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Autore: _Pulse_    27/08/2017    2 recensioni
[Dal Capitolo 2]
«Come sta?», gli chiese Alex, rompendo quel silenzio che l’avrebbe fatta diventare matta se sommato all’innocente bellezza degli occhi di Merlino.
«Molto meglio. Ora dorme».
«Bene. Come hai detto che si chiama?».
«Artù».
«E tu e lui… vi conoscete da molto?».
«Da sempre».
Alex sollevò di scatto gli occhi e trovò i suoi luminosi, anche se velati di lacrime. Si chiese se fosse il caso di continuare con quell’interrogatorio o se fosse più opportuno aspettare che fosse Merlino a parlarle di lui. Dopotutto l’aveva soccorso – se non salvato – e l’aveva ospitato a casa sua: qualche informazione in più era un suo diritto, se la meritava.
Ma forse l’unica vera ricompensa che desiderava era proprio quella che Merlino le offrì, prendendole inaspettatamente una mano e stringendola forte tra le sue, facendo sì che i loro occhi si incatenassero.
«Ti sei tuffata nel lago per aiutarlo, vero?».
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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26. The nightmare begins


«Avanti Jake, andiamo», ordinò una voce femminile, una voce che Darrell riconobbe all'istante: Freya.
Provò a voltarsi, o anche solo a girare il capo a destra e a sinistra per vederla ancora una volta, almeno in sogno, ma non ci riuscì. Si sentiva il terzo incomodo, come se non fosse lui il creatore di quel sogno.
Il ragazzo si avvicinò, non senza essersi voltato indietro un'ultima volta, e con la fronte corrugata per l'irritazione sbottò proprio di fronte a lui: «Ce ne andiamo così? Quel tipo merita una lezione!».
Indicò un giovane senzatetto, dal volto emaciato e sporco, con un paio di penetranti occhi verdi e i capelli di un biondo pallido, come se avesse provato a lavarseli con la candeggina - anche se l'ultima volta che si era occupato della propria igiene personale doveva essere stata molto, molto tempo prima, considerando l'odore e la condizione dei  suoi abiti, lerci e tappezzati di toppe di fortuna.
Stava seguendo ogni loro movimento con espressione circospetta, sfregandosi le mani dalle unghie incrostate vicino al fuoco che scoppiettava in un barile, e Darrell avrebbe voluto chiedergli chi fosse, che cosa avesse fatto per infastidirlo tanto, ma fu ancora Freya a parlare: «Non abbiamo tempo, né per convincerlo né per costringerlo ad abbracciare la nostra causa. Quanto impiegheremo a raggiungere Glasgow?».
«Sono tre ore e mezza di auto, quindi all'alba dovremo essere lì».
«Bene, perché ho bisogno di riposare».
Facendo il giro dell'anonimo pick-up verde petrolio, Jake chiese: «Sempre per la spartizione della forza vitale?».
«Già. Darrell ora sta dormendo, ma domani mattina si sveglierà e andrà al lavoro. Se uno dei due non si facesse da parte, saremmo entrambi così deboli da essere praticamente inutili».
Freya salì al posto del passeggero e diede un'occhiata ai sedili posteriori, dove due sorelle gemelle di quindici, massimo sedici anni, dormivano l'una addosso all'altra, imbacuccate nei loro bomber dai colori fluo e con i cappellini coordinati che contenevano i loro voluminosi ricci arancioni.
«Sono ancora del parere che siano troppo piccole per venire con noi», mormorò Jake, guardandole a sua volta.
«È stata una loro scelta. Adesso andiamo».
Il ragazzo sospirò e mise in moto, quando lo straccione che all'inizio aveva rifiutato il loro invito bussò ripetutamente al suo finestrino, facendolo sobbalzare. Jake abbassò il vetro e il biondo si spostò dalla fronte una ciocca di capelli scoloriti.
«Ho cambiato idea, vengo con voi», affermò prima di aprirsi in un sorriso tutto denti.
Senza aspettare loro istruzioni saltò sul retro del pick-up, incurante del freddo che avrebbe patito all'aperto. Probabilmente ci era abituato.
Darrell, fino ad allora spettatore silenzioso e terrorizzato, impiegò tutta la propria forza di volontà perché la sua coscienza prendesse brevemente il sopravvento su quella di Freya, permettendogli di allungare una mano verso lo specchietto retrovisore e girarlo verso di sé. Ciò che vide fu la prova definitiva, quella che rese realtà il suo atroce sospetto: era davvero intrappolato nel corpo di Freya.
La ragazza ricambiò il suo sguardo, mostrandosi spaventata tanto quanto lui, ma ebbe comunque la forza necessaria per riprendere il controllo e cacciarlo fuori dalla sua testa.

Darrell sbarrò gli occhi, sudato tra le coperte del suo letto, e per diversi minuti non riuscì a muovere un muscolo, tant'era lo shock. A quel punto dubitava che fosse stato un semplice sogno: c'erano troppe prove che dimostravano la folle ed assurda teoria dell'esistenza della stregoneria.
Con le lacrime che gli rigavano il volto in un pianto liberatorio, il poliziotto si tirò su seduto e si allungò verso il comodino per prendere il block notes su cui, da una settimana a quella parte, aveva iniziato a scrivere tutto ciò che sognava: all'inizio erano state istantanee senza un preciso senso logico, immagini che allo sbattere delle ciglia scomparivano; poi aveva iniziato a captare rumori, parole a casaccio e frasi spezzate a metà, come una radio che non riusciva a beccare la giusta frequenza. Ora questo.
Rilesse tutto ciò che aveva scritto, guardò con più attenzione gli schizzi che aveva disegnato e cercò di dare un senso al tutto. Incredibilmente ci riuscì: Freya stava cercando delle persone, attraversando tutto il Regno Unito con Jake, scomparso misteriosamente il giorno dopo la partenza di Freya. Adesso sapeva che non era una semplice coincidenza e che stava bene, anche se non era certo di quanto potesse stare bene qualcuno in compagnia di una strega.
Accese l'abat-jour e con le spalle contro la testiera del letto scelse una pagina bianca per disegnare i volti dei ragazzi sconosciuti che aveva visto in compagnia di Freya. Il minimo che poteva fare era cercarli nel database della polizia. Sapere chi fossero o se avessero delle famiglie da qualche parte non sarebbe servito a molto, ma forse gli avrebbe evitato la pazzia. E a proposito di pazzi, iniziava a pensare che fosse giunto il momento di scoprire le proprie carte con le persone che riteneva sempre più collegate a tutte le assurdità che gli capitavano: Artù e Merlino.

