Maria
restò così abbattuta per tutto il resto della
domenica ed anche per buona parte del giorno dopo che i Riddell si
preoccuparono e mandarono a chiamare il dottor Fisher per farla
visitare di nuovo. Il medico li rassicurò con un sorriso di
incoraggiamento ripetendo però che, secondo lui, prima della
fine della settimana si sarebbe sgravata di certo.
Ogni
tanto un lieve doloretto al basso
ventre le faceva temere di stare già per partorire ma poi si
calmava e lei se ne sentiva sollevata. Aveva paura, una paura immensa
del dolore fisico che avrebbe patito tra poco ed anche di quello morale
che la sua prossima solitudine non avrebbe mancato di darle. Ma non
desiderava più sfogarsi con nessuno, neanche con la brava
Kate, e con molto garbo faceva capire a chi veniva a trovarla che era
stanca e desiderava riposare.
Però
non poté rifiutare la visita di George Festing
il quale, come le fu detto, aveva sistemato i suoi affari
a Londra ed era corso a Norhal Castle non appena aveva saputo che il
parto sarebbe stato anticipato.
Si
affacciò sulla soglia della sua camera il martedì
sera.
-
Posso? – le chiese e nel
vedere il suo cenno d’assenso, entrò chiedendole
– Come stai?
-
Come una balena arenata – gli rispose Maria che aveva una
pancia enorme ed era arrivata davvero ad assomigliare
a una balena.
George
si mise a ridere e commentò:
-
Sono lieto di notare che non hai perso il tuo senso
dell’umorismo!
Di
solito la sua espressione da impunito e il suo bonario sarcasmo le
avevano sempre suscitato simpatia, ma questa volta Maria se ne
sentì urtata. Con il viso e la voce che ne denotavano il
disappunto, gli rispose:
-
Ho perso tutto invece. Ogni cosa.
L’espressione
del barone cambiò di colpo, divenendo seria.
-
Già, ho appena appreso da Christopher la bella decisione che
avete preso e me ne complimento con entrambi! – disse con
amara ironia.
-
Non sono stata io a prenderla, è stato tuo nipote!
– protestò la ragazza sentendosi attaccata.
-
Ma chi è stato a dirgli che non lo amava più? Chi
a parlare di divorzio? Non fare l’innocentina, dai, posso
anche ammettere che non lo ami più ma il voler passare
addirittura per vittima mi sembra un po’ eccessivo! Per
quanto mi risulta, alla fine mio nipote non ti ha fatto niente di
così grave da non poter essere perdonato. Può
averti anche fatto del male, ma non dovresti dimenticare tutte le cose
buone che invece ha sempre fatto per te!
L’uomo
sembrava adirato e Maria se ne meravigliò. Come poteva
accusarla così? E poi come osava trattarla in quel modo
senza nessun riguardo per le sue condizioni? Si ribellò:
-
Oh certo! Mi ha mantenuta, sfamata, tolta da una situazione disperata.
Si è preso anche cura di me e della mia famiglia.
Addirittura mi ha sposata pur senza essere certo che il figlio che
porto sia suo. E chi lo nega! Ma io volevo essere amata. Ti sembra
troppo George?
-
Questo l’ha sempre fatto.
Lei
rise amara.
-
Era per questo allora che volevi convincermi
a lasciarlo? Addirittura mi proponesti di darmi del denaro quando
venisti a sapere che non avevo avuto la forza di stargli lontana e mi
ero rimessa con lui dopo averlo incontrato una sera per caso! Te ne sei
dimenticato?
Festing
si portò i pugni chiusi davanti alla bocca e
sospirò. Sembrava star cercando le parole giuste.
-
Io temevo che Christopher non avrebbe trovato la forza di liberarsi dal
suo passato. Invece l’ha fatto e l’ha fatto per te.
Ti ha sempre amato ed ha cercato di proteggerti. Anche quella sera che
credi di averlo incontrato per caso – le disse alla fine.
-
Che stai dicendo? – gli chiese con una smorfia di
incredulità.
-
Eri tenuta sotto stretta sorveglianza affinché non ti
accadesse nulla di male. Te lo ricordi quel tale Vincenzino
Tagliaferri? Anche se non ne aveva l’aspetto, era un uomo
messo lì da un investigatore privato pagato da Christopher
per vegliare su di te ed avvisarlo in caso tu ne avessi avuto bisogno.
