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Autore: Sospiri_amore    28/08/2017    0 recensioni
❤️SECONDO LIBRO DI UNA TRILOGIA❤️
Ritorneranno Elena, Kate, James, Jo, Adrian, Stephanie, Lucas, Rebecca, (Nik ??).
Ci saranno nuovi intrecci, guai, incomprensioni e amori.
Elena avrà dimenticato James?
Chi vivrà un amore proibito?
Riuscirà il Club di Dibattito a sconfiggere la scuola rivale?
Nik sara sempre un professore del Trinity?
Elena andrà al ballo di fine anno?
IL FINALE di questo libro corrisponde alla fine del liceo, il terzo libro sarà incentrato sulla vita adulta dei personaggi. Più precisamente quattordici anni dopo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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IERI:
A tu per tu



 

Detesto quei silenzi imbarazzanti, quei momenti in cui vorrei essere in un posto diverso, dove gli sguardi dicono più di molte parole. Gli occhi verdi di James sono assenti, il fatto che mi trovi a casa sua non lo turba per niente.

Come se non fossi presente butta lo zaino ai piedi della poltrona di sua nonna, poi bacia la donna sulla guancia. Geltrude lo accarezza con dolcezza mentre con l'altra mano gli toglie un invisibile pelo dalla manica.

«Come va figliolo? Pronto per la visita medica?», chiede la vecchia al nipote.

James annuisce, poi si butta su una poltrona lì vicino addentando una mela. Mi guarda.

Mi sento a disagio, mi sembra di invadere la loro intimità. Faccio per alzarmi, non ha senso che io resti un minuto di più in quella casa.

«Cara ragazza, non credere che la tua punizione sia finita. Visto che manca più di un'ora alla visita cardiologica, tu e James potete lavorare un po'», dice come se fosse la cosa più ovvia al mondo.

 

Visita cardiologica?

James è ammalato?

Sbianco.

Non potrei immaginare uno scenario peggiore.

 

«Muoviti». James si alza di malavoglia, appoggia la mela su un tavolino, mentre mi fa cenno di seguirlo.

Non ho il coraggio di dire nulla, mi limito a sbirciarlo da dietro i capelli che mi ricadono lungo il volto. Senza aspettarmi inizia a spostare uno scatolone ricolmo di argenteria. Sono impietrita, il fatto che abbia una visita al cuore mi spaventa molto.

«Che fai? Hai perso l'uso delle braccia?», mi dice in malo modo.

Corro da lui: «Lascia stare. Ci penso io, non ti affaticare».

James mi guarda in modo strano: «Sono in grado di spostare questo scatolone. Ho solo paura che possa rompersi. Se cadessero per terra potrebbero rovinarsi». James prende in mano un calice d'argento:«Stai attenta tu, piuttosto. Non vedi che in quel punto lo scatolone è strappato?».

Mi fermo di colpo afferrando lo scatolone dall'altro lato: «Tu dimmi cosa devo fare, siediti e rilassati».

«Senti Elena, non so cosa ti prenda, ma non ho novant'anni e non sono ammala...». James smette di parlare, ride di gusto. Ha gli occhi lucidi di lacrime.

«Che c'è?», chiedo indispettita.

«Tu... Tu... Credi che io stia male come mia madre? Hai sentito della visita cardiologica?», mi dice sghignazzando.

Annuisco.

«Sei proprio esagerata. Ti sembra possibile che non sia mai accorto nessuno di un mio eventuale problema? Faccio sport da quando sono bambino, se avessi qualche malattia nessuno della mia famiglia mi permetterebbe di fare attività fisica», James parla come se si trovasse di fronte ad una bimba di cinque anni. 

 

Mi sento così stupida che arrossiscono pure le orecchie.

 

«È una visita di routine. Devo portare un certificato per il mio maestro di tennis. È una stupida visita annuale», dice scuotendo la testa.

«È solo che credevo...», provo a giustificarmi.

«Credi troppe cose e sei convinta che siano l'assoluta verità. Bastava chiedere. È tutto molto più semplice di quello che credi», mi dice mentre riprende a trascinare lo scatolone.

«Scusa», gli dico mentre mi avvicino a lui per spingere l'argenteria fuori dallo sgabuzzino.

 

Per i minuti successivi nessuno di noi dice più nulla. Ci limitiamo a togliere dallo scatolone i vari pezzi per avvolgerli in panni morbidi, per poi suddividerli e metterli in scatole più piccole. Ciotole, vassoi, posate, cornici. Ci sono talmente tante cose che si potrebbe aprire un negozio.

