僕は孤独さ – No Signal
༒
Parte quinta: Il caso Nagachika.
«Il mio nome è Nakarai Kejin e vengo da
parte del classe speciale Aura Kiyoko, Comandante della prima Divisione della
Circoscrizione uno. Secondo livello Masa Aiko, il suo periodo di aspettativa è stato
prolungato di altri dieci giorni, al termine dei quali però dovrà aver preso
una decisione: vuole ancora essere un agente del ccg oppure rinuncia ai gradi e
prende congedo? Non c’è vergogna nell’essere vigliacchi, ma nel farci perdere
tempo inutilmente sì.»
A parlare con lei dovevano aver mandato il
più simpatico degli agenti a loro disposizione,
che non si era risparmiato nemmeno un’osservazione sull’aspetto a dir poco
pietoso della ragazza. I segni delle ferite infertale da Eto dopo l’uccisione
di Orihara erano ancora in via di guarigione, ma il problema non era tanto il
suo corpo, quanto la sua psiche.
Ora che conosceva il nome del suo
aguzzino, oltre al suo volto, aveva possibilità limitate di fronte a sé. Poteva
denunciarla, farsi mettere in un programma di protezione e guardare i suoi
colleghi morire uno ad uno per punizione, oppure poteva iniziare a fare ciò che
Eto le domandava. Ad iniziare dallo svelare tutti i piani che la ccg aveva in
atto come controffensiva ad Aogiri. Per motivo questo aveva fatto domanda per
altri dieci giorni di aspettativa. Così da potere avere altri dieci giorni per
poter decidere la strada da prendere.
Aogiri non le aveva ancora chiesto nulla,
certo, ma Aiko sapeva che presto sarebbero arrivate le prime direttive. Stavano
ancora operando su di lei una strategia di assoggettamento che era andata
concludendosi quando aveva mangiato un pezzo del cuore del suo partner. Ormai
aveva perso l’innocenza, non era più una semplice vittima, ma era ancora ben lontana
dall’essere una complice. Era riusciti solo a distruggerla completamente,
rendendola fragile come cristallo, ma non l’avevano ancora corrotta.
Per questo motivo, a forza, si aprì una
terza via. Una nuova alternativa, che avrebbe consentito a tutti di continuare
a vivere senza che lei diventasse una persona orribile, un burattino dei ghoul.
Se fosse morta lei, allora tutto sarebbe finito.
«Io esco a fare una passeggiata, ci
vediamo dopo.»
Kuramoto stava parlando al telefono,
quando lei l’aveva salutato con un veloce bacio sulla guancia e poche scarne
parole. Non aveva atteso il responso del coinquilino, non aveva guardato i suoi
occhi. Tanto presto o tardi avrebbe trovato la sua lettera e Kuramoto avrebbe
capito. Lì, nero su bianco, c’erano scritte un sacco di cazzate. Non riesco più a vivere col peso di ciò che
ho visto…. Sono troppo debole…. Il Gufo col Sekigan avrebbe dovuto uccidere
me…. Si era impegnata parecchio per
sembrare più depressa di quanto non fosse in realtà. Se tutti avessero visto
quel suo gesto estremo come una via di fuga dal dolore, allora non si sarebbero
aperte istruttorie e nessuno avrebbe fatto domande. Non sarebbe stata che
l’ennesimo agente crollato sotto il peso di un mondo troppo marcio e di una
realtà troppo difficile.
Le dispiaceva arrecare del dolore ai suoi
colleghi, soprattutto a Itou, conscia che la sua famiglia non l’avrebbe pianta
quanto loro. Avrebbero fatto finta di niente, andando avanti con le loro vite
rapidamente, così come non avevano fatto quando Shin era scomparso. Senza
contare che lei aveva sempre avuto meno valore del fratello agli occhi di sua
madre. Aveva sempre pensato che suo padre avesse un buon cuore infondo, ma non
si era preoccupato minimamente del figlio scomparso, quindi non si sarebbe interessato
nemmeno a lei. Forse Hiroshi si sarebbe sentito un po’ triste, ma doveva
odiarla dopo quello che aveva passato per colpa sua.
Di conseguenza sarebbe finita sepolta nel
cimitero del ccg, con uno scarno funerale spesato dal bureau.
Mentre fissava rigida in basso dal
seggiolino della metropolitana e attendeva la fermata che l’avrebbe poi
condotta al luogo prescelto per attuare il suo ultimo piano, Masa si ritrovò a
pensare a Take. Non sapeva nemmeno lei il motivo. In quei sei mesi non avevano
empatizzato affatto lei e il suo capo, eppure sentiva che sarebbe stata una
fonte di delusione per lui. Le dispiacque di non averlo conosciuto meglio,
compreso.
Sembrava solo e triste quanto lei,
infondo.
Il ponte di Nijubashi non era
eccessivamente alto. Forse meno di cinque metri, ma poco importava. Lei non
sapeva nuotare. Non aveva mai imparato a farlo e quindi sarebbe andata giù come
un sasso, assorbita dal lago che abbracciava il parco.
Era un bel posto per morire. Voltandosi,
poté guardare per un ultima volta il palazzo imperiale stagliarsi nel buio
della notte. Il suo telefono suonò e non era nemmeno la prima volta.
Nell’ultima ora e mezzo Itou si era fatto sempre più insistente e Masa iniziava
a credere che avesse trovato la lettera.
Anche Hirako la stava chiamando e con loro
Tamaki.
Quando notò sullo schermo che l’ultima
spiaggia di Kuramoto era stata sua madre, Masa rifiutò la videochiamata in
entrata, lanciando il telefono per primo nel lago.
Poi, con determinazione ammirevole,
appoggiò la sola mano sana sul parapetto spesso di pietra del ponte e si issò
in piedi su di esso, traballante e dolorante. Con le costole ancora dolenti e
la spalla sinistra bloccata dal tutore che le teneva fermo il braccio e il
polso, Aiko prese un respiro profondo.
Non l’avrebbero mai trovata lì. Chiuse gli
occhi e cercò di formulare un bel pensiero, qualcosa che la aiutasse a lasciare
quel mondo con un sorriso, senza nessun rimpianto.
Non le venne in mente nulla, così rimase
ferma per diversi minuti. Più ragionava sul fatto che non aveva nemmeno un singolo
ricordo felice a cui aggrapparsi, eccetto qualche stupidaggine senza
importanza, più capiva che doveva buttarsi per il bene di tutti.
