僕は孤独さ – No Signal
༒
Parte quinta: Il caso Nagachika.
«Secondo te cosa dovremmo farcene dei
vestiti che abbiamo addosso? E della macchina?»
«Taci, mi deconcentri.»
Aiko si zittì immediatamente, stringendo
nel pugno in manico dell’ascia ancora insanguinata. Il solo suono che poteva
sentire realmente, eccetto il rombare del motore del veicolo che Seidou stava
guidando, era l’insistente gocciolio del sangue che andava rapprendendosi sul
tappetino sotto ai suoi piedi. Fissava con sguardo vacuo il cruscotto di fronte
a lei, gli occhi innaturalmente sgranati e nelle orecchie ancora lo spettro
delle grida di Hiroshi. Non avrebbe mai dimenticato lo sguardo di puro terrore
negli occhi del fratellastro, il suo lamento, la richiesta di risparmiarlo. Né
avrebbe mai cancellato dalla mente il modo in cui lo aveva colpito con poca
forza nella mano a causa della mancina, ancora fasciata e appesa al collo a
causa delle ferite infertale da Eto la notte
della morte di Orihara. La convinzione che era
aumentata al secondo e al terzo colpo, prima di passare quella stessa ascia a
Seidou che l’aveva massacrato, smembrandolo dalle gambe fino al torso, così da
fargli penare ogni singolo istante di quella tortura.
Eppure, nonostante avesse visto morire in
modo orribile un membro della sua famiglia, in quel momento si sentiva più
leggera. Più tranquilla. Uno dei molti fantasmi del suo passato stava piano a
piano sbiadendo di fronte ai suo occhi. C’era qualcosa in quella vendetta che
rendeva il tutto più giusto.
Ormai Hiroshi era morto e tutto ciò che
rimaneva di lui era un sacco di sangue sparso per un salotto, una testa mozzata
appoggiata a un mobiletto e qualche pezzo di carne riposto dentro a un
frigorifero da campeggio che lo stesso Takizawa si
era portato da Tokyo fin lì, in quel piccolo paesino di mare, nella provincia
di Kyoto.
«Quando siamo lontani da Hamaotsu?»
La voce di Seidou non accarezzò nemmeno le
sue orecchie e il mezzo ghoul se ne accorse subito, tanto che per la stizza
decise di far tutto da solo. Sterzò con violenza, accostandosi alla piazzola e
facendo sbilanciare la ragazza sul sedile del passeggero, che mugolò di dolore.
«Scendi, cretina. Ci liberiamo qui della
macchina, poi farai tu l’autostop per fermare qualcuno.» Takizawa
non le era sembrato così lucido nemmeno nei primi giorni di prigionia, quando
l’aveva incontrato. In quell’istante, negli occhi che trasudavano isteria,
c’era però una venatura pianificatrice. «Gli rubiamo l’auto e torniamo a Tokyo
prima che faccia giorno e trovino tuo fratello.»
«Non è meglio prendere un treno?»
«No.»
«Temi che possano riconoscerci se ci
saranno indagini?»
«Non posso assicurarti di starmene
tranquillo col culo sul sedile di un treno per tutte quelle ore, va bene?
Guidare mi tiene concentrato, vuoi che siano i passeggeri innocenti di un treno
notturno a farlo?», spalancando la portiera, Takizawa
uscì fuori nel buio della notte. «Dobbiamo lasciare la macchina qui», proseguì,
appoggiandosi al guardrail per spiare l’oceano nero sotto quello sperone
roccioso. «L’acqua e il sale laveranno via le prove. Muoviti a spogliarti.»
Mentre Aiko si sfilava la camicetta e la
canottiera sporche di sangue, Seidou faceva lo stesso, liberandosi della maglia
larga e i pantaloni sbiaditi che Tatara
gli aveva buttato addosso quando erano partiti, il primo pomeriggio di quello
stesso giorno. Mancavano ancora pochi minuti a mezzanotte. Ed era necessario
che tornassero prima dell’alba per non destare sospetti. Kuramoto non doveva
chiedersi dove avesse passato la notte la coinquilina e soprattutto avrebbe
dovuto essere con lei nel momento in cui avrebbero chiamata da Kyoto per darle
la brutta notizia.
Eto era stata chiara su questo punto. Non
le avrebbero coperto le spalle se fosse stata così stupida da farsi beccare.
Aiko sapeva benissimo che poteva fidarsi
del fatto che Eto non si sarebbe scoperta per lei.
Buttò quindi tutto nella macchina, tenendo
addosso solo l’intimo e fissando incerta lo spallino del reggiseno, che si era
anch’esso macchinato un poco di sangue. Aveva superato la barriera dei vestiti
al di sopra, nel momento in cui aveva ripetutamente colpito il busto di Hiroshi.
Stava pensando come fare, quando un
mantello nero le venne messo sotto al naso.
Takizawa
glielo porgeva senza guardarla, quasi pudico, stringendo con la mano libera il
tessuto liso dei pantaloni sformati.
«Butta tutto e spostati.»
Aiko prese il mantello con mani
tremolanti, mentre l’altro scaricava la borsa frigo e l’appoggiava vicino al ciglio.
Poi, a mani nude, Seidou sollevò il guardrail e lo ruppe, per poi spingere
l’auto fino al bordo. Quando cadde nell’oceano, il boato riecheggiò attorno a
loro, ma la zona era deserta.
Sfinita come se fosse stata lei a fare lo
sforzo fisico, Aiko si sedette sul ciglio della strada. Al petto nudo teneva il
tessuto nero senza però indossare l’indumento, mentre lo sguardo andava a
fissarsi sul contenitore che raccoglieva i resti di suo fratello. Seidou le si
sedette accanto tirandosi dietro l’oggetto, per poi aprirlo e afferrare un
pezzo di carne. Senza preoccuparsi della sensibilità della giovane, tolse il
coperchio e prese un pezzo di carne, inghiottendolo in due morsi.
«Gran figlio di puttana, tuo fratello», le
disse, tornando a guardarla negli occhi mentre si leccava le dita per lavar via
ogni residuo di sangue. «Però ammetto che è saporito.»
«Seguiva una di quelle diete vegane del cazzo», rispose Masa, scrollando le
spalle per poi cambiare totalmente argomento e tornare al punto. «Cosa facciamo
ora?»
«La prima macchina che passa, la facciamo
fermare.»
Aiko rise amaramente. «Hai visto le nostre
facce? Nessuno si fermerà. E tu non puoi usare il tuo kagune per non lasciare
tracce. Tatara ha detto che-»
«Si fotta, quel cinese raggi UV-repellente»,
con un grugnito, Seidou si sistemò seduto, prendendo altra carne. Staccò vorace
un pezzo di muscolo, prima di sventolare la mano sotto al naso di Aiko, che
girò il capo. «Fingerai di scappare da me, un uomo brutto e cattivo che cerca
di stuprarti. Chiunque si fermerebbe per farti salire.»
«Per il brutto ci siamo. Cattivo,
abbastanza. Ma tu che tenti di stuprare una donna? Sei vergine, Seidou.»
«Ma il guidatore non deve saperlo. Poi
meglio una chiave esclusiva che apre un cancello su un giardino, della tua
serratura che viene aperta con ogni chiave esistente.»
«Stronzo.»
«Troia.»
Si scambiarono un mezzo sorrisetto, poi
Aiko appoggiò il mento al braccio ingessato, spiando verso l’oceano. «Eto ha
vinto.»
Takizawa
sbuffò, forte. «Eto vince sempre, tanto. Se c’è una cosa che sto imparando
stando con questo branco di bastardi ghoul, è questo. È come giocare a poker
con un uomo che può leggere la mente.» Il rumore delle onde fu tutto ciò che
rimase della loro conversazione per parecchi minuti. Poi, Takizawa
si drizzò. «Arriva una macchina. Alzati e preparati, voglio essere a Nakatsugawa entro le tre o non torneremo mai in tempo.»
