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Autore: Chemical Lady    02/09/2017    0 recensioni
[[ Spoiler su tutto Tokyo Ghoul :re - Presenza di personaggi OC nella storia ]]
La figura che troneggiava su di lei sembrava un angelo.
Distinta, si stagliava verso il cielo possente, spezzando il buio notturno con la sua bianca presenza. Il cappotto candido cadeva fino al terreno, immacolato ad eccezione di qualche piccola ma visibile goccia di sangue. Una costellazione vermiglia, spaventosa, che impregnava il tessuto sovrapponendosi ad altre più vecchie, marroni e rapprese, ad alta velocità.
Il volto, invece, pareva quello di un demone. Gli occhi dall'innaturale sclera nera spiavano impassibili e annoiati il solo superstite della squadra Hidaishi.
Riversa sul marciapiede, in una pozza della sua stessa urina, c'era una ragazza dai capelli neri, che spuntavano arruffati da sotto il casco della divisa antisommossa del CCG. Teneva gli occhi ambrati fissi su quelli del ghoul dalla maschera rossa, incapace di distoglierli.
Sto morendo , si diceva in una lenta litania. Sto morendo.
Aiko Masa, vent'anni sprecati a compiere scelte inutili, stava morendo.
[[ Quinx Squad center ]]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio, Sasaki Haise, Sorpresa, Un po' tutti, Urie Kuki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte quinta: Il caso Nagachika.

 

 

«Secondo te cosa dovremmo farcene dei vestiti che abbiamo addosso? E della macchina?»

«Taci, mi deconcentri.»

Aiko si zittì immediatamente, stringendo nel pugno in manico dell’ascia ancora insanguinata. Il solo suono che poteva sentire realmente, eccetto il rombare del motore del veicolo che Seidou stava guidando, era l’insistente gocciolio del sangue che andava rapprendendosi sul tappetino sotto ai suoi piedi. Fissava con sguardo vacuo il cruscotto di fronte a lei, gli occhi innaturalmente sgranati e nelle orecchie ancora lo spettro delle grida di Hiroshi. Non avrebbe mai dimenticato lo sguardo di puro terrore negli occhi del fratellastro, il suo lamento, la richiesta di risparmiarlo. Né avrebbe mai cancellato dalla mente il modo in cui lo aveva colpito con poca forza nella mano a causa della mancina, ancora fasciata e appesa al collo a causa delle ferite infertale da Eto la notte  della morte di Orihara. La convinzione che era aumentata al secondo e al terzo colpo, prima di passare quella stessa ascia a Seidou che l’aveva massacrato, smembrandolo dalle gambe fino al torso, così da fargli penare ogni singolo istante di quella tortura.

Eppure, nonostante avesse visto morire in modo orribile un membro della sua famiglia, in quel momento si sentiva più leggera. Più tranquilla. Uno dei molti fantasmi del suo passato stava piano a piano sbiadendo di fronte ai suo occhi. C’era qualcosa in quella vendetta che rendeva il tutto più giusto.

Ormai Hiroshi era morto e tutto ciò che rimaneva di lui era un sacco di sangue sparso per un salotto, una testa mozzata appoggiata a un mobiletto e qualche pezzo di carne riposto dentro a un frigorifero da campeggio che lo stesso Takizawa si era portato da Tokyo fin lì, in quel piccolo paesino di mare, nella provincia di Kyoto.

«Quando siamo lontani da Hamaotsu

La voce di Seidou non accarezzò nemmeno le sue orecchie e il mezzo ghoul se ne accorse subito, tanto che per la stizza decise di far tutto da solo. Sterzò con violenza, accostandosi alla piazzola e facendo sbilanciare la ragazza sul sedile del passeggero, che mugolò di dolore.

«Scendi, cretina. Ci liberiamo qui della macchina, poi farai tu l’autostop per fermare qualcuno.» Takizawa non le era sembrato così lucido nemmeno nei primi giorni di prigionia, quando l’aveva incontrato. In quell’istante, negli occhi che trasudavano isteria, c’era però una venatura pianificatrice. «Gli rubiamo l’auto e torniamo a Tokyo prima che faccia giorno e trovino tuo fratello.»

«Non è meglio prendere un treno?»

«No.»

«Temi che possano riconoscerci se ci saranno indagini?»

«Non posso assicurarti di starmene tranquillo col culo sul sedile di un treno per tutte quelle ore, va bene? Guidare mi tiene concentrato, vuoi che siano i passeggeri innocenti di un treno notturno a farlo?», spalancando la portiera, Takizawa uscì fuori nel buio della notte. «Dobbiamo lasciare la macchina qui», proseguì, appoggiandosi al guardrail per spiare l’oceano nero sotto quello sperone roccioso. «L’acqua e il sale laveranno via le prove. Muoviti a spogliarti.»

Mentre Aiko si sfilava la camicetta e la canottiera sporche di sangue, Seidou faceva lo stesso, liberandosi della maglia larga  e i pantaloni sbiaditi che Tatara gli aveva buttato addosso quando erano partiti, il primo pomeriggio di quello stesso giorno. Mancavano ancora pochi minuti a mezzanotte. Ed era necessario che tornassero prima dell’alba per non destare sospetti. Kuramoto non doveva chiedersi dove avesse passato la notte la coinquilina e soprattutto avrebbe dovuto essere con lei nel momento in cui avrebbero chiamata da Kyoto per darle la brutta notizia.

Eto era stata chiara su questo punto. Non le avrebbero coperto le spalle se fosse stata così stupida da farsi beccare.

Aiko sapeva benissimo che poteva fidarsi del fatto che Eto non si sarebbe scoperta per lei.

Buttò quindi tutto nella macchina, tenendo addosso solo l’intimo e fissando incerta lo spallino del reggiseno, che si era anch’esso macchinato un poco di sangue. Aveva superato la barriera dei vestiti al di sopra, nel momento in cui aveva ripetutamente colpito il busto di Hiroshi.

Stava pensando come fare, quando un mantello nero le venne messo sotto al naso.

Takizawa glielo porgeva senza guardarla, quasi pudico, stringendo con la mano libera il tessuto liso dei pantaloni sformati.

«Butta tutto e spostati.»

Aiko prese il mantello con mani tremolanti, mentre l’altro scaricava la borsa frigo e l’appoggiava vicino al ciglio. Poi, a mani nude, Seidou sollevò il guardrail e lo ruppe, per poi spingere l’auto fino al bordo. Quando cadde nell’oceano, il boato riecheggiò attorno a loro, ma la zona era deserta.

Sfinita come se fosse stata lei a fare lo sforzo fisico, Aiko si sedette sul ciglio della strada. Al petto nudo teneva il tessuto nero senza però indossare l’indumento, mentre lo sguardo andava a fissarsi sul contenitore che raccoglieva i resti di suo fratello. Seidou le si sedette accanto tirandosi dietro l’oggetto, per poi aprirlo e afferrare un pezzo di carne. Senza preoccuparsi della sensibilità della giovane, tolse il coperchio e prese un pezzo di carne, inghiottendolo in due morsi.

«Gran figlio di puttana, tuo fratello», le disse, tornando a guardarla negli occhi mentre si leccava le dita per lavar via ogni residuo di sangue. «Però ammetto che è saporito.»

«Seguiva una di quelle diete vegane del cazzo», rispose Masa, scrollando le spalle per poi cambiare totalmente argomento e tornare al punto. «Cosa facciamo ora?»

«La prima macchina che passa, la facciamo fermare.»