Proprio quello che accadde quella sera che lo incontrasti in Funicolare.
-
Perché non me lo dicesti? – obiettò la
ragazza, scettica.
-
Perché non lo sapevo. Ne sono venuto a conoscenza molto dopo.
Maria
scosse la testa. Le sembrava una cosa poco credibile soprattutto in
considerazione della freddezza mostrata sempre da Christopher nei suoi
confronti.
-
Non ha fatto mai nulla per impedirmi di andar via. Sono sempre stata io
quella che ha deciso di restare con
lui. Si vede che ora ha preso finalmente la palla al balzo per
liberarsi di me!
-
Non dire sciocchezze. Se non l’ha fatto è
perché voleva lasciarti libera di decidere del tuo futuro e
magari avere da un altro le cose che lui pensava di non poterti dare
quali il matrimonio o la maternità. Se ti avesse mostrato
quanto gli eri necessaria, ti avrebbe in qualche modo condizionata.
-
Mi fai ridere! – proruppe la ragazza rizzandosi a sedere nel
letto – Neanche mosse un dito quando si trattò di
impedire ad Edoardo Pisani di chiedermi in moglie! Anzi, come se la
godeva perché quel povero giovane si era innamorato di me
che invece ero il suo personale giocattolino, buono solo per farlo
divertire. Quasi quasi gli avrebbe fatto piacere che io avessi
accettato di sposarlo unicamente per prendersi il gusto di dimostrare
che Edoardo era un povero fesso ed io una poco di buono!
-
Intanto soffriva come un cane e cercava di rassegnarsi a perderti,
magari conservando di te anche solo un ritratto che era riuscito a
sottrarre con l’inganno ad Edoardo pagando di nascosto un
fotografo!
Maria
lo guardò incerta e lui si spiegò meglio:
-
È nel suo portafoglio. È una fotografia che ti
ritrae quasi di spalle con il viso girato indietro ed i capelli
sciolti. Non fare quella faccia stupita. L’ho vista, per
questo te lo sto dicendo. Come farei a saperlo altrimenti? Io non
c’ero!
Lei
si passò una mano sul viso, turbata da quelle rivelazioni e
a George parve il momento opportuno per tentare di convincerla.
-
Ti ama, Maria, credimi, anche se non te lo sa dire. E quel che
è importante è che anche tu lo ami, ne sono certo!
-
Ma che dovrei fare secondo te?
-
Quello che ho sempre fatto io. Di sicuro Christopher non è
una persona facile ma io non me ne sono mai curato. Non mi sono fatto
mai scoraggiare dalla sua eccessiva sensibilità
né dalla sua enorme insicurezza. È un bravo
ragazzo però, e
così mi sono limitato a volergli bene e a
farglielo capire sempre. A poco a poco se ne è convinto e
pure se talora si comporta in maniera scorbutica anche
con me, sono l’unica persona con la quale riesce
ad aprirsi.
-
Tu sei suo zio, non la sua donna!
-
Tanto più. Non ho certo a disposizione le armi della
seduzione che invece puoi usare tu – le disse mentre un
sorriso giocoso gli riappariva sul viso.
Vedendo
che lei non rispondeva e se ne stava pensosa e a testa bassa, la
incalzò ancora.
-
Stammi a sentire, per favore. L’ho fatto anche a Chris questo
discorso, ma tu sei una ragazza intelligente e pratica e forse saprai
come agire per rimediare a questa situazione irragionevole meglio di
lui che si fa sempre mille assurdi problemi. Smettetela di comportarvi
come due stupidi. La vita è già abbastanza
infelice per conto suo, non c’è bisogno di
rendersela ancora peggiore con le ripicche e
l’ottusità. Siete giovani, ricchi e state per
avere un figlio senza contare che vi volete bene. Ma insomma, dopo
tutte le disgrazie ed i dolori che avete patito, non ti sembra che sia
venuta l’ora di ritrovare un po’ di
serenità?
Ancora
la giovane non gli rispose. Allora George
si alzò ed andò a darle un bacio sulla guancia.
-
Va bene – le disse congedandosi – per oggi ne hai
avuto abbastanza. Ora ti lascio, così ti prepari a mettere
al mondo quel nipotino che sto aspettando come un miracolo. Ti voglio
bene, lo sai?