La ragazza si limitò ad annuire, alzandosi
in piedi.
Lasciò cadere a terra il mantello e prese
un respiro, prima di ripensare a ciò che avevano commesso quella notte.
Non riuscì però a sopperire alla sua
espressione apatica con i ricordi del macello di Hiroshi.
Così recitò.
Kuramoto dormiva profondamente quando
rimise piede in casa, pochi minuti prima dell’alba. Con addosso nulla se non
una maglietta presa in un autogrill e un paio di culotte
sporche di terra, Aiko si diresse in camera sua, ignorando il miagolare
insistente del gatto.
Quando si chiuse piano la porta alle
spalle, realizzando che l’avevano fatta franca, per poco scoppiò in una risata
liberatoria.
Appoggiò il capo contro il legno massiccio
duro dell’uscio, chiudendo un istante gli occhi, prima di prendere il suo
cellulare, che non aveva lasciato l’appartamento per evitare che venisse
tracciato in futuro.
Avevano ucciso tre persone quella notte,
eppure non c’erano indizi che avrebbero portato a loro se non tre cadaveri
irriconoscibili, un’auto infondo all’oceano e una in fiamme a Shibuya.
«L’abbiamo fatta franca», sospirò piano,
scorrendo nella rubrica un numero memorizzato sotto il nome Mamma.
Ovviamente, non era sua madre.
-Sono pronta.-
Fu tutto ciò che scrisse.
-Ne sono compiaciuta. Presto inizieremo.-
Fu tutto ciò che le rispose Eto.
E lo era davvero.
Era pronta a distruggere quel mondo,
perché ormai anche lei era diventata il mostro che era nata per essere.
Capitolo ventinove
«Mi dispiace di avere esagerato e parlato
a sproposito. Non sarei dovuta venire qui nel pieno della frustrazione. Prego
tutti e tre quindi di accettare le mie scuse.»
Masa rimase china in due, di fronte al
bancone, fino a che su di esso venne appoggiato un cappuccino al ginseng. Touka la guardava serenamente quando i loro occhi si
incontrarono di nuovo, giallo dorato su viola placido. Prese quindi posto sullo
sgabello, scambiando uno sguardo anche con il signor Yomo, mentre Nishiki, accanto a lei, sbuffava.
«Come tutte le colombe, tubi tanto, ma non
concludi molto, vero Masa-san?»
«O forse hai trovato le tue risposte e
quindi non serve più tenere le ostilità con noi?»
La mano con cui Aiko stava accompagnando
la tazza alle labbra si fermò a mezz’aria, mentre guardava l’altra ragazza.
Prese un piccolo sorso, dopo aver soppesato un pensiero, pulendosi il labbro
superiore dalla schiuma con un piccolo tovagliolino di carta.
«Vero. Ho trovato Nagachika.»
L’ammissione fece voltare di scatto Nishiki. «Tu sei una pazza che crede di-»
«Le sue ossa», proseguì indisturbata la
mora. «Riposavano in uno degli svincoli fognari che dal 14 V portano verso il
cuore della ventesima. Abbiamo anche eseguito un esame del dna usando un
piccolo campione epiteliale che abbiamo trovato sulla felpa nera e gialla. Sul
colletto, per la precisione. Non ci sono dubbi, Hideoshi
Nagachika è morto e oggi, insieme alle mie scuse
sincere, ti ho riportato lo scatolone con le sue cose, Kirishima.»
Touka
prese un respiro e chiuse gli occhi, prima di riaprirli per spiare il volto
dell’investigatrice. «Sono felice che tu abbia trovato quello che cercavi,
agente.»
Il suo tono era sinceramente impregnato di menzogna.
Menzogna che Aiko acconsentì ad
assecondare, con un sorriso tirato.
«Anche io. Ho portato a una povera
famiglia quel poco che rimaneva di loro figlio. Ora avranno una tomba piena su
cui piangere. Ora scusatemi, ma devo proprio andare.» Si sollevò dallo sgabello
che aveva a mala pena toccato, lasciando a metà il capuccino
offerto con pace dalla cameriera ghoul. Lanciò un ultimo sguardo al contenitore
con le cose di Nagachika, prima di infilarsi il
trench. «Anche io ho da riempire uno scatolone. Forse per un po’ non ci
vedremo.»
«Forse», rispose Touka,
«è meglio così. Buona fortuna agente Masa.»
«Anche a voi.»
Ne avremmo entrambe bisogno.
Aiko aveva scarsi ricordi della notte in
cui Yamoto l’aveva rapita. Era stato lui chiederle di
chiamarlo così e non con il suo vero nome, almeno sino a che non fosse stato
lui a permetterle di pronunciarlo. Per correttezza, andrebbe detto che quella
notte Yamoto aveva mandato Amon a prenderla per
parlarle. Non era stato molto gentile però.
L’aveva imbottita di inibitori, così tanti
che quando avevano finito, non era stato difficile per l’ex agente del ccg,
collaboratore dell’uomo che l’aveva liberato, sedarla nuovamente.
Masa si era risvegliata scossa da Mi-Him, in mezzo al nulla, con addosso tutti i suoi averi,
comprese le chiavi della macchina e il suo badge da agente. La coreana le aveva
detto di averla tenuta d’occhio per giorni sotto l’ordine diretto di Eto, ma
che comunque non era riuscita a fermare Amon Kotarou
dal prenderla, perché era stato incredibilmente veloce nonostante la sua enorme
mole.
Lui e una donna l’avevano portata via e a
Cesoie non era rimasto nulla se non tornare indietro per cercare indizi. Alla
fine l’aveva trovata per puro caso mentre stava per buttare la spugna.
Tutto ciò che Aiko aveva fatto dopo era
stato andare in un cimitero cristiano e frugare per ore nell’ossario alla
ricerca di ossa che potessero in qualche modo combaciare con quelle di un
ragazzo pressoché ventenne. Aveva letteralmente fatto un collage con quello
scheletro, prima di chiamare Tsubasa.
Aveva sporcato le ossa di terra, si era a
sua volta infangata per bene e poi era tornata allo chateau con il macabro
reperto avvolto in una coperta che teneva nel bagagliaio, pronta per affrontare
Urie. Lui l’aspettava fuori dalle grazie di Dio, dopo tutte quelle ore di
silenzio. Lei si era limitata a mostrare le ossa a lui e al resto della
squadra, che l’aveva attesa in ansia.
E aveva detto solo una cosa.
«Con un’intuizione ho trovato Nagachika.»
Tsubasa le aveva fatto avere una falsa
comparazione del dna il giorno successivo, falsificando i moduli di uno studio
privato.
Urie aveva intercesso con Matsuri e lei
aveva avuto il permesso di andare dalla famiglia Nagachika
per portare loro i resti del figlio.
Aveva a tutti gli effetti insabbiato
quanto più possibile il caso.
Perché di esso non doveva rimanere
traccia.
Quelle erano state le condizioni per
permetterle di tornare a casa.
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«Il funerale si terrà dopodomani. I
genitori hanno parlato di una cerimonia intima con pochi amici e parenti, ma
sarebbero contenti se tu andassi, Akira. Hai lavorato con lui e lo conoscevi,
dopotutto.»
Aiko terminò il suo rapporto, chiudendo il
quadernino che aveva falsificato, impiegandoci quasi
tre ore. Lì sopra aveva riportato esiti di indagini fittizie, false
interpretazioni del testamento e qualsiasi altra cosa potesse venire
insabbiata. Lo porse quindi alla bionda, che lo prese con entrambe le mani.
