... che ne sarà delle coppie? Ovviamente avrete la risposta nell'Epilogo, che dovrebbe arrivare tra un paio di giorni. 
A presto con l'ultimo capitolo!

Signorina Granger 

 
   
 
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