***

Merlino stava bevendo il suo caffé sulla veranda, sorridendo, quando fu raggiunto dal solo ed unico re.
Entrambi guardarono Alex trottare in cerchio sulla groppa di Flash, il cavallo nero che suo padre sarebbe stato costretto a vendere al primo sconosciuto se lo stregone non avesse deciso di dargli una casa, per la felicità dell'infermiera.
«Sono contento di essere riuscito a farti ragionare», ruppe il silenzio Artù, dopo aver bevuto a sua volta un sorso di caffé.
«Sì, anche io. La felicità di Alex è più importante di una stupida auto».
«Non mi riferivo al fienile convertito a stalla per il cavallo».
Merlino non dovette nemmeno guardarlo in viso per capire che in realtà intendeva dire che era orgoglioso che avesse cambiato idea e che presto avrebbe ufficialmente chiesto ad Alex di sposarlo.
Era iniziato tutto per colpa di Edwin, quando erano andati a prendere il cavallo all'agriturismo. Il padre di Alex l'aveva preso da parte per chiedergli se avesse già programmato il momento, magari dopo una bella cena oppure in un luogo particolare, e Artù aveva assistito al suo patetico arrampicarsi sugli specchi, capendo immediatamente che non c'era in programma un bel tubo.
Dopo qualche pressione lo stregone non aveva potuto far altro che cedere e aveva confessato i dubbi che l'avevano assalito dopo che Abby aveva scoperto la storia della sua bisnonna: Louise McTrusty, il suo ultimo e più importante amore prima di conoscere Alex.
In quella settimana il ricordo bruciante di Louise si era affievolito ed erano bastate poche parole dell'ex re di Camelot perché tornasse sui suoi passi: come essere immortale non avrebbe mai dimenticato le donne che aveva amato nelle sue vite precedenti, ma non per questo doveva rinnegarsi la felicità e l'amore nel presente.
Diede le spalle al giardino e Artù lo imitò per guardare ancora una volta l'anello di fidanzamento che ai tempi Edwin aveva regalato a sua moglie Ellen e che aveva tramandato a lui. L'aveva dissotterrato quella mattina all'alba, spronato da Artù, e quando aveva riavuto il cofanetto tra le mani si era sentito così rincuorato che aveva capito all'istante di aver fatto la scelta giusta.
Merlino alzò gli occhi per incrociare quelli di Artù e aprì la bocca per rispondergli, ma Cathleen comparve in cucina con indosso solo una canottiera dalle spalle fini e gli slip, sbadigliando senza ritegno.
Con più di millequattrocento anni sulle spalle, Merlino aveva smesso di scandalizzarsi, ma Artù divenne rosso porpora per il modo in cui andava in giro la sua donna, specialmente in casa d'altri. Non ebbe però modo di aprir bocca, perché il paramedico li notò e li raggiunse in veranda per esclamare, tutta eccitata: «Non potete immaginare che cos'ho sognato! Stavo mangiando una pizza, una pizza che sapeva di torta al cioccolato! Avete mai fatto un sogno del genere?».
Merlino e Artù si scambiarono un'occhiata, sconvolti. Avrebbero dovuto fare delle ricerche approfondite in merito all'albero genialogico di Cathleen, perché c'erano delle volte in cui era tale e quale a Sir Gwaine.
La rossa si stancò di aspettare la loro risposta e sventolando una mano in aria, affermò: «Non sapete che vi siete persi».
Quindi notò Alex alle loro spalle, la quale era scesa da cavallo per dargli una carota fresca dell'orto dei signori Morris, e alzandosi in punta di piedi sventolò un braccio nel salutarla a gran voce.
L'infermiera sgranò gli occhi vedendola mezza nuda, ma poi si sciolse in un sorriso e ricambiò con un cenno della mano.

***

Baqi, di ritorno dalla caffetteria della signora Begum, le passò accanto senza rivolgerle nemmeno uno sguardo e Hala si sentì morire dentro.
Si scusò con Keith, incrociato per caso quando era uscita per prendere una boccata d'aria ed allontanarsi dalla visione di una Abby addormentata e ciò nonostante sofferente, col volto pallido e lividi violacei intorno agli occhi.
Non ricordava di averla mai vista in quello stato prima di allora: la malattia era tornata all'attacco, aggressiva e spietata, e la lista d'attesa per il trapianto di midollo non sembrava mai accorciarsi.
Raggiunse il gemello con una corsetta e lo afferrò per una spalla, costringendolo ad affrontarla.
Erano diversi giorni che non le rivolgeva la parola, precisamente da quando aveva scoperto che gli aveva tenuto nascosto di aver incontrato il suo uomo immortale e, cosa ancora più grave, di aver avuto conferma della sua teoria da Abby.
Lei aveva provato a giustificarsi, a dirgli che ciò che credeva una ragazzina malata non era necessariamente la verità, ma il fratello, ferito dal tradimento, non aveva voluto sentire ragioni.
«L'ho fatto per te», esordì, rispecchiandosi negli occhi di Baqi e rendendosi conto di quanto suonasse patetica. Per questo aggiunse: «Non voglio che tu finisca nei guai, okay?».
«Non sono un bambino, Hala; so badare a me stesso», replicò atono, scrollandosi la sua mano di dosso.
La pakistana guardò il fratello dirigersi verso le porte scorrevoli e ad un tratto gli gridò dietro: «Non puoi ignorarmi per sempre!».
Baqi non si voltò nemmeno, rispondendo semplicemente: «Devo andare dalla signora Chapman, prima che il caffè si raffreddi».
Quando fu scomparso all'interno del complesso ospedaliero, Keith raggiunse la ragazza e le posò una mano tra le scapole in segno di conforto.
«Fratelli, eh?», sospirò con un lieve sorriso sulle labbra. «Io sono il più piccolo della famiglia ed è sempre stato difficile. Eravamo sempre in competizione».
«Non è il nostro caso», spiegò Hala, sistemandosi dietro le orecchie i lunghi capelli neri. «Di solito è lui che fa arrabbiare me, ma questa volta è colpa mia: sta lavorando ad una storia ed io mi sono messa in mezzo».
«Sono certo che ti farai perdonare», le disse prima di fare l'ultimo tiro alla sigaretta e di spegnerne il mozzicone nell'apposito posacenere.
Il dottor Ellis si sporse per baciarle la guancia e la salutò per tornare al lavoro, ma la pakistana se ne accorse appena, riflettendo sulle sue parole: un modo per farsi perdonare c'era, ma era l'idea più folle che potesse venirle in mente. Ciò nonostante, sapeva di dover tentare.

***

Alex alzò gli occhi e guardò fuori dalla finestra della cucina, avendo come l'impressione di essere stata di nuovo catapultata a scuola.
Nel prato, Artù e Cathleen si stavano allenando al tiro con l'arco e in quel momento avrebbe dato di tutto per raggiungerli e mostrare all'antenato i propri progressi. Perché sui suoi insegnamenti poteva esercitarsi, mentre su quelli di Merlino no. Per carità, era felicissima che avesse finalmente deciso di addestrarla a controllare la forza della magia, ma dubitava fortemente che la teoria sarebbe servita a qualcosa con un'avversaria come Freya.
Doveva rimediare al danno che aveva fatto, rispedire la custode nelle acque di Avalon, e per farlo doveva imparare a lanciare gli incantesimi, ma Merlino si era come fossilizzato sulla pronuncia, sulle buone intenzioni... Era come quando aveva convinto i suoi genitori ad iscriverla ad un corso di chitarra: pensava che avrebbe subito iniziato a suonare, invece il maestro l'aveva costretta ad imparare le basi del solfeggio prima. Una vera delusione.
E a proposito di delusioni, quella simpaticona della donna misteriosa non l'aveva più raggiunta in sogno dall'ultima volta. Alex aveva così tante domande da farle... tra cui la più importante: era davvero lo spirito di Morgana?
Il libro di Merlino - una copia di quello che Gaius gli aveva regalato all'inizio della sua carriera di mago - cadde sul tavolo con un tonfo e l'infermiera si voltò di scatto, trovando lo stregone con le braccia conserte e un'espressione affranta  sul viso.
«Se non trovi interessante ciò che sto dicendo puoi dirlo apertamente», la sfidò.
Alex si addossò allo schienale, arricciando le labbra in una smorfia d'insoddisfazione. «Non è che non è interessante», spiegò. «Il fatto è che è trascorsa una settimana e non mi hai ancora permesso di fare nulla!».
Merlino abbandonò le braccia lungo i fianchi e si sedette di fronte a lei con un sospiro, poi la guardò negli occhi e ammise: «A meno che tu non voglia vedermi in preda alle convulsioni, non puoi usare la magia».
L'infermiera aprì la bocca per chiedere che cosa volesse dire, ma non ce ne fu bisogno: con la sua maledizione, Merlino si era trasformato in una calamita attira magia e tutta quella che un tempo scorreva libera nel mondo - nella terra, nel cielo e nei mari - ora era intrappolata nelle sue vene. Lui era una delle poche fonti rimaste, nonché la più potente, e se avesse davvero provato ad utilizzare la magia... beh, la verità era che l'avrebbe sottratta a lui.
«Quindi... quindi anche quando ho recuperato il tuo prototipo dalla Centrale...», balbettò, capendo finalmente come mai Merlino si era ritrovato con quella febbre da cavallo che l'aveva costretto a letto per tutto il giorno.
«Va tutto bene», la rassicurò con un sorriso, allungando un braccio per poterle stringere una mano.
«Non capisco... Come faremo a battere Freya senza la magia? E lei come fa a non collassare? È pur sempre una creatura magica! Pensi abbia trovato un'altra fonte?».
«Non lo so», fu costretto ad ammettere Merlino. «Può darsi che essendo stata la custode di Avalon per quindici secoli, sia la sua magia a tenerla in vita. Come Artù, dopotutto».
Dopo aver gettato entrambi uno sguardo al re di Camelot, intento a scoccare una freccia che non colpì il centro esatto del bersaglio solo perché Cathleen lo aveva sbilanciato con un colpo d'anca, lo stregone si alzò in piedi ed uscì dalla cucina.
«Torno subito», le aveva detto, e in effetti pochi minuti dopo era tornato con uno zainetto logoro sulla spalla, in cui infilò una bottiglia d'acqua presa dal frigorifero.
«Stiamo andando a fare una scampagnata?», gli chiese allora Alex, incuriosita.
Merlino annuì con un cenno del capo. «Un modo per lottare ad armi pari con Freya c'è: anche se non mi piace granché, è la nostra unica scelta».
Dopo aver preso anche un paio di merendine, il mago posò lo zainetto sul tavolo e la guardò intensamente negli occhi, con la stessa espressione corrucciata di un giudice indeciso su una sentenza. Che per caso non la ritenesse in grado di affrontare quella prova?
Un moto d'orgoglio le indurì il volto, permettendole di ricambiare lo sguardo del moro. «Ce la farò», affermò, convincendosi a sua volta. «L'hai detto anche tu che devo credere in me, no?».
Merlino si sciolse in un sorriso e le disse di prepararsi, mentre lui avvisava Artù e Cathleen e sellava Flash.