«Ti sono grata per aver tenuto fede alla
tua parola e per avermi informata.» Mado le sorrise sincera e Aiko ricambiò,
seppur pallidamente. «Hai fatto un grande servizio a una famiglia. Hai dato
loro la pace, nonostante tutto ora possono chiudere questo capitolo.»
Probabilmente quelli non sono nemmeno i genitori di Nagachika, ma altre pedine di questo teatro di maschere grottesche e burattini
tenuti in piedi da fili di sangue.
«Sono felice di esserci riuscita,
associato alla classe speciale. Vorrei poterlo fare anche per altri, se ne avrò
occasione.»
«Non essere modesta. Questo è l’ennesimo
caso che risolvi e hai anche pagato un analisi del dna di tasca tua. Questo va
oltre la dedizione al mestiere. Dovrebbero affidarti solo indagini di alto
profilo, hai un intuito a dir poco eccezionale. I Quinx perdono un ottimo
membro, oggi.»
Masa prese un respiro. «Io perdo una parte
della mia quotidianità. Nessun lavoro potrà mai ridarmela.» Facendo una pausa
Aiko guardò gli occhi amaranto dell’altra donna. Akira era bellissima, eppure
così fredda. E triste. «Cambiare compagni di squadra è sempre stressante, ma
alle volte non possiamo scegliere il nostro futuro.»
Madò
annuì, consapevole. «Diciamo che ho sentito delle voci di corridoio», le disse,
educatamente e discreta. «Credo che la scelta tua e del primo livello Urie sia
la più responsabile possibile. Lui ha davanti un futuro promettente e tu…» Indicando il quaderno, Akira scrollò le spalle, «Cosa
posso dire di te? Probabilmente verrai ricordata come una delle investigatrici
più brillanti che il ccg abbia mai avuto.»
«Credo tu stia esagerando. Non sono niente
di ché. Lo diceva sempre anche Hirako che dovevo migliorare tanti aspetti.»
«Lo hai fatto», sostenne la bionda. «Il
lavoro di gruppo ormai non è quasi più un problema, o non avresti potuto fare
da mentore a Higemaru. Hai migliorato le tue abilità
in combattimento, grazie all’intervento per il trapianto di kakouh
ma soprattutto perché tu sei stata forte abbastanza da sostenerlo. Sei
intelligente, Aiko. Non devo dirtelo io che lo sei.» Una pausa più lunga si
frappose fra loro. Alla fine Mado si alzò in piedi, tendendole la mano. «La
squadra Suzuya è una delle migliori che abbiamo», le
disse, mentre anche la mora si alzava e stringeva il palmo contro quello
pallido dell’altra. «Sono dei fuori classe, tutti loro. In questi due mesi
affinerai molto le tue tecniche di combattimento grazie a Suzuya
e darai il tuo contributo per tenere più pulita una delle circoscrizioni
peggiori di Tokyo. Quando ci rivedremo, ti offrirò un pranzo, anche se suppongo
sarai impegnata quando ripasserai per la prima.»
Aiko sorrise, sempre più in imbarazzo.
Tutti quei complimenti, quei modi gentili…. Non li
meritava.
Sono una bugiarda. Sono una bugiarda. Sono una bugiarda. E ora
sono doppiamente in trappola.
«Avrò sempre tempo per i miei mentori, Akira.
Grazie per avermi aiutata quando ho fatto il trasferimento nei Quinx. Sarò
felice di pranzare con te il prima possibile.»
«Buona fortuna nella tredicesima, primo
livello Masa.»
Masa si era pentita di aver mandato a casa
Higemaru non appena si era ritrovata da sola in
ufficio, con la riproduzione casuale del telefono a tenerle compagnia e nemmeno
un’anima pia a portarle un caffè. Andava
detto che erano quasi le otto e un quarto di sera e per quell’ora tutti avevano
iniziato a tornare verso le loro dimore. I pochi ancora nella struttura avevano
sicuramente il loro bel da fare se si trattenevano fino a quell’ora tarda alla
scrivania.
Aiko stava finendo di prendere le sue cose
dalla scrivania di Urie – che le aveva detto molto chiaramente di stare attenta
a non portare via nessun documento che appartenesse a lui o avrebbero dovuto
rincorrersi per due circoscrizioni parecchio distanti– quando bussarono alla
porta.
«Avanti» sussurrò cercando di non
concentrarsi su quanta tristezza le mettesse quel pensiero e non prestando
quindi attenzione a chi stava entrando. Prima ancora di una voce, a
raggiungerla fu un odorino invitante. Sorrise, non guardando ancora avanti a
sé, presa da un paio di fascicoli vecchi che poteva anche lasciare al
caposquadra, ma capendo. «Sasaki» disse, di fatto, «Qual buon vento?»
Il ghoul le sorrise di rimando, anche se
mancava la sua solita vivacità. Quella era sparita, morta insieme a Shirazu in
quel palazzo, mesi addietro. Lo Shinigami nero era
molto più cupo di quanto il nome non rivelasse già. «Ho pensato di passare a
portarvi un po’ di pollo saltato. Lo so che abusate del take away, da quando sono andato via.»
Lei prese fra le mani il sacchetto di
carta, schiudendolo per bearsi del profumino di carne e peperoni rossi. «Colpevoli,
ma il primo livello Urie si sta davvero imparando per arrivare al tuo livello,
anche fra i fornelli», concesse alla fine, facendogli segno di sedersi di
fronte a lei. Lui eseguì, sfilandosi il cappotto lungo e nero, ma tenendo sulle
mani quei buffi guanti rossi. Aiko si chiese cosa nascondessero.
«So che oggi è il tuo ultimo giorno nei
Quinx, Aiko-chan.»
La mora annuì, «Purtroppo sì. Anche io prendo
il volo come hai fatto tu. Sei venuto a darmi qualche consiglio in merito al
trasferimento?»
«In realtà» la gelò Haise, spaccando
nettamente il discorso e arrivando al sodo. «Sapevo che eri qui da sola e
speravo di poter scambiare due parole in privato.»
«Certamente», gli rispose lei, sempre
sorridente, appoggiandosi allo schienale della sedia girevole. «Di cosa volevi
parlarmi?»
«Ho sentito che hai indagato su Hideoshi Nagachika. Volevo
discutere di questo caso con te, se non ti dispiace.»
Se Aiko ci avesse scommesso un miliardo di
yen, a quel punto si sarebbe ritrovata ricca da fare schifo. Finse comunque,
come sempre, di non capire. Aggrottò le sopracciglia, falsamente
pensierosa, mentre sapeva benissimo che
quella situazione si sarebbe presentata. Tutti sapevano che aveva riconsegnato
le ossa di Nagachika, in tanti si erano complimentati
con lei. In realtà aveva aspettato una mossa di Sasaki tutto il giorno. «Ah sì.
Possiamo parlarne se vuoi, anche se come avrai sentito, è un caso chiuso. Ho
trovato il poco che rimaneva di quel povero ragazzo.»
«Come mai ci hai messo mano?», Haise
sembrava tranquillo, ma i suoi occhi tradivano una certa fretta. Dopotutto era
arrivato subito al punto, senza perdersi in convenevoli stupidi. Sembrava aver
sempre furia di finire le cose, nell’ultimo periodo, come se lo infastidisse
avere troppe persone attorno, per troppo tempo.
Masa aveva iniziando a farsi una sua idea.
«In realtà perché volevo trovarlo, non c’è
un altro motivo.» Proseguì con estremo candore l’ex vice caposquadra dei Quinx,
incrociando le mani sul legno della scrivania. «Volevo formare un po’ Higemaru, quindi ho preso una delle persone scomparse
durante il raid della ventesima, tre anni fa, e abbiamo iniziato a fare qualche
domanda in giro. Ci tenevo perché quella notte ho rischiato anche io di finire
così, morta da qualche parte, senza che mia madre potesse più vedermi o
parlarmi. Penso che in futuro mi dedicherò ad altri casi simili.»