Aiko rise amaramente. «Hai visto le nostre facce? Nessuno si fermerà. E tu non puoi usare il tuo kagune per non lasciare tracce. Tatara ha detto che-»

«Si fotta, quel cinese raggi UV-repellente», con un grugnito, Seidou si sistemò seduto, prendendo altra carne. Staccò vorace un pezzo di muscolo, prima di sventolare la mano sotto al naso di Aiko, che girò il capo. «Fingerai di scappare da me, un uomo brutto e cattivo che cerca di stuprarti. Chiunque si fermerebbe per farti salire.»

«Per il brutto ci siamo. Cattivo, abbastanza. Ma tu che tenti di stuprare una donna? Sei vergine, Seidou.»

«Ma il guidatore non deve saperlo. Poi meglio una chiave esclusiva che apre un cancello su un giardino, della tua serratura che viene aperta con ogni chiave esistente.»

«Stronzo.»

«Troia.»

Si scambiarono un mezzo sorrisetto, poi Aiko appoggiò il mento al braccio ingessato, spiando verso l’oceano. «Eto ha vinto.»

Takizawa sbuffò, forte. «Eto vince sempre, tanto. Se c’è una cosa che sto imparando stando con questo branco di bastardi ghoul, è questo. È come giocare a poker con un uomo che può leggere la mente.» Il rumore delle onde fu tutto ciò che rimase della loro conversazione per parecchi minuti. Poi, Takizawa si drizzò. «Arriva una macchina. Alzati e preparati, voglio essere a Nakatsugawa entro le tre o non torneremo mai in tempo.»

La ragazza si limitò ad annuire, alzandosi in piedi.

Lasciò cadere a terra il mantello e prese un respiro, prima di ripensare a ciò che avevano commesso quella notte.

Non riuscì però a sopperire alla sua espressione apatica con i ricordi del macello di Hiroshi.

Così recitò.

 

Kuramoto dormiva profondamente quando rimise piede in casa, pochi minuti prima dell’alba. Con addosso nulla se non una maglietta presa in un autogrill e un paio di culotte sporche di terra, Aiko si diresse in camera sua, ignorando il miagolare insistente del gatto.

Quando si chiuse piano la porta alle spalle, realizzando che l’avevano fatta franca, per poco scoppiò in una risata liberatoria.

Appoggiò il capo contro il legno massiccio duro dell’uscio, chiudendo un istante gli occhi, prima di prendere il suo cellulare, che non aveva lasciato l’appartamento per evitare che venisse tracciato in futuro.

Avevano ucciso tre persone quella notte, eppure non c’erano indizi che avrebbero portato a loro se non tre cadaveri irriconoscibili, un’auto infondo all’oceano e una in fiamme a Shibuya.

«L’abbiamo fatta franca», sospirò piano, scorrendo nella rubrica un numero memorizzato sotto il nome Mamma.

Ovviamente, non era sua madre.

-Sono pronta.-

Fu tutto ciò che scrisse.

-Ne sono compiaciuta. Presto inizieremo.-

Fu tutto ciò che le rispose Eto.

 

E lo era davvero.

Era pronta a distruggere quel mondo, perché ormai anche lei era diventata il mostro che era nata per essere.

 

Capitolo ventinove

«Mi dispiace di avere esagerato e parlato a sproposito. Non sarei dovuta venire qui nel pieno della frustrazione. Prego tutti e tre quindi di accettare le mie scuse.»

Masa rimase china in due, di fronte al bancone, fino a che su di esso venne appoggiato un cappuccino al ginseng. Touka la guardava serenamente quando i loro occhi si incontrarono di nuovo, giallo dorato su viola placido. Prese quindi posto sullo sgabello, scambiando uno sguardo anche con il signor Yomo, mentre Nishiki, accanto a lei, sbuffava.

«Come tutte le colombe, tubi tanto, ma non concludi molto, vero Masa-san

«O forse hai trovato le tue risposte e quindi non serve più tenere le ostilità con noi?»

La mano con cui Aiko stava accompagnando la tazza alle labbra si fermò a mezz’aria, mentre guardava l’altra ragazza. Prese un piccolo sorso, dopo aver soppesato un pensiero, pulendosi il labbro superiore dalla schiuma con un piccolo tovagliolino di carta.

«Vero. Ho trovato Nagachika

L’ammissione fece voltare di scatto Nishiki. «Tu sei una pazza che crede di-»

«Le sue ossa», proseguì indisturbata la mora. «Riposavano in uno degli svincoli fognari che dal 14 V portano verso il cuore della ventesima. Abbiamo anche eseguito un esame del dna usando un piccolo campione epiteliale che abbiamo trovato sulla felpa nera e gialla. Sul colletto, per la precisione. Non ci sono dubbi, Hideoshi Nagachika è morto e oggi, insieme alle mie scuse sincere, ti ho riportato lo scatolone con le sue cose, Kirishima

Touka prese un respiro e chiuse gli occhi, prima di riaprirli per spiare il volto dell’investigatrice. «Sono felice che tu abbia trovato quello che cercavi, agente.»

Il suo tono era sinceramente impregnato di menzogna.

Menzogna che Aiko acconsentì ad assecondare, con un sorriso tirato.

«Anche io. Ho portato a una povera famiglia quel poco che rimaneva di loro figlio. Ora avranno una tomba piena su cui piangere. Ora scusatemi, ma devo proprio andare.» Si sollevò dallo sgabello che aveva a mala pena toccato, lasciando a metà il capuccino offerto con pace dalla cameriera ghoul. Lanciò un ultimo sguardo al contenitore con le cose di Nagachika, prima di infilarsi il trench. «Anche io ho da riempire uno scatolone. Forse per un po’ non ci vedremo.»

«Forse», rispose Touka, «è meglio così. Buona fortuna agente Masa.»

«Anche a voi.»

Ne avremmo entrambe bisogno.

 

Aiko aveva scarsi ricordi della notte in cui Yamoto l’aveva rapita. Era stato lui chiederle di chiamarlo così e non con il suo vero nome, almeno sino a che non fosse stato lui a permetterle di pronunciarlo. Per correttezza, andrebbe detto che quella notte Yamoto aveva mandato Amon a prenderla per parlarle. Non era stato molto gentile però.

L’aveva imbottita di inibitori, così tanti che quando avevano finito, non era stato difficile per l’ex agente del ccg, collaboratore dell’uomo che l’aveva liberato, sedarla nuovamente.

Masa si era risvegliata scossa da Mi-Him, in mezzo al nulla, con addosso tutti i suoi averi, comprese le chiavi della macchina e il suo badge da agente. La coreana le aveva detto di averla tenuta d’occhio per giorni sotto l’ordine diretto di Eto, ma che comunque non era riuscita a fermare Amon Kotarou dal prenderla, perché era stato incredibilmente veloce nonostante la sua enorme mole.

Lui e una donna l’avevano portata via e a Cesoie non era rimasto nulla se non tornare indietro per cercare indizi. Alla fine l’aveva trovata per puro caso mentre stava per buttare la spugna.

Tutto ciò che Aiko aveva fatto dopo era stato andare in un cimitero cristiano e frugare per ore nell’ossario alla ricerca di ossa che potessero in qualche modo combaciare con quelle di un ragazzo pressoché ventenne. Aveva letteralmente fatto un collage con quello scheletro, prima di chiamare Tsubasa.

Aveva sporcato le ossa di terra, si era a sua volta infangata per bene e poi era tornata allo chateau con il macabro reperto avvolto in una coperta che teneva nel bagagliaio, pronta per affrontare Urie. Lui l’aspettava fuori dalle grazie di Dio, dopo tutte quelle ore di silenzio. Lei si era limitata a mostrare le ossa a lui e al resto della squadra, che l’aveva attesa in ansia.

E aveva detto solo una cosa.

«Con un’intuizione ho trovato Nagachika

 

Tsubasa le aveva fatto avere una falsa comparazione del dna il giorno successivo, falsificando i moduli di uno studio privato.