 

«Queste cose sono i regali di Natale dei miei zii. Non hanno molta fantasia, vero?». James alza un piatto con decorazioni a sbalzo: «Perlomeno da quest'anno smetteranno di regalarci queste cianfrusaglie. Erano convinti che a mia madre piacessero parecchio», dice triste.

«Forse le piacevano davvero», dico senza pensare.

James ridacchia: «Ormai era una specie di gara. Ogni anno, a Natale, dovevamo capire cosa c'era nel pacco. Mamma... Mamma indovinava spesso». James finisce la frase cupo si mordicchia il labbro cercando di trattenere le lacrime.

 

Mi sento uno schifo. Oltre a quello che ho combinato con Andrew, le foto e tutto il resto, adesso riesco a far intristire James facendogli ricordare i momenti dolci passati con Demetra.

Complimenti Elena, sei un vero genio.

Idiota, vattene prima di combinare altri guai. 

 

«Io devo andare. Chiedi scusa a tua nonna, ma non posso restare», gli dico mentre infilo la borsa a tracolla. Non riesco a stare un minuto di più con lui, mi sento in colpa per tutto. È come se tutto quello che ho vissuto nell'ultimo anno mi travolgesse, i ricordi mi ricoprono come un fiume in piena. Ho fatto così tanti errori che non so neanche da che parte iniziare a mettere ordine. Le immagini dell'incubo che faccio ogni notte mi si ripresentano come una visione: tutti mi voltanto le spalle, tutti mi evitano, ma è solo colpa mia. Tutto quello che è successo l'ho creato con le mie azioni.

Sono una sciocca, una stupida e capricciosa ragazzina. 

Sono già con un piede sul gradino pronta a scappare, quando la voce di James mi raggiunge. Mi blocco.

«Mi vuoi spiegare perché fai così? Io... Io non lo capisco. Ogni volta che qualcosa non va tu scappi. Come a scuola, è da giorni che non vieni. Rebecca dice che vuoi attirare l'attenzione, ma io credo di no. Non che mi importi molto, ma non puoi affrontare la vita in questo modo. Le spillette che quelle sfigate distribuivano non erano una tua idea. La Marquez le ha punite, tu non centri nulla», mi dice mentre divide delle posate in argento molto antiche.

 

Non mi muovo. Come faccio a spiegare cosa ho combinato con Andrew, come faccio a dirglielo.

 

«Hai sempre fatto così, è come un copione. Tu scappi, scappi dai sentimenti, dalle paure, scappi da tutto. Io ho sbagliato con te, lo so, ma ne pago le conseguenze. Non sono perfetto, ma non si può tornare indietro e fingere che le cose successe non siano mai accadute. La vita va avanti e non saranno i miei errori a frenare la mia vita e i miei sogni. Non lo permetterò mai perché sarebbe uno sbaglio», mi dice.

 

Con la mano stringo la ringhiera della scala. Ho i denti talmente serrati che mi fanno male. In un modo contorto James mi sta chiedendo scusa e questo mi fa male. 

Io ho sbagliato con te, lo so, ma ne pago le conseguenze. 

Mi fa male perché, nonostante sappia che lui ha sbagliato, non ha provato a ricostruire il nostro rapporto. 

Non si può tornare indietro. Non saranno i miei errori a frenare la mia vita. 

Mi fa male perché considera la nostra relazione non così importante. Il Trinity, gli amici, Yale, sono i suoi sogni. Io sono uno scarto, un rifiuto da dimenticare. Una di passaggio. 

Non lo permetterò mai perché sarebbe uno sbaglio.

Ecco sono il suo sbaglio, ciò per cui non vale la pena combattere.

 

Il piccolo sole che scaldava la mia anima si è spento.

Il mio universo è stato risucchiato da un buco nero.

Vuoto e silenzio.

Assenza d'amore.

Non ho speranze con James.

 

«Credo di aver portato solo guai in questa casa, a scuola e con i miei amici. Stamattina, per un attimo ho creduto di poter risolvere qualcosa, ma fidati se ti dico che non c'è via d'uscita», gli rispondo con la testa rivolta verso il basso. 

«Elena, Stai esagerando. Sono solo spillet...», insiste James.