Le
fece una carezza prima di allontanarsi.
-
Lo so. Anche io te ne voglio – gli rispose Maria con molta
sincerità.
Di
nuovo da sola, si mise a riflettere sulle parole di George e dovette
convenire che aveva perfettamente ragione. Se la sua vita e quella di
Christopher erano state costellate di disgrazie, molta parte della loro
infelicità se l’erano costruita con le proprie
mani, lasciandosi trasportare sempre dall’orgoglio, dalla
gelosia e dalla testardaggine piuttosto che dal più
elementare buon senso. Anche qualche sera prima, invece di dire a suo
marito che aveva capito di amarlo ancora, lei stessa si era lasciata
prendere dall’orgoglio e dalla delusione senza capire che
dietro l’atteggiamento di lui forse si celava davvero la
paura di non essere amato o quella di averla resa infelice. Ora si
rendeva conto di essere stata davvero stupida perché sarebbe
bastato parlargli apertamente per risparmiarsi entrambi tanta assurda
sofferenza. In amore è importante riuscire a dirsi
ciò che si pensa davvero, confidarsi le reciproche paure, le
insicurezze, persino i risentimenti e le cose che non vanno a genio.
Solo così si può imparare a vivere serenamente un
rapporto senza lasciarsi prendere dai dubbi e dalle sensazioni
sbagliate. Non è vero che le parole sono inutili come diceva
sempre Christopher perché solo con il dialogo due
persone hanno l’opportunità di conoscersi a fondo
per potere affrontare insieme il difficile cammino della vita. Certo
non è una cosa facile da farsi soprattutto perché
ognuno ha i propri difetti. Christopher ad esempio era troppo ombroso,
spesso collerico e pesante da sopportare, ma lei gli voleva bene lo
stesso così come probabilmente gliene voleva lui nonostante
fosse volubile ed orgogliosa. D’altronde da nessuna parte sta
scritto che un marito o una moglie debbano essere perfetti!
Risollevata
dalle sue riflessioni, decise che doveva parlargli. Senza
più timori né remore, gli avrebbe aperto il suo
animo ed anche se il suo uomo ancora non sarebbe stato capace di dirle
i propri sentimenti, pazienza, per il futuro si sarebbe accontentata di
leggerglieli negli occhi e forse chissà, col tempo, anche
lui sarebbe cambiato.
Molto
rasserenata, si accinse ad addormentarsi in attesa che venisse presto
l’indomani. Non sapeva ancora che quella notte la sua vita
sarebbe stata stravolta.
Erano
da poco passate le undici quando fu destata dai leggeri doloretti che
avvertiva ormai da giorni. All’inizio non vi diede molto peso
e cercò di riprendere sonno. Ben presto però le
leggere fitte si trasformarono in vere e proprie contrazioni, sebbene
ancora molto distanti l’una dall’altra, e
così capì che era arrivato il momento di chiamare
Kate Brown per un consiglio.
Dopo
neanche mezz’ora tutto il castello di Norhal era in subbuglio
e un servitore fu mandato di corsa a prelevare il dottor Fisher.
Margaret
che aveva detto sempre di non sentirsela di assistere al parto ma che
ora era in preda a una curiosità incontenibile, faceva la
spola tra la stanza della partoriente dove c’erano la signora
Brown, una cameriera ed il medico, ed il salotto, dove si erano
radunati tutti gli altri. Persino Ulisse, già nottambulo di
natura, sembrò partecipare all’attesa
perché si piazzò su di una poltrona accanto ai
padroni anche se, con la sua posizione da sfinge e
l’atteggiamento placido, non sembrava agitato
ma piuttosto rassegnato all’ineluttabilità delle
cose e del destino.
Christopher
era quello più nervoso di tutti ed ogni qual volta zia
Margaret si affacciava in salotto, cercava di sapere qualcosa. Ottenne
solo brevi informazioni tipo: “Strano, prima l’ha
tenuta a letto, ora la sta facendo camminare per la stanza!”
oppure “Le ha fatto un’iniezione” o
considerazioni personali dell’anziana signora quali:
“Meno male che io figli non ne ho fatti! Povera piccola,
anche se si sta comportando bene, non sta di certo passando un bel
momento!”.