Merlino la condusse nel fitto del bosco che delimitava la fine della sua proprietà e seduta in groppa all'ex cavallo da corsa, Alex avvertì una specie di fitta di dolore poco sotto al seno, dove si era allacciata lo spesso corpetto di cuoio che usava come protezione quando tirava di spada con Artù.
Aveva la sensazione di aver già visto quegli alberi, moltissimo tempo prima, e più si avvicinavano alla radura su cui brillava l'alto sole del primo pomeriggio più il dolore aumentava, costringendola a stringere i denti.
Alex si portò una mano sul punto preciso e chiudendo gli occhi ebbe una specie di visione, della durata di un paio di secondi. Erano bastati però per vedere un giovanissimo Merlino dall'espressione determinata e al contempo addolorata torreggiare sopra di lei e trafiggerla con una spada unica nel suo genere: Excalibur.
«Fermo, fermo», esclamò, strappando le redini dalle mani del mago.
«Che cosa c'è?», le domandò sorpreso. Lentamente il suo sguardo si fece più attento, notando la preoccupazione e il pallore mortale sul suo viso.
Alex deglutì, cercando di raccimolare il coraggio. «Ho un brutto presentimento su questo posto. Non mi piace proprio, sento... sento che è morto qualcuno, qui».
Merlino accennò appena un sorriso, abbassando mestamente gli occhi. «È come immaginavo. Vieni, devi sapere».
Lo stregone proseguì verso la radura, certo che l'infermiera l'avrebbe seguito, e una volta scesa da cavallo lo fece. Lo raggiunse davanti ad una piramide di sassi ricoperti di muschio e rimase in silenzio al suo fianco, aspettando che fosse pronto a condividere con lei il ricordo della persona che era morta proprio in quel punto, poco prima che Artù venisse preso in custodia dalle acque di Avalon. Alex aveva già capito di chi si trattava ovviamente, ma non sapeva come né perché si fosse creato quello strano legame tra loro.
«È qui che ho ucciso Morgana con Excalibur», le confessò, cercando di celare l'emozione che gli stava rompendo la voce. «Ho speso anni della mia vita a struggermi e a domandarmi che cosa sarebbe successo se l'avessi risparmiata. Poi, qualche settimana fa, Freya mi ha rivelato che l'unico modo per liberarla da tutto l'odio e il dolore che provava era proprio trafiggerla con Excalibur. La spada ha assorbito la magia nera che aveva corrotto la sua anima e le ha donato la pace».
Merlino si voltò per incrociare i suoi occhi e sorrise di nuovo, nonostante le lacrime minacciassero di bagnargli gli zigomi spigolosi. «Non sapevo se credere o meno alle parole di Freya, ma poi mi sono ricordato del tuo strano comportamento dopo il ritrovamento di Excalibur e ho capito che aveva detto il vero. Il male che aveva afflitto Morgana ha cercato di impadronirsi anche del tuo cuore, dandoti la forza, la risolutezza e il potere a discapito della gentilezza e della bontà».
Alex fissò la tomba della Grande Sacerdotessa e si domandò se fosse proprio quella la ragione per cui aveva iniziato a sentirsi così legata a lei, tanto da riuscire a comunicare con il suo spirito e a rivivere sulla propria pelle i suoi ricordi. E se davvero Excalibur era riuscita a purificare il suo cuore poteva considerarla un'alleata, una guida preziosa nella lotta contro il "grande male" della profezia?
«La nostra unica possibilità contro Freya è Excalibur, come avrai capito», riprese Merlino, lasciandosi scompigliare i capelli dal vento che si era alzato e stava spettinando anche le fronde degli alberi. «La spada è stata forgiata dal fuoco di un drago, perciò è in grado di uccidere gli esseri immortali. Ed è anche una delle ultime fonti da cui puoi assorbire la magia, ma nel farlo assorbirai anche la magia nera di Morgana».
Alex fissò l'orizzonte, profondamente immersa nei propri pensieri. Voleva davvero che Freya tornasse da dove era venuta, ma non sapeva se a quelle condizioni il gioco valesse la candela. Ricordava come si era sentita quando era stata in possesso di Excalibur: potente ed invincibile, ma anche incapace di amare e di provare vera felicità. Era disposta a sacrificare la parte migliore di sé per avere qualche chance in più contro la dama del lago?
«Non c'è modo di purificare la spada? Magari il tuo prototipo funziona anche su Excalibur», esclamò, pur sapendo che se fosse stato così semplice Merlino ci avrebbe già pensato.
Lo stregone scosse il capo, amareggiato. «Excalibur è l'arma più potente mai creata, tanto da avere quasi una coscienza propria. Risponde alle sue regole soltanto ed è lei a scegliere le persone degne di impugnarla».
«Come il martello di Thor», provò a stemperare la tensione Alex, con ben poco successo.
«Kilgharrah mi aveva avvisato, d'altronde... È stata forgiata per Artù e Artù soltanto e se qualcun altro l'avesse usata sarebbero accadute cose terribili. Se fosse stato Artù ad uccidere Morgana, magari...».
«Il passato è passato», lo interruppe Alex, prendendogli una mano e costringendolo a voltarsi, non prima di non aver gettato a sua volta un'ultima occhiata alla tomba di Morgana.
Mentre ritornavano nei meandri del bosco, Merlino esclamò mogio: «Forse la Triplice Dea sarebbe in grado di purificare la spada, ma dubito che ci aiuterà dopo la tua presa di posizione...».
Alex non pensava che avrebbe potuto sentirsi ancora più in colpa, ma le parole di Merlino la smentirono. Non solo aveva liberato Freya, si addirittura era inamicata una Dea!
«Torniamo a casa?», gli domandò, sentendo il peso del mondo sulle spalle.
«No, prima devo mostrarti un'altra cosa».
Merlino la condusse fino all'ingresso di una specie di bunker scavato nella roccia e le mostrò come accedervi. Quindi, con una torcia elettrica pescata dallo zaino in una mano e le dita di Alex strette nell'altra, la invitò a seguirla in quella che chiamò la caverna di cristallo. L'infermiera non capì a cosa si riferisse il nome fino a quando non si ritrovò in una grotta in cui al posto delle stalattiti e delle stalagmiti c'erano enormi cristalli che coi loro bagliori azzurri rendevano inutile la torcia.
«È incredibile», soffiò, incantata. Anche senza poteri, poteva percepire la magia che permeava quella caverna.
Merlino sorrise e la fece avvicinare ad una roccia su cui pullulavano i cristalli.
«Posso toccarli?».
«Sì, però potresti...».
Alex non si fermò ad ascoltare oltre il "Sì" e non appena sfiorò la punta di una pietra la sua testa venne bombardata di immagini e suoni, come se si fosse trovata davanti ad una parete di televisori, tutti sintonizzati su canali diversi. Tra quelle che riuscì ad afferrare, vide i figli addottivi della nonna di Abby - Hala e Baqi - arretrare spaventati nella cappella dell'ospedale; vide Jake ai piedi del letto di una Freya addormentata e un ragazzo dai capelli biondo pallido che li spiava dalla fessura della porta; vide un ciondolo d'argento con incise tre spirali intrecciate in raffinati ghirigori; vide Darrell impugnare Excalibur ed alzarla verso il cielo.
Per fortuna Merlino l'allontanò dai cristalli prima che il suo cervello si liquifacesse e le uscisse dalle orecchie.
«Che cosa...?», riuscì a balbettare, adagiata a peso morto contro il petto di Merlino.
«Stavo cercando di avvisarti che avresti potuto avere delle visioni», la rimproverò, ma senza metterci troppo impegno.
Aspettò che recuperasse il senso dell'equilibrio, anche se il mal di testa le sarebbe rimasto fino a sera, poi la lasciò andare.
«Quindi le sfere di cristallo delle chiromanti...», iniziò a chiedere Alex, per venire bruscamente interrotta.
«Non scherziamo».
«Come siamo suscettibili», bofonchiò, tornando a guardare le pietre ma tenendosi a debita distanza. «Quindi ho visto davvero il futuro?».
«Sì. Ma bisogna fare molta attenzione con queste visioni: se mal interpretate, possono portare a conseguenze disastrose. Credimi, lo so per esperienza».
Le capacità di ragionamento di Alex avevano risentito della quantità di informazioni ricevute, perciò impiegò qualche minuto per metabolizzare il tutto e avvisare lo stregone: «Ho visto Freya. E Jake! Jake era con Freya!».
Merlino sgranò un poco gli occhi, allibito. «Jake... Il ragazzo che lavorava alla caffetteria della signora Begum, quello scomparso? Ne sei sicura?».
L'infermiera annuì con un deciso cenno del capo.
Non c'erano stati servizi al telegiornale, ma nel loro minuscolo paesino, in cui non era mai successo nulla di simile, la notizia aveva lasciato tutti sconvolti.
Nell'ultima settimana Darrell aveva interrogato pressoché tutti e perquisito più volte l'appartamento del ragazzo per ricostruire le sue ultime ventiquatt'ore, ma non aveva scoperto nulla di rilevante: se aveva deciso di andarsene spontaneamente non era stato pianificato, se qualcuno l'aveva rapito non aveva lasciato tracce e se per caso, tornando a casa di sera, al buio, fosse caduto in qualche fosso o addirittura nel lago, il corpo ormai avrebbe dovuto essere stato avvistato. Sembrava semplicemente svanito nel nulla, ma ora sapevano che non era così.
Alex si dimenticò di dirgli il resto, troppo sconvolta dall'improvviso colpo di scena, e Merlino non se ne curò particolarmente.
In silenzio guardò lo stregone spingersi verso un angolo un po' nascosto, arredato alla bell'e meglio con un lenzuolo come tenda, un sacco a pelo per terra, diverse candele, una sedia pieghevole con sopra qualche libro e una vecchia cassapanca. Fu proprio quest'ultima il suo obiettivo: si chinò all'interno e spostò via diverse cianfrusaglie fino a quando non trovò ciò che cercava, ossia un piccone da vero minatore.
«Che vuoi fare con quello?», gli domandò, ora spaventata. Non gli avrebbe permesso di infrangere nemmeno una di quelle meraviglie!
«I sogni sono solitamente più precisi dei cristalli, però non si possono controllare. Non possiamo lasciare che Freya ci colga di sorpresa, perciò...».
«Vuoi portarti a casa un pezzo di grotta», concluse Alex per lui, seguendolo con lo sguardo mentre si avvicinava agli stessi cristalli che aveva sfiorato poco prima.
Sollevò il piccone e le rivolse un sorriso smagliante, rispondendo: «Bingo».