Eppure i suoi piedi rimanevano incollati
al parapetto, come cementati ad esso.
«Allora? Hai deciso? Lo fai o non lo fai?»
La voce era così vicina da spaventarla.
Barcollò, Aiko, rischiando di perdere l’equilibrio e sentendo il sangue
ghiacciarsi nelle vene al solo pensiero. No, non lo voleva fare. Però la donna
che la stava guardando con un sorriso sornione a storpiarle il volto quasi
fanciullesco non meritava di vincere. Non dopo averle fatto mangiare il cuore di
una persona a cui si era affezionata.
«Devo.»
«Devi? Hai firmato un contratto, per caso?
Oppure ti stanno costringendo a ucciderti? Se mi dici chi è ci penso io,
Aiko-chan.»
Masa strinse la mano sana in un pugno,
fissando Takatsuki Sen direttamente negli occhi, «Tu non puoi avere la mia
vita.»
«Quindi la sprechi?», con uno sbuffo
infantile, Eto si rimise diritta con la schiena, passando una mano alla base di
essa quasi come se le dolesse. «Così facendo sembra quasi che tu non ti dia
valore.»
«Hai detto che la mia vita ora è tua no?
Quindi non ne ha per me.»
Il ghoul sbuffò. «Allora fallo e basta.»
Le diede le spalle per una frazione di
secondo, prima di voltarsi per proporle una via di accordo. Di fronte a lei però
trovò solo la notte. Poi sentì le acquee del lago infrangersi, sotto il ponte.
«Quindi è questo che hai deciso,
Aiko-chan? Ma che peccato.»
Quando riprese conoscenza, Aiko era stesa
su un divano di pelle con addosso una coperta nera. Non realizzò subito dove si
trovava, almeno fino a che Eto non apparve dalla cucina con in mano due tazze
di the. A quel punto, qualcosa scattò dentro la mora. Non poteva nemmeno
uccidersi, farla finita e basta.
Quello era un incubo dal quale non sarebbe
mai uscita.
Portò il braccio sano sul viso e scoppiò a
piangere disperatamente, sussultando per il dolore al costato ad ogni
singhiozzo.
«Oh, andiamo, Aiko-chan, non c’è motivo di
essere tristi!» Eto poggiò le due tazze, prima di andare a sedersi accanto a
lei, costringendola a guardarla. «Sei viva! Hai di fronte un mare di
possibilità!»
«Quali possibilità?», ringhiò la ragazza,
furiosa. «Io sono una tua pedina! Finirò con il fare ammazzare i miei amici per
colpa tua! Maledetti, maledetti ghoul!» Cercò di divincolarsi, scostando la coperta.
«Lasciami! Maledetta tu e la tua specie!»
«Ma se odi tanto i ghoul perché lavori per
il ccg?», domandò ingenuamente Eto.
«Per proteggere il genere umano da voi.»
«Ma i Washuu sono ghoul.»
Aiko si pietrificò, attonita. «Non dire
idiozie», farneticò, mentre Eto ancora le teneva il braccio con espressione
limpida e divertita allora stesso tempo. «Non è possibile.»
«Allora lascia che ti racconti una storia,
Masa Aiko. Poi rivedremo la tua posizione all’interno di Aogiri, che ne pensi?»
Seguirono quelli che per Aiko furono
quarantacinque minuti di puro delirio. I Washuu erano ghoul, lo Shinigami
stesso era un Washuu e anche se non era uno di quegli esseri disumani, non era
una persona qualunque. Dentro alla Cochlea esisteva un vero e proprio campo di
concentramento dove venivano svolti esperimenti sui ghoul, come facevano i
nazisti durante la seconda guerra mondiale. Anche su bambini, o cuccioli o
qualsiasi altro nome Masa avesse voluto affibbiare loro. Perché Donato Porpora
era ancora vivo e come era a conoscenza di qualsiasi cosa al di fuori della
Cochlea? Perché la gerarchia centrale del bureau non aveva un senso per coloro
che vi lavoravano? Da dove veniva davvero il ccg? E infine la leggenda dal
Ghoul da un Occhio Solo che aveva quasi vinto sul genere umano.
Al termine del lungo discorso di Eto, la
mora era sicura di una cosa: se le aveva mentito, era estremamente brava a
farlo, perché ogni singola parola sembrava impregnata di un senso di
veridicità. Sembravano le parole di un profeta, pronto ad aprirle di occhi
sillaba dopo sillaba.
«Se quello che dici è vero», sussurrò
Aiko, con gli occhi sgranati e il labbro inferiore che tremava. «Io lavoro….
Per un sistema corrotto.»
«E non ti ho ancora accennato V., ma per
quello avremo tempo. Non vorrei sovraccaricarti. O ucciderti. Ma dovrò comunque
farlo se non sarai brava a tenere il segreto sulla nostra conversazione di
stasera.»
Eto si fece pensierosa.
Masa rimase in silenzio, pietrificata.
Trasalì solo quando il Gufo schioccò le
dita, colta da una epifania. «Ho capito quale è il punto, Aiko-chan. Farti
mangiare un cuore non è bastato a corromperti, mi serve qualcosa di più
incisivo.» Ci pensò su bene, poi socchiuse le labbra. «Parliamo della tua
famiglia, ti va? Troverò un modo per renderti il mostro che mi serve per
distruggere questo mondo marcio.»
«E poi? Quando tutto sarà distrutto, dove
vivremo?»
Eto sorrise.
«Poi? Poi il Re lo ricostruirà da capo per
tutti noi, Aiko-chan.»
Capitolo ventotto
Quando la mano di Masa sbattè forte sul
bancone del bar ebbe l’effetto di una pistola puntata contro la cameriera.
L’intero locale ammutolì mentre la colomba, con tanto di cappotto d’ordinanza e
valigetta, fissava Kirishima.
«Te lo ripeto nuovamente», sussurrò con
tono basso Touka, certa che intanto l’altra l’avrebbe chiaramente sentita.
«Quella mappa non l’avevo mai notata. Io ho tenuto solo uno o due effetti
personali nel caso in cui Kaneki Ken fosse tornato a-»
«Riprendersi le cose del suo amico»,
terminò per lei la frase la mora. Aiko assottigliò gli occhi gialli, «Pensi che
io sia stupida?», domandò quindi, a bruciapelo. «Mi ha inviato una lettera. Da
quando i morti riescono a farlo? O magari siete stati voi? Siete per caso i
suoi emissari?»