Urie aveva intercesso con Matsuri e lei aveva avuto il permesso di andare dalla famiglia Nagachika per portare loro i resti del figlio.

Aveva a tutti gli effetti insabbiato quanto più possibile il caso.

 

Perché di esso non doveva rimanere traccia.

Quelle erano state le condizioni per permetterle di tornare a casa.

 

 

«Il funerale si terrà dopodomani. I genitori hanno parlato di una cerimonia intima con pochi amici e parenti, ma sarebbero contenti se tu andassi, Akira. Hai lavorato con lui e lo conoscevi, dopotutto.»

Aiko terminò il suo rapporto, chiudendo il quadernino che aveva falsificato, impiegandoci quasi tre ore. Lì sopra aveva riportato esiti di indagini fittizie, false interpretazioni del testamento e qualsiasi altra cosa potesse venire insabbiata. Lo porse quindi alla bionda, che lo prese con entrambe le mani.

«Ti sono grata per aver tenuto fede alla tua parola e per avermi informata.» Mado le sorrise sincera e Aiko ricambiò, seppur pallidamente. «Hai fatto un grande servizio a una famiglia. Hai dato loro la pace, nonostante tutto ora possono chiudere questo capitolo.»

Probabilmente quelli non sono nemmeno i genitori di Nagachika, ma altre pedine di questo  teatro di maschere grottesche e burattini tenuti in piedi da fili di sangue.

«Sono felice di esserci riuscita, associato alla classe speciale. Vorrei poterlo fare anche per altri, se ne avrò occasione.»

«Non essere modesta. Questo è l’ennesimo caso che risolvi e hai anche pagato un analisi del dna di tasca tua. Questo va oltre la dedizione al mestiere. Dovrebbero affidarti solo indagini di alto profilo, hai un intuito a dir poco eccezionale. I Quinx perdono un ottimo membro, oggi.»

Masa prese un respiro. «Io perdo una parte della mia quotidianità. Nessun lavoro potrà mai ridarmela.» Facendo una pausa Aiko guardò gli occhi amaranto dell’altra donna. Akira era bellissima, eppure così fredda. E triste. «Cambiare compagni di squadra è sempre stressante, ma alle volte non possiamo scegliere il nostro futuro.»

Madò annuì, consapevole. «Diciamo che ho sentito delle voci di corridoio», le disse, educatamente e discreta. «Credo che la scelta tua e del primo livello Urie sia la più responsabile possibile. Lui ha davanti un futuro promettente e tu…» Indicando il quaderno, Akira scrollò le spalle, «Cosa posso dire di te? Probabilmente verrai ricordata come una delle investigatrici più brillanti che il ccg abbia mai avuto.»

«Credo tu stia esagerando. Non sono niente di ché. Lo diceva sempre anche Hirako che dovevo migliorare tanti aspetti.»

«Lo hai fatto», sostenne la bionda. «Il lavoro di gruppo ormai non è quasi più un problema, o non avresti potuto fare da mentore a Higemaru. Hai migliorato le tue abilità in combattimento, grazie all’intervento per il trapianto di kakouh ma soprattutto perché tu sei stata forte abbastanza da sostenerlo. Sei intelligente, Aiko. Non devo dirtelo io che lo sei.» Una pausa più lunga si frappose fra loro. Alla fine Mado si alzò in piedi, tendendole la mano. «La squadra Suzuya è una delle migliori che abbiamo», le disse, mentre anche la mora si alzava e stringeva il palmo contro quello pallido dell’altra. «Sono dei fuori classe, tutti loro. In questi due mesi affinerai molto le tue tecniche di combattimento grazie a Suzuya e darai il tuo contributo per tenere più pulita una delle circoscrizioni peggiori di Tokyo. Quando ci rivedremo, ti offrirò un pranzo, anche se suppongo sarai impegnata quando ripasserai per la prima.»

Aiko sorrise, sempre più in imbarazzo. Tutti quei complimenti, quei modi gentili…. Non li meritava.

Sono una bugiarda. Sono una bugiarda. Sono una bugiarda. E ora sono doppiamente in trappola.

«Avrò sempre tempo per i miei mentori, Akira. Grazie per avermi aiutata quando ho fatto il trasferimento nei Quinx. Sarò felice di pranzare con te il prima possibile.»

«Buona fortuna nella tredicesima, primo livello Masa.»

 

Masa si era pentita di aver mandato a casa Higemaru non appena si era ritrovata da sola in ufficio, con la riproduzione casuale del telefono a tenerle compagnia e nemmeno un’anima pia a portarle un caffè.  Andava detto che erano quasi le otto e un quarto di sera e per quell’ora tutti avevano iniziato a tornare verso le loro dimore. I pochi ancora nella struttura avevano sicuramente il loro bel da fare se si trattenevano fino a quell’ora tarda alla scrivania.

Aiko stava finendo di prendere le sue cose dalla scrivania di Urie – che le aveva detto molto chiaramente di stare attenta a non portare via nessun documento che appartenesse a lui o avrebbero dovuto rincorrersi per due circoscrizioni parecchio distanti– quando bussarono alla porta.

«Avanti» sussurrò cercando di non concentrarsi su quanta tristezza le mettesse quel pensiero e non prestando quindi attenzione a chi stava entrando. Prima ancora di una voce, a raggiungerla fu un odorino invitante. Sorrise, non guardando ancora avanti a sé, presa da un paio di fascicoli vecchi che poteva anche lasciare al caposquadra, ma capendo. «Sasaki» disse, di fatto, «Qual buon vento?»

Il ghoul le sorrise di rimando, anche se mancava la sua solita vivacità. Quella era sparita, morta insieme a Shirazu in quel palazzo, mesi addietro. Lo Shinigami nero era molto più cupo di quanto il nome non rivelasse già. «Ho pensato di passare a portarvi un po’ di pollo saltato. Lo so che abusate del take away, da quando sono andato via.»

Lei prese fra le mani il sacchetto di carta, schiudendolo per bearsi del profumino di carne e peperoni rossi. «Colpevoli, ma il primo livello Urie si sta davvero imparando per arrivare al tuo livello, anche fra i fornelli», concesse alla fine, facendogli segno di sedersi di fronte a lei. Lui eseguì, sfilandosi il cappotto lungo e nero, ma tenendo sulle mani quei buffi guanti rossi. Aiko si chiese cosa nascondessero.

«So che oggi è il tuo ultimo giorno nei Quinx, Aiko-chan.»

La mora annuì, «Purtroppo sì. Anche io prendo il volo come hai fatto tu. Sei venuto a darmi qualche consiglio in merito al trasferimento?»

«In realtà» la gelò Haise, spaccando nettamente il discorso e arrivando al sodo. «Sapevo che eri qui da sola e speravo di poter scambiare due parole in privato.»

«Certamente», gli rispose lei, sempre sorridente, appoggiandosi allo schienale della sedia girevole. «Di cosa volevi parlarmi?»

«Ho sentito che hai indagato su Hideoshi Nagachika. Volevo discutere di questo caso con te, se non ti dispiace.»

Se Aiko ci avesse scommesso un miliardo di yen, a quel punto si sarebbe ritrovata ricca da fare schifo. Finse comunque, come sempre, di non capire. Aggrottò le sopracciglia, falsamente pensierosa,  mentre sapeva benissimo che quella situazione si sarebbe presentata. Tutti sapevano che aveva riconsegnato le ossa di Nagachika, in tanti si erano complimentati con lei. In realtà aveva aspettato una mossa di Sasaki tutto il giorno. «Ah sì. Possiamo parlarne se vuoi, anche se come avrai sentito, è un caso chiuso. Ho trovato il poco che rimaneva di quel povero ragazzo.»