«No. È quello il fatto, fossero quelle inutili, ridicole e patetiche spillette me ne sarei fatta una ragione. Io... Io rovino tutto quello che tocco. La scelta più saggia è stare lontana da tutti voi», urlo. Senza aspettare risposta scendo a due a due i gradini di villa McArthur. Non posso stare un secondo di più lì dentro, sto soffocando. In pochi secondi raggiungo il piano inferiore, appena stringo la maniglia del portone d'ingresso, pronta ad uscire, una forza esterna mi strattona per il braccio sinistro. È James. Me lo ritrovo a un palmo dal mio naso. Il profumo del bagnoschiuma al muschio e l'odore della sua pelle mi avvolgono.

«Che diavolo succede? Di cosa stai parlando?», mi chiede James a denti serrati.

Scuoto la testa piangendo.

«Elena parla. Parla!». James mi scuote leggermente.

«Io... Io...», balbetto confusa.

«Cosa hai fatto? Ti hanno fatto del male? Chi... Chi... Cosa?». Con gli occhi lucidi e la fronte appoggiata alla mia James stringe i miei polsi. Mi fissa come se volesse leggermi i pensieri, come se volesse capire quello che sta succedendo.

 

Le parole scalpitano nel cervello, crollano tutte le difese che ho costruito negli ultimi mesi. Le emozioni, come frecce impazzire, vorticano nella mia anima. Vorrei riuscire a buttare fuori tutto quello che ho dentro, ma dalla mia bocca non esce nessun suono.

Ho paura.

Quando ho paura scappo.

Scappo con la mente.

Scappo con il corpo.

Scappo perché è l'unica cosa che so fare, scappo perché è l'ultima cosa che mia madre mi ha detto prima di morire. Mi ha detto che se qualcosa o qualcuno mi avesse mai fatto del male avrei dovuto andare lontano. Il male non va cercato, ma allontanato. La paura di stare male mi fa scappare, questa è l'unica cosa che so fare.

Guardo James e non parlo.

Scappo dentro me stessa e mi nascondo.

 

«Elena, ti prego. Parla...», mi supplica James. «... Non chiuderti, non farlo di nuovo. Quel giorno, in cui ti ho incolpata della morte di mia madre, ho commesso un terribile errore. Anche quella volta avevi l'espressione che hai adesso, come se nascondessi qualcosa e non me la volessi dire. Mi fa impazzire vedere il vuoto nei tuoi occhi, vedere che costruisci muri tra di noi. Se qualcuno ti ha fatto del male devi dirmelo, io... Io...».

«È tutto così difficile. Non faccio apposta, te lo giuro, ma... Ma non riesco. Non posso», sibilo.

James sbatte un pugno contro il muro. È pieno di rabbia. «Perché mi tieni lontano? Non so cosa debba fare per chiederti scusa. Da amico ti dico che sono uno stupido. Da amico ti dico che sono un bambino. Da amico ti chiedo di dirmi cosa è successo!». Il suo corpo è appoggiato al mio. Posso distinguere il battito del suo cuore attraverso il maglione, sembra un tamburo impazzito. Le mani di James lasciano i miei polsi e cercano le mie mani. L'intreccio di dita è perfetto come allora, mi sento sciogliere al ricordo di tanta perfezione.

 

Un ricordo e nulla più.

James non vuole stare con me, è stato chiaro prima.

Sono un episodio del suo passato, un errore da non ripetere.

Non mi devo illudere.

Non sarò mai più il suo presente.

 

«Non potremmo mai essere amici noi due. Lo sai vero?», gli dico con infinita tristezza. «Ogni volta che ti sto vicina, muoio. Non riuscirei a esserti amica. Tra di noi non può esserci nulla. Abbiamo dato quello che potevamo, come dici tu, mi sono aggrappata al ricordo, ma non basta. Io... Non posso dirti nulla, mi dispiace», gli dico con le lacrime agli occhi.

James urla. Urla per la frustrazione. Si allontana da me di botto lasciandomi vulnerabile e fragile appoggiata alla porta d'ingresso. Con le mani nei capelli cammina avanti e indietro stringendo la mascella: «Non capisco perché non potremmo essere amici? Le tue frasi sono sentenze inoppugnabili, sei il giudice e la giuria. Decidi tutto tu escludendo me e le mie opinioni».

«Ma...», provo a rispondere, ma vengo interrotta.