«Senti bene, Aogiri.» La voce di Nishiki fendette l’aria, velenosa. «Cosa
dovremmo nascondere, noi? Sai benissimo di cosa ci occupiamo qui. Ora smettila
di fare la bulla, spaventi i clienti. Prenditi un cazzo di cornetto di merda o
vattene.»
Aiko infilò la mano nella tasca del
cappotto, prendendo la fogliolina di plastica e mettendola sul bancone, prima
di chinarsi per recuperare la quinque. «Ditegli che se pensava di spaventarmi,
si sbagliava di grosso. Mi ha solo spronata a fare di tutto per trovarlo e
assicurarmi che paghi.» Sistemò il bavero del trench, prima di sfidarli di
nuovo, con lo sguardo improvvisamente affilato. «Perché io lo troverò, presto o
tardi.»
«Sai cosa si dice dei fantasmi,
Masa-san?», a parlare, questa volta, fu il signor Yomo. Le arrivò alle spalle,
entrando dalla porta di ingresso del bar con due grandi borse fra le mani. «Che
spesso sono loro a trovare le persone e non viceversa.»
«Mi leverebbe un bel po’ di lavoro così.»
sprezzante, Aiko mostrò ciò che teneva nascosto nella tasca interna della
giacca argentea. «Ditegli pure che ora ho anche il quaderno. Non l’ha nascosto
bene e quelle bombe erano un lavoretto da bambino dell’asilo che si diverte con
la carta igienica e la colla vinilica.» Girò attorno a Yomo, senza aggiungere
altro.
In collera.
Nient’altro, se non una frase.
«Finirà la sua fortuna insieme alla
fortuna di questo bar, forse.»
La porta si chiuse, lasciando Touka
immobile, con una mano che appena le tremava contro il fianco.
Nishio se ne accorse, ma non fece nulla
per consolarla. Piuttosto, prese la fogliolina e la buttò via.
«Certe persone non imparano mai», disse
con tono brusco. «Chi è causa del suo mal
pianga se stesso. Si dice così, no? Chissà cosa cazzo intendeva con ‘ho il quaderno’.»
«Non lo voglio sapere», sussurrò in fretta
Kirishima, sistemando il grembiule, pronta a tornare al lavoro. «E non mi
riguarda. Abbiamo dei clienti vero?»
«Quindi lo informerai dopo della novità?»
Nishiki non ottenne risposta. La conosceva
già, dopotutto.
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Il vero piano di Aiko non era minacciare o
mettere in allarme il :re. Voleva semplicemente che alla sua preda arrivasse il
messaggio che non avrebbe smesso con la caccia, sino alla cattura. La sua
cattura.
Loro avevano contatti con lui, contatti
che a lei erano preclusi.
L’insieme di vicoli ciechi che si erano
susseguiti con la mappa avevano però portato al ritrovamento del quadernino
prezioso.
Certo, aveva pagato pegno per questo. Alla
sua scrivania si era presentato un certo Okita Arashi, detective della omicidi,
che aveva fatto più di una domanda sul motivo per cui lei e Higemaru si fossero
presentati alla porta di un appartamento che era esploso qualche ora dopo.
«Mi dispiace molto per ciò che è successo
alla signorina Wakaba», aveva detto cercando di suonare sinceramente affranta
Aiko, con le mani in grembo e accanto un Higemaru cadaverico. «Forse la persona
che cerchiamo è tornata per eliminare ogni prova dei suoi reati. Credevo di
essere alla ricerca di un disperso, ma ora come ora potrebbe essere un
terrorista o un sostenitore di Aogiri, chi lo sa.»
Okita se l’era bevuta, perché infondo non
c’erano le basi per dubitare delle parole dei due investigatori del ccg. Aveva
preso appunti e loro si erano dimostrati disponibili ad ulteriori domande.
«Comunque non siamo mai entrati in quella
casa, ce lo ha negato la proprietaria stessa. Forse era addirittura sua
complice», aveva sostenuto a sorpresa Touma, rendendo il lavoro di Aiko più
semplice. Avevano dirottato Okita sulla possibilità che la vittima fosse in
realtà una complice, ma non essendoci prove materiali, il caso non poteva
passare alla ccg. Avere un sospetto non portava ancora a nessuna sentenza
definitiva, in quel periodo. Non prima di Furuta al comando, quanto meno.
Erano tempi diversi.
«Se nelle vostre indagini doveste per caso
trovare il signor Yamoto, vi prego di contattarmi», li aveva ringraziati il detective,
dando loro un biglietto da visita bianco e ricevendone uno in ritorno da Masa.
«Aiko della Quinx Squad», aveva letto l’uomo, ignorando totalmente il povero
Higemaru, ancora presente. «Spero di collaborare con lei in futuro, allora.»
La donna strinse la sua mano, appena le
venne porta. «Lo stesso vale per me, Arashi-san.»
«Ma che gli fai tu agli uomini?», era
stato il commento smaliziato di Touma appena rimasto solo con la superiore.
Come ricompensa aveva ricevuto in testa un grosso raccoglitore e l’ordine di
esaminare ogni singola virgola sul passato di Nagachika. Anche il numero di
denti persi e i voti scolastici.
Ogni minimo dettaglio.
Lei, invece, si era buttata a capofitto
sul quaderno.
Tramite una serie di annotazioni
scarabocchiate o riassunte in poche lettere apparentemente prive di senso aveva
colto che lei era stata rinominata come RA.B. mentre Urie era CN. C’era anche
Take, perché vicino a una data e il nome di un ristorante in cui erano stati
insieme a pranzo alcune settimane prima del ritrovamento del prezioso quaderno,
c’era la nota ‘RA.B e CB n.s.s.a.p.’
Masa non aveva idea di cosa significasse,
ma la affascinava come Yamoto avesse utilizzato solo lettere dell’alfabeto
occidentale per segnare i nomi e le annotazioni. Non se lo aspettava, ma
era stato uno studente di letteratura
straniera molto dotato dopotutto e la calligrafia indubbiamente cambiava sul
piano estetico, non potendo ricollegare nemmeno questa con alcuni documenti o
relazioni firmati dal ragazzo che avevano recuperato.
Fra una riga e l’altra spuntavano anche
RA.N e R.B., ma dalle singole annotazioni Aiko non riuscì a capire chi
potessero essere, così come TB, TN, AB e AN, molto più presenti dei due
precedentemente citati.