«Come mai ci hai messo mano?», Haise sembrava tranquillo, ma i suoi occhi tradivano una certa fretta. Dopotutto era arrivato subito al punto, senza perdersi in convenevoli stupidi. Sembrava aver sempre furia di finire le cose, nell’ultimo periodo, come se lo infastidisse avere troppe persone attorno, per troppo tempo.

Masa aveva iniziando a farsi una sua idea.

«In realtà perché volevo trovarlo, non c’è un altro motivo.» Proseguì con estremo candore l’ex vice caposquadra dei Quinx, incrociando le mani sul legno della scrivania. «Volevo formare un po’ Higemaru, quindi ho preso una delle persone scomparse durante il raid della ventesima, tre anni fa, e abbiamo iniziato a fare qualche domanda in giro. Ci tenevo perché quella notte ho rischiato anche io di finire così, morta da qualche parte, senza che mia madre potesse più vedermi o parlarmi. Penso che in futuro mi dedicherò ad altri casi simili.»

«Capisco», Sasaki le parve molto pensieroso in merito «Come mai hai scelto proprio lui, però?»

«Quel ragazzo era un civile, non era uno di noi. Non meritava di fare una fine del genere, divorato in un canale di scolo senza nessuno a poterlo aiutare.» Scrollando le spalle, la mora lo guardò aspettando che l’altro dicesse ciò che davvero aveva da riferirle. Era lì per un motivo. «Poi è quello che hai fatto tu: hai dato a me e a Urie un caso impossibile da risolvere e ci hai buttati allo sbaraglio. Sbattendoci il muso si impara e infatti ho notato dei miglioramenti in Higemaru. È giovane, ma sa il fatto suo.»

Un piccolo sorrisetto malinconico tinse le labbra dell’altro, che poi portò la mano nella tasca della giacca nera. Afferrò un oggetto e lo portò all’altezza delle ginocchia, guardandolo con espressione tersa, prima di buttarlo sulla scrivania, di fronte a Masa.

«Quindi non sei stata tu a farmi trovare questa sulla mia scrivania?»

Aiko si sentì presa in contropiede. Afferrò con incertezza la fotografia che Haise le aveva praticamente sbattuto in viso, che lo raffigurava da bambino insieme a un coetaneo dai capelli biondi accesi e un sorriso birbante sul volto. La stessa fotografia che aveva visto per l’ultima volta quasi una settimana prima, nella mano di Eto, mentre un palazzo bruciava.

«No, non sono stata io.»

«E scommetto che non eri nemmeno tu a pedinarmi, vero? Andiamo, Aiko. So che non è la prima volta che la vedi.»

Lei alzò nuovamente lo sguardo, ora serio e scuro, sul volto dell’altro. Come se la sarebbe cavata? Era una situazione senza via di fuga. La faccia innocente non avrebbe più attaccato. Quindi fece un salto nel vuoto e gli diede quello che voleva, evitando accuratamente di parlare del pedinamento. Avrebbe dovuto poi mostrargli il quaderno che aveva restituito a Yamoto, ma che ovviamente fotocopiato per intero in precedenza. E avrebbe dovuto parlare di RB, quindi dello stesso Sasaki, senza contare che si sarebbe dovuta sbottonare su Yamoto stesso e quello era fuori discussione. «No, non è la prima volta.»

Si creò una situazione di stallo fra i due. Lei gli rese gentilmente la foto, che lui ripose con cura nella tasca interna del completo, lisciando poi la cravatta di seta contro al petto. Non smisero di guardarsi nemmeno per un istante, lei pronta a qualsiasi domanda, lui fermo sulla sua posizione, granitico. Sembravano sul punto di attaccarsi a vicenda, come due serpenti, ma alla fine il ghoul si alzò in piedi. Non sembrava più interessato a quella incresciosa situazione e Aiko non colse il perché. Riprese il cappotto, tenendolo sul braccio, mentre sistemava la sedia al suo posto.

«Io non lo so in che situazione sei andata a ficcarti, Aiko-chan.» il tono che usò fu dolce, come quello di un padre preoccupato. Lo stesso trasmettevano i suoi occhi, oltre le lenti degli occhiali da vista ovali. «Non so cosa vuoi ottenere o per chi pensi di lavorare. Solo non farti uccidere. Non ne vale la pena.»

Quell’amore non richiesto e non atteso la destabilizzarono. Masa si alzò di scatto, sbattendo il fianco contro la scrivania mentre la aggirava. Non disse nulla mentre lui continuava a guardarla con quell’espressione.  Cosa voleva dirle? Perché abbandonare i Quinx per poi non indagare su una cosa del genere? Perché non torchiarla fino a farle sputare la verità? Aveva il potere per farlo, di denunciarla. Non lo voleva?

Avrebbe dovuto ringraziarlo, invece si sentiva amareggiata.

Perché se ne ere andato, allora?

«Torno a casa», le disse, alleggerendo ulteriormente il tono. «Stasera Arima vuole vedere un nuovo quiz a premi e non vorrei perdermi la prima parte. Porta il pollo agli altri e salutali tutti da parte mia, Aiko-chan.»

Masa si rese conto che non stava respirando. Lo realizzò quando sentì la porta aprirsi e registrò che Sasaki stava per lasciare la stanza e lei non aveva ancora detto assolutamente nulla. Per questo si buttò, senza pensare.

«Kaneki, aspetta.»

Quel nome ebbe lo stesso effetto di una fucilata nella schiena, per Sasaki, il quale rimase impalato sulla porta, di spalle alla ragazza, con gli occhi sbarrati che non vedevano nulla. Un vortice di emozioni contrastanti lo colse, ma alla fine, riuscì ad incamerarle in un respiro profondo. Chiuse un attimo le palpebre, cercando di ignorare i brividi che aveva provato lucidamente nel sentirsi chiamare in quel modo dopo tanto, tanto tempo.

Poi si voltò di nuovo verso di lei. «Sì, Aiko-chan?»

Lei si morse il labbro, incerta «Nagachika…. Pensi che sia morto, vero?»

Gli occhi di Haise scapparono dai suoi immediatamente. «Lo è. Tu hai trovato le sue ossa.»

«…Ne sei sicuro?»

Di nuovo, senza guardarla, parlò «Sì, ne sono sicuro.»

«….Hai ragione, non so perché te l’ho chiesto, scusami. Mi dispiace per la tua perdita...»

Non ci fu una risposta. Haise lasciò velocemente l’ufficio, lasciandola sola a pensare a ciò che era successo. Nella realizzazione, il panico la colse. Cosa aveva combiato?!Portò entrambe le mani sul viso, sopprimendo un urlo per l’essersi tradita da sola in modo così stupido. Tirò un calcio al bidone della carta, mentre le mani scivolavano a coprire le labbra che fremevano dalla voglia di gridare tutto il disappunto. Con le gambe che tramavano scivolò fino alla scrivania, prendendo il telefono in mano.

Poi lo ripose, comprendendo che non c’era nessuno che poteva chiamare per dirgli cosa era successo. Aveva fatto tue ammissioni terribili, aveva scoperto le sue carte e ora Sasaki sapeva che lei era lì per lui. Forse era addirittura arrivato a comprendere che lei era entrata nei Quinx per controllarlo. Non andava bene.

«Sono completamente nella merda, uhm?»

Per risposta, il suo telefono prese a suonare. Kuki.

Lei ci pensò su, se rispondere o meno, ma se non lo avesse fatto sicuramente lui glielo avrebbe fatto notare almeno dieci volte i primi due minuti a casa. Inspirò quindi profondamente, poi accolse la chiamata. «Cookie.»