«Niente ma. È chiaro, non pensi sia degno di conoscere quello che ti turba... Non sono mai stato all'altezza per te, vero? Sono solo uno ricco e viziato figlio di papà», mi dice James con cattiveria, poi si avvicina: «Lo vuoi un consiglio? Se non vuoi parlare con me, trova qualcuno che ti conosca e che ti voglia bene, molto bene. Qualcuno di cui ti possa fidare... Qualcuno che c'è sempre stato. Perché credo che nessuno di quelli che tu chiami amici sia disposto ad ascoltarti. Quello che ti è successo credo sia una cosa più grande di te e conoscendoti, cara Elena, non sei minimamente in grado di affrontarla... Come nulla nella tua vita». James ha spalancato la porta d'ingresso. Significa che devo andarmene da casa sua immediatamente.

 

Senza aggiungere altro esco dalla villa percorrendo a passo spedito il vialetto che porta direttamente al cancello. Non mi guardo indietro, neanche una volta. Le parole di James mi girano in testa, non riesco a smettere di pensarci. Non sono arrabbiata, non sono triste, sono solo svuotata. Ogni volta che discuto con lui le mie più intime emozioni paiono mescolarsi, confondersi e intrecciarsi l'una all'altra formando un gomitolo informe impossibile da sbrogliare. 

Cammino senza fermarmi, macino passi su passi. 

Cammino e penso. Penso e cammino.

Il solo pensiero che James possa scoprire cosa ho combinato con Andrew mi fa star male. Non sono riuscita a dirgli nulla, sono una codarda, mi vergogno di me stessa.

La sola idea che possa odiarmi più di quanto faccia già, mi fa mancare il fiato. Preferisco che mi creda una persona incapace di esprimere le mie emozioni che una traditrice bella e buona, cosa che poi effettivamente sono.

 

Il suono di un clacson mi riporta alla realtà.

Sto attraversando la strada fuori dalle strisce pedonali.

 

Mi ritrovo in un quartiere che non conosco pieno di villette simili una all'altra. Devono essere passati parecchi minuti da quando ho lasciato villa McArthur perché il quartiere è cambiato.

Con il cellulare cerco di capire dove sono, in pochi secondi conosco il nome della via: Magnolia Street. Magnolia, un bellissimo fiore. Tutte le vie della zona hanno nomi simili. Mi guardo intorno indecisa sulla strada da prendere per arrivare prima a casa. Consulto il cellulare poi imbocco la prima strada a sinistra. Percorro un centinaio di metri poi svolto a destra, dovrei trovarmi di fronte ad una chiesa, almeno secondo la mappa. In pochi secondi mi ritrovo davanti una costruzione in pietra grigia. La supero velocemente senza smettere di togliere gli occhi dal telefonino. Faccio pochi passi, poi mi fermo di botto. Mi giro e osservo di sbieco la chiesa in pietra appena superata. Scavo nella memoria: ho già visto quell'edificio. Poi l'illuminazione. Lo studio dove lavora Roger ha supervisionato i lavori di restauro dell'edificio, mi ha portato a visitarla appena arrivata a New Heaven. Mi ricordo che era così fiero del lavoro, era riuscito a recuperare molti dei materiali originali, inoltre è la chiesa dove hanno battezzato Kate.

Kate.

La mia vecchia amica Kate.

L'unica che ha sempre saputo tutto di me, sempre.

Ricontrollo il telefonino.

Magnolia Street, tutte le vie del quartiere hanno nomi di fiori, come l'indirizzo degli Husher: Dahlia Street. 

Sulla mappa mi rendo conto che è a meno di dieci minuti di strada.

 

Le parole di James mi rimbombano nel cervello: Se non vuoi parlare con me, trova qualcuno che ti conosca e che ti voglia bene, molto bene. Qualcuno di cui ti possa fidare... Qualcuno che c'è sempre stato.

Kate.

Kate c'è sempre stata, l'ho allontanata con il mio atteggiamento, con le mie ansie, con l'ossessione per James. L'ho lasciata sola, cosa che lei non avrebbe mai fatto con me.

Inizio a correre sul marciapiede come una matta, devo raggiungerla il prima possibile. 

Taglio per i giardini delle villette per fare prima, salto un paio di cespugli, scavalco una staccionata per ritrovarmi con il fiatone di fronte a casa di Kate.

È mezzogiorno, Kate è a scuola e non sarà a casa prima di stasera.

Mi avvicino al portone d'ingresso sposto il grosso vaso a sinistra. Avvolto nella plastica c'è un mazzo di chiavi. Per una volta sono felice della mania di Hanna di avere tutto sotto controllo. In una manciata di secondi sono dentro casa Husher.

