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Autore: queenjane    23/08/2017    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Un chiaro pomeriggio di fine dicembre, Alessio che fermo ascoltava le gesta di Achille, l’assedio di Troia, se gli raccontavi le cose si appassionava, leggere allora non incontrava il suo entusiasmo.
Un raggio di sole accendeva di bagliori color mogano e rame i suoi capelli, rilassato e sorridente pareva sano, un bambino in salute, in riposo dopo un pomeriggio di giochi, su un divano di cinz fiorito, una coperta buttata sulle gambe.  Peccato che un arto fosse stretto da un apparecchio ortopedico, un arnese di tortura, retaggio di Spala, camminava ancora male e a fatica, doveva essere sostenuto o si aggrappava ai mobili, alle pareti, ogni mossa era un affanno. Nelle  foto di quei periodi sarebbe stato sempre ripreso seduto o dalla vita in su, per non mostrare le sue debolezze.
Ascoltava, senza muoversi, rapito, asserendo poi che le mie storie erano più divertenti di quelle dei maestri, le sue mani erano tra le mie, gliele scaldavo, come all’occorrenza sapeva che lo avrei preso in braccio o avrei massaggiato gli arti doloranti, come Olga, come le sue sorelle, che gli avrei cambiato il pannolone con delicatezza e senza farglielo pesare.
Viziato, as usual, preferiva noi ragazze  ai suoi marinai alias tate.
Lo sbuffo divertito di Olga, che si mise a parlare degli dei greci e romani, Atena e Apollo, forse.
E poi “Il Dio del Regno dei Morti era Ade, giusto?”
“Giusto, Alessio.”
“Allora, Zeus governava la terra, Poseidone il mare e Ade gli inferi.”
“Per la mitologia sì. “
“E come divisero le cose? Ci fu una guerra o se la giocarono, tipo con le monete o..”
“Una guerra, la lotta tra i Titani. “
“Che tristezza, erano tutti fratelli e esclusero l’ultimo.”
“Sono vecchie storie, Alessio, lo sai vero.” Baciandogli la fronte, non avrei mai osato immaginare, l’amore, la sofferenza e la dedizione che condividemmo pochi anni dopo, a Mogilev.
“ Ade era il dio più potente, che il suo era l’ultimo regno.  E lui non aveva paura. Mi piace, cosa credi, lui era forte e coraggioso come Achille. Io sono come Achille.. Credimi.”
“Ci  credo. “

Nessun marinaio infermiere o tate erano in giro, per un’oretta rimanemmo  in pace, quando percepii un colpo di tosse.
La zarina.
Da quanto tempo ascoltava?
Feci finta di nulla, come Olga, diedi un bacio a Alessio sulla guancia, pregando che andasse bene.
Un piccolo cenno delle falangi, andai fuori a passi lenti, nel corridoio.
“E così gli insegni i miti e la storia.”
“Con rispetto, maestà.” senza implorare scuse o altro, che male avevo fatto?
Meglio le storie di Achille e le poesie di Omero rispetto alle divagazioni del suo santone siberiano, che diceva che il mondo era una favola,  che bisognava amare le nuvole che vivevamo in esse e simili, era quasi analfabeta ma con le parole ci sapeva fare, era un istrione, per la definizione più gentile.
Alessandra sorrise, non fece nulla.
“E’ una bella cosa, lui vuole essere come Achille, forte, senza paura. “senza aggiungere altro. Anche lei, come Teti, voleva rendere invulnerabile suo figlio, dargli un regno intatto, gloria e salute, poi rimasero solo silenzio e rovine.
Mi inchinai e tutto scemò nel silenzio, poi mi richiamò “Vieni nella mauve room” E adesso?