«Capisco», Sasaki le parve molto
pensieroso in merito «Come mai hai scelto proprio
lui, però?»
«Quel ragazzo era un civile, non era uno
di noi. Non meritava di fare una fine del genere, divorato in un canale di
scolo senza nessuno a poterlo aiutare.» Scrollando le spalle, la mora lo guardò
aspettando che l’altro dicesse ciò che davvero aveva da riferirle. Era lì per
un motivo. «Poi è quello che hai fatto tu: hai dato a me e a Urie un caso
impossibile da risolvere e ci hai buttati allo sbaraglio. Sbattendoci il muso
si impara e infatti ho notato dei miglioramenti in Higemaru.
È giovane, ma sa il fatto suo.»
Un piccolo sorrisetto malinconico tinse le
labbra dell’altro, che poi portò la mano nella tasca della giacca nera. Afferrò
un oggetto e lo portò all’altezza delle ginocchia, guardandolo con espressione
tersa, prima di buttarlo sulla scrivania, di fronte a Masa.
«Quindi non sei stata tu a farmi trovare
questa sulla mia scrivania?»
Aiko si sentì presa in contropiede.
Afferrò con incertezza la fotografia che Haise le aveva praticamente sbattuto
in viso, che lo raffigurava da bambino insieme a un coetaneo dai capelli biondi
accesi e un sorriso birbante sul volto. La stessa fotografia che aveva visto
per l’ultima volta quasi una settimana prima, nella mano di Eto, mentre un
palazzo bruciava.
«No, non sono stata io.»
«E scommetto che non eri nemmeno tu a
pedinarmi, vero? Andiamo, Aiko. So che non è la prima volta che la vedi.»
Lei alzò nuovamente lo sguardo, ora serio
e scuro, sul volto dell’altro. Come se la sarebbe cavata? Era una situazione
senza via di fuga. La faccia innocente non avrebbe più attaccato. Quindi fece
un salto nel vuoto e gli diede quello che voleva, evitando accuratamente di
parlare del pedinamento. Avrebbe dovuto poi mostrargli il quaderno che aveva
restituito a Yamoto, ma che ovviamente fotocopiato
per intero in precedenza. E avrebbe dovuto parlare di RB, quindi dello stesso
Sasaki, senza contare che si sarebbe dovuta sbottonare su Yamoto
stesso e quello era fuori discussione. «No, non è la prima volta.»
Si creò una situazione di stallo fra i
due. Lei gli rese gentilmente la foto, che lui ripose con cura nella tasca
interna del completo, lisciando poi la cravatta di seta contro al petto. Non
smisero di guardarsi nemmeno per un istante, lei pronta a qualsiasi domanda,
lui fermo sulla sua posizione, granitico. Sembravano sul punto di attaccarsi a
vicenda, come due serpenti, ma alla fine il ghoul si alzò in piedi. Non
sembrava più interessato a quella incresciosa situazione e Aiko non colse il
perché. Riprese il cappotto, tenendolo sul braccio, mentre sistemava la sedia
al suo posto.
«Io non lo so in che situazione sei andata
a ficcarti, Aiko-chan.» il tono che usò fu dolce, come quello di un padre
preoccupato. Lo stesso trasmettevano i suoi occhi, oltre le lenti degli
occhiali da vista ovali. «Non so cosa vuoi ottenere o per chi pensi di
lavorare. Solo non farti uccidere. Non ne vale la pena.»
Quell’amore non richiesto e non atteso la
destabilizzarono. Masa si alzò di scatto, sbattendo il fianco contro la
scrivania mentre la aggirava. Non disse nulla mentre lui continuava a guardarla
con quell’espressione. Cosa voleva
dirle? Perché abbandonare i Quinx per poi non indagare su una cosa del genere?
Perché non torchiarla fino a farle sputare la verità? Aveva il potere per
farlo, di denunciarla. Non lo voleva?
Avrebbe dovuto ringraziarlo, invece si
sentiva amareggiata.
Perché se ne ere andato, allora?
«Torno a casa», le disse, alleggerendo
ulteriormente il tono. «Stasera Arima vuole vedere un nuovo quiz a premi e non
vorrei perdermi la prima parte. Porta il pollo agli altri e salutali tutti da
parte mia, Aiko-chan.»
Masa si rese conto che non stava
respirando. Lo realizzò quando sentì la porta aprirsi e registrò che Sasaki
stava per lasciare la stanza e lei non aveva ancora detto assolutamente nulla.
Per questo si buttò, senza pensare.
«Kaneki, aspetta.»
Quel nome ebbe lo stesso effetto di una
fucilata nella schiena, per Sasaki, il quale rimase impalato sulla porta, di
spalle alla ragazza, con gli occhi sbarrati che non vedevano nulla. Un vortice
di emozioni contrastanti lo colse, ma alla fine, riuscì ad incamerarle in un
respiro profondo. Chiuse un attimo le palpebre, cercando di ignorare i brividi
che aveva provato lucidamente nel sentirsi chiamare in quel modo dopo tanto,
tanto tempo.
Poi si voltò di nuovo verso di lei. «Sì,
Aiko-chan?»
Lei si morse il labbro, incerta «Nagachika…. Pensi che sia morto, vero?»
Gli occhi di Haise scapparono dai suoi
immediatamente. «Lo è. Tu hai trovato le sue ossa.»
«…Ne sei sicuro?»
Di nuovo, senza guardarla, parlò «Sì, ne
sono sicuro.»
«….Hai ragione, non so perché te l’ho
chiesto, scusami. Mi dispiace per la tua perdita...»
Non ci fu una risposta. Haise lasciò
velocemente l’ufficio, lasciandola sola a pensare a ciò che era successo. Nella
realizzazione, il panico la colse. Cosa aveva combiato?!Portò
entrambe le mani sul viso, sopprimendo un urlo per l’essersi tradita da sola in
modo così stupido. Tirò un calcio al bidone della carta, mentre le mani
scivolavano a coprire le labbra che fremevano dalla voglia di gridare tutto il
disappunto. Con le gambe che tramavano scivolò fino alla scrivania, prendendo
il telefono in mano.
Poi lo ripose, comprendendo che non c’era
nessuno che poteva chiamare per dirgli cosa era successo. Aveva fatto tue
ammissioni terribili, aveva scoperto le sue carte e ora Sasaki sapeva che lei
era lì per lui. Forse era addirittura arrivato a comprendere che lei era
entrata nei Quinx per controllarlo. Non andava bene.
«Sono completamente nella merda, uhm?»
Per risposta, il suo telefono prese a
suonare. Kuki.
Lei ci pensò su, se rispondere o meno, ma
se non lo avesse fatto sicuramente lui glielo avrebbe fatto notare almeno dieci
volte i primi due minuti a casa. Inspirò quindi profondamente, poi accolse la
chiamata. «Cookie.»
-Che vuoi per cena?-
C’era qualcosa di incredibilmente
famigliare e quotidiano nella sua voce. Masa non riuscì a non lasciarsi
sfuggire una piccola smorfia, pensando che oltre a tutto lo schifo che doveva
gestire dopo l’incontro con Yamoto e a questa nuova
perla con Sasaki, ora avrebbe anche cenato nella sua casa per l’ultima volta.
Voleva urlare. Invece rispose con tono dimesso, spezzato. «Sei stupido come un
scimmia.»