Merlino si stancò in fretta, ma riuscì a portare a termine il lavoro.
Dalla cassapanca tirò fuori un sacco di juta che doveva avere almeno cento anni e lo usò per infilarci il pezzo di roccia che aveva spaccato dal masso principale, su cui spuntavano come funghi almeno una decina di cristalli azzurrognoli.
Sudato e ansante, si caricò il sacco in spalla ed iniziò ad avviarsi verso la scalinata, ma dovette fermarsi quando si accorse che Alex gli dava le spalle, con lo sguardo puntato verso un'altra apertura della caverna, da cui proveniva un bagliore diverso rispetto a quello dei cristalli. Un bagliore dorato.
«Che cosa c'è lì?», gli domandò ad un tratto, con voce quasi spiritata.
Lo stregone sospirò. Aveva temuto quel momento, temuto che tra Alex ed Excalibur si fosse ormai creato un legame e che ancora una volta Freya avesse avuto ragione: la spada l'aveva scelta e l'avrebbe sempre attratta a sé, che lo volesse oppure no.
«Lì c'è Excalibur», le confessò, certo che la sua domanda fosse stata una semplice formalità.
Non voleva che Alex si lasciasse corrompere dal potere e dalla magia nera assorbita da Morgana, ma era anche consapevole che la spada era l'unico modo per rispondere alla magia di Freya e fermarla.
«La scelta è tua», si costrinse a dire, ignorando quella parte di sé che avrebbe voluto proteggerla. Non ci riuscì troppo bene, dato che si affrettò ad aggiungere: «Puoi pensarci su, abbiamo tempo».
In realtà non ne avevano, ma sperava che nel frattempo i cristalli li avrebbero aiutati a scoprire le intenzioni di Freya, in modo da poter escogitare un piano per contrastrarla, preferibilmente che non prevedesse l'utilizzo della magia.
Alex fece un passo verso l'insenatura, spinta da una forza invisibile, ma in qualche modo riuscì a scuotersi di dosso il torpore magico e si voltò per raggiungerlo. Merlino ne fu così colpito che la guardò incredulo: ci voleva una forza non comune per ribellarsi al richiamo di una magia potente come quella dei draghi.
«Andiamo, Flash si starà spazientendo», gli disse prima di chiudergli la bocca con due dita sotto il suo mento e superarlo.
Lo stregone sorrise e la seguì, sollevato.

***

Cathleen aveva iniziato il turno alle tre di pomeriggio, perciò incrociò Merlino e Alex mentre si preparava a tornare a casa da Artù.
Da quando erano tornati dalla Residenza Shaw ed erano diventati una coppia a tutti gli effetti, la rossa aveva trascorso quasi tutte le notti nell'enorme letto a baldacchino dell'ex re di Camelot e aveva iniziato a considerare la villa dello stregone la sua nuova casa e lui e Alex i suoi coinquilini.
Era stato strano all'inizio, ma si era ambientata in fretta. Sicuramente più in fretta di loro, che non si erano ancora abituati del tutto a vederla nella sua formosa bellezza oppure a ritrovarsela in bagno anche nei momenti più privati.
La mamma di Zachary le diceva sempre che non si conosceva veramente una persona fino a quando non si viveva sotto lo stesso tetto e nel corso di quella settimana di convivenza aveva dovuto darle ragione ogniqualvolta si era ritrovata davanti a comportamenti ed abitudini che non aveva mai notato prima né in Merlino né in Alex. Specialmente il mago l'aveva lasciata piacevolmente di stucco in diverse occasioni, tanto che si era chiesta come avesse potuto odiarlo tanto non appena si erano conosciuti. Certo, lui aveva ficcanasato senza ritegno nella sua vita privata tanto da pedinarla, ma allora non aveva la minima idea di chi fosse in realtà. Adesso invece adorava stare in sua compagnia, divertendosi a punzecchiarlo o semplicemente rimanendo in silenzio.
Per questo fu facilissimo per lei leggere nei suoi occhi che doveva essere successo qualcosa mentre lei non c'era. E qualcosa di serio per giunta, dato che Merlino aveva smesso di lasciarsi prendere dal panico da moltissimo tempo ormai.
«Che cosa mi sono persa?», chiese il paramedico, sciogliendosi lo chignon per frizionarsi i lunghi capelli con una mano.
Sentendo la sua voce Merlino parve riaversi e guardò Alex al suo fianco. «Tu vai, l'aggiorno io».
L'infermiera annuì e si sporse per posargli un frettoloso bacio sulle labbra, quindi passò accanto a Cathleen e senza più voltarsi indietro raggiunse l'ascensore che l'avrebbe portata al quarto piano.
Cathleen guardò il volto livido dello stregone ed iniziò a preoccuparsi sul serio. Pensò a decine di possibili catastrofi, ma il suo primo pensiero andò alla persona più importante di tutte.
«Artù sta bene, vero?», gli chiese, facendo sbocciare un sorriso sulle labbra del mago.
«Sì, non ti preoccupare. Si tratta dell'agente Fisher».
Il paramedico trasse un sospiro di sollievo e seguì Merlino fuori dall'ospedale, fino al parco aldilà del parcheggio.
Una volta seduti sulle altalene, si fece offrire una sigaretta e le raccontò della visita di Darrell.