Entrai nella famosa stanza malva e grigia, annotando il profumo dei freschi fiori di serra, il fuoco che scoppiettava gaio. Doveva dirmi qualcosa, decodificai, era da Spala, per quanto concentrata su Alessio avevo notato come mi osservasse, come se volesse sapere qualcosa e non osasse chiedere. Negli anni avevamo trovato un modus vivendi, per non urtarci a vicenda, tranne che..  “Qualcuno ti ha mai chiesto cosa ha?”
Scrollai la testa, avevo sempre evitato, se percepivo morbose curiosità cambiavo argomento o non rispondevo, la tecnica del silenzio
“E cosa pensi che abbia..?” l’emofilia e lo avevo saputo per altre vie e mi sarei tagliata la lingua, piuttosto che ammettere che avevo costretto Olga a dirmelo, forzandola senza rimedio
“Non è di mia spettanza” alzai il viso e lesse la sincerità
“Va bene”
.


“Che fai?”Risi ai primi del nuovo anno, il 1913, lo sguardo ballerino.
“Voglio andare fuori”
Una risata per dire, Alessio non sopportava di vedere le lacrime sul viso delle sorelle o della madre, includeva anche me nella sua predilezione.
I soliti veti, non poteva fare nulla, si stava riprendendo, l’immobilità lo angustiava come l’apparecchio ortopedico stretto intorno alla gamba o le premure incessanti.
“ E NIENTE STORIE”
“Figurarsi se le so, manco le inventassi” Ironizzai.  “Vuoi giocare a carte?Uscire non credo, senti che freddo”Mi ruppi i palmi nell’aprire una finestra, o quasi.
L’aria invernale fluì per qualche istante,  possibile che quelle finestre fossero sempre inchiavardate... O nessuno le apriva in quelle stagioni, di certo nessuno tranne che una principessa si sarebbe reputata degna di fare quanto di spettanza di una cameriera.
Era caduta la neve.
Gli raccontai, intanto, che ai tempi la zarina Caterina II aveva visto un bucaneve sfidare la neve in dicembre, fuori stagione, e aveva lasciato una guardia a vegliare quel fiore sottile  e delicato.  Sbuffò, dicendo che il mio era un vizio, poi mi tese le mani.
“Prendimi in braccio e fammi respirare un poca d’aria, prima di richiudere”
“Non posso, non voglio farti male, non sono in grado” in rapida successione.
“Non ti fidi di te e di me, invece. Prova, per favore” Scossi la testa, valutando che aveva l’apparecchio ortopedico, sarei stata avventata, se mi fosse caduto? E incurvò un poco le spalle.
“Lascio aperto per qualche minuto, almeno respiri, un compromesso”
“E va bene. Ma quella del bucaneve te la sei inventata!!” a mezzo tra l’essere desolato od irritato.
“Credo sia vera. Mi spiace, davvero, non me la sento”
“Tu non hai fiducia, te lo ripeto. Ma va bene”Il mio Alessio, in apparenza prigioniero delle sue fragilità, prendeva le misure, aveva indovinato su tutta la linea.
Richiusi, intanto, la mia schiena e le braccia impegnate in quel compito che competeva a una cameriera, per guadagnare tempo, gli chiesi di nuovo a cosa volesse giocare.
Ero alta e sottile, le iridi scure come onice, con poche curve, scarno il petto e snelli i fianchi, il contrario delle bellezze che si apprezzavano in genere, bionde, rubiconde e paffute, avevo preso da mia madre, pur se i tratti erano più marcati, più scure le avvenenze, differente in tutto e per tutto, come lei.
La diversa, la spagnola, epiteti dati con una sfumatura di sarcasmo, alle mie spalle, o sussurrati in modo che sentissi, tant pis, pazienza, loro non avevano come amiche Olga o le sue sorelle.
O invidia, mi paragonarono a una ninfa in versione di bruna, a charming brunette, che ero bella, come una principessa orientale, sottile e meravigliosa.
“E poi a carte.." 
“ Sì”
“Secondo te, starò bene per il tricentenario?”