Arrivò anche ad ipotizzare che alcuni nomi
potessero rappresentare più di una persona per una semplice questione
logistica. Ad ogni modo, il più bersagliato di tutti era il famoso RN.
Compariva in ogni singolo foglio, almeno cinque volte, vittima di un
pedinamento serrato.
Aiko si decise a iniziare da lì.
Da quel RN, che pareva un tipo piuttosto
abitudinario.
«Aiko! Hai un secondo?»
Masa arrestò il suo passo quasi militare,
trovandosi a sorpresa di fronte qualcuno che non credeva avrebbe rivisto prima
del suo ritorno a lavoro. «Ciao Nimura»,
salutò con educazione, alzando una mano mentre lui la raggiungeva, sistemandosi
una scarpetta rossa che penzolava male su una spalla. «Cosa ci fai da queste
parti?»
«Ah, vengo a prendere Sasaki», le rispose
con cortesia il ragazzo, tutto sorridente nonostante fossero le dieci di un
uggioso mattino di inizio settembre. «Tu invece?»
«Io sto seguendo una pista su un caso
personale», gli rispose vagamente, comprendendo che mentire sarebbe stato
stupido. Furuta avrebbe raccontato a tutti del loro incontro, intanto. Aiko si
era abituata in fretta alla sua ingenuità. «Mi raccomando», ci provò lo stesso
però. «Non dire a nessuno che mi hai visto qui.»
Nimura finse di cucirsi le labbra. «Muto
come una marionetta.»
«Comunque», si ricordò Masa, «Mi hai
fermata perché volevi chiedermi qualcosa?»
«In realtà sì.» vergognoso, Furuta si
grattò la nuca, a disagio. «Temo di averti messo nei guai con il primo livello
Urie senza volerlo, Aiko.» La ragazza lo guardò senza capire e gli fece cenno
di andare avanti. «Gli ho detto che vi ho visti insieme alla festa di Omohara
ma…. A quanto pare non era lui quindi ho fatto fare ad entrambi una pessima
figura.»
Aiko si sentì sollevata. Ora almeno sapeva
perché Urie faceva tanto il difficile. Erano passati solo tre giorni da quella
sera, tre caotici e pienissimi giorni, così stipati di cose da fare, luoghi da
visitare e appartamenti di dare alle fiamme da non farla ragionare troppo su
cosa effettivamente potesse aver irritato tanto il compagno di stanza, che
infondo non vedeva mai.
«Non hai fatto niente di male, Nimura»,
rassicurò il ragazzo, muovendo una mano con noncuranza di fronte al viso. «Era
un vecchio compagno di scuola quello con cui mi hai visto e in ogni caso io e
il primo livello Urie non dobbiamo niente l’uno all’altra. Siamo solo colleghi
e lui è il mio capo.»
Furuta la guardò, non capendo. Sbatté le
ciglia sugli occhioni neri leggermente acquosi, prima di parlare nuovamente.
«Sapevo che lui avrebbe negato tutto quando sono andato a parlargli», soppesò
quindi a voce alta. «Ma da te mi aspettavo che mi avresti detto la verità.»
«Questa è la verità», disse Aiko,
scrollando le spalle. «Non c’è niente di
ufficiale fra me e il primo livello Urie. La prossima volta ballo con te.»
«Ne sarei così onorato», gongolò Nimura,
«Ma purtroppo il mio cuore appartiene a un’altra donna. Sappi però che ho
sempre voluto un appuntamento con te, Aiko. Ne avremo uno finto prossimamente.»
«Affare fatto», i due si strinsero la mano
e si salutarono.
Poi Furuta si infilò nel bar in cui ad
aspettarlo c’era Sasaki.
«Quindi ora è con questo posto che
tradisci il :re, eh Haise», parlò fra sé e sé Aiko, controllando il quadernino
e notando che tutto combaciava. ‘Ore 10.02, Orahikashi bar, prima
circoscrizione. RN nel locale fino ad arrivo di TN’.
Poteva essere una coincidenza?
Smise di essere una coincidenza quando
incontrò Sasaki anche in un altro posto, due ore dopo. E di nuovo, in un terzo
più lontano, verso sera.
Quando arrivò nel quarto luogo nel quale
RN soleva stazionare ogni mercoledì sera, ovvero una piccola libreria, e lo
trovò dentro fra gli scaffali, Aiko comprese.
RN era Haise Sasaki.
No, più sottile.
RN era
Kaneki Ken.
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Lo chateau sembrava deserto quando Aiko vi
rimise piede poche ore dopo aver sistemato anche quell’ultimo controverso
tassello.
In realtà, essendo passate le dieci di
sera, ogni membro della squadra si trovava nella propria stanza. Il che avrebbe
reso molto interessante la conversazione che intendeva affrontare con Urie.
Grazie al loro udito sensibile, i Quinx avrebbero anche potuto origliare
l’intera conversazione dal piano di sotto, quindi in quella circostanza non
c’erano possibilità per i due di avere un minimo di privacy.
Contava che almeno Hsiao si sarebbe messa
un paio di cuffie.
Salì le scale senza nemmeno pensare che in
fondo doveva ancora cenare e aveva un certo languorino. Camminò con passo lento
fino all’ultima stanza infondo al lungo corridoio del secondo piano ed entrò
senza bussare.
Urie stava lavorando alla scrivania e non
staccò nemmeno gli occhi dal portatile per guardarla. Probabilmente l’aveva
sentita arrivare dai primi gradini. Lei non si scompose di fronte a quella
mancanza di interesse da parte di Kuki; litigavano e si ignoravano così spesso
che pareva la normalità.
Andò al letto, sfilandosi la felpa che
aveva utilizzato quel giorno, preferendola al trench visto che si era data al
pedinamento. Rimase con addosso solo una maglietta nera che le salì sul tronco
scoprendole l’ombelico quando si stese stanca sul letto. Scostò la frangetta
lunga dalla fronte con le dita e tenne lo sguardo sul soffitto.
Dovette comunque attendere poco perché il
silenzio si interrompesse.
«Sei tornata prima, oggi. Hai deciso di
mettere un freno alla tua inconcludente indagine?»
Aiko storse il naso, cogliendo la
provocazione con in mano già le armi per contrattaccare. Si mise a sedere.
«Devo parlarti di una questione molto urgente. Ecco perché sono tornata prima.»
Urie smise di digitare sulla tastiera,
irrigidendosi. «Hai combinato un guaio?», domandò, senza però voltarsi.
