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Autore: Alison92    22/08/2017    0 recensioni
Susan Winter, ventitreenne dal travagliato passato e da un presente senza attrattive, viene lasciata in tronco dal suo fidanzato Henry. Senza più un lavoro, rimasta sola nella sua grande città e priva di uno scopo per il quale andare avanti, Susan comprende che per lei è arrivato il tempo di ricominciare.
Non crede più nell'amore, non confida che qualcuno possa cambiare la sua situazione, ripartire da sé stessa è l'unico modo che ha per riprendere in mano la sua vita che l'ha trascinata lontano da qualsiasi gioia.
In biblioteca: è qui che Susan intravede la sua opportunità, fra gli scaffali polverosi e nei volumi che fin da piccola aveva adorato.
Fra lettere mai inviate, opportunità sfumate e vecchi sentimenti che non hanno mai abbandonato il suo cuore, Susan incontra le uniche due ancore di salvezza che possono condurla alla felicità: l'amore e la speranza.
"Lettere a uno sconosciuto", quella che reputa una curiosa trovata della biblioteca cittadina per attirare nuovi visitatori, le concede l'opportunità di cambiare vita, di far pace con se stessa e di scoprire che l'amore non è solo una fievole fiamma destinata a spegnersi.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Felix non si fece vedere in stazione quella notte, Susan lo aspettò oltre l’una dopo aver finito di lavorare, nonostante sentisse addosso la stanchezza per quella domenica. La mattina seguente svegliarsi fu difficile, doveva recarsi al ristorante per discutere con Rachel e Thomas che avevano intenzione di apportare modifiche al menù, poi avrebbe dovuto comprare qualcosa da mangiare per il pranzo, infine si sarebbe recata in biblioteca prima d’iniziare il suo turno a lavoro. Sarebbe stata una giornata impegnativa, ma era soddisfatta di aver da fare qualcosa.
Era appena uscita dal ristorante e si diresse al primo supermercato che le capitò a tiro. Doveva rifornire la sua misera dispensa, era ormai accorto di pane e non aveva neanche nulla con cui pranzare. Era ancora indecisa davanti al banco dei surgelati, quando sentì il suo cellullare squillare. Si affrettò a cercare fra le tasche della sua giacca, finché non trovò il dispositivo. Riconobbe subito il numero che qualche settimana prima aveva immediatamente cancellato dalla sua rubrica. Esitò prima di rispondere alla chiamata.
-Pronto?
-Susan? Sono io, Henry.
-Si, riconosco ancora la tua voce.
Susan non era arrabbiata più con lui, non provava che un’inesprimibile nulla per quello che era stato il suo ragazzo. Suo? Era mai stato “suo”?
-Spero di non disturbarti, volevo solo dirti che hai lasciato qualcosa di tuo a casa mia.>>
Susan non aveva idea di cosa mai avesse potuto lasciare a casa di Henry, dato che non avevano mai abitato insieme, era raro che Susan lasciasse effetti personali in giro.
-Cosa?
-Sono vari oggetti, qualche maglia e altro.
Si scervellò pensando a quali mai vestiti poteva aver scordato a casa di Henry e come mai lui se ne fosse accorto solo in quel momento, dopo settimane.
-Ti sei accorto di questo solo adesso?
-Esatto.- Susan sospirò, perché non aveva voglia né intenzione di vedere Henry.
-Senti, non mi ricordo neanche cosa siano, quindi puoi benissimo disfatene, non mi occorrono.
-Beh, io non butto nulla, quindi vieni qui a prenderteli, oppure passo io domani a lasciarteli.
 Con riluttanza, Susan gli disse che sarebbe passata lei nel pomeriggio. Alla fine, si sarebbe volentieri disfatta di quegli oggetti di cui non ricordava neanche l’esistenza. La casa di quello che era ormai il suo ex da mesi, era poco distante dal centro della città e Susan ringraziò di essere venuta a piedi, notando il traffico caotico di quel giorno. Suonò al campanello di Henry Davies e il ragazzo moro le aprì. Susan non provò la minima emozione alla vista di quello che qualche mese prima chiamava teneramente “amore”. Era trasandato, una macchia d’olio era presente sulla sua maglia grigia e i capelli erano disordinati.
-Ciao.
Susan annuì e con un cenno della testa chiese di entrare. Henry si fece da parte e le disse di accomodarsi. La casa minimalista di Henry non le era mai piaciuta, adesso si era scoperta a detestarla. Henry le indicò la sedia della sua stretta cucina e Susan si sedette sul cuscino verde e malconcio che la rivestiva.
-Ecco, queste sono le tue cose.
Susan si sporse sullo scatolone che Henry mise sopra il tavolo. Estrasse due felpe, una di un detestabile rosa shocking e l’altra verde pastello
-Non ho mai visto questa cosa in vita mia- Disse lasciando cadere sul tavolo la felpa rosa.
-E questa, beh, ti avevo detto mesi fa che potevi buttarla.
Lui alzò le spalle e prese l’indumento che Susan aveva scartato.
 -Credevo fosse tua.
 Si meravigliò di notare come Henry la conoscesse poco, come in quell’arco di tempo lui non avesse mai compreso nulla di lei.
-Forse di qualche tua altra fiamma che adora quel colore, ma lo stile Barbie non ha mai fatto per me.