-Che vuoi per cena?-

C’era qualcosa di incredibilmente famigliare e quotidiano nella sua voce. Masa non riuscì a non lasciarsi sfuggire una piccola smorfia, pensando che oltre a tutto lo schifo che doveva gestire dopo l’incontro con Yamoto e a questa nuova perla con Sasaki, ora avrebbe anche cenato nella sua casa per l’ultima volta. Voleva urlare. Invece rispose con tono dimesso, spezzato. «Sei stupido come un scimmia.»

Il ragazzo non rispose subito, si prese un paio di secondi. Sicuramente aveva notato il tono –Grazie- convenne alla fine, facendola ridere piano, -Stai di nuovo bevendo in ufficio? Per questo hai mandato a casa Higemaru?-

«No. Quando mai avrei bevuto in ufficio, scusa?», rispose la ragazza, ruotando con la sedia verso la vetrata e tenendo gli occhi puntati verso le luci sotto di lei. Cercò di non accavallare pensieri negativi su pensieri negativi. «In realtà sono solo stanca ed ero sovrappensiero. Alla cena ci penso io, Sasaki mi ha portato un paio di chili di pollo saltato con le verdure.»

-Allora muoviti a portare a casa quel pollo. Così magari ti riposi anche e la smetti di sembrare psicopatica. Poi ricordati che dobbiamo parlare agli altri del tuo trasferimento. Non chiedermi come, ma non lo hanno saputo da nessuno in tutto il giorno.-

«Io che pensavo di scaricare questo onere a qualcun altro. Non ce la faccio a dirlo a Hige, mi si spezza il cuore al pensiero.» facendo leva sulla schiena, Masa si alzò in piedi. Tornò a guardare lo scatolone, passando una mano fra i capelli sulla nuca. «Kuki», lo chiamò con voce piccola, insicura.

Lui rimase in attesa per qualche secondo, ma ciò che Aiko voleva dirgli non arrivò. Lui parve capire che non stava bene, quindi glissò –Torna a casa, ok?-

Gli occhi le si riempirono di lacrime e non riuscì a non tirare su col naso «Arrivo.»

E riattaccò, prima ancora che lui avesse il tempo di chiederle se stesse piangendo. Appoggiò il telefono sulla scrivania, prendendo un fazzolettino dal dispenser. Poi si appoggiò con la vita contro al legno massiccio.

Sasaki sapeva qualcosa, mentre Eto sapeva sempre tutto.

E lei stava mettendo a rischio qualcuno che, giorno dopo giorno, iniziava ad amare davvero.

«Abbiamo fatto proprio bene a chiedere il mio trasferimento, Kuki. Riuscirò a non trascinarti sul fondo come, se non trovo una soluzione ai casini che mi sono creata con le mie stesse mani.»

 

 

«Perché questa riunione? C’è qualcosa di cui dovete parlarci?»

«Riunione? Stiamo facendo una riunione

C’era della genuina sorpresa nel tono di Saiko mentre questa, rivolta con il naso all’insù per spiare il profilo di Hsiao, sbatteva le palpebre sugli occhioni celesti perplessi.

Le due donne erano stipate su un unico divano, pressate contro Higemaru e Aura, con di fronte seduti vicini di due capisquadra, in religioso silenzio.

Era decisamente una riunione.

«Cosa ho fatto di male?», chiese in un latrato Yonebayashi, sculettando per farsi spazio e tirando una gomitata nelle costole a Hige, che si sporse in avanti, colto alla sprovvista e a corto di fiato.

«Dobbiamo parlarvi di una cosa molto seria», iniziò con tatto Urie, unendo le mani di fronte a sé mentre Aiko sospirava, appoggiandosi molle allo schienale del divano, con le mani dietro alla testa. Sembravano entrambi tesi, ma il ragazzo lo era di più.

Ad ogni modo, Urie non ebbe il tempo di aggiungere altro, che Shinsanpei schiuse le labbra.

«Il vice caposquadra è già incinta?»

Gli occhi di Urie divennero grandi come due piattini da caffè, mentre Hsiao e Higemaru alzavano in contemporanea le sopracciglia e Saiko rimaneva impietrita sul posto, con ancora il gomito ficcato nel costato del più giovane. Lentamente, il marmoreo mentore dai capelli violetti si girò verso Masa, chiedendo palesemente supporto in quella situazione.

Lei lo guardò senza capire.

«Non credo», gli rispose, come se avesse seriamente preso in considerazione quella possibilità e non aiutando per niente. «Ho avuto il ciclo la settimana scorsa. Lo sai.»

«Oddio diventerò zia!», guaì con tono alto Saiko, in totale estasi, coprendo totalmente le parole della mora. Portando le mani al viso trasognato, Yonobayashi iniziò già ad immaginarsi spingere una carrozzina piena di merletti e pizzi rosa. «Sarà sicuramente una bambina bellissima.»

«Non c’è nessuna bambina!», si inserì di nuovo Urie nella discussione, rosso come un pomodoro. «Non è di questo che dobbiamo parlare.»

«Il sesso del bambino lo sapremo solo al terzo mese, no?», chiese Touma con sguardo critico rivolto verso la pancia piatta di Aiko, scossa però dalle risate trattenute. Il suo divertimento era direttamente proporzionale al disagio del caposquadra. «Quindi non si può escludere che sarà un bambino.»

«Dipende dalla genetica», proseguì Aura. «Di solito ci sono persone più propense ad avere più figli maschi o femmine. Avete fratelli o sorelle?»

«Io avevo due fratelli.»

«Basta! Basta! Aiko non è incinta! Aiko se ne va dalla squadra!»

Le risposte di entrambe i capi squadra zittirono i quattro colleghi. Aiko sospirò grave, chiudendo gli occhi per non vedere la delusione o il dispiacere sul volto di nessuno di loro. «Che tatto…»

«Non mi hanno permesso di averlo», ribatté Kuki, piccato. Poi inspirò a sua volta, profondamente, spiegandosi meglio. «Da mezzanotte, Masa Aiko non sarà più un membro attivo della Quinx Squad. Andrà in prestito per due mesi alla squadra Suzuya e poi-»

«Dovrai anche cambiare casa?» Higemaru la guardò, atterrito, con gli occhi che brillavano. Era pronto a piangere. «Perché mi abbandoni?! Pensavo di essere un bravo kohai

«Lo sei!» Aiko si sporse in avanti con uno scatto, prendendogli entrambe le mani nelle sue e pregando di non assistere a una scenata. Poteva tornare sui suoi passi per impedire che Higemaru piangesse. «Sei il migliore che potesse capitarmi, però….» Con la coda dell’occhio, la mora spiò Kuki. Lui non disse ovviamente nulla, scaricandole la patata bollente. «Però le cose se devono essere fatte, devono essere fatte per bene. Ci sono delle regole, nel dipartimento. Io e Urie non possiamo lavorare più insieme per un conflitto di interessi.»

Stupore generale.

«Avete deciso di ufficializzare?», domandò Aura, grattandosi il mento.

«Quando Urie non sarà più il mio capo, tra due mesi, probabilmente sì.»

Ci fu una piccola pausa. Poi Saiko assottigliò gli occhi. «Te ne stai andando per un probabilmente?», le domandò con tono deluso. «Prima Mucchan, poi anche tu. Perché tutti andate via, come ha fatto la mamma?»

Aiko abbassò il capo, lasciando scivolare in avanti i capelli. Non aveva una risposta a quella domanda.