«No, sono preoccupata per i tuoi
testicoli.» Questo lo fece girare piuttosto in fretta. «Insomma, lasciarli per
così tanto tempo dentro la borsetta di Matsuri non li farà essiccare?»
«Cosa cazzo
stai dicendo?»
Aiko si trattenne parecchio dal ridergli
cinicamente in faccia. «Sei incazzato con me perché ho ballato con un mio ex
compagno di scuola alla festa a cui tu eri invitato e a cui tu hai deciso di
non venire, facendomi andare da sola. E me l’ha dovuto dire Nimura. Sei
patetico.»
Kuki cercò di non fare una piega di fronte
a quelle parole. Ci provò davvero, ma una piccola rughetta sulla sua fronte
ebbe una contrazione involontaria, finendo per tradirlo. «Non sono incazzato
con te.»
«Ah no? Non mi rispondi al telefono e mi
ignori perché hai il ciclo? Povero. Se vuoi ho dell’ibuprofene.» Masa si decise
a non risparmiargli nemmeno una parola. La frustrazione dell’indagine l’aveva
resa meno paziente e la persona di fronte a lei era la sola in grado di
risollevarla o mandarla completamente in frantumi. Stava premendo molto per la
seconda, in quel momento. «Non sei voluto venire.»
«Ero obbligato a farlo? Cos’altro vuoi che
faccia, Aiko?»
«Spiegami, tanto per cominciare, perché
non mi hai chiesto niente», sostenne a testa alta la ragazza. «Hai ventuno
anni, per il Grande Demone Celeste.
Non quattordici. Oppure vuoi ancora giocare la carta del ‘non stiamo insieme’?
Perché mi pareva molto chiara la situazione fra noi due ad Aokigahara, anche se
di fronte agli altri è top secret.»
Urie si ritrovò zittito. Effettivamente
quello scoglio sembrava superato, almeno fra loro due. Invece eccolo di nuovo,
imponente, a rischiare di affondare la nave tenuta insieme con lo sputo su cui
la sua vita cercava di trascinarsi avanti. Si morse le labbra. «Mi ha
infastidito che Furuta abbia fatto allusioni su-»
«Credi che solo Furuta sappia? Cazzo, sei
un investigatore! Tutto il dipartimento sa che ti scopo e sì, la scelta di
parole che ho usato è accurata perché sei una femminuccia.»
«Smettila di insultarmi, Aiko!»
«Perché dovrei? Sei l’incarnazione vivente
del toyboy. Vieni a letto con me perché ti risolvo i casi, no? A questo punto è
la sola risposta che mi do. Se no col
cazzo che ti avrebbero dato la medaglia d’Osmanto. O pensi di essertela
guadagnato da solo? Chi ti ha risolto tutti quei casi? Chi ti ha portato avanti
nelle indagini quando eri fermo, in un punto morto, con gli occhi da trota e i
fascicoli di fronte, aperti come se fossero carta da cesso?! Dopo tutti questi
mesi, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, non hai ancora le palle
per venire da me a chiedermi se mi sto scopando un altro?!»
«AIKO!»
«Chi ha risolto il caso Embalmer? E il
caso Lisca? Chi ha portato avanti le indagini sui traffici del caso Kamata?
Vogliamo parlare del caso del Funambulo? O tutti i casi di minore importanza?! Chi
ha rimesso insieme la bomba che ha distrutto la sede centrale?! Non tu. Tu non
stai facendo nulla se non chiuderti dietro le stupide scartoffie processuali
che impone il dipartimento, quando eri il primo a metterti in pericolo per
farti strada, fino a qualche mese fa. Ora ha come un freno! Non sai più spingerti
oltre quel limite invalicabile che la tua stupida mente si è prefissa! Non
riesci a vedere il mondo a trecentosessanta gradi perché ti limiti da solo e
per questo non sei un buon investigatore. L’intuito e l’intelligenza li hai, ma
non li usi o sapresti che io non ti avrei mai fatto questo, idiota! E sai
perché?? Perché dalla morte di Shirazu tu sei seduto sulla sedia che ti hanno
dato grazie alla mia bravura.»
Masa non si rese nemmeno conto che Urie si
era alzato. Fu così veloce da coglierla alla sprovvista, quando la più agile
dei due era sempre stata lei. Le afferrò la gola con la mano destra, stringendo
mentre la spingeva stesa sul materasso. Si ritrovò così, colto da un raptus,
seduto su di lei a cavalcioni.
Lo destabilizzò quell’eccesso di violenza,
ma mai quanto la reazione della mora.
Aiko rimase impassibile, con la solita
arroganza negli occhi, fissi nei suoi. Gli prese il polso, ma non per farsi
lasciare andare. Lo tirò di più verso di sé.
«La verità fa male», snocciolò, a fatica,
ma con ancora abbastanza fiato per infierire. «Ma se pensi di spaventarmi ti do
una notizia: ho vissuto una vita infernale e sicuramente non sarai tu a farmi
abbassare lo sguardo.» Ci fu uno stallo. Lui era immobile, con la mano che
aveva perso la forza, ma che non si staccava dalla pelle candida della gola
della donna sotto di lui, arrossata laddove l’aveva strinta. Gli occhi erano
sgranati, confusi, mentre il suo cervello lavorava a una velocità troppo
elevata per metabolizzare la situazione. «So che hai parlato con Noriko»,
insistette Aiko, con voce ferma ora che la laringe era stata liberata
dall’oppressione delle dita. «Cosa c’è, hai paura di ferirmi a parole e non sai
come lasciarmi? Pensi che perderei il controllo, se tu lo facessi? Per questo
preferisci ignorarmi fino al punto in cui non sono io ad affrontarti? È un
comportamento parecchio codardo, alzare le mani su una donna.»
Il labbro inferiore dell’investigatore
tremò appena, poi Urie deglutì. «Se volessi, potresti infilzarmi col tuo kagune
nello stomaco anche ora. Lo hai già fatto.»
«Perché rovinare il letto?», domandò
sarcasticamente lei, prima di appoggiargli una mano sulla spalla, facendo leva
per ribaltare le loro posizioni. Quando si sedette su di lui, il braccio di
Kuki ricadde sul materasso, privo di forze. «Non ho bisogno del mio kagune per
stenderti. Bastano le parole», gli fece presente, prima di prendere un respiro.