Merlino si alzò per andare ad aprire alla porta e fu sorpreso di vedere l'agente Darrell Fisher dall'altra parte, ma non tanto quanto Alex, la quale sembrò voler sparire sotto il tavolo quando Darrell varcò la soglia della cucina, dove avevano informato Artù della loro visita alla caverna di cristallo.
Non indagò però, colpito dal terribile aspetto del ragazzo: capiva che l'ultima settimana doveva essere stata spossante per via della scomparsa di Jake, ma il Darrell che si trovavano davanti sembrava invecchiato di almeno cinque anni.
«Ho bisogno del vostro aiuto», esordì, anche se con tono scettico.
«Che cosa possiamo fare per te?», gli chiese Merlino, indicandogli di sedersi al tavolo, proprio di fronte ad Alex, ed offrendogli una tazza di té.
«Voglio la verità».
La determinazione con cui disse quelle parole fece scorrere un brivido sotto la pelle di Merlino, ma nel rispondergli si dimostrò tranquillo e anche un po' confuso.
«A che cosa ti riferisci?».
«Alle vostre vere identità», replicò, indicando lui ed Artù, ma in particolare l'ex re di Camelot, a cui si rivolse direttamente: «Sono successe troppe cose strane da quando sei comparso tu, con le tue armi e il tuo abbigliamento da cavaliere medievale».
Un silenzio tombale calò nella stanza, raggelando i tre e facendo capire a Darrell che ci aveva visto giusto.
«Myra ha dato le dimissioni; ho ospitato in casa mia una ragazza che ho trovato bagnata fradicia e con indosso un vestito principesco; a casa tua», e indicò Alex, «c'è stata un'effrazione per cui la mia principale sospettata è Cathleen Shaw, la quale guarda caso è una vostra amica; e ora sono sull'orlo della pazzia perché ho sognato Freya in compagnia di Jake, misteriosamente scomparso una settimana fa».
Quando terminò, Darrell aveva un leggero fiatone e gli occhi fuori dalle orbite. Nessuno si degnò a dargli delle risposte e a quel punto non poté far altro che pregarli, prendendosi i capelli tra le mani: «Se mi sono innamorato di una qualche fottuta strega, ho bisogno di saperlo».
A quelle parole Alex sobbalzò, ma ancora una volta Merlino decise di ignorare il suo strano comportamento per concentrarsi sull'agente Fisher.
«Che cosa ti fa credere che Freya sia una strega?».
E allora Darrell rischiò quasi di scoppiare in lacrime, raccontando ciò che all'inizio aveva ritenuto un semplice incubo e che col passare dei giorni aveva capito essere stato l'incantesimo con cui la ragazza lo aveva legato a sé, cibandosi della sua linfa vitale come un parassita. Poi narrò loro il sogno che aveva fatto quella notte, o meglio di come era riuscito ad entrare nella mente di Freya e a sbirciare quello che stava combinando.
Merlino, Alex e Artù si scambiarono occhiate preoccupate per una dozzina di secondi, fino a quando l'agente non ammise di essere stato onesto con loro, rischiando pure di farsi dare del pazzo, e che ora meritava lo stesso tipo di franchezza.
Alex e Artù a quel punto avevano fissato Merlino, in attesa della sua decisione. Il moro ci pensò su e alla fine fece quello che nessuno si aspettava: si alzò ed uscì dalla cucina. Darrell si prese nuovamente la testa tra le mani, disperato, ma la rialzò di colpo scorgendo Merlino rientrare con un piccolo quaderno dalla copertina di pelle tra le mani.
«Che intenzioni hai?», chiese Artù, riconoscendo il reperto.
Merlino lo posò di fronte all'agente e disse: «Io ti credo, Darrell. Ma prima di dirti la verità sul nostro conto devo essere sicuro che ci creda anche tu. So che ti sembra assurdo e da pazzi, ma voglio aiutarti».
«E come pensi di fare? Facendomi il test di Rorschach?».
Lo stregone abbozzò un sorriso. «Nulla del genere. Devi solo sfogliare questo quaderno e vedere che succede: se le figure reagiranno al tuo tocco, allora avrai la conferma che Freya ti ha lanciato un incantesimo, conferendoti parte della sua magia, e potrai metterti l'anima in pace».
Darrell deglutì a vuoto, allungando una mano tremante verso il quaderno. Lo aprì all'incirca a metà, trovandosi di fronte ad un disegno fatto a carboncino, il cui protagonista era un bambino di circa tre anni seduto su un cavallo a dondolo, con un piccolo elmo calato sulla testa e una spada di legno nella mano destra.
L'agente Fisher stava per chiedere spiegazioni, quando all'improvviso il cavalluccio iniziò a muoversi avanti e indietro e il bambino brandì la spada fingendo di dover tagliuzzare nemici a destra e manca.
Scorgendo il disegno muoversi, sia Alex che Artù smisero di trattenere il respiro. Anche Darrell reagì più o meno nello stesso modo, anche se quello che gli sfuggì dalle labbra fu un singhiozzo. Merlino gli portò una mano sulla spalla e lo lasciò sfogare, realizzando amaramente che le loro possibilità di fermare Freya potevano essere diminuite ancora.

«Abbiamo trascorso le due ore successive a riassumergli chi siamo e qual è il nostro destino, a rispondere alle sue domande e ad ipotizzare quale siano le intenzioni di Freya», concluse Merlino, sospirando stancamente.
«Credi davvero che stia radunando un esercito di maghi?», gli chiese Cathleen, osservando gli identikit che Darrell aveva dato loro: c'erano Jake, due ragazzine pel di carota e un giovane senzatetto con due occhi che avevano già visto troppo. Come immaginava, immettendoli nel database della polizia non aveva ancora ottenuto alcun riscontro, ma avrebbe continuato a provare.
Lo stregone si strinse nelle spalle, insicuro. «Ha sempre detto che in giro per il mondo c'erano maghi e streghe che non avevano idea dei loro poteri perché, in mancanza di fonti magiche, erano sempre stati assopiti. Mettiamo che abbia trovato questi ragazzi e li abbia convinti a seguirla... Come risveglierà la magia che è in loro? Deve avere in mente qualcosa, altrimenti non si sarebbe data tutto questo disturbo».
Il paramedico sbuffò, restituendogli i disegni e cancellando i solchi che aveva lasciato sulla sabbia umida. «E quindi ora che cosa facciamo? Usiamo Darrell come sfera di cristallo?».
«È più complicato di così. Darrell ci ha raccontato che non aveva mai avuto una visione così chiara prima e che Freya ad un certo punto si è resa conto di essere osservata. Di sicuro alzerà le proprie difese e magari proverà anche a fare lo stesso per scoprire se Darrell ci ha detto qualcosa. Se ci dovesse riuscire perderemmo qualsiasi vantaggio».
«E non c'è un modo di spezzare l'incantesimo?», domandò ancora Cathleen, innervosita.
«Una volta ho avuto a che fare con un potente stregone che aveva rinchiuso la propria anima in un gioiello per poter tornare e vendicarsi su Camelot, ma qui parliamo di connessione tra due anime... Non ho idea se si possa annullare e se anche lo sapessi, le mie condizioni non me lo permetterebbero».
Cathleen sbuffò di nuovo e quella volta si alzò in piedi, sbottando: «Beh, c'era da aspettarselo. Quella tizia è rimasta in un lago per quindici secoli, è ovvio che abbia sfruttato la prima occasione per assicurarsi  di non ritornarci tanto presto. Peccato che ad andarci di mezzo sia stato l'agente Fisher. Lui voleva solo aiutarla! Ed ecco il ringraziamento».
«Fa arrabbiare anche me», commentò lo stregone, quasi di riflesso.
Gli dispiaceva sul serio per Darrell - era l'ennesima vittima innocente dei complotti dei custodi della magia - ma al momento era più preoccupato per Alex. Non solo perché a quel punto le possibilità che fossero costretti a tirare fuori Excalibur dalla roccia erano più che concrete, oppure che l'esito negativo del test di compatibilità l'avrebbe distrutta come la perdita del piccolo Steve, ma anche perché aveva capito che c'era qualcosa che non gli stava dicendo a proposito dell'agente di polizia. Non voleva metterle pressione - ne aveva già abbastanza - né farle pensare che non si fidasse di lei, perciò era rimasto in silenzio, in attesa che facesse lei il primo passo. Quando sarebbe successo, non lo sapeva. Odiava non avere risposte e in quel periodo ne aveva pochissime, cosa che peggiorava ulteriormente il suo umore già a terra.
Merlino guardò l'orologio dal vetro scheggiato che aveva al polso e disse a Cathleen che doveva andare. Aveva una questione da risolvere e non poteva più rimandare.
«Okay, allora ci si becca a casa», lo salutò porgendogli il pugno chiuso e lo stregone lo colpì col proprio, sorridendo.
Aveva fatto solo qualche passo quando gli venne un'idea che gli avrebbe evitato un inutile dispendio di energie.
«Ehi, Cath!», richiamò l'attenzione del paramedico. «Ti andrebbe di darmi una mano a spaventare qualcuno?».
Sul volto della rossa si aprì un sorriso pieno di eccitazione e dopo aver inviato un SMS ad Artù per avvisarlo del ritardo lo seguì verso la piscina coperta che presto, grazie alla donazione della Regina Elisabetta in persona, sarebbe tornata agibile per le avanzate sessioni di fisioterapia. Ci passarono solo davanti però, dato che il luogo fissato per l'incontro era la cappella dell'ospedale.
Merlino aveva ricevuto quell'invito mentre Darrell veniva reso partecipe dell'enorme guaio in cui si era trovato coinvolto e aveva capito subito che nonostante arrivasse dal cellulare di Abby non era la ragazzina la mittente: uno, sapeva che le sue condizioni attuali non le permettevano nemmeno di scendere dal letto; due, non aveva senso che volesse incontrarlo a mezzanotte nella cappella.
Sapeva esattamente chi fosse il suo appuntamento e dopo aver informato Cathleen del piano che aveva già architettato, forzò la porta della sagrestia ed entrarono.