«Non ci sono eventualità. Ho intenzione di prendermi le mie responsabilità per questo trasferimento che ho io stesso richiesto ad Aiko.» Sorprendentemente, Kuki prese in mano la situazione, che stava degenerando rapida. E lo fece con un po’ troppa professionalità, visto il carattere del discorso «Non possiamo avere una relazione se lei è il mio vice. Se non possiamo avere una relazione, non possiamo comunque lavorare insieme, ora come ora. Ci siamo spinti troppo oltre, almeno per me è così. Aiko ha chiesto il trasferimento perché così potrà tornare, poi

Higemaru non capì. Aura schiuse le labbra, stupito. Hsiao, invece, sgranò gli occhi.

Saiko reagì come Touma, ma chiese. «Perché ora no, ma poi sì?»

Aiko e Kuki si guardarono negli occhi, poi lei si voltò verso Yonebayashi. «Le persone sposate possono lavorare insieme a distanza di un mese e un giorno dalla celebrazione del matrimonio.»

Mentre i tre ragazzi si chiedevano come reagire, Saiko sospirò sollevata. «Quindi sarai di nuovo qui fra massimo quattro mesi, che bello.»

«…Non siamo precipitosi, per favore.»

Saiko ignorò Urie. «Per allora, sarà tornato anche Mucchy e saremo di nuovo tutti insieme. Ne sono sicura.»

Un piccolo sorriso si aprì sulle labbra di Aiko, che però non si voltò più verso il compagno. Non voleva vedere la sua espressione pensando a Mutsuki. Avrebbe rischiato di rendere tutto ancora più insulso. «Lo spero anche io, Saiko. Per allora, però, ti lascio in mano la vicepresidenza. Sei la first lady, ora.»

Yonebayashi la guardò in tralice. «Cosa?! No! Non posso farlo! Non so cosa fare e non sono abbastanza brava per svegliarmi tutte le mattine in orario.»

«Nemmeno io lo ero. Non credo di esserlo nemmeno adesso.» Alzandosi in piedi, Masa le porse la mano. «Tienili al sicuro quando Urie sarà troppo pieno di paranoie per rendersi conto che qualcosa non va.»

Gli occhi di Yonebayashi brillarono, mentre si alzava in piedi sul tavolino che si frapponeva fra loro, abbracciando stretta Masa, che ricambiò forte. Si strinsero per diversi secondi, poi Urie parlò di nuovo. «La nuova organizzazione è questa», prese a dire, formale. «Fino a che non tornerà Mutsuki, Higemaru e Aura faranno capo a Saiko, mentre io continuo a lavorare con Hsiao. Ci sono delle carte da firmare, Yonebayashi, ma puoi farlo domani.»

«Sarai il mio giovane padawan, Hige», disse Saiko, mentre scendeva goffamente dal tavolino. Masa sospirò pesantemente, prima di abbracciare forte anche Higemaru.

«Ci vedremo spesso, promesso», sussurrò fra le ciocche pervinca, mentre lui si asciugava l’angolo dell’occhio con la mano e annuiva. Passò quindi ad Hsiao ed infine ad Aura, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni neri, alla fine. «La mia prima squadra è stata totalmente sterminata. La seconda credevo fosse come una famiglia, però c’è sempre stato un senso di distacco fra me e più della metà degli altri componenti dell’ex squadra Hirako. La mia vera famiglia siete voi.» Aiko si battè la mano sul cuore. «Io questo non lo dimenticherò quando sarò nella tredicesima a sfornare biscotti per Suzuya

«Basta scenette», la interruppe Urie, alzandosi dal divano, dal quale aveva osservato l’intera scena in silenzio. «Voi quattro, preparate la cena. Dovete solo scaldare il pollo che Sasaki ha cucinato e sistemare il tavolo, potete farcela. Aiko, tu vieni di sopra.»

Nessuno fece commenti sconvenienti. Ora che ci sarebbe stata l’ufficializzazione, non erano più divertenti. Si concentrarono piuttosto sul famigerato quanto delizioso pollo di Haise, mentre Urie precedeva Masa su per le scale. Lei lo seguì, guardando verso la cucina e scuotendo il capo divertita quando vide Hige prendere il contenitore del pollo, per poi farselo rubare da Hsiao, alla quale arrivò uno sguardo raggelante.

Le sembrò di vedere Shirazu e Urie dei bei vecchi tempi, per un attimo.

«Incredibile che siano passati otto mesi da quando sono arrivata. Sembra ieri.»

Sul letto c’era la valigia aperta che Aiko avrebbe portato con sé nella tredicesima. Era la stessa enorme valigia che aveva quando aveva per la prima volta messo piede in quella casa, accompagnata da Sasaki che era andato a prenderla alla stazione della metropolitana. Poteva contenere un cadavere, ma molte delle sue cose le avrebbe lasciate lì.

«Sono già passati otto mesi?», domandò Kuki, come stranito. Prese qualcosa dal cassetto della scrivania, mentre Aiko buttava un paio di pantaloni leggeri nel bagaglio aperto, intristita. Lui la guardò di sottecchi. «Oggi ho parlato con Suzuya», le fece sapere. «Gli ho detto che mi servivano un paio di giorni per le scartoffie. Non vai via domani. Ti aspetta per il sette di settembre.»

Masa lo realizzò lentamente. Poi sorrise nella sua direzione. «Mi stai dicendo che ho altri due giorni per godermi il letto caldo con te?», alluse, muovendo un paio di passi nella sua direzione.

«Non solo», convenne lui, porgendole un fascicolo. «Ho fatto registrare formalmente le tue conclusioni sul caso Nagachika. Ora esiste un’indagine che è stata chiusa.»

Un brivido attraversò la schiena di Aiko mentre afferrava la cartellina di carta. «Lo hai fatto davvero?»

«Tu e Hige vi siete impegnati molto, quindi ho chiesto ad Akira una copia di quel quadernino che le hai portato. Lei lo stava già battendo al computer per verbalizzarlo. Potrà aggiungersi al tuo curriculum, così.»

Aiko lo sfogliò, soffermandosi sulla falsa comparazione di dna e quindi sul volto del giovane Hideioshi. Poi tornò a guardare Urie, allungando la mano per sfiorare i capelli rasati da poco del suo undercut. Lo tirò a sé per baciarlo lasciando scivolare la documentazione sulla scrivania contro cui lo pressò. Con mani delicate fece scivolare via dalle sue spalle la giacca elegante e poi con dita abili sciolse il nodo della cravatta.

«Grazie», gli sussurrò a fior di labbra, scontrando lo sguardo col suo.

Lui deglutì piano. «Prego», replicò, conscio di essere completamente fuori luogo. «Dobbiamo scendere per la cena o gli altri penseranno che-»

«Lo pensano già e da mesi.» L’indice sottile di Masa si appoggiò sulle labbra del caposquadra, per zittirlo. «E capiranno anche che questi due giorni dovremo fare in modo che ci bastino per due mesi…»

Lui non replicò. Scostò solo la sua mano per baciarla di nuovo, lasciando che si aggrappasse a lui mentre iniziava a sbottonarle velocemente la camicetta.

Il bacio fu lungo e passionale, fino a che Aiko non si mise in ginocchio.

 

 

«Non credo di avere capito, Ai-Ai

Masa strinse i pugni sulle cosce, mentre con il capo chino, prostrata sulle ginocchia ai piedi della sedia su cui Eto sedeva, si aspettava una reazione da parte del Gufo col Sekigan molto più incisiva.

Non tardò ad arrivare.

Eto aprì una busta di patatine, prendendone una manciata, prima di riprendere a parlare cinicamente, muovendo fiaccamente il piede. «Stai dicendo che il corpo di Nagachika che hai consegnato non è il suo, ma che non hai intenzione di proseguire le indagini per me. Sostieni che sei stata rapita da Yamoto, ma che non vuoi dirmi né se lui è Nagachika o lo Spaventapasseri, né cosa vi siete detti.»