Riempì la cassa toracica di aria, facendola alzare, prima di espirare
profondamente, chiudendo gli occhi e alzando il capo verso il soffitto, con le
braccia incrociate sotto al seno. Sembrava in meditazione, ma a Urie non
importava. Si sentiva così male che non aprì bocca nemmeno per scusarsi per
l’irruenza. «Abbiamo davanti due strade», parlò alla fine Aiko, tornando a
guardarlo, con decisione. «Prendo tutti i miei vestiti e mi trasferisco al
piano di sotto, nelle stanze libere degli ospiti, oppure accetti la nostra
relazione e il fatto che tutti coloro che ancora non lo sanno, lo scopriranno
presto.»
«Sai che è contro il regolamento per un
caposquadra avere una relazione interpersonale con un suo sottoposto.»
Aiko sorrise amaramente di fronte a quella
zelante risposta. Non si aspettava altro se non lo snocciolarsi di regole
interne. Erano probabilmente il solo scudo che Urie aveva da porre fra loro
due.
«Allora non esiste altra scelta, no?»
Cercando di mantenersi calma, Masa lanciò
uno sguardo all’armadio. Il solo pensiero di doverlo svuotare con lui sul
letto, la destabilizzò. Non si era aspettata che il discorso sarebbe dirottato
così precipitosamente su una rottura. Eppure riusciva a rimanere lucida al
pensiero che una volta buttata la valigia in una stanza vuota e fredda, avrebbe
potuto chiedere asilo da un’altra parte.
Dove forse non era più voluta che in
quella casa.
Non riuscì però ad alzarsi, perché Urie le
prese il polso.
«No, non esiste altra scelta. Devi andare
via dalla Quinx Squad.»
Senza parole, dopo il fiume che aveva
riversato sul ragazzo sotto di lei, Aiko si limitò a guardarlo.
Anche Kuki rimase in silenzio, spiando il
volto totalmente sconvolto della seconda e scoprendo che non aveva mai visto
quella luce nei suoi occhi, così genuinamente sorpresi.
Capì che doveva aggiungere qualcosa. «Devi
esserne davvero convinta, perché se hai davvero intenzione di continuare la
nostra storia, per il bene di entrambe le nostre carriere e non solo, lascerai
i Quinx il prima possibile e ti trasferirai per un periodo di prova in un’altra
squadra. Quando ti avranno inserito a pieno titolo in essa e scadrà il
prestito, tu firmerai per rimanervi e io non sarò più il tuo capo. Allora
potremo sposarci e tu potrai anche tornare nei Quinx, secondo il regolamento.»
«Sposarci?», fu la sola cosa che il
cervello di Aiko assimilò davvero.
Il ragazzo si mise seduto, portando le
mani sulle reni dell’altra per non farla cadere oltre il bordo del letto. Se non
l’avesse fatto, lei non si sarebbe riuscita a reggere a lui. sembrava più
sconvolta per quelle parole che per tutto ciò che era successo prima di esse. «Due
persone sposate possono far parte della stessa squadra a sei mesi e un giorno
dalla firma dell’atto matrimoniale. Ho controllato l’altro giorno, mentre
ignoravo le tue chiamate.»
Le mani della mora si appoggiarono sulle
sue spalle, tentennanti al pensiero di un ulteriore contatto. «Devo ammettere
che questo è davvero un modo originale per pararsi il culo», sussurrò piano,
indecisa.
«Ho scaricato tutte le norme e ti ho fatto
un pdf. L’ho anche stampato.»
«Sono ammirata da tutta questa dedizione.
Allora perché non mi parlavi?»
Urie non rispose subito. Spostò gli occhi
sul copriletto, prima di tornare a guardarla, così da dimostrarle la sua
sincerità. «Perché non è esattamente il tipo di discorso che pensavo di essere
pronto a fare. Posso verificare tutto ciò che voglio, ma una volta che esce
dalle mie labbra, diventa reale. Me l’hai detto tu una volta, ti ricordi?»
Aiko non se lo ricordava.
Però si ricordava di averlo detto ad
Aizawa.
«Quindi? Vuoi iniziare questa lunga
procedura oppure preferisci trasferirti nella stanza del piano di sotto?»
Le dita lunghe della mora scivolarono
nell’undercut del ragazzo, mentre appoggiava la fronte alla sua. Un piccolo
sorriso amaro le distorse le labbra mentre pensava che molto probabilmente non
avrebbe vissuto abbastanza per arrivarci. O che sarebbe stata scoperta molto
prima.
Decise però di sognare e concedere
all’altro di fare lo stesso.
Fu molto egoista da parte sua, illuderlo. Non
poteva però predire il futuro o controllare gli avvenimenti. Vivere quella vita
parallela le dava speranza, anche se non avrebbe voltato le spalle a Labbra
Cucite per questo. Poteva continuare a convivere con il suo alterego, poteva
farcela.
Ed essere anche felice, nel mentre.
Perché non voleva nulla quanto voleva
Urie, però non era disposta a sacrificare niente.
«Va bene. Facciamolo. Ma poi pretendo una
proposta di matrimonio decente, perché questa con tentato strangolamento e pdf
informativo non è stata granché.»
Le braccia di Aiko scivolarono oltre le
sue spalle, mentre lo stringeva in quell’abbraccio rappacificatore.
E per la prima volta sperò di sopravvivere
ad Eto, così da poter scegliere l’abito bianco.
༒
«Oggi hai chiesto a Matsuri il
trasferimento? E lui ha firmato?»
Aiko sorrise divertita, prendendo un sorso
di the, mentre di fronte a lei Nimura rimaneva con il braccio appeso e la
tazzina contenente il suo espresso in mano.
Quel loro finto appuntamento si stava
rivelando più divertente del previsto.
«Questa mattina», precisò la ragazza,
appoggiandosi con il gomito al tavolo, mentre spiava di sottecchi Futura, i cui
occhi brillavano manco stesse ascolta la più bella delle storie d’amore. «Sono
andata insieme a Urie e il classe speciale Washuu non ha nemmeno voluto una
spiegazione. Mi ha detto che posso iniziare anche da domani visto che ho appena
avuto delle ferie, se voglio.»
«Così sembra quasi che volesse liberarsi
di te», soppesò l’investigatore di secondo livello, terminando in un sorso solo
la sua bevanda. «Hai già idea di dove ti trasferirai?»
«Ho avuto una conversazione di due intensi
minuti con Suzuya», rispose la mora, sempre più divertita dalla situazione.