Il ragazzo non rispose subito, si prese un
paio di secondi. Sicuramente aveva notato il tono –Grazie- convenne alla fine,
facendola ridere piano, -Stai di nuovo bevendo in ufficio? Per questo hai
mandato a casa Higemaru?-
«No. Quando mai avrei bevuto in ufficio,
scusa?», rispose la ragazza, ruotando con la sedia verso la vetrata e tenendo
gli occhi puntati verso le luci sotto di lei. Cercò di non accavallare pensieri
negativi su pensieri negativi. «In realtà sono solo stanca ed ero
sovrappensiero. Alla cena ci penso io, Sasaki mi ha portato un paio di chili di
pollo saltato con le verdure.»
-Allora muoviti a portare a casa quel
pollo. Così magari ti riposi anche e la smetti di sembrare psicopatica. Poi
ricordati che dobbiamo parlare agli altri del tuo trasferimento. Non chiedermi
come, ma non lo hanno saputo da nessuno in tutto il giorno.-
«Io che pensavo di scaricare questo onere
a qualcun altro. Non ce la faccio a dirlo a Hige, mi
si spezza il cuore al pensiero.» facendo leva sulla schiena, Masa si alzò in
piedi. Tornò a guardare lo scatolone, passando una mano fra i capelli sulla
nuca. «Kuki», lo chiamò con voce piccola, insicura.
Lui rimase in attesa per qualche secondo,
ma ciò che Aiko voleva dirgli non arrivò. Lui parve capire che non stava bene,
quindi glissò –Torna a casa, ok?-
Gli occhi le si riempirono di lacrime e
non riuscì a non tirare su col naso «Arrivo.»
E riattaccò, prima ancora che lui avesse
il tempo di chiederle se stesse piangendo. Appoggiò il telefono sulla
scrivania, prendendo un fazzolettino dal dispenser. Poi si appoggiò con la vita
contro al legno massiccio.
Sasaki sapeva qualcosa, mentre Eto sapeva
sempre tutto.
E lei stava mettendo a rischio qualcuno
che, giorno dopo giorno, iniziava ad amare davvero.
«Abbiamo fatto proprio bene a chiedere il
mio trasferimento, Kuki. Riuscirò a non trascinarti sul fondo come, se non
trovo una soluzione ai casini che mi sono creata con le mie stesse mani.»
༒
«Perché questa riunione? C’è qualcosa di
cui dovete parlarci?»
«Riunione? Stiamo facendo una riunione?»
C’era della genuina sorpresa nel tono di
Saiko mentre questa, rivolta con il naso all’insù per spiare il profilo di
Hsiao, sbatteva le palpebre sugli occhioni celesti
perplessi.
Le due donne erano stipate su un unico
divano, pressate contro Higemaru e Aura, con di
fronte seduti vicini di due capisquadra, in religioso silenzio.
Era decisamente una riunione.
«Cosa ho fatto di male?», chiese in un
latrato Yonebayashi, sculettando per farsi spazio e tirando una gomitata nelle
costole a Hige, che si sporse in avanti, colto alla
sprovvista e a corto di fiato.
«Dobbiamo parlarvi di una cosa molto
seria», iniziò con tatto Urie, unendo le mani di fronte a sé mentre Aiko
sospirava, appoggiandosi molle allo schienale del divano, con le mani dietro
alla testa. Sembravano entrambi tesi, ma il ragazzo lo era di più.
Ad ogni modo, Urie non ebbe il tempo di
aggiungere altro, che Shinsanpei schiuse le labbra.
«Il vice caposquadra è già incinta?»
Gli occhi di Urie divennero grandi come
due piattini da caffè, mentre Hsiao e Higemaru
alzavano in contemporanea le sopracciglia e Saiko rimaneva impietrita sul
posto, con ancora il gomito ficcato nel costato del più giovane. Lentamente, il
marmoreo mentore dai capelli violetti si girò verso Masa, chiedendo palesemente
supporto in quella situazione.
Lei lo guardò senza capire.
«Non credo», gli rispose, come se avesse
seriamente preso in considerazione quella possibilità e non aiutando per niente.
«Ho avuto il ciclo la settimana scorsa. Lo sai.»
«Oddio diventerò zia!», guaì con tono alto
Saiko, in totale estasi, coprendo totalmente le parole della mora. Portando le
mani al viso trasognato, Yonobayashi iniziò già ad
immaginarsi spingere una carrozzina piena di merletti e pizzi rosa. «Sarà
sicuramente una bambina bellissima.»
«Non c’è nessuna bambina!», si inserì di
nuovo Urie nella discussione, rosso come un pomodoro. «Non è di questo che
dobbiamo parlare.»
«Il sesso del bambino lo sapremo solo al
terzo mese, no?», chiese Touma con sguardo critico
rivolto verso la pancia piatta di Aiko, scossa però dalle risate trattenute. Il
suo divertimento era direttamente proporzionale al disagio del caposquadra. «Quindi
non si può escludere che sarà un bambino.»
«Dipende dalla genetica», proseguì Aura.
«Di solito ci sono persone più propense ad avere più figli maschi o femmine.
Avete fratelli o sorelle?»
«Io avevo
due fratelli.»
«Basta! Basta! Aiko non è incinta! Aiko se
ne va dalla squadra!»
Le risposte di entrambe i capi squadra
zittirono i quattro colleghi. Aiko sospirò grave, chiudendo gli occhi per non
vedere la delusione o il dispiacere sul volto di nessuno di loro. «Che tatto…»
«Non mi hanno permesso di averlo», ribatté
Kuki, piccato. Poi inspirò a sua volta, profondamente, spiegandosi meglio. «Da
mezzanotte, Masa Aiko non sarà più un membro attivo della Quinx Squad. Andrà in
prestito per due mesi alla squadra Suzuya e poi-»
«Dovrai anche cambiare casa?» Higemaru la guardò, atterrito, con gli occhi che
brillavano. Era pronto a piangere. «Perché mi abbandoni?! Pensavo di essere un
bravo kohai!»
«Lo sei!» Aiko si sporse in avanti con uno
scatto, prendendogli entrambe le mani nelle sue e pregando di non assistere a
una scenata. Poteva tornare sui suoi passi per impedire che Higemaru
piangesse. «Sei il migliore che potesse capitarmi, però….»
Con la coda dell’occhio, la mora spiò Kuki. Lui non disse ovviamente nulla,
scaricandole la patata bollente. «Però le cose se devono essere fatte, devono essere
fatte per bene. Ci sono delle regole, nel dipartimento. Io e Urie non possiamo
lavorare più insieme per un conflitto di interessi.»
Stupore generale.
«Avete deciso di ufficializzare?», domandò
Aura, grattandosi il mento.
«Quando Urie non sarà più il mio capo, tra
due mesi, probabilmente sì.»
Ci fu una piccola pausa. Poi Saiko
assottigliò gli occhi. «Te ne stai andando per un probabilmente?», le domandò con tono deluso. «Prima Mucchan, poi anche tu. Perché tutti andate via, come ha
fatto la mamma?»
Aiko abbassò il capo, lasciando scivolare
in avanti i capelli. Non aveva una risposta a quella domanda.
«Non ci sono eventualità. Ho intenzione di
prendermi le mie responsabilità per questo trasferimento che ho io stesso
richiesto ad Aiko.» Sorprendentemente, Kuki prese in mano la situazione, che
stava degenerando rapida. E lo fece con un po’ troppa professionalità, visto il
carattere del discorso «Non possiamo avere una relazione se lei è il mio vice.
Se non possiamo avere una relazione, non possiamo comunque lavorare insieme,
ora come ora. Ci siamo spinti troppo oltre, almeno per me è così. Aiko ha
chiesto il trasferimento perché così potrà tornare, poi.»
Higemaru
non capì. Aura schiuse le labbra, stupito. Hsiao, invece, sgranò gli occhi.
Saiko reagì come Touma,
ma chiese. «Perché ora no, ma poi sì?»
