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Autore: Calya_16    27/08/2017    4 recensioni
Cosa succederebbe se Carol perdesse la memoria? Cosa farebbe Daryl? Ambientata durante la seconda parte della quinta stagione
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Peletier, Daryl Dixon, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Carol non ce la faceva più: era da ore che si rigirava nel suo letto, cercando di dormire ma niente, il sonno non voleva arrivare.
Sapeva cosa la turbava: Daryl non era ancora tornato e lei era in pensiero. Tutti le dicevano che poteva stare tranquilla, lui se la sapeva cavare e sarebbe tornato, ma l’attesa la stava sfinendo. E non solo quella.
‘Ho una brutta sensazione, ma non voglio dirlo agli altri. Molto probabilmente non capirebbero, penserebbero sia una cosa dovuta alla mia amnesia’ continuava a pensare. Quanto avrebbe voluto ricordare in quel momento!
Si alzò di scatto dal letto, mettendosi seduta e cercando di respirare con calma, per far smettere al cuore di battere così velocemente. Sentiva che quella era una sensazione diversa dal non sapere dove fosse Daryl: era come se gli fosse successo qualcosa e la stesse chiamando.
Si guardò attorno, cercando i suoi vestiti nella camera scura, illuminata solo dalla luna. Si vestì lentamente, pensando a cosa fare: una piccola corsa per il perimetro di Alexandria, guardare poi l’alba ed infine una bella doccia e colazione insieme agli altri.
Le sembrava un buon piano, un ottimo piano per muoversi un po’ e smaltire tutta la tensione che stava accumulando. Non voleva continuare a percepire il richiamo del pericolo, era come se un sesto senso si fosse risvegliato in lei.
‘Adesso calmati, segui il tuo piano e domani mattina tutto ti sembrerà assurdo. Questi sono i tipici pensieri della notte’ si stava convincendo, mentre scendeva silenziosa le scale.
Guardava i suoi piedi scendere i vari scalini, la sua mano aprire la porta in maniera così silenziosa che si sorprese di se stessa: dove aveva imparato ad appoggiare i piedi in quel modo? Il suo corpo si era mosso come da solo, una memoria di gesti che lei non aveva. O pensava di non avere.
‘Chi ero? Chi sono?’
Iniziò a correre, prima lentamente, poi sempre più velocemente, mentre cercava di sforzare la sua mente. Calde lacrime di rabbia iniziarono a scenderle lungo il viso: perché non ricordava? Perché era tutto così difficile? Ce l’aveva con se stessa, e non sapeva come fare.
Sapeva che non era colpa sua tutta quella storia, ma si sentiva in colpa. Verso se stessa, verso il gruppo e verso Daryl.
Si fermò, il fiato corto e il sudore tra i capelli; piegata con le mani sopra le ginocchia chiuse gli occhi, sentendo ancora quella sensazione di dover fare qualcosa in lei. La corsa non l’aveva aiutata a mandarla via, l’aveva anzi caricata a fare di più.
Un flash la investì, e lei cadde sull’erba, mentre immagini sfocate le riempivano la mente: una pistola che veniva nascosta appena fuori Alexandria, l’aveva visto anche se non ne capiva bene il motivo. Rick che tornava, e non l’aveva più con sé.
Era vicino ad una casa, ma non aveva visto dove lo sceriffo l’aveva messa, solo che vi si era diretto. L’aveva sentito parlare con Daryl, e nessuno sapeva che lei aveva ascoltato.
Era a conoscenza del loro segreto, ma neanche loro lo sapevano.
Aprì gli occhi e si ritrovò a guardare il cielo che si andava schiarendo, la rugiada che le solleticava le braccia scoperte.
‘Devo andare a cercarlo. Gli altri non lo faranno, e nel qual caso non mi lasceranno andare con loro. Sono la meno utile in questo gruppo: se ce la farò saprò di poter contare qualcosa, altrimenti non sarò una grave perdita’
Questo pensiero la colpì prepotentemente, e non se ne spaventò: sapeva di aver paura, ma non abbastanza per esser fermata. Sapeva di voler fare qualcosa, e sapeva che doveva uscire, affrontare quello che c’era là fuori senza che qualcuno le corresse dietro a gridarle che tutto sarebbe tornato come prima.
Non aveva idea di com’era il prima, e doveva tornare a costruirsi un futuro. In quella condizione stava impazzendo.
Si alzò e tornò veloce alla propria camera, dove aveva lasciato un coltello datole in precedenza. Fece in fretta: tra non molto tutti si sarebbero svegliati e non voleva che la trovassero in giro. Doveva già aver scavalcato il muro al loro risveglio, e così fu.
 