“Mi auguro di sì, zarevic..” Rispetto a Spala eravamo un pezzo avanti, e non azzardavo previsioni. Per il centenario della battaglia di Borodino (1812-1912), russi contro francesi, era apparso smagliante e giocoso, nella sua uniforme su misura, un promettente erede al trono, sicuro e sorridente, nella cerimonia rievocativa sulla spianata. E poi si era inchinato con perfetta modestia, quando veniva posta la prima pietra di una cattedrale sul luogo della battaglia.
E nel 1913 ricorrevano i festeggiamenti per i primi 300 anni da quando Michele, primo zar dei Romanov, aveva preso il potere, un serio impegno.
“Lo dici per farmi contento”enunciò.
 “Lo spero, Alessio, di tutto cuore, guardami, ti ho mai detto balle volontariamente o preso in giro?”
“No” Non ancora, avrei rimediato poi, purtroppo per noi.
 
 
Nel gennaio 1913, si tenne uno splendido ballo per i 18 anni della principessa Catherine nel palazzo Raulov, a San Pietroburgo, uno spunto per anticipare le grandi  celebrazioni di quell’anno.
Parteciparono finanche le due granduchesse più grandi, con immenso sollievo di tutti la zarina Alessandra, invitata, dichiarò di essere indisposta e non presenziò.
I saloni erano colmi di fiori freschi, rose e gigli provenienti dalla mite Crimea, i vestiti preziosi che frusciavano, come le uniformi e i rinfreschi erano mirabili,i lampadari e le candele a profusione illuminavano la scena, una scena in una squisita commedia, un tableau vivant agli dei della pace.
Lo zar Nicola II, in alta uniforme, accompagnò le sue figlie al ballo e la principessa Ella sorrise nel vederlo, il suo piccolo sorriso intimo e segreto, che per un battito concedeva a lui solo, prima di rivestire la sua squisita maschera di allegria e buon umore, che vestiva nella buona e nella cattiva sorte.
Lei era vestita di un fumoso color blu, era sottile e flessibile, i capelli raccolti in alto e portava disinvolta perle e zaffiri, lui agile e leggero nei giri di danza, scrutando il favoloso profilo di Ella, il collo eretto e la sua carnagione perfetta.(… lei sì che è una vera zarina, nell’aspetto  e nei modi, Maestà imperiale, come al solito e come sempre, mai una volta che si sia saputo che la pelle della principessa Ella si copra di chiazze rosse come quella di Alessandra,  la zarina, per non tacere del resto, confidarono a Marie, l’imperatrice vedova, che in segreto, tra sé e sé, si rammaricava che Ella da giovane avesse avuto tante buone qualità ma non rango sufficiente per aspirare alla mano dell’erede al trono, e Nicholas si era accontentato).
Quella sera mi sentivo una perfezione, leggera come una bolla di sapone, levigata, porgendo la mano da baciare.
Dall’alto del mio metro e settantadue, dominavo le pieghe spumose del mio vestito chiaro, un fiume di seta e chiffon, il corpetto incrostato di perle e argento che scintillava a ogni respiro, i drappeggi ad arte, mi davano più seno, portavo orecchini di perle e diamanti in coordinato con la tiara appuntata sui capelli e la collana sul collo
(Quando incontrai Andres, ero vestita da uomo, con i capelli corti, una rompiscatole incalzante, ma ero sempre io)
Le granduchesse erano vestite in tenui colori, rosa pallido e chiffon, una fascia di argento sui capelli, perle alle orecchie, gli occhi accesi e scintillanti di aspettativa mondana.
Ballai con lo zar, mio zio e tanti altri e poi arrivò il momento magico.
“Posso avere l’onore, Principessa?”
“Sì, Monsieur De Saint Evit
”Era un giovane uomo che faceva parte dell’entourage dell’ambasciata francese, il profilo fermo e squisito come il principe di una antica miniatura, mi sorpassava di una mezza testa, robusto senza essere grasso,scuro di occhi e capelli, compito e elegante. Lui per me non era nulla e viceversa, me lo ripetevo, ma era solo un esercizio vano, mi attraeva in modo irresistibile.