Henry non aggiunse nulla mentre lei controllava il contenuto dello scatolo. C’era un suo vecchio libro che aveva ceduto a lui, nella speranza che ne avrebbe apprezzato la storia, qualche fermaglio che non ricordava di aver lasciato a casa sua e una camicia che lei gli aveva regalato per il compleanno.
-Non comprendo perché mi stai dando queste cose. Potevi benissimo tenerti la camicia e il libro, erano regali. Il resto non m’interessa più di tanto, lo avrei comunque buttato.
-Non mi servono queste cose, quindi pensavo che ti potevano tornare utili.
-Un vecchio libro, qualche molletta, una felpa consunta e una camicia da uomo? Certo, in effetti ne avevo un impellente bisogno, ti ringrazio Henry.
Lui ebbe l’accortezza di mostrarsi imbarazzato e Susan sospirò mentre riponeva tutto all’interno dello scatolo.
-Li butterò per te, nonostante tu mi abbia fatto perdere del tempo utile.
-Perdere tempo? Almeno ci siamo rivisti. Quanto era passato? Due o tre mesi forse.
Susan lo guardò inespressiva, non aveva di certo voglia di vederlo. Se fosse stato per lei, non si sarebbero mai più rivisti.
-Potresti venire da me una di queste sere, potrei fare uno dei miei ottimi risotti, come quando eravamo dei buoni vecchi amici.
Lei si sforzò di non ridere, o di rivolgerli parole pungenti. Non aveva intenzione di aver a che fare con lui. Forse era solo accorto di amici e di ragazze con le quali trastullarsi, ma non aveva intenzione di lasciarsi catturare una seconda volta da lui. Non lo amava, non lo aveva forse mai amato e adesso voleva solo liberarsi di lui per sempre.
-Henry, io non credo che sia il caso e penso che tu possa comprenderne il motivo. Inoltre, sono piuttosto impegnata, ho un nuovo lavoro in un ristorante e il mio tempo è sempre limitato.
Lui annuì sconsolato, forse non aspettandosi una risposta simile da parte sua. Susan si diresse verso la porta e lui la seguì.
-Allora ciao Susan, speriamo di rivederci.
 “Speriamo di no”
-Certo.
Susan tornò in stazione. Non aveva trovato nessuna lettera, ma le sue erano scomparse, quindi ebbe fiducia che presto avrebbe avuto una risposta. Erano le due di notte. Attendeva, attendeva forse un treno che l’avrebbe condotta via dalla città, forse un ragazzo che non aveva mai più riveduto, forse Felix. Non importava molto, perché il ragazzo che sperava di vedere comparve davanti a lei e Susan scordò le sue angosce.
-Winter, cosa ti preoccupa?
Susan scosse la testa e fece spazio a Felix affinché lui potesse sedersi accanto a lei.
-Nulla, Harvey, riflettevo.
-Hai l’aria di una che riflette, molto.
Susan sorrise, perché ne era a conoscenza. Probabile, forse doveva approfittare dell’aria magica e rilassante della stazione per lasciar andare qualsiasi pensiero.
-Tu hai l’aria di uno che osserva molto.
Stavolta fu Felix a sorridere.
-Può darsi. Se tu mi dici su cosa riflettevi, io ti dirò che cosa osservo.
Susan scoppiò in una risata e poggiò una mano sulla spalla del ragazzo. Si stupì di come in breve tempo aveva acquistato familiarità con quell’estraneo.
-Beh, se la metti così…
 Susan fu interrotta dalla sua squillante suoneria. Chiese scusa a Felix e rispose al cellulare, senza neanche vedere il numero.
-Susan sono io, volevo solo domandarti scusa per oggi, forse ti sono apparso stupido.
Lei s’irrigidì sentendo la voce di Henry e pregò che non la sentisse anche Felix accanto a lei.
-Fa nulla, tranquillo.
-E mi dispiace anche per quello che ho fatto, so di averti ferita.
Susan rifletté un attimo prima di rispondere a Henry.
-Immagino che si, forse ti dispiace. Non m’importa più così tanto, alcune ferite possono rimarginarsi e della tua non ne è rimasta neanche la cicatrice. Adesso devo andare, ci sentiamo.
Non gli diede il tempo di ribattere e chiuse la chiamata. Henry non l’aveva ridotta in brandelli, era stato Leo a lasciarle una cicatrice a forma di cuore sul petto. Sentiva che le era stato strappato qualcosa che le aveva causato una ferita perenne. No, Henry non le aveva fatto nulla. Ripose il cellulare nella borsa, attendendo che Felix le dicesse qualcosa.
-Era su di lui che riflettevi?
-No, ho smesso di pensare a lui da troppo.
Felix annuì in silenzio, timoroso di aggiungere altro.
-Riflettevo sulla mia famiglia, sulla mia precedente vita, sulla mia infanzia.
Sembrò aspettarsi quella risposta da lei, lo aveva forse aveva scritto sul viso. 
-Mi piace osservare i comportamenti delle persone, come se potessi comprenderli dalle loro azioni. È solo una perdita di tempo, ho compreso che tentare di comprendere qualcuno è troppo complesso e io sono troppo semplice.
Felix si passò una mano sui capelli biondi e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, poi voltò la testa per fissare Susan.
-Tu mi trovi strano?
Susan rise e incrociò il suo sguardo.
-Non più di quanto non lo sia io.
  
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