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Daryl si era addormentato come non gli succedeva da tempo: il dolore alla caviglia e lo sfinimento l’avevano letteralmente steso. Stava sognando di tornare ad Alexandria, in una casa illuminata dal giorno e di trovarvi Carol e i suoi biscotti.
Era un sogno semplice, ma gli spuntò comunque un sorriso sulle labbra.
Fuori dal capanno vi era solo uno zombie, il quale aveva trovato un tasso e lo stava mangiando lentamente, facendo poco rumore.
Daryl si girò nel sonno e percepì quei piccoli rumori provenienti dall’esterno.
Gli occhi gli si aprirono lentamente, quasi controvoglia, e si osservò la caviglia: era gonfia e aveva un brutto colore. Certo, aveva avuto e affrontato da solo situazioni e ferite peggiori, ma gli faceva un gran male. Senza contare che era emotivamente stanco.
Lì, solo in quel capanno, sentì tutto il peso degli ultimi avvenimenti cadergli addosso.
Avrebbe desiderato poter piangere, ma non ce la faceva; era troppo radicata in lui la forza che gli bloccava le lacrime. Ma non si alzò. Decise di rimanere lì, in silenzio, finché non si sarebbe sentito un po’ meglio, e intanto pensava a come uscire da lì, tornare ad Alexandria…e a Carol.
Doveva tornare per lei, e così decise che in quel momento di riposo avrebbe pensato ad un modo serio per aiutarla, farla tornare quella che era.
 
          °°°°°°°°°°
 
Sembrava tutto tranquillo, e il bosco attorno a lei le stava dando un senso di calma.
Carol procedeva spedita, il fiato ben regolato e la mano che ogni tanto accarezzava la pistola al suo fianco. Era riuscita a trovarla ed era partita, seguendo prima un sentiero e poi un altro.
Non aveva idea da che parte fosse andato Daryl, così si lasciava guidare dall’istinto, da quella voce che aveva imparato ad ascoltare quella notte e che l’aveva messa in moto.
Si stava sentendo viva, finalmente, e aveva uno scopo. Sorrise all’idea di non dover stare tutto il giorno in cucina, o a girare con le mani in mano per la safe zone. Gli altri si sarebbero preoccupati e sarebbero corsi a cercarla, il suo atteggiamento avrebbe avuto delle conseguenze, lo sapeva bene, ma sperava che capissero. Se erano davvero diventati la sua famiglia, allora l’avrebbero capita.
Un piccolo rantolo la fece fermare e sobbalzare: aveva abbassato la guardia, e sapeva che questo non andava bene. Si stava quasi dimenticando che c’erano strane creature in giro.
Alzò il coltello e si guardò attorno: uno zombie era a terra, e si trascinava su un braccio solo. L’aveva vista, e probabilmente doveva avere un’aria gustosa da come la puntava.
Carol rimase immobile, il fiato corto: era la prima volta che si trovava da sola davanti a quegli esseri, e sapeva di non poter chiedere aiuto a nessuno.
‘Devo farlo. Da quel che mi hanno detto l’ho fatto più e più volte, quindi vai e riprenditi!’
Si fece forza e trattenendo il respiro immerse il pugnale fino all’elsa nel cranio dello zombie. Rimase inginocchiata lì vicino per un minuto, poi si alzò e riprese a respirare, senza neanche accorgersene.
Le aveva fatto strano, eppure non le era sembrato nulla di eccezionale…o fuori dall’ordinario. Qualcosa stava scattando in lei.
Si allontanò dal corpo con passo calmo, girandosi ogni tanto a guardarlo. Poco dopo pulì il coltello e lo strinse forte: sopravvivere era il primo passo.
 
Camminò tanto, per tutto il pomeriggio, mangiando solamente delle mele che si era portata da Alexandria. Ne aveva ancora nello zaino, insieme a quelli che sembravano panini fatti con poche cose, ma preferì risparmiare per un eventuale viaggio di ritorno.
La stanchezza di una giornata di cammino stava iniziando a farsi sentire, quando udì un rantolo: un altro zombie. Per sua fortuna non ne aveva incontrati altri e così strinse il coltello e s’incamminò in quella direzione.
Questo stava in piedi e grattava contro la parete di un capanno. Sembrava più in forma di quello che aveva ucciso alla mattina, e un piccolo brivido di paura le percorse la schiena: un conto era ucciderne uno che neanche poteva camminare, ma questo era un po’ più agile del precedente.
Cercando di far meno rumore possibile gli si avvicinò alle spalle, pugnale sollevato, pronta a colpire. Stava per calarlo quando un altro zombie spuntò dalla boscaglia dietro di lei e le afferrò un braccio.
Carol urlò, muovendo le braccia per staccarselo di dosso, mentre i denti della creatura cercavano di morderla, ma afferravano solamente l’aria.
L’altro zombie perse interesse per il muro e si avvicinò al suo compare: ora era da sola contro due morti. Iniziò a indietreggiare, fino a che non sentì un albero contro la schiena.
Respirò, cercando di pensare a una soluzione mentre i due zombie si avvicinavano velocemente. Si guardò attorno: un ramo basso le consentiva di salire sull’albero e mettersi in salvo.
Saltò e dopo vari tentativi riuscì a issarsi, ma nel momento in cui stava per mettersi al sicuro non riuscì più a muovere la gambe destra: uno zombie gliel’aveva presa e stava per morderla.
 