Aiko e Kuki si guardarono negli occhi, poi
lei si voltò verso Yonebayashi. «Le persone sposate possono lavorare insieme a
distanza di un mese e un giorno dalla celebrazione del matrimonio.»
Mentre i tre ragazzi si chiedevano come
reagire, Saiko sospirò sollevata. «Quindi sarai di nuovo qui fra massimo
quattro mesi, che bello.»
«…Non siamo
precipitosi, per favore.»
Saiko ignorò Urie. «Per allora, sarà
tornato anche Mucchy e saremo di nuovo tutti insieme.
Ne sono sicura.»
Un piccolo sorriso si aprì sulle labbra di
Aiko, che però non si voltò più verso il compagno. Non voleva vedere la sua
espressione pensando a Mutsuki. Avrebbe rischiato di rendere tutto ancora più
insulso. «Lo spero anche io, Saiko. Per allora, però, ti lascio in mano la
vicepresidenza. Sei la first lady,
ora.»
Yonebayashi la guardò in tralice. «Cosa?!
No! Non posso farlo! Non so cosa fare e non sono abbastanza brava per
svegliarmi tutte le mattine in orario.»
«Nemmeno io lo ero. Non credo di esserlo
nemmeno adesso.» Alzandosi in piedi, Masa le porse la mano. «Tienili al sicuro
quando Urie sarà troppo pieno di paranoie per rendersi conto che qualcosa non
va.»
Gli occhi di Yonebayashi brillarono,
mentre si alzava in piedi sul tavolino che si frapponeva fra loro, abbracciando
stretta Masa, che ricambiò forte. Si strinsero per diversi secondi, poi Urie
parlò di nuovo. «La nuova organizzazione è questa», prese a dire, formale.
«Fino a che non tornerà Mutsuki, Higemaru e Aura
faranno capo a Saiko, mentre io continuo a lavorare con Hsiao. Ci sono delle
carte da firmare, Yonebayashi, ma puoi farlo domani.»
«Sarai il mio giovane padawan,
Hige», disse Saiko, mentre scendeva goffamente dal
tavolino. Masa sospirò pesantemente, prima di abbracciare forte anche Higemaru.
«Ci vedremo spesso, promesso», sussurrò
fra le ciocche pervinca, mentre lui si asciugava l’angolo dell’occhio con la
mano e annuiva. Passò quindi ad Hsiao ed infine ad Aura, infilandosi le mani
nelle tasche dei pantaloni neri, alla fine. «La mia prima squadra è stata
totalmente sterminata. La seconda credevo fosse come una famiglia, però c’è
sempre stato un senso di distacco fra me e più della metà degli altri
componenti dell’ex squadra Hirako. La mia vera famiglia siete voi.» Aiko si battè la mano sul cuore. «Io questo non lo dimenticherò
quando sarò nella tredicesima a sfornare biscotti per Suzuya.»
«Basta scenette», la interruppe Urie,
alzandosi dal divano, dal quale aveva osservato l’intera scena in silenzio.
«Voi quattro, preparate la cena. Dovete solo scaldare il pollo che Sasaki ha
cucinato e sistemare il tavolo, potete farcela. Aiko, tu vieni di sopra.»
Nessuno fece commenti sconvenienti. Ora
che ci sarebbe stata l’ufficializzazione, non erano più divertenti. Si
concentrarono piuttosto sul famigerato quanto delizioso pollo di Haise, mentre
Urie precedeva Masa su per le scale. Lei lo seguì, guardando verso la cucina e
scuotendo il capo divertita quando vide Hige prendere
il contenitore del pollo, per poi farselo rubare da Hsiao, alla quale arrivò
uno sguardo raggelante.
Le sembrò di vedere Shirazu e Urie dei bei
vecchi tempi, per un attimo.
«Incredibile che siano passati otto mesi
da quando sono arrivata. Sembra ieri.»
Sul letto c’era la valigia aperta che Aiko
avrebbe portato con sé nella tredicesima. Era la stessa enorme valigia che
aveva quando aveva per la prima volta messo piede in quella casa, accompagnata
da Sasaki che era andato a prenderla alla stazione della metropolitana. Poteva
contenere un cadavere, ma molte delle sue cose le avrebbe lasciate lì.
«Sono già passati otto mesi?», domandò
Kuki, come stranito. Prese qualcosa dal cassetto della scrivania, mentre Aiko
buttava un paio di pantaloni leggeri nel bagaglio aperto, intristita. Lui la
guardò di sottecchi. «Oggi ho parlato con Suzuya», le
fece sapere. «Gli ho detto che mi servivano un paio di giorni per le
scartoffie. Non vai via domani. Ti aspetta per il sette di settembre.»
Masa lo realizzò lentamente. Poi sorrise
nella sua direzione. «Mi stai dicendo che ho altri due giorni per godermi il
letto caldo con te?», alluse, muovendo un paio di passi nella sua direzione.
«Non solo», convenne lui, porgendole un
fascicolo. «Ho fatto registrare formalmente le tue conclusioni sul caso Nagachika. Ora esiste un’indagine che è stata chiusa.»
Un brivido attraversò la schiena di Aiko
mentre afferrava la cartellina di carta. «Lo hai fatto davvero?»
«Tu e Hige vi
siete impegnati molto, quindi ho chiesto ad Akira una copia di quel quadernino che le hai portato. Lei lo stava già battendo al
computer per verbalizzarlo. Potrà aggiungersi al tuo curriculum, così.»
Aiko lo sfogliò, soffermandosi sulla falsa
comparazione di dna e quindi sul volto del giovane Hideioshi.
Poi tornò a guardare Urie, allungando la mano per sfiorare i capelli rasati da
poco del suo undercut. Lo tirò a sé per baciarlo lasciando scivolare la
documentazione sulla scrivania contro cui lo pressò. Con mani delicate fece
scivolare via dalle sue spalle la giacca elegante e poi con dita abili sciolse
il nodo della cravatta.
«Grazie», gli sussurrò a fior di labbra,
scontrando lo sguardo col suo.
Lui deglutì piano. «Prego», replicò,
conscio di essere completamente fuori luogo. «Dobbiamo scendere per la cena o
gli altri penseranno che-»
«Lo pensano già e da mesi.» L’indice
sottile di Masa si appoggiò sulle labbra del caposquadra, per zittirlo. «E
capiranno anche che questi due giorni dovremo fare in modo che ci bastino per
due mesi…»
Lui non replicò. Scostò solo la sua mano
per baciarla di nuovo, lasciando che si aggrappasse a lui mentre iniziava a
sbottonarle velocemente la camicetta.
Il bacio fu lungo e passionale, fino a che
Aiko non si mise in ginocchio.
༒
«Non credo di avere capito, Ai-Ai.»
Masa strinse i pugni sulle cosce, mentre
con il capo chino, prostrata sulle ginocchia ai piedi della sedia su cui Eto
sedeva, si aspettava una reazione da parte del Gufo col Sekigan molto più
incisiva.
Non tardò ad arrivare.
Eto aprì una busta di patatine,
prendendone una manciata, prima di riprendere a parlare cinicamente, muovendo
fiaccamente il piede. «Stai dicendo che il corpo di Nagachika
che hai consegnato non è il suo, ma che non hai intenzione di proseguire le
indagini per me. Sostieni che sei stata rapita da Yamoto,
ma che non vuoi dirmi né se lui è Nagachika o lo
Spaventapasseri, né cosa vi siete detti.»
Masa scambiò uno sguardo veloce con
Tatara, in piedi dietro alla sedia di Eto, ma non vi lesse nulla. Persino
l’albino sembrava in bilico, col fiato sospeso, come lei.
«Hai capito bene, Eto.»