L’attesa
durò fino all’alba quando Margaret
annunciò quasi strillando che il bambino stava nascendo.
Allora tutti si precipitarono di sopra proprio davanti
all’uscio della stanza della partoriente. Lì fuori
per Christopher cominciò un vero inferno perché
si udivano chiaramente i lamenti di Maria e le frasi di incitamento di
chi le stava intorno. Impietosito dal suo aspetto, George gli si
avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.
-
Su figliolo, coraggio! – gli fece con una strizzatina
d’occhi.
Proprio
in quel momento dalla porta sbucò lady Margaret che non ce
l’aveva fatta a rimanere dentro nel momento cruciale e,
vedendo la scena, li guardò sdegnata e disse:
-
Coraggio a lui? E che dovrebbe dire quella poveretta!
All’improvviso
si levò il vagito di un neonato e l’anziana
signora si precipitò di nuovo dentro.
Christopher
si passava nervosamente le mani tra i capelli, incapace di sopportare
oltre quell’attesa ed anche George e lord William erano assai
agitati. Toccò a tutti aspettare almeno un’altra
decina di minuti prima che la porta si riaprisse e la zia riapparisse.
Aveva
un fagottino in braccio avvolto in una copertina ma sul volto una
strana espressione come quella di una cuoca che ha visto il dolce
preparato con tanta cura riuscito molto male.
Christopher
se ne preoccupò.
-
Zia Margaret! – le urlò.
-
È un maschio – gli rispose questa con una voce
delusa però poi, posando lo sguardo sul bambino che le si
muoveva piano tra le braccia, fece un sorriso ed
aggiunse – Ma è bello e sano.
-
E Maria? Sta bene Maria?
-
Sì, il dottore sta ancora assistendola, ma credo che stia
bene. Ha visto il bambino ed è felice. Contenta lei!
-
Anche io sono assai contento! – la rimproverò il
fratello.
-
E si capisce! Tu aspettavi William, non è vero? –
gli fece lei con stizza.
L’altro
stava per risponderle con giocosa provocazione quando la porta si
spalancò ed apparve la signora Brown che strillò:
-
Correte, correte, milady, ce n’è un altro!
Lei
si precipitò a seguirla mentre fuori dalla porta i tre
uomini si scambiavano uno sguardo di sconcerto. Presto un nuovo vagito
si unì a quello del piccolo William. Dopo qualche momento
riapparve la zia, con un sorriso radioso e la cuffia storta sui capelli.
-
È una femmina! – gridò –
Stavolta è una femmina! Oh, finalmente è nata
anche Sophie!
-
Sophie? Devi averlo scelto tu questo nome, brutta birbona! –
le disse lord William ridendo.
-
Sì, l’ho scelto io, va bene? Però piace
anche alla mamma. Vuoi vedere che
una povera donna che ha patito quello che ha patito non può
neanche decidere che nome dare alla figlia, vecchio barbagianni!
– gli rispose.
Questa
volta non c’era nessun astio tra i due anziani gemelli anzi,
Christopher li vide fare una cosa che in trentaquattro anni di vita non
aveva mai visto loro fare: si
abbracciarono.
Tutta
quella felicità era un miracolo e lui se ne sentiva
stordito, al punto da non riuscire nemmeno ad afferrare le cose che gli
altri si dicevano né ad avere la concezione del tempo.
Presto
però uscì anche il dottor Fisher che si stava
rimettendo la giacca.
-
Dottore! – lo invocò quasi e il medico gli rivolse
un sorriso cordiale prima di dire:
-
Tutto è andato per il meglio. Vi confesso che ero molto
preoccupato. Naturalmente avevo subito capito che si trattava di
gemelli ma temevo di dover intervenire con un taglio cesareo. Per
fortuna i feti erano entrambi in posizione cefalica ed il parto
è potuto avvenire per vie naturali.
-
Come sta mia moglie?- gli chiese.
-
Bene, quella giovane donna è nata per far figli!
-
Nella nostra famiglia ci sono stati parecchi casi di gemelli ma ormai
erano ottanta anni che non ne nascevano e non pensavamo proprio che
potesse accadere di nuovo, vero sorella? – precisò
il marchese che non stava più nei panni.
-
Non si può mai dire, milord. Può sempre
succedere, anche più di una volta per la stessa coppia di
genitori – spiegò Fisher.
Margaret
rise.