«L’ho incontrato per caso nel corridoio e mi ha detto che ora che Mutsuki è
passato alla squadra di Hachikawa, a lui farebbe molto piacere avere un altro
Quinx nel team. Dice che lo divertono.» Aiko lanciò un’occhiata di intesa a
Furuta, che ridacchiò sotto ai baffi. «Hanbee ha detto che preparerà tutte le
carte entro la fine della giornata e poi farò ufficialmente parte della squadra
Suzuya.»
«Sei in prestito con aspettativa?»
«Sì, a scadenza. Due mesi.»
Nimura annuì. «Poi speri che ti riconfermi
lui?»
«Conosco praticamente tutti in quella
squadra, sono pazzi esattamente come lo sono io», rispose Masa, lanciando uno
sguardo oltre la vetrina del bar scelto dall’altro per quel loro incontro.
«Starei bene con loro e sicuramente da uno come Suzuya ho solo da imparare. Mi
piacerebbe firmare per almeno un paio di anni.»
«Così tu e Urie avreste tutto il tempo per
sistemarvi, insomma.»
«Sei troppo recettivo, lo sai?»
Furuta ridacchiò. «Sono un buon
investigatore», la corresse. «Debole come sono nel combattimento posso solo
usare il cervello, in mancanza dei muscoli.»
Aiko sbuffò piano, prima di sistemarsi
contro il sedile della poltroncina imbottita. «Tu piuttosto? Mi hai detto di
avere una signora Furuta, ma non hai aggiunto i dettagli che voglio.»
Lui schiuse le labbra, arrossendo
pudicamente mentre le mani correvano alle gote per coprirle, imbarazzato. «Non
chiamarla così, non siamo ancora sposati purtroppo. Diciamo che abbiamo avuto
qualche impedimento.»
Masa corrugò la fronte. «La preoccupa i
rischi a cui sei esposto col lavoro?» Nimura scrollò il capo. «Non piace ai
tuoi genitori?»
A quelle parole, Furuta esplose a ridere.
«Oh, magari fosse questo il problema», le sorrise, come al solito sereno,
mentre si alzava sistemando la cravatta blu elettrico che indossava quel
giorno. «Io sono un bambino del Giardino Soleggiato, proprio come Arima-san o
Hsiao. Non ho genitori a cui presentare la fidanzata. Ora perdonami ma devo
usare un secondi i servizi igienici.»
Aiko rimasta quasi frastornata dalla
semplicità con cui Furuta snocciolò quel dettaglio personale e non riuscì a
nasconderlo. «Fa con calma, ti aspetto qui.»
Un altro sorriso e poi Nimura sparì oltre
la porta, lasciandola lì seduta come un allocco, gli occhi sgranati sulla sua
tazza e una strana sensazione alle viscere.
Sicuramente Furuta non poteva sapere le
cose di cui era a conoscenza Masa, come il fatto che il Giardino fosse
direttamente connesso a V. Per ciò aveva ingenuamente fatto quella
dichiarazione, anche in virtù del fatto che Masa viveva con Hsiao e sapeva cosa
fosse il Giardino. Almeno, sapeva quello che i Washuu avevano lasciato
trapelare su di esso: un orfanotrofio speciale per agenti incredibilmente
dotati.
Furuta poteva anche dirsi debole, ma
effettivamente era molto intelligente.
Arima e Hsiao erano invece innegabilmente
superiori nella lotta corpo a corpo. Anche Hairu, prima di morire, aveva
dimostrato di avere qualcosa in più rispetto agli altri.
Masa però sapeva di più.
Masa sapeva che i bambini provenienti dal
Giardino non erano esattamente umani. Non erano nemmeno ghoul, però, ma Eto non
era mai stata molto chiara in merito né lei aveva chiesto con la dovuta
attenzione informazioni.
Non era rilevante che Nimura fosse un
bambino del Giardino, ma Aiko rimuginò improvvisamente su qualcosa.
E poi ricordò cosa.
Il testamento di Nagachika parlava di un
bambino che giocava in un giardino
baciato dal sole e Touka Kirishima aveva visitato il ponteggio V14, come le
14 Volte in cui con lei si era scusato il ragazzo. Quel bambino era Kishou Arima e quel
testamento parlava dello scontro fra Arima e Kaneki durante l’operazione della
ventesima.
Peccato che quello stesso testamento fosse
stato scritto almeno cinque giorni prima.
Mancava ancora un tassello. Chi era
l’ultimo drago da cui guardarsi?
Di nuovo, Aiko sentì le viscere contrarsi.
Parlava dei Washuu, il cui simbolo era il
drago?
Velocemente, controllò sul telefono la
copia del documento e lo rilesse, comprendendolo per intero. Nagachika sapeva
che sarebbe morto dove il sole e incontra le tenebre, ovvero alla fine del
canale di scolo del ponteggio 14 V. Sapeva inoltre che lì Arima e Kaneki
avrebbero combattuto e che poi Kaneki sarebbe diventato Sasaki, perché Touka
Kirishima non avrebbe dovuto cercarlo.
Perché sarebbe tornato da solo da loro.
Ma l’ultimo dei Washuu avrebbe cercato di
distruggerlo e di distruggere ogni cosa.
Non poteva parlare di Matsuri. Doveva
essere un altro Washuu, magari figlio bastardo di un ramo cadetto, come Eto le
aveva detto essere lo stesso Arima.
Lì, in mano, aveva una predizione che si
era avverata in toto e che avrebbe dovuto tenere a mente nel momento in cui
avrebbe trovato Nagachika, perché glielo avrebbe domandato di persona, come
aveva fatto.
Come aveva predetto il futuro.
༒
-Hai ritirato tutta la documentazione?-
«Sì.»
-Hai chiesto anche una copia
controfirmata?-
«Credo che Suzuya si ricorderà di avermi
assunto»
Aiko sospirò rassegnata, mentre al
telefono Urie le ricordava l’importanza della burocrazia, soprattutto in quelle
delicate questioni, come trasferimenti e aspettative di lavoro. Sbuffò
apertamente, ricordandosi quando Urie era ancora un ragazzino isterico che
prendeva iniziative stupide e rischiava di farsi uccidere senza badare
minimamente al regolamento. Diventare il capo lo aveva fatto invecchiare
precocemente e molto in fretta.
«Fra due giorni mi dovrò trasferire nella
tredicesima, non sei triste nemmeno un po’?», chiese con tono canzonatorio,
mentre il sole tramontava su quella quieta giornata che era stata il quattro
settembre del 2016.