***

Alex tirò fuori i capelli dal collo della maglietta azzurra e se li legò rapidamente in una coda di cavallo, quindi uscì dallo spogliatoio e raggiunse subito il ricevimento, dove ritirò le consegne del turno e una busta chiusa con il timbro dell'ospedale sullo spazio riservato al mittente: l'esito dell'esame di compatibilità per la donazione di midollo.
Con la busta tra le mani e la morte nel cuore per via di ciò che aveva visto nel suo sogno premonitore, raggiunse Abigail nella sua camera, dove la trovò addormentata e in compagnia di sua nonna.
L'infermiera esitò sulla porta, ma la signora Chapman le fece segno di entrare.
«Voleva aspettarti sveglia, ma non ce l'ha fatta. Mi ha fatto promettere che l'avrei svegliata se fossi passata».
Alex ricordava com'era quando l'aveva vista per la prima volta, quando Abby si era presentata nel reparto convinta che avesse una malattia del sangue, e nonostante fosse rimasta una donna affascinante, in quegli anni era invecchiata molto velocemente. E in quell'ultima settimana, a causa dell'improvviso peggioramento della nipote, aveva iniziato a mostrare qualche anno di più.
Si alzò dalla sedia con un'esclamazione appena sussurrata e una volta di fronte a lei le posò una mano sulla spalla, sorridendo commossa.
«Non ci sono parole per descrivere quello che hai fatto», le disse, accennando al test. «Qualsiasi sia l'esito... Grazie di cuore».
Alex annuì, abbassando gli occhi, ed aspettò che la donna uscisse dalla stanza prima di prendere posto al capezzale di Abigail. Le lacrime le salirono agli occhi e non poté ricacciarle indietro, ma riuscì a soffocare i singhiozzi mentre le prendeva una mano pallida e fredda tra le sue e se la portava alle labbra.
Aveva già perso Steve e il solo pensiero di dover dire addio anche a Abby le spezzava il cuore. Come se non bastasse, si sentiva tremendamente in colpa nei confronti di Merlino per ciò che aveva creduto di provare per Darrell, il quale si era rivelato essere una persona peggiore di quanto avrebbero mai potuto mostrare le apparenze.
La ragazzina a quel punto si svegliò e voltò il capo verso la bionda, guardandola con quei suoi occhi neri una volta pieni di vita e ora resi opachi dal dolore. Ma Abby era coraggiosa come una leonessa, perciò le sorrise e spostandosi su un lato del letto la invitò a sdraiarsi al suo fianco.
«Hai già aperto la busta?», le domandò, adagiando il capo sul braccio con cui Alex le aveva cinto le spalle.
«No, non ancora».
«E allora perché piangi?».
«Perché so già che cosa leggerò. A quanto pare sono in grado di sognare il futuro».
«Intendi... Veramente? Come Morgana?».
L'infermiera annuì, tirando su col naso. «Nulla di quello che ho visto si è ancora avverato, perciò questa è la prova del nove».
«Deduco che tu abbia predetto un esito negativo, tuttavia... Ti offendi se prego perché tu abbia ragione? Vedere il futuro sarebbe una figata pazzesca!».
Alex aveva iniziato a pensare che si trattasse invece di una maledizione, ma contagiata dall'euforia della ragazzina non poté evitare di sorridere.
Prese la busta tra le mani e l'aprì, quindi tirò fuori il foglio su cui era scritto se il suo midollo fosse compatibile o meno a quello di Abby e lo tenne in modo che anche lei potesse leggere.
«Beh, non avrò il tuo midollo ma potrai sempre avvisarmi quando in mensa daranno la torta di mele», esclamò Abigail con un sorriso sbarazzino sulle labbra, non sufficiente ad impedire ad Alex di scoppiare di nuovo a piangere, col piccolo foro non ancora del tutto cicatrizzato che aveva sulla base della schiena - dove le avevano prelevato un campione di midollo osseo - che le pulsava dolorosamente.
Abigail tentò in ogni modo di confortarla, nonostante non fosse lei quella da compatire, e ad un certo punto l'infermiera smise, forse perché non aveva più lacrime da versare.
«Non è giusto», mormorò, con la voce ancora rotta.
«È destino», la corresse la ragazzina. «Forse non sono destinata a lasciare un segno in questa vita, bensì nella prossima. Credi di poter predire quando morirò? No, scherzavo, non voglio saperlo. Non voglio dover salutare Mark come nei film strappalacrime. Scriverò delle lettere. Nah, è troppo scontato ormai. Vi manderò delle note audio su Whatsapp, da ascoltare solo una volta che sarò andata».
Alex si tirò su seduta, scombussolata da tutto quel flusso di parole, e Abby le rivolse l'ennesimo sorriso.
«Hai fatto tutto quello che potevi, Alex. Sei... No, questo me lo riservo per la tua nota audio».
«Non è ancora detta l'ultima parola», affermò l'infermiera, scendendo dal letto per rimboccarle le coperte e sistemarle i cuscini dietro la testa. «Devi continuare a lottare, okay? Questa stronza di leucemia dovrà patire le pene dell'inferno prima di averti».
«Ci puoi scommettere», rispose socchiudendo gli occhi, vinti dalla stanchezza.
In meno di due minuti Abby si addormentò e Alex si chiuse piano la porta della stanza alle spalle. Si ritrovò appoggiata al muro di fronte, con una mano alla base della schiena e il respiro irregolare, ma si fece forza e dopo aver buttato la busta con l'esito dell'esame iniziò la ronda per controllare che i bambini fossero tutti nei loro letti.
Davanti alla camera di Mark e Danilo esitò prima di aprire la porta. Nonostante le luci fossero spente, il fidanzatino di Abigail era sveglio, sdraiato sul suo letto, con le cuffie sulle orecchie e gli occhi fissi sul soffitto. Quando la vide nel rettangolo della porta spense la musica e si sistemò il cuscino, borbottando mestamente: «Sì, adesso dormo».
«No», lo fermò l'infermiera, nonostante il nodo in gola. Voleva essere lei a dirgli l'esito del test, glielo doveva. «Vieni un attimo fuori, devo parlarti».
Mark la fissò confuso, ma solo per un attimo: sapeva riconoscere ormai gli sguardi da buone notizie e quelli da cattive, perciò pensava di essere preparato a riceverle. Eppure, trattandosi della sua Abby, la sua reazione non fu tanto diversa da quella di Alex, alle cui spalle si aggrappò mentre nascondeva il viso rigato di lacrime nell'incavo del suo collo.
Se il giorno seguente Danilo, svegliato dal suo trafficare con la sedia a rotelle, gli avesse chiesto che cos'era successo, di certo avrebbe mentito per mantenere la sua reputazione di duro, ma ad Alex stava bene così.