Masa scambiò uno sguardo veloce con Tatara, in piedi dietro alla sedia di Eto, ma non vi lesse nulla. Persino l’albino sembrava in bilico, col fiato sospeso, come lei.

«Hai capito bene, Eto.»

Una risata leggera lasciò le labbra del Gufo, mentre scostava il pacchetto e batteva fra loro le mani per ripulirle dalle briciole. Si mise seduta diritta, con entrambi i piedi appoggiati sul pavimento, prima di guardarla diretta negli occhi. «La tua vita mi appartiene, ricordatelo. Solo perché ti tratto bene, non ti permetto di prenderti gioco della mia intelligenza così, agente Masa Aiko.»

Un leggero tremore scosse il braccio dell’investigatrice, mentre una goccia di sudore freddo le rotolava lungo la tempia. «Ti prego di perdonarmi, Eto. Perdonami. Non posso proprio dirti nulla.»

«Non va bene così. Forse dovrei ricordarti che devi temere più me di qualsiasi altra persona.»

Eto fece per alzarsi, ma Aiko alzò di scatto il capo e una mano, bloccandola. «Aspetta!», gridò, appena notò il sekigan della donna di fronte a lei. Era pronta per essere punita in modo esemplare, torturata se necessario, ma c’era una cosa che Yamoto le aveva detto, per salvarle la vita a quelle condizioni. E negli occhi differenti del ghoul di fronte a lei non c’era nessuna traccia di pietà. Se lo aspettava da lei, non poteva nemmeno dirsi ferita.

«Cosa dovrei aspettare?»

«Lui mi ha detto che se ti avessi riportato una frase, tu avresti smesso di farmi domande. Inoltre, ha detto che una volta sentita questa frase, non l’avresti più cercato, ma avresti chiesto al Re in persona.»

Quelle parole parvero avere un effetto nuovo. Affascinarono Eto, che si rimise seduta, sistemando le bende che sul seno iniziavano ad allentarsi. «Sentiamo cosa hai da dirmi, allora, Ai-Ai. Hai una sola possibilità, però. Se queste parole non mi convinceranno e tu non inizierai a dirmi le cose che voglio sentirmi dire, allora ti manderò da Kanou e gli dirò che può fare di te quello che desidera. Forse così ritroverai il senno.»

Aiko deglutì, sentendo la gola secca. Poi rievocò alla mente le mani di Yamoto. Ciò le bastò per ricordare perfettamente la frase che lui le aveva ripetuto almeno tre volte, poiché la riportasse più fedelmente possibile.

«La sola volta che siamo usciti alla luce del sole, è stato un caldo giorno di luglio. Abbiamo fatto un picknick e tu hai intrecciato fra loro delle margherite per creare una corona, Eto. Conservo ancora una di quelle margherite e la uso come segnalibro, così che possa ricordarmi che c’è stato spazio per la felicità anche per noi due ogni volta che volto una pagina.»

«A me sembra molto più di una frase», commentò Tatara. Eto, invece, rimase in silenzio e quando l’albino registrò che erano state quelle parole ad ammutolirla, girò attorno alla sedia per poterla guardare. Persino i suoi occhi si spalancarono di fronte all’espressione stravolta del Gufo. Come Aiko, non riuscì a smettere di guardarla, sino a che dalle labbra del sekigan uscì una singola parola.

«Fuori.»

Aiko non se lo fece ripetere, mentre il suo viso riprendeva colore. Sollevò la maschera di cuoio sul volto e fece un rapido inchino, prima di lasciare la stanza accompagnata dal fruscio del suo mantello e del cappotto di Tatara.

Una volta fuori, scesero una scalinata.

Fermi sul pianerottolo, l’albino la fermò senza bisogno di toccarla. «Cosa significano quelle parole, méi-méi

Masa si voltò verso di lui, lentamente. Lo guardò come un cucciolo maldestro può guardare il suo padrone, prima di rispondere. «Non lo so. Ho preferito non chiedere il loro significato a quell’uomo, Laoshi

«Credo che tu sia stata saggia per la prima volta nella tua vita, méi-méi

Lei sorrise leggermente, ma Tatara poté notarlo solamente dalla virgola che assunsero i suoi occhi grandi, poiché la maschera le celava le labbra. Non aggiunsero altro.

Un urlo forte ruppe il silenzio dello stabile.

Eto era furente, ma non aveva il potere di fare nulla.

Ciò l’avrebbe resa solo più furente.

«Vai via.» Tatara la invitò ad andarsene, facendole cenno verso le scale. «Se rimarrai, potrebbe ripensarci.»

«Non può farlo. Credo che Yamoto le abbia mandato un messaggio che non può ignorare.»

Nonostante ciò, Aiko si alzò il cappuccio della mantella crema, dando le spalle al suo maestro e dirigendosi verso l’uscita.

Non lo disse ad alta voce, ma qualcosa l’aveva intuito anche da sola. Se Yamoto sapeva la vera identità riguardo il Re, aveva trovato il modo per comunicarlo al Gufo col Sekigan in modo piuttosto inequivocabile. Sapeva così che lei avrebbe desistito a mettergli i bastoni fra le ruote una volta per tutte.

Furbo, ma dall’uomo che era riuscito a rapirla e a mandarla nella confusione più totale, sommergendola di informazioni delle quali lei non aveva la benché minima idea, non poteva aspettarsi di meno. Iniziava quasi a credere che tutto ciò che le aveva detto fosse vero e non solo tante piccole dritte volte a mandarla in confusione.

Peccato che non aveva avevo il coraggio di porgli la domanda più importante.

RB, RAB, RN, RNB, AB e le loro identità rimanevano ipotesi nella mente della giovane investigatrice, che però aveva compreso che se RN era Ken Kaneki, allora RB doveva essere il Re col Sekigan.

Perché il Re Nero, secondo Yamoto, avrebbe preso il posto del Re Bianco molto presto.

Lei però non ci teneva a prendere il posto della Regina Nera, che stava sfogando la sua ira qualche sulla sua testa.

 

 

Aiko sfruttò i due giorni concessile da Suzuya per salutare tutti.

Avrebbe dedicato il giorno prima della partenza a Urie – che aveva promesso di tenersi libero, anche se lei dubitava che sarebbe riuscita a tenerlo lontano dalle scartoffie per molto- mentre la sera del suo penultimo giorno nella prima circoscrizione fece un giro di chiamate per invitare il vecchio gruppo a bere qualcosa.

Kuramoto era passato a prenderla, puntuale, per portarla al locale dove si radunavano sempre. Per la prima volta dopo tanto tempo, c’erano tutti quanti.

La sola sedia a essere rimasta vuota, era quella di Hairu.

Ui la guardava di tanto in tanto, con le mani unite davanti al mento, prima di rispondere a una battuta di Itou con una mezza risata o di voltarsi dall’altra parte, sulla sedia dalla sua destra, dove sedeva Hirako Take.

«Dovevo partire per farti uscire di casa, uhm?», era stato tutto quello che gli aveva detto la mora quando l’aveva visto entrare e prendere posto.

Con loro quattro c’era anche Takeomi, che era stato l’ultimo ad essere stato invitato in quel piccolo ed esclusivo gruppetto di persone, più amici che colleghi di lavoro. Con sé aveva portato la sua ragazza, Yoriko, la quale si era inserita nelle conversazioni un po’ intimidita e sempre rispettosa.

Quando anche Arima e Fura si erano fatti vedere, sotto le probabili insistenze di Ui che non aveva appoggiato un attimo il telefono fino al loro arrivo, si erano ritrovati tutti a guardarsi in faccia.

La presenza Arima aveva abbassato un po’ il tenore delle conversazioni.

Almeno fino a che non avevano iniziato a bere.