-
Se è così e se è vero che Maria
è nata per far figli, qui finisce che riempiremo il castello
di “marchesini” – scherzò.
Christopher
si rabbuiò un poco ma solo George se ne accorse e
cercò di cambiare argomento.
-
Insomma, bisogna festeggiare con un brindisi -
disse.
-
Alle sei del mattino? – domandò stupito lord
William.
-
Che importa! Magari succederà tra ottant’anni di
nuovo! Lei è dei nostri, dottore?
Poiché
Margaret volle ritornare dentro, i tre si allontanarono per andare a
festeggiare una giornata che un po’ per la
straordinarietà dell’evento un po’ per
l’alcool bevuto già di prima mattina, sarebbe
stata una delle più euforiche mai vissute a Norhal Castle.
Neanche
Christopher li seguì. Voleva vedere Maria. Si sentiva il
cuore gonfio di emozione e non avrebbe mai pensato di poter provare una
simile inquietudine.
Si
sedette lì in corridoio e si mise ad aspettare che qualcuno
uscisse.
Dopo
una mezz’ora apparve la zia seguita dalla cameriera. Stava
dicendo:
-
Eppure ci deve essere un’altra culla in soffitta!
-
Ma sarà tutta sporca, milady!
-
E tu che ci stai a fare? Un po’ di olio di gomito e
tornerà come nuova.
L’anziana
signora si fermò di colpo vedendo il nipote.
-
Che ci fai qui? – gli chiese.
-
Voglio vedere Maria. Posso?
-
Vai, entra pure, che aspetti?
Il
giovane non se lo fece dire due volte ed entrò nella stanza.
La signora Brown le stava aggiustando i cuscini dietro le spalle. Le
avevano messo una camicia pulita e pettinati i lunghi capelli in una
coda che le ricadeva su di una spalla. Aveva il viso gonfio e rosso ma
gli occhi le rilucevano come due stelle mentre guardava i bambini
sistemati al suo fianco sul letto. Era bella, ma di una speciale
bellezza interiore.
Nel
vederlo gli sorrise.
Così
come aveva fatto l’ultima volta, la moglie del Reverendo si
affrettò a lasciarli soli. Lui prese una sedia e le si
andò a sedere accanto, sorridendole a sua volta.
-
Hai visto come sono belli? – gli chiese la neo mammina con la
voce colma di gioia – Il dottor Fisher ha detto che sono
assai più grossi degli altri gemelli, quasi due giganti!
Ecco spiegato perché ero diventata una balena!
Risero
insieme, felici, e Christopher guardò meglio i due bimbi.
-
Sono bellissimi! – mormorò. Poi però
aggiunse – Ma io quale ho visto prima? Sono identici! Come
faremo a distinguerli?
Maria
rise più forte.
-
Non è difficile. Tanto per cominciare uno è
maschio e l’altra femmina, non saranno davvero simili. E poi
guarda – disse togliendo la cuffietta al primo che aveva la
testina con pochi capelli ramati – questo qui è
William. Sophie invece è quest’altra.
Senza
la cuffietta la femminuccia mostrò una folta capigliatura di
un bel rosso tiziano.
-
Mio Dio! – esclamò il papà sussultando
di gioia.
-
Visto? Zia Margaret mi ha detto che nella vostra famiglia i capelli
rossi sono indice di regalità.
Il
marito sorrise pensando che quella che per il primo marchese di Norhal
doveva essere stata la prova inconfutabile che il figlio che gli veniva
mostrato non fosse il suo, per lui invece era una ulteriore conferma,
di cui peraltro non aveva bisogno, che quei due splendidi bimbi fossero
proprio i suoi.
Con
tenerezza li accarezzò e poi prese le loro manine ciascuna
in una mano. I due piccoli, per riflesso, gli strinsero le dita e lui
provò un’ondata di emozione colmargli
l’animo come un fiume in piena che rompe gli argini. Proruppe:
-
Ti prego, Maria, non portarmeli via! E resta con me anche tu, ho
bisogno te! Non hai messo al mondo solo loro. Io ero finito prima
d’incontrarti ed invece tu mi hai riportato alla vita, mi hai
fatto assaporare la felicità, la tenerezza,
l’amore. Io non posso più vivere senza di te e
voglio poter essere un vero padre per i miei figli. Non sono un
granché, lo so, ma sono certo che saprò
riaccendere quel fuoco che una volta ti ardeva dentro e che nulla
riusciva a spegnere. Fammi provare, ti scongiuro, dammi
un’altra possibilità … io …
io ti amo tanto!