***

Darrell si spogliò e si infilò sotto il getto già caldo della doccia.
Passandosi le mani tra i capelli ripensò al pomeriggio trascorso a casa di Merlino lo stregone e di Artù Pendragon il re di Camelot.
Solo il pensiero che la magia esistesse sul serio lo faceva diventare matto, figuriamoci sapere che quei due erano davvero nati quindici secoli prima.
Lui si era sempre impegnato al massimo per raggiungere i suoi scopi, aveva meritato tutto ciò che possedeva... e a loro sarebbe bastato uno schiocco delle dita, o meglio una luce dorata negli occhi, per ottenere lo stesso risultato? No, non poteva accettarlo. Non solo, ma era così arrabbiato che aveva finito per prendersela con Alex, la quale nonostante in passato si fosse dimostrata gentile e piuttosto normale con lui, si era rivelata essere falsa tanto quanto Freya.

«Quindi adesso che cosa dovrei fare?», chiese a Merlino, seduto sulla sedia in rattan al suo fianco, sulla veranda che dava sul giardino sul retro. Da quando aveva un cavallo?
«Nulla di diverso dal solito: Freya non deve accorgersi che ci hai detto quello che hai visto. E se avrai altre visioni... continua a scriverti tutto e a farci rapporto».
Darrell chinò il capo, stringendosi forte le mani sul grembo. Se qualcuno gli avesse detto che sarebbe finito a "fare rapporto" ad uno stregone di millequattrocento anni... beh, non sapeva esattamente cosa avrebbe fatto, ma nulla di buono comunque. Chi si credeva di essere per trattarlo in quel modo?
Merlino si alzò e gli diede un'altra pacca sulla spalla prima di andarsene. Con un piede già all'interno della cucina, aggiunse: «Oh, Darrell... ti conviene mantenere il segreto su tutta questa faccenda: la tua carriera e la tua vita in generale ne risentirebbero».
Il sangue gli ribollì ancora di più nelle vene a quelle parole, ma ingoiò il rospo in silenzio. In fondo aveva ragione: nessuno gli avrebbe permesso di continuare a fare il poliziotto se fosse andato in giro a raccontare di aver conosciuto i Merlino e Artù originali e di essere sotto l'influsso di una druida diventata custode della magia. Sarebbe stato rinchiuso direttamente in un ospedale psichiatrico, ecco cosa.
Stava ancora cercando di sbrogliare la matassa dei suoi pensieri, quando sentì scorrere nuovamente la porta finestra. Si voltò e trovò Alexandra Greenwood sulla soglia, incupita.
«Una fottuta strega, eh?», esordì, guardandosi le sneakers. «Non credi di generalizzare un po' troppo?».
«Che cosa stai cercando di dire?».
Nello stesso momento in cui disse quelle parole però, ogni tassellò andò al suo posto. Si alzò in piedi ed arretrò di un passo, furioso.
«Anche tu lo sei. Sei stata tu a rendere afono il cane della tua vicina, la signora Levinson; sei stata tu a rubare quello strano affare che avevo trovato nella foresta... e hai sempre saputo chi era Freya in realtà».
«Non ho mai avuto cattive intenzioni, te lo giuro», si difese la bionda, dimostrandosi davvero mortificata. Ma a lui non si impietosì, non poteva permettersi di cascarci un'altra volta.
«Non voglio sentire scuse. Non voglio sentire nulla da te».
Alex strinse i pugni lungo i fianchi, infervorandosi. «Solo perché posso controllare la magia? Io non l'ho mai utilizzata per fare del male, Darrell».
«Non importa. Quelli come te non dovrebbero esistere», affermò, perentorio, e la ragazza vacillò per un momento, incredula e addolorata. Quando tornò in sé però, un fuoco diverso ardeva nei suoi occhi, mentre la sua voce si venò di delusione.
«Non hai ascoltato nulla di quello che ha detto Merlino? La magia c'è sempre stata, è il tessuto di questo mondo e la sua scomparsa lo sta danneggiando gravemente. È necessaria perché il pianeta non collassi su se stesso. E le creature magiche, i maghi e le streghe, i druidi e le sacerdotesse sono i canali attraverso cui questa energia di diffonde, come le api che volano di fiore in fiore e nel frattempo ne disperdono i semi».
«Questo è quello che ti racconta lui», rispose in tono sprezzante indicando l'interno della casa. «È una creatura magica, no? È ovvio che tiri acqua al suo mulino! Chi ti dice che sia vero? Quali prove hai?».
Alex gli rivolse un sorriso quasi compiaciuto. «Sai dov'è l'agriturismo dei signori Morris?».
«Sì, perchè? Che cosa c'entra adesso?».
«Poche miglia prima di arrivare c'erano dei campi coltivati che adesso sono sterili, giusto?».
«Sì, così mi sembra».
«Puoi chiedere a chiunque: non ci cresceva più niente da anni, solo erbe infestanti. Se vuoi delle prove sulla bontà della magia, è là che devi andare».
Detto questo si voltò e lo lasciò di nuovo solo in veranda, per nulla propenso a cambiare idea.

Prima di tornare a casa era andato sul serio nel luogo indicatogli dall'infermiera ed era rimasto senza parole.
Sotto un cielo tinto di colori pastello grazie al sole calante, aveva ammirato la strabiliante trasformazione dei campi un tempo aridi ed incolti: un tappeto di erba nuova si estendeva a perdita d'occhio e i fiori dai colori più diversi riempivano l'aria di dolcezza, tanto da coprire quasi del tutto l'olezzo che proveniva dalla fattoria dell'agriturismo.
Forse Alex aveva ragione: non doveva giudicare male la magia solo perché alcuni la utilizzavano per scopi malvagi, tipo incatenare la propria anima ad un'altra. Le avrebbe fatto le sue scuse, ma ciò non voleva dire che si sarebbe fidato automaticamente anche di Artù e Merlino.
Darrell uscì dalla doccia con un asciugamano legato in vita e con un altro si frizionò i capelli biondi fino a che non fu davanti allo specchio. Allora si guardò il volto - prosciugato di ogni vitalità da quando era diventato il caricatore bluetooth di Freya - e decise di farsi la barba, cresciuta un po' troppo rispetto ai suoi standard. Si spalmò la schiuma sulle guance e sul mento ed iniziò a radersi con una lametta nuova e perfettamente affilata. Aveva già fatto metà viso, quando sentì una presenza farsi largo nella sua mente ed intorpidirgli il corpo. Ad un tratto nello specchio non vide più se stesso ma una Freya con un sorriso appena accennato sulla bocca.
«Non avere paura Darrell», disse con la sua solita voce, ma furono le labbra dell'agente a muoversi. «Sto mantenendo la promessa: finché sarò in vita, nessuno potrà farti del male».
Il poliziotto chiuse gli occhi e finse di sbatterle la porta in faccia, un trucco che incredibilmente servì a spezzare la connessione. Non si era accorto però di avere ancora il rasoio posato sullo zigomo, dove si fece un piccolo taglio. Guardò una goccia di sangue scarlatto rotolargli fino alla mandibola, ma presto la sua attenzione fu catturata di nuovo dal taglio che come per magia, anzi, senza come, si stava richiudendo.
Esterrefatto ed atterrito dalle possibili implicazioni delle sue parole, si avvicinò di più allo specchio e si esaminò a lungo, senza trovare nemmeno una piccolissima cicatrice. Che cos'aveva fatto Freya?
Abbassando gli occhi vide la goccia di sangue cadere nell'acqua con cui aveva riempito il lavandino e sparire nella lattiginosa schiuma sciolta.