I soli che si erano astenuti erano stati Takeomi, che non voleva sfigurare di fronte alla fidanzata astemia, Fura, che aveva una figlia a casa e una moglie da non disonorare così alla leggera e Take, che sosteneva a giusta ragione che qualcuno avrebbe dovuto poi riportare tutti a casa.

Ci aveva visto giusto. In due ore Masa, Itou, Ui e Arima – il quale però rimaneva stoico- avevano di gran lunga superato il tasso alcolemico legale. Di almeno tre volte.

«Quindi ci lasci perché devi sposarti, questo mi stai dicendo?» Con un occhio più chiuso dell’altro, Kuramoto formulò la domanda. Il suo tono era strascicato e sembrava molto ubriaco.

Nonostante difficilmente si sarebbe ricordato della risposta, Aiko doveva darne una visto che tutti la stavano aspettando. «Non lo so», brontolò, appoggiando le fronte al tavolo. «Sono confusa.»

«Basta bere allora», intervenne Hirako, cercando di prenderle il bicchiere. Lei però strinse così tanto la presa da mandarlo in frantumi.

Rialzò il capo per guardare il suo mentore. Poi si voltò verso Kuramoto, alzando la mano che nonostante perdesse sangue, stava già guarendo da sola. Il vetro venne rigettato dalla carne viva del palmo, mentre una ferita profonda sul palmo iniziava a rimarginarsi in una ragnatela rossa di vive cellule Rc. «Credo di sì, però. Quella sembrava proprio una proposta di matrimonio. Se non lo fosse stata, non avrei lasciato quella che è la mia famiglia. Amo i Quinx. Tutti loro.»

Take tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia, mentre Ui lo guardava con un po’ di pietà negli occhi. Kuramoto, invece, gonfiò le guance. «Noi non ci amavi, allora?? Quando sei andata via dalla squadra Hirako non sembravi così triste!»

«Sì che lo ero, Bakamoto», lo prese in giro la mora, sporgendosi verso di lui. «Però è diverso. Sono stata il mentore di un cadetto. Ho sopportato un interveto chirurgico molto invasivo. Non sarò mai più umana, mai più. Almeno nei Quix mi sentivo una pari.»

«Ok, direi che è ora di pagare e andare a casa, la conversazione mi sta deprimendo», farfugliò Koori, appoggiando il capo fra le braccia conserte, in netto disaccordo con la sua idea di andarsene.

Arima parve d’accordo. Si alzò, prendendo il portafogli e guardando Masa. «Pago io», le disse, bloccandola dal replicare. «Di solito a offrire è chi chiede agli altri di uscire, lo so. Ma oggi pago io. Accettalo come un in bocca al lupo per il futuro.»

Aiko, che era poco in sé, alzò il pollice.

«Grazie, Shinigami Bianco. Se me lo auguri tu, deve avverarsi per forza.»

«Avanti, vi porto a casa io.» Take si alzò per secondo, guardando la scena con biasimo. «Aiko, Kuramoto, Koori. In piedi.»

«Sì, senpai», brontolò l’agente col caschetto, tornando ad alzare il capo. Prima di cercare di mettersi in piedi si voltò nuovamente verso la sedia alla sua sinistra, tragicamente vuota. A Masa non sfuggì.

Ogni volta che vedeva Ui, sperava di rivedere anche Hairu.

Ma sapeva che non sarebbe mai successo.

Perché la testa della ragazza galleggiava nella formalina, nel laboratorio di Kanou, sull’isola di Rue.

 

Il primo a venire scaricato sotto casa fu Koori.

Take lo aiutò a mettersi diritto e visto che non aveva rigettato la cena solo perché aveva trascorso il viaggio sul sedile posteriore appoggiato testa a testa con Itou, lo portò fino al portone, dove si fece dare le chiavi.

Tornò all’auto mentre una leggera pioggerella iniziava a cadere, con una piccola corsa.

Masa, che aveva visto l’intera scena dal sedile del passeggero, lo osservò rimettersi al volante con gli occhi socchiusi. «Credo che Kuramoto sia morto.»

Take le lanciò un’occhiata, prima di voltarsi per spiare il biondo che, in assenza della stabilità che il busto di Koori gli aveva donato per quei dieci minuti scarsi di auto, era crollato steso a faccia in giù sul sedile posteriore. Hirako sospirò grave. «Peccato. Lo ricorderemo con amore.»

Aiko ridacchiò, brilla. «Quando fai le battute sei più carino, dovresti farne più spesso.»

«Sconveniente frase per una donna fidanzata.»

«Stai zitto e portami a casa prima che questa donna fidanzata ti ritinteggi la tappezzeria della macchina di vomito.»

«Che schifo, Ai.»

Lei rise di nuovo, prima di accoccolarsi, con gli occhi chiusi. Il ticchettio della pioggia sui finestrini e sul parabrezza la fecero quasi appisolare, ma in pochi minuti raggiunsero anche la sua destinazione. Take si accostò al vialetto dello chateau e spense l’auto, facendo riprendere la mora.

«Ti accompagno.»

«Ce la faccio.»

Masa si sporse, per baciarlo sulla guancia. «Mi mancherai anche tu, Take. Fai il bravo mentre picchio i ghoul cattivi della tredicesima e vedi di non finire più in barella.»

«Aspetta.»

Confusa dall’alchool e dalla stanchezza, Aiko lo guardò stranita. «Take, fammi andare a letto.»

«Il giorno che ti sei trasferita nei Quinx, ho parlato di te a Sasaki.»

Masa, che inizialmente guaì spaventata all’idea di un lungo pippone da parte del mentore, si ritrovò a rizzare le orecchie. Questa storia non la conosceva.

«Che gli hai detto?»

«Riassumendo? Che eri incompetente in tutto.»

«….Grazie Take.»

«Ho ingigantito alcune delle tue lacune perché non volevo che te ne andassi. Volevo che rimanessi nella mia squadra, ma ora come ora capisco quanto sono stato stupido. Mi dispiace.»

Quella confessione ebbe l’effetto di una iniezione di caffeina nelle vene della ragazza. Aiko riuscì a spalancare gli occhi, che aveva tenuto socchiusi fino a quel momento. Non dissipò però la nebbia confusa dei suoi pensieri. «Perché me lo dici ora?»

«Perché è ora che anche io guardi avanti.» Si guardarono negli occhi per minuti infiniti, poi lui le indicò il finestrino battuto dalla pioggia che ora infieriva pesantemente. Oltre di esso, sul portico illuminato, la aspettava qualcuno. «Il tuo cavaliere dall’armatura scintillante è uscito per prendere la sua dama ubriacata.»

«Ci rivedremo presto.»

«Me lo auguro. Chiama ogni tanto, Ai.»

Aiko annuì e scese dall’auto, prendendosi tutta la pioggia mentre camminava relativamente piano fino al cancello e poi al sentiero che l’avrebbe condotta dentro casa. Urie le andò incontro, schermandola dall’acqua con un ombrello grande e passandole il braccio attorno al suo per evitare di vederla scivolare.

«Sembri parecchio più instabile del solito, su questi tacchi. Quanto hai bevuto?»

Lei non rispose subito. Guardò Take rimettere in moto e andarsene.

Poi prese un bel respiro, passando entrambe le braccia attorno al busto dell’altro, mugolando.

«Evidentemente non abbastanza», fu la risposta, che Kuki non comprese. «Portami a letto.»

Lui non se lo fece ripetere. Le ficcò in mano l’ombrello, si caricò la borsetta sulla spalla e la prese in braccio.

 

 

Continua…

 

 

 

 

Nda

 

Mancherò per un paio di settimane per motivi di lavoro.

Ci risentiamo dopo il diciotto di settembre, folks!

 

 

 

  
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