La
giovane donna si sentì quasi sommergere dalla commozione.
Non riuscendo a guardarlo, teneva lo sguardo sulla finestra dove i
raggi del sole del mattino facevano brillare i cristalli di ghiaccio
dell’ultima neve che cominciava a sciogliersi al tepore
primaverile.
Quando
si volse di nuovo verso di lui, vide che le labbra gli tremavano e
lacrime silenziose e chiare gli scorrevano sul viso per perdersi nel
morbido della barba. Come la luce del sole, la forza di un sentimento
irrefrenabile gli illuminava il volto. L’uomo trepidante che
le diceva il suo amore non era più quello di una volta ma
una persona nuova che anche lei sentiva di amare.
Pian
piano toccò con le dita il suo pianto. I
loro occhi, fissi gli uni negli altri, si dicevano molto più
di mille parole. Allora Maria lo attirò a sé, al
disopra delle testine dei loro bambini, e le loro labbra
s’incontrarono in un bacio lieve di cui però
entrambi avvertirono il calore.
Da
quel momento ciò che avevano vissuto, le prove attraversate,
i dolori patiti, le paure più profonde e le assurde
incomprensioni che li avevano divisi, insomma tutto quanto,
cominciò ad essere il passato.
Davanti a loro si spalancava il futuro con le sue promesse ma anche con
le sue incognite. Ormai però sapevano che lo avrebbero
affrontato per sempre insieme, senza sentire mai più il gelo
nell’anima.
*********************
Ecco, con questo
momento di tenerezza e di speranza si conclude la storia.
Maria de Oliveira e Christopher Riddell, che sono nati dalla mia
fantasia e per tutte queste settimane hanno vissuto anche nella vostra
immaginazione, tornano nel mondo di favola di tutti i personaggi
letterari dove non c’è più dato sapere
se alla fine “vissero per sempre felici e contenti”.
Se il mio
romanzo vi è piaciuto, se avete delle osservazioni o delle
critiche da farmi, se pensate di poter leggere volentieri ancora
qualcosa di mio, vi prego, fatemelo sapere. In fondo se è
verissimo che chi scrive – specialmente chi non lo fa per
professione - lo fa soprattutto per
se stesso, sapere che c’è qualcuno a cui piace
leggere quelle pagine trasforma la cosa in una vera magia.
È una
sensazione complessa e difficile da descrivere ed io non sono tanto
brava da saperlo fare. L’ha fatto però un grande
scrittore, Paolo Cohelo, nel suo libro Lo
Zahir.
Così vi trascrivo parte del brano in questione, dedicandolo
come ringraziamento a tutti coloro che sono arrivati a leggere queste
righe:
“(…)
Scrivere è una delle attività più
solitarie del mondo. (…)
osservo il mare sconosciuto della mia anima e scorgo alcune isole
– idee che si sviluppano e che sono pronte ad essere
esplorate. Allora prendo la mia barca – il suo nome
è “Parola” – e scelgo di
navigare verso la più vicina. Durante il tragitto, mi
imbatto in correnti venti e tempeste, eppure continuo a remare, sempre
più esausto.
(…)
nessuno può dire perché la corrente ti ha portato
a una certa isola, e non a quella in cui sognavi di arrivare.
(…)
(…) E
con mia perenne sorpresa, scopro che alcune persone erano alla ricerca
di quell’isola, e la incontrano proprio nel libro. Una ne
parla con l’altra, la misteriosa catena si allunga, e quello
che lo scrittore riteneva fosse un lavoro solitario si trasforma in un
ponte, in una barca, in uno strumento per mezzo del quale le anime si
muovono e comunicano.
Da quel momento,
non sono più quell’uomo smarrito nella tempesta:
ritrovo me stesso attraverso i miei lettori, comprendo ciò
che ho scritto quando mi rendo conto che anche gli altri capiscono
– non accade mai prima. In qualche raro momento, riesco a
guardare alcune di queste persone negli occhi, a comprendere che anche
la mia anima non è sola.”
Un abbraccio
virtuale a tutti.
Antonella