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Aveva radunato le proprie cose e i pensieri, con molta calma. Lo zombie fuori dal capanno non lo preoccupava, era lì da tanto tempo e il massimo che faceva era graffiare insistentemente un lato dalla costruzione.
Daryl si rimise le scarpe, lasciando però aperta quella della caviglia gonfia, la quale gli faceva ancora molto male.
Il suo piano era quello di chiudere bene quel posto e lasciarvi il cervo, tornare ad Alexandria e mandare qualcun altro a riprenderlo. La bestia lo avrebbe solamente appesantito e se avesse incontrato degli ostacoli non sarebbe stato molto in grado di affrontarli.
Con una smorfia di dolore si alzò in piedi, leggermente barcollante. Un sospiro e poi guardò la porta: il primo passo era quello. Stava per posare il piede quando sentì un urlo provenire da fuori.
I muscoli si tesero e subito si armò, il dolore alla caviglia leggermente diminuito dall’adrenalina che stava iniziando a scorrere in corpo: si precipitò, entro i limiti, verso la porta e la spalancò.
Due zombie stavano procedendo verso l’angolo del capanno, probabilmente avevano individuato una vittima. Gli sembrava di conoscere quell’urlo, iniziò ad andare in quella direzione.
Appena svoltato l’angolo si bloccò per lo stupore: Carol era lì, quasi al sicuro su un albero, con due zombie ad inseguirla: cosa le era passato per la testa? Perché era là fuori da sola, cosa pensava di fare?
Formulò questi pensieri in fretta, e poi si mise in azione: uno degli zombie le aveva preso una gamba e la tratteneva, pronto a morderla. Daryl corse per quanto possibile e lo uccise.
Carol liberò la gamba, scivolando in salvo sul ramo e girandosi spaventata.
“Daryl!” urlò tra la gioia e la sorpresa.
Lui non le rispose, impegnato a girarsi per contrastare il secondo morto. Solo che si girò sul piede sbagliato e la caviglia non lo resse: cadde a terra, lo zombie sopra di lui.
Carol agì d’impulso, senza pensare: scese veloce e scattante dall’albero e girò il vagante, coltello alla mano. Il suo braccio calò e colpì il cranio con efficacia e precisione.
Nel momento in cui si rialzò, Carol capì cosa aveva fatto. Rimase a bocca aperta, a fissare la lama sporca, sentendo la forza di quel momento lasciarla lentamente, per far posto alla calma.
Daryl si alzò a sedere e con l’aiuto di Carol si alzò in piedi.
“Cosa ci fai qua? Dove sono gli altri?” era contento di vederla, ma saperla lì fuori da sola lo preoccupava.
“Sono venuta da sola. Sentivo che qualcosa non andava, e loro…non mi avrebbero ascoltata. Ma dovevo venire a cercarti, ne avevamo bisogno entrambi”
finì la frase indicando con il capo la caviglia gonfia.
Lui annuì, non tranquillizzato.
“Ho trovato un cervo, pensavo di ripartire appena avessi ripreso un po’ di energie. Non c’era bisogno del salvataggio, grazie”
Daryl avrebbe voluto stringerla a sé, ma allo stesso tempo era arrabbiato con lei per esser andata a rischiare la vita.
“Ti accompagno dentro”
“Ce la faccio da solo”
“Si vede che fai fatica a reggerti in piedi”
“Ho avuto ferite peggiori” con questo Daryl iniziò a camminare verso il capanno, cercando di avere un atteggiamento sicuro e ignorando il dolore.
Carol rimase ferma nella piccola radura, guardò i due corpi a terra e poi entrò anche lei. Daryl era seduto a terra e la guardava.
“Scusa”
Lei si voltò, non sapendo bene cosa aspettarsi.
“Perché sei uscita? Sarebbe potuto capitarti qualcosa…qualsiasi cosa”
“Io…non lo so di preciso, ma non ce la facevo più a stare là ad aspettarti. Mi sento così inutile. Invece adesso…” Carol allargò le braccia e accennò un sorriso “Ti ho trovato. Ho visto il mio corpo agire da solo, e penso di aver ricordato qualcosa”
Abbassò il capo, mentre immagini confuse le attraversavano la mente: altri zombie, orde, e lei che combatte, in svariati modi. Potrebbe sembrare la vita di qualcun altro, ma non è così. Una coscienza iniziò a farsi spazio in lei, e piccoli flash, piccoli ricordi, iniziarono a venire a galla. Il problema era metterli insieme e distinguere cosa veniva prima e dopo.
Daryl stava cercando di alzarsi, contento alla notizia della memoria: sentiva l’impulso di abbracciarla, ma questo lei lo capì dai suoi movimenti. Gli si avvicinò e dopo essersi chinata lo abbracciò stretto.
Rimasero lì, in silenzio, per diversi minuti, poi lei ruppe quell’attimo.
“Ho qualcosa da mangiare. Potremmo riposare e ripartire domani mattina”
“Mi sembra un buon piano”
“E’ bello essere utile, e sapere che me la so cavare da sola”
“Ad Alexandria si staranno preoccupando. Hai detto a qualcuno che partivi?”
“A nessuno”
Daryl la fissò, per poi annuire.
“Agisci, come sempre. E’ bello averti qui”
Lei gli sorrise, per poi mettersi comoda e prendere il cibo dallo zaino.
   
 
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