Vorticammo, in perfetto accordo, le mie gonne che fendevano come una prua spumosa le acque costruite dai passi creati dai suoi piedi, inebriati e inebrianti.
Alla fine osservai che  i balli parevano essersi abbreviati, lasciai a malincuore la sua mano, come lasciando andare un pezzo di me ...
Buffo, lo avevo incrociato molte volte in quelle sere invernali, a teatro, a qualche concerto, apprezzandone la perfetta gentilezza, gli inviti per il mio ballo di compleanno erano stati distribuiti numerosi, lui era solo uno dei tanti …. Giusto, che mi doveva importare di lui, tornavo a ripetermi, ma lui mi piaceva e io piacevo a lui, poco ma sicuro, quello mi dicevo, cercando di sfumare i miei trasporti e le mie fantasticherie.
Dopo il mio flirt a 14 anni con Philippe, non avevo avuto più nulla, tranne che qualche simpatia che non oltrepassava i confini del lecito e del buon gusto, ancora dovevo iniziare a comprendere a fondo le regole di quel gioco, forse il più bello e antico del mondo, quello dell’amore.
“Sei splendida” Constatò Tatiana, quando ci ritrovammo per una pausa noi tre, un sipario di tranquillità, io che appoggiavo un vassoio con tra flute di champagne su un tavolino e mi tamponavo la fronte, le ciocche scure e suntuose dei miei capelli che viravano nel mogano e nel rame alla luce delle lampade.
“Anche voi e state riscuotendo un successo immenso.”
“Hai ammiratori molto carini.”
“Tatiana, smetti di osservare quel bicchiere e brindiamo, invece.
“Appunto, il divertimento è appena iniziato.”
“Olga sei impossibile, tu, Catherine sei pazza”Tatiana aveva un temperamento serio e austero, la salvava dalla perfezione l’amore per le sete e i bei vestiti.
“ Cin  cin..”
“A proposito, Catherine, l’ultimo con cui hai ballato ti mangiava con gli occhi.” Catherine, amata e amatissima, un lupo, una leggenda.
“Evento comune stasera, no?“Risi. Glissando che mi mangiavo anche io LUI con gli occhi.
“E tu altrettanto, lo sai che è prassi consolidata che poco tempo dopo il ballo ufficiale venga dato un annuncio di nozze?”Sorrisi, sposarmi io e con chi? Che si inventava? Dovevo andare all’università, altro che sposarmi.
“Sorella, non dire scemenze.” Intervenne Olga, uno strano puntiglio,  mentre io poi mi ritrovai a riflettere che Tatiana sapeva scorgere segni e sfumature molto meglio di tanti altri, minimi segnali irrilevanti ma era pur vero che, mancandomi un innamorato, perché dovevo perdere la testa per quel francese. Bugiarda, anche allora, per quanto giovane e inesperta, sapevo di essere una bugiarda.
“Catherine, mia sorella ti vuole bene e più o meno siete sempre state in pari” osservò mentre tornavamo alle danze, Olga che si era già avviata.
“Direi di sì. Non su tutto, non sempre.” disse “mia sorella” per rimarcare il concetto, ci riflettei a posteriori.
“Non sarà sempre cosi”Mi fermai per un momento, le sue parole contenevano l’eco di quelle pronunciate da mio zio, il mio padre putativo, tanto tempo prima, che un giorno la vita ci avrebbe separato, scrollai la testa e mi imposi di non pensarci.
Intanto goditi la tua festa
Che terminò alle cinque di mattina, Saint- Evit lasciò il palazzo tra gli ultimi, la traccia delle mie nocche persa tra le sue. E già mi mancava, un presagio in questa vita che sarebbe stata tanta lunga, senza di lui.
   
 
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