Una risata leggera lasciò le labbra del
Gufo, mentre scostava il pacchetto e batteva fra loro le mani per ripulirle
dalle briciole. Si mise seduta diritta, con entrambi i piedi appoggiati sul
pavimento, prima di guardarla diretta negli occhi. «La tua vita mi appartiene,
ricordatelo. Solo perché ti tratto bene, non ti permetto di prenderti gioco
della mia intelligenza così, agente Masa Aiko.»
Un leggero tremore scosse il braccio
dell’investigatrice, mentre una goccia di sudore freddo le rotolava lungo la
tempia. «Ti prego di perdonarmi, Eto. Perdonami. Non posso proprio dirti
nulla.»
«Non va bene così. Forse dovrei ricordarti
che devi temere più me di qualsiasi altra persona.»
Eto fece per alzarsi, ma Aiko alzò di
scatto il capo e una mano, bloccandola. «Aspetta!», gridò, appena notò il
sekigan della donna di fronte a lei. Era pronta per essere punita in modo
esemplare, torturata se necessario, ma c’era una cosa che Yamoto
le aveva detto, per salvarle la vita a quelle condizioni. E negli occhi
differenti del ghoul di fronte a lei non c’era nessuna traccia di pietà. Se lo
aspettava da lei, non poteva nemmeno dirsi ferita.
«Cosa dovrei aspettare?»
«Lui mi ha detto che se ti avessi
riportato una frase, tu avresti smesso di farmi domande. Inoltre, ha detto che
una volta sentita questa frase, non l’avresti più cercato, ma avresti chiesto
al Re in persona.»
Quelle parole parvero avere un effetto
nuovo. Affascinarono Eto, che si rimise seduta, sistemando le bende che sul
seno iniziavano ad allentarsi. «Sentiamo cosa hai da dirmi, allora, Ai-Ai. Hai una sola possibilità, però. Se queste parole non
mi convinceranno e tu non inizierai a dirmi le cose che voglio sentirmi dire,
allora ti manderò da Kanou e gli dirò che può fare di te quello che desidera.
Forse così ritroverai il senno.»
Aiko deglutì, sentendo la gola secca. Poi
rievocò alla mente le mani di Yamoto. Ciò le bastò
per ricordare perfettamente la frase che lui le aveva ripetuto almeno tre
volte, poiché la riportasse più fedelmente possibile.
«La sola volta che siamo usciti alla luce
del sole, è stato un caldo giorno di luglio. Abbiamo fatto un picknick e tu hai intrecciato fra loro delle margherite per
creare una corona, Eto. Conservo ancora una di quelle margherite e la uso come
segnalibro, così che possa ricordarmi che c’è stato spazio per la felicità
anche per noi due ogni volta che volto una pagina.»
«A me sembra molto più di una frase»,
commentò Tatara. Eto, invece, rimase in silenzio e quando l’albino registrò che
erano state quelle parole ad ammutolirla, girò attorno alla sedia per poterla
guardare. Persino i suoi occhi si spalancarono di fronte all’espressione
stravolta del Gufo. Come Aiko, non riuscì a smettere di guardarla, sino a che
dalle labbra del sekigan uscì una singola parola.
«Fuori.»
Aiko non se lo fece ripetere, mentre il
suo viso riprendeva colore. Sollevò la maschera di cuoio sul volto e fece un
rapido inchino, prima di lasciare la stanza accompagnata dal fruscio del suo
mantello e del cappotto di Tatara.
Una volta fuori, scesero una scalinata.
Fermi sul pianerottolo, l’albino la fermò
senza bisogno di toccarla. «Cosa significano quelle parole, méi-méi?»
Masa si voltò verso di lui, lentamente. Lo
guardò come un cucciolo maldestro può guardare il suo padrone, prima di
rispondere. «Non lo so. Ho preferito non chiedere il loro significato a
quell’uomo, Laoshi.»
«Credo che tu sia stata saggia per la
prima volta nella tua vita, méi-méi.»
Lei sorrise leggermente, ma Tatara poté
notarlo solamente dalla virgola che assunsero i suoi occhi grandi, poiché la
maschera le celava le labbra. Non aggiunsero altro.
Un urlo forte ruppe il silenzio dello
stabile.
Eto era furente, ma non aveva il potere di
fare nulla.
Ciò l’avrebbe resa solo più furente.
«Vai via.» Tatara la invitò ad andarsene,
facendole cenno verso le scale. «Se rimarrai, potrebbe ripensarci.»
«Non può farlo. Credo che Yamoto le abbia mandato un messaggio che non può ignorare.»
Nonostante ciò, Aiko si alzò il cappuccio
della mantella crema, dando le spalle al suo maestro e dirigendosi verso
l’uscita.
Non lo disse ad alta voce, ma qualcosa
l’aveva intuito anche da sola. Se Yamoto sapeva la
vera identità riguardo il Re, aveva trovato il modo per comunicarlo al Gufo col
Sekigan in modo piuttosto inequivocabile. Sapeva così che lei avrebbe desistito
a mettergli i bastoni fra le ruote una volta per tutte.
Furbo, ma dall’uomo che era riuscito a
rapirla e a mandarla nella confusione più totale, sommergendola di informazioni
delle quali lei non aveva la benché minima idea, non poteva aspettarsi di meno.
Iniziava quasi a credere che tutto ciò che le aveva detto fosse vero e non solo
tante piccole dritte volte a mandarla in confusione.
Peccato che non aveva avevo il coraggio di
porgli la domanda più importante.
RB, RAB, RN, RNB, AB e le loro identità
rimanevano ipotesi nella mente della giovane investigatrice, che però aveva
compreso che se RN era Ken Kaneki, allora RB doveva essere il Re col Sekigan.
Perché il Re Nero, secondo Yamoto, avrebbe preso il
posto del Re Bianco molto presto.
Lei però non ci teneva a prendere il posto
della Regina Nera, che stava sfogando
la sua ira qualche sulla sua testa.
༒
Aiko sfruttò i due giorni concessile da Suzuya per salutare tutti.
Avrebbe dedicato il giorno prima della
partenza a Urie – che aveva promesso di tenersi libero, anche se lei dubitava
che sarebbe riuscita a tenerlo lontano dalle scartoffie per molto- mentre la
sera del suo penultimo giorno nella prima circoscrizione fece un giro di
chiamate per invitare il vecchio gruppo a bere qualcosa.
Kuramoto era passato a prenderla, puntuale,
per portarla al locale dove si radunavano sempre. Per la prima volta dopo tanto
tempo, c’erano tutti quanti.
La sola sedia a essere rimasta vuota, era
quella di Hairu.
Ui la guardava di tanto in tanto, con le
mani unite davanti al mento, prima di rispondere a una battuta di Itou con una mezza risata o di voltarsi dall’altra parte,
sulla sedia dalla sua destra, dove sedeva Hirako Take.
«Dovevo partire per farti uscire di casa,
uhm?», era stato tutto quello che gli aveva detto la mora quando l’aveva visto
entrare e prendere posto.
Con loro quattro c’era anche Takeomi, che
era stato l’ultimo ad essere stato invitato in quel piccolo ed esclusivo gruppetto
di persone, più amici che colleghi di lavoro. Con sé aveva portato la sua
ragazza, Yoriko, la quale si era inserita nelle
conversazioni un po’ intimidita e sempre rispettosa.
Quando anche Arima e Fura si erano fatti
vedere, sotto le probabili insistenze di Ui che non aveva appoggiato un attimo
il telefono fino al loro arrivo, si erano ritrovati tutti a guardarsi in
faccia.
La presenza Arima aveva abbassato un po’
il tenore delle conversazioni.
Almeno fino a che non avevano iniziato a
bere.
I soli che si erano astenuti erano stati
Takeomi, che non voleva sfigurare di fronte alla fidanzata astemia, Fura, che
aveva una figlia a casa e una moglie da non disonorare così alla leggera e
Take, che sosteneva a giusta ragione che qualcuno avrebbe dovuto poi riportare
tutti a casa.