***

«Io me ne vado».
Hala afferrò il fratello per la manica della giacca a vento e lo costrinse a risedersi sulla panca, rivolto verso l'altare e il Gesù crocifisso appeso sopra di esso.
«Non è ancora mezzanotte. Arriverà».
«Secondo me volevi solo trascorrere del tempo con me perché ti perdonassi, ma la verità è che sei troppo orgogliosa per scusarti!».
«Abbassa la voce, Baqi! Siamo pur sempre in una chiesa!».
«Ma noi non siamo cristiani!».
«Che cosa vuol dire? Bisogna sempre portare rispetto».
Il gemello sbuffò e si lasciò andare contro lo schienale della panca in legno, le braccia conserte.
Aspettarono ancora e i minuti sembrarono ore, ma ad un tratto sentirono un rumore provenire dalla sagrestia ed entrambi si alzarono in piedi per uscire frettolosamente dalla panca.
«C'è qualc-?», provò a dire Baqi prima che la gemella gli tappasse la bocca con una mano.
Il silenzio era così profondo che potevano sentire i loro cuori battere in sincronia perfetta, ma ad un ritmo tutt'altro che normale.
«Che cosa volete?», domandò una voce proveniente dalla porta socchiusa della sagrestia.
«È lui», sussurrò Hala, mentre Baqi ora non sembrava più così sicuro di voler andare fino in fondo. «Tu sei Emrys, vero? Ora ti fai chiamare Merlino, ma sei lo stesso uomo che Louise McTrusty amava. Fatti vedere».
La porta della sagrestia si aprì cigolando e Baqi afferrò il polso di Hala, arretrando mentre sussurrava: «Andiamo via, per favore».
Ma la ragazza aveva i piedi ben piantati a terra e non si mosse di un centimetro, nemmeno quando una figura avvolta nell'ombra si fece avanti fino a raggiungere la prima fila di panche.
«E se lo fossi?».
La sua voce era così calma da far tremare le ginocchia e per la prima volta Hala si ritrovò a deglutire a vuoto, spaventata.
«Questo implicherebbe... implicherebbe che tu sei immortale».
«Immortale?», ripeté la figura, con tono divertito. «Non credete che se fossi veramente immortale molti prima di voi se ne sarebbero accorti?».
«Sì, ma... ma potresti esserti assicurato il loro silenzio», balbettò Hala, sentendo il sudore colarle giù per la spina dorsale.
«E in che modo?», chiese ancora l'uomo, avvicinandosi di un passo lungo la stretta navata.
I due gemelli arretrarono insieme quella volta, tenendosi per mano. Avevano capito perfettamente dove volesse andare a parare e la cosa più saggia che avrebbero potuto fare a quel punto era correre a gambe levate, ma Hala si interstardì ancora di più e nonostante tremasse da capo a piedi tirò fuori il cellulare dalla tasca del giaccone.
«Fermo!», gridò. «Ho registrato tutto e sono pronta ad inviarlo a tutti i contatti della mia rubrica se ci farai del male!».
La figura rimase in silenzio per una decina di secondi, poi sollevò di scatto le braccia e la porta della sagrestia, rimasta aperta, sbatté con un tonfo che fece rizzare i capelli dei due gemelli. Subito dopo, tutte fiammelle delle candele poste alla sinistra dell'altare si spensero per via di una folata di vento improvvisa, non facendo altro che aumentare il loro terrore.
«Come osate voi comuni mortali minacciare me, il grande Emrys il Saggio, figlio del demone Wyllt! Andatevene ora e smettetela di pretendere di svelare misteri più antichi di questa stessa Terra, e forse non vi dilanierò l'anima!».
La sua voce aveva squarciato l'aria come un tuono e questo monito soltanto servì a far scappare i due gemelli. Hala, in preda al panico, aveva persino fatto cadere il cellulare a terra, dicendo addio anche alla sua misera prova.
Corsero a perdifiato fino all'entrata dell'ospedale, dove incredibilmente trovarono un taxi ad attenderli. Senza alcuna esitazione, fregandosene anche di tutto ciò che avevano lasciato all'agriturismo dei signori Morris, saltarono sul mezzo ed esortarono l'autista a partire, a portarli il più lontano possibile per i soldi che al momento avevano nelle tasche.

***

Merlino abbassò le braccia e fece segno a Cathleen di alzarsi dal portaceri dietro cui si era nascosta mentre lui distraeva Hala e Baqi: era uscita dalla sagrestia alle sue spalle e una volta nei pressi dell'altare si era accovacciata per gattonarvi dietro e raggiungere il lato sinistro della cappella. Dal suo nascondiglio strategico aveva atteso il segnale di Merlino - l'alzata di braccia con cui, grazie ad un filo di nylon legato al pomello, aveva anche fatto sbattere la porta della sagrestia - e aveva sventolato la parte superiore della sua divisa per far spegnere le candele.
L'effetto scenico era stato impressionante e aveva funzionato alla perfezione, anche senza l'utilizzo della magia. Certo, riconosceva che veder brillare due occhi dorati sarebbe stato il colpo di grazia, ma non si poteva avere tutto nella vita.
Uscirono da dov'erano entrati e di corsa raggiunsero le cataste di detriti lasciate dagli operai impegnati al restauro della piscina, così da poter vedere il parcheggio dell'ospedale senza essere notati. Hala e Baqi erano già saliti sul taxi che lui aveva preventivamente prenotato per mezzanotte, fornendo una delle sue numerose carte di credito irrintracciabili per addebitare l'importo dovuto nel caso in cui i suoi clienti avessero tardato e richiedendo la massima riservatezza sul proprio conto.
Merlino e Cathleen guardarono il taxi sfrecciare via nella notte, diretto verso le maggiori autostrade, e dopo qualche minuto di silenzio il paramedico chiese: «Non credi di aver esagerato un po'? Se io ho i brividi, non riesco nemmeno ad immaginare che cosa stiano passando quei poveretti!».
Lo stregone abbozzò un sorriso amaro. «Dipende da quanto sono suggestionabili le loro menti». Si alzò in piedi e tornò tranquillo alla cappella, dove recuperò il filo di nylon e raccolse il cellulare dal vetro in frantumi di Hala. Lo aprì e staccò la batteria perché non potesse più essere rintracciato, poi raggiunse Cathleen, la quale lo stava guardando muoversi con la calma e la tranquillità di chi era abituato a nascondere prove.
«Posso sapere quante volte ti sei cimentato in sceneggiate del genere, demone?», riuscì a chiedergli alla fine, perplessa ed ansiosa allo stesso tempo.
Merlino scrollò le spalle. «Un po'. Non che siano stati in molti a scoprire il mio segreto, ma... fino a qualche secolo fa era più facile far sparire nel nulla le persone».  
Cathleen deglutì, scioccata dal lato oscuro di Merlino. «Menomale che sono nata in questo secolo, allora!».
Lo stregone le sorrise, sereno come se non avesse appena terrorizzato due ragazzi, tanto da spingerli alla fuga, fingendosi un demone-dilania-anime.
«C'è ancora una cosa che dovrei fare. Riesci a darmi uno strappo fino all'agriturismo?».
«Certo, mio signore degli inferi», rispose la rossa, fingendo un inchino reverenziale.

Fece gli ultimi due chilometri a piedi - la enduro di Cathleen faceva un rumore proprio degno degli inferi - e per Merlino fu un gioco da ragazzi introdursi nell'agriturismo e raggiungere indisturbato la camera che Hala e Baqi condividevano. Lì cercò qualsiasi prova li collegasse a lui e la distrusse, tranne il diario di Louise e l'unica foto, rigorosamente in bianco e nero, che li ritraeva insieme. Per il resto non toccò nulla, decidendo che avrebbe lasciato quella gatta da pelare a Darrell una volta che la signora Chapman si fosse accorta della loro scomparsa, e tornò dalla sua partner in crime.
«Fatto?», gli domandò Cathleen, infilandosi il casco.
«Sì, per il momento dovremmo essere a posto. Possiamo andare».
«Forte! Dovremmo farlo più spesso, non trovi?».
Merlino avrebbe riso, se non fosse stato costretto ad aggrapparsi a Cathleen per non volare via mentre partiva con un'impennata.

   
 
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