Non lo sapeva, ma Aiko aveva meno di due
mesi di vita.
-Tanto so che ti avrò sempre tra i piedi.-
«Ti amo anche io!»
Un po’ si pentì di averlo detto e non si
stupì quando non avvertì la risposta di ritorno. Poteva però immaginare il
volto di Urie, colto del tutto alla sprovvista.
«Senti, finisco un paio di commissioni e
torno a casa, va bene?»
-Ok.-
La chiamata terminò su una risatina della
mora, stroncata dall’imbarazzo del caposquadra. Scrollando il capo, Aiko si
sistemò la borsa a tracolla con la mano libera dalla valigetta.
Imboccò una strada secondaria per passare
da un contatto diretto di Ayato. Avrebbe comunicato così a Tatara quel
trasferimento, senza fare chiamate o andare direttamente la quartier generale
di Aogiri. Dalla morte di Lisca era difficile trovalo lì in ogni caso. A Eto
invece l’avrebbe detto di persona, spacciando quel trasferimento come una
imposizione di Matsuri. Non si sarebbe stupita, Masa le aveva sempre detto
quanto il classe speciale la disprezzasse apertamente.
Sperava solo che avrebbe creduto a quella
bugia.
Era persa in queste elucubrazioni quando
lo vide.
Un ragazzo, con addosso un paio di jeans
dall’aria vissuta e felpa nera. Un pezzo di liuta che sbucava da sotto il
cappuccio, cadendo sul petto. Una maschera, per la precisione, che lei non vide
direttamente, ma che non poteva essere fraintesa.
«Spaventapasseri», sussurrò, non credendo
ai suoi occhi. Non rifletté adeguatamente e si buttò in mezzo alla strada per
attraversarla, saltando sul tettuccio di una macchina per poterlo raggiungere.
Corse fino all’imbocco del vicolo in cui
l’aveva visto sparire. Si trovò di fronte un muro alto e nulla più. Di nuovo,
aveva visto volatilizzarsi la sua preda di fronte ai suoi occhi.
Sbattè il pugno contro i mattoni a vista,
prima di voltarsi per tornare indietro. Non era più sola, però. L’enorme figura
di fronte a lei non aveva un odore, per questo non l’aveva sentita arrivare.
Nonostante la stazza non aveva emesso un suono.
Quel volto, però, non poteva nasconderlo
in modo alcuno.
«Amon Kotarou», sussurrò Aiko, stringendo
la valigetta.
Non fece in tempo a fare nulla che la mano
sana del mezzo ghoul scattò repentina contro il suo viso. Un solo colpo, un
centro.
Una siringa le bucò la sclera dell’occhio
sinistro, che s’era annerita in vista del combattimento.
Amon fu rapido a somministrarle i
soppressori, che ebbero un effetto immediato. La valigetta le cadde di mano,
mentre le forze la abbandonavano.
«Amon…», sussurrò, aggrappandosi alla
caviglia del mezzo ghoul, mentre il mondo attorno a lei iniziava da prima a
tremare e poi ad offuscarsi.
«Alla fine ti ho trovato…»
‘In che guaio ti sei cacciata, Aiko?’
La voce era materna, nell’oscurità.
L’investigatrice voleva aprire gli occhi per verificare chi le stesse parlando
con tono di dolce rimprovero, ma era troppo debole per farlo.
Le parve quasi di sentire delle dita
fresche scostarle i capelli dalla fronte imperlata di sudore.
‘Sei stata tu a dire che le nostre scelte future ci avrebbero
definite. Perché hai deciso di arrivare a questo?’
Un dolore lancinante attraversò il capo di
Aiko, mentre si dimenava, cieca e con le mani legate dietro alla schiena.
‘Perché non hai scelto di fermarti?’
«Mei?», chiamò con voce fievole Masa,
presa da quel febbricitante delirio.
Le costò caro lo sforzo.
Il mondo si fece di nuovo nero attorno a
lei.
Riprendere conoscenza fu più duro del
previsto.
Amon doveva avere usato una dose non
necessaria di inibitori per non rischiare che Aiko potesse svegliarsi durante
il trasporto.
Dove si trovasse in quel momento era
quindi un mistero, ma l’odore pesante dell’aria, stantio e umido le fece
presagire che doveva essere una stanza interrata. Un magazzino.
Non c’era nulla all’interno di essa se non
la sedia alla quale era legata e una lampada, fastidiosamente posizionata sopra
alla sua testa, che la faceva sudare per il caldo e incrementava l’emicrania.
Non era tutto, però.
C’era anche un’altra sedia, su cui sedeva
una figura silenziosa.
Sin dall’istante in cui Aiko aveva
definitivamente ripreso conoscenza si era ritrovata a fissarla. Questa non
aveva emesso una sillaba per tutto il tempo, ne si era spostata.
Il fascio di luce ne illuminava il petto,
rivelando a Masa che doveva trattarsi per forza di un ragazzo. Giovane a
giudicare dalle mani.
Era sicuramente la persona che stava
cercando.
«Alla fine siamo faccia a faccia»,
sussurrò, sfinita, ma decisa a rendere quelli che credeva i suoi ultimi minuti
di vita memorabili agli occhi di quella persona. Aveva visto la morte così
spesso da essere pronta ad accoglierla come una vecchia conoscenza. Non era più
la ragazzina sprovveduta incapace di saltare da un ponte, se non senza il
dovuto incitamento. «Vorrei poter dire che ti ho finalmente trovato, ma forse
sei tu ad aver trovato me. Il signor Yomo aveva ragione. Sono i fantasmi a perseguitare
i vivi, non viceversa.»
La figura prese dalla tasca un coltello a
serramanico e si alzò.
Aiko potè finalmente vedere il suo viso.
Un viso che la ammutolì e che mai avrebbe
dimenticato per il resto della sua vita.
Quando le corde che le tenevano bloccate
le braccia vennero recise, il giovane tornò a sedersi.
Per istinto, Aiko si massaggiò i polsi,
prima di guardarlo.
Inclinò la lampada, così da ampliare il
fascio di luce, poi sospirò.
«Non posso usare il kagune, ma non ti dirò
nulla. Né sul ccg, né su Aogiri», gli disse, questi scosse il capo, come se non
fosse interessato.
Poi iniziò a muovere le mani e Aiko le
osservò agitarsi con grazia.
Le lesse e quindi sgranò gli occhi.
Poi capì tutto.
«Quindi, come devo chiamarti? Yamoto va
bene?»
Continua.