Ci aveva visto giusto. In due ore Masa, Itou, Ui e Arima – il quale però rimaneva stoico- avevano
di gran lunga superato il tasso alcolemico legale. Di
almeno tre volte.
«Quindi ci lasci perché devi sposarti,
questo mi stai dicendo?» Con un occhio più chiuso dell’altro, Kuramoto formulò
la domanda. Il suo tono era strascicato e sembrava molto ubriaco.
Nonostante difficilmente si sarebbe
ricordato della risposta, Aiko doveva darne una visto che tutti la stavano
aspettando. «Non lo so», brontolò, appoggiando le fronte al tavolo. «Sono
confusa.»
«Basta bere allora», intervenne Hirako,
cercando di prenderle il bicchiere. Lei però strinse così tanto la presa da
mandarlo in frantumi.
Rialzò il capo per guardare il suo
mentore. Poi si voltò verso Kuramoto, alzando la mano che nonostante perdesse
sangue, stava già guarendo da sola. Il vetro venne rigettato dalla carne viva
del palmo, mentre una ferita profonda sul palmo iniziava a rimarginarsi in una
ragnatela rossa di vive cellule Rc. «Credo di sì, però. Quella sembrava proprio
una proposta di matrimonio. Se non lo fosse stata, non avrei lasciato quella
che è la mia famiglia. Amo i Quinx. Tutti loro.»
Take tornò ad appoggiarsi allo schienale
della sedia, mentre Ui lo guardava con un po’ di pietà negli occhi. Kuramoto,
invece, gonfiò le guance. «Noi non ci amavi, allora?? Quando sei andata via
dalla squadra Hirako non sembravi così triste!»
«Sì che lo ero, Bakamoto», lo prese in giro la
mora, sporgendosi verso di lui. «Però è diverso. Sono stata il mentore di un
cadetto. Ho sopportato un interveto chirurgico molto invasivo. Non sarò mai più
umana, mai più. Almeno nei Quix mi sentivo una pari.»
«Ok, direi che è ora di pagare e andare a
casa, la conversazione mi sta deprimendo», farfugliò Koori, appoggiando il capo
fra le braccia conserte, in netto disaccordo con la sua idea di andarsene.
Arima parve d’accordo. Si alzò, prendendo
il portafogli e guardando Masa. «Pago io», le disse, bloccandola dal replicare.
«Di solito a offrire è chi chiede agli altri di uscire, lo so. Ma oggi pago io.
Accettalo come un in bocca al lupo per il futuro.»
Aiko, che era poco in sé, alzò il pollice.
«Grazie, Shinigami
Bianco. Se me lo auguri tu, deve avverarsi per forza.»
«Avanti, vi porto a casa io.» Take si alzò
per secondo, guardando la scena con biasimo. «Aiko, Kuramoto, Koori. In piedi.»
«Sì, senpai», brontolò l’agente col
caschetto, tornando ad alzare il capo. Prima di cercare di mettersi in piedi si
voltò nuovamente verso la sedia alla sua sinistra, tragicamente vuota. A Masa
non sfuggì.
Ogni volta che vedeva Ui, sperava di
rivedere anche Hairu.
Ma sapeva che non sarebbe mai successo.
Perché la testa della ragazza galleggiava
nella formalina, nel laboratorio di Kanou, sull’isola di Rue.
Il primo a venire scaricato sotto casa fu
Koori.
Take lo aiutò a mettersi diritto e visto
che non aveva rigettato la cena solo perché aveva trascorso il viaggio sul
sedile posteriore appoggiato testa a testa con Itou,
lo portò fino al portone, dove si fece dare le chiavi.
Tornò all’auto mentre una leggera
pioggerella iniziava a cadere, con una piccola corsa.
Masa, che aveva visto l’intera scena dal
sedile del passeggero, lo osservò rimettersi al volante con gli occhi
socchiusi. «Credo che Kuramoto sia morto.»
Take le lanciò un’occhiata, prima di
voltarsi per spiare il biondo che, in assenza della stabilità che il busto di
Koori gli aveva donato per quei dieci minuti scarsi di auto, era crollato steso
a faccia in giù sul sedile posteriore. Hirako sospirò grave. «Peccato. Lo
ricorderemo con amore.»
Aiko ridacchiò, brilla. «Quando fai le
battute sei più carino, dovresti farne più spesso.»
«Sconveniente frase per una donna
fidanzata.»
«Stai zitto e portami a casa prima che
questa donna fidanzata ti ritinteggi la tappezzeria della macchina di vomito.»
«Che schifo, Ai.»
Lei rise di nuovo, prima di accoccolarsi,
con gli occhi chiusi. Il ticchettio della pioggia sui finestrini e sul
parabrezza la fecero quasi appisolare, ma in pochi minuti raggiunsero anche la
sua destinazione. Take si accostò al vialetto dello chateau e spense l’auto,
facendo riprendere la mora.
«Ti accompagno.»
«Ce la faccio.»
Masa si sporse, per baciarlo sulla
guancia. «Mi mancherai anche tu, Take. Fai il bravo mentre picchio i ghoul
cattivi della tredicesima e vedi di non finire più in barella.»
«Aspetta.»
Confusa dall’alchool
e dalla stanchezza, Aiko lo guardò stranita. «Take, fammi andare a letto.»
«Il giorno che ti sei trasferita nei
Quinx, ho parlato di te a Sasaki.»
Masa, che inizialmente guaì spaventata
all’idea di un lungo pippone da parte del mentore, si
ritrovò a rizzare le orecchie. Questa storia non la conosceva.
«Che gli hai detto?»
«Riassumendo? Che eri incompetente in
tutto.»
«….Grazie Take.»
«Ho ingigantito alcune delle tue lacune
perché non volevo che te ne andassi. Volevo che rimanessi nella mia squadra, ma
ora come ora capisco quanto sono stato stupido. Mi dispiace.»
Quella confessione ebbe l’effetto di una
iniezione di caffeina nelle vene della ragazza. Aiko riuscì a spalancare gli
occhi, che aveva tenuto socchiusi fino a quel momento. Non dissipò però la
nebbia confusa dei suoi pensieri. «Perché me lo dici ora?»
«Perché è ora che anche io guardi avanti.»
Si guardarono negli occhi per minuti infiniti, poi lui le indicò il finestrino
battuto dalla pioggia che ora infieriva pesantemente. Oltre di esso, sul
portico illuminato, la aspettava qualcuno. «Il tuo cavaliere dall’armatura
scintillante è uscito per prendere la sua dama ubriacata.»
«Ci rivedremo presto.»
«Me lo auguro. Chiama ogni tanto, Ai.»
Aiko annuì e scese dall’auto, prendendosi
tutta la pioggia mentre camminava relativamente piano fino al cancello e poi al
sentiero che l’avrebbe condotta dentro casa. Urie le andò incontro,
schermandola dall’acqua con un ombrello grande e passandole il braccio attorno
al suo per evitare di vederla scivolare.
«Sembri parecchio più instabile del
solito, su questi tacchi. Quanto hai bevuto?»
Lei non rispose subito. Guardò Take
rimettere in moto e andarsene.
Poi prese un bel respiro, passando
entrambe le braccia attorno al busto dell’altro, mugolando.
«Evidentemente non abbastanza», fu la
risposta, che Kuki non comprese. «Portami a letto.»
Lui non se lo fece ripetere. Le ficcò in
mano l’ombrello, si caricò la borsetta sulla spalla e la prese in braccio.
Continua…
༒Nda༒
Mancherò per un paio di settimane per
motivi di lavoro.
Ci risentiamo dopo il diciotto di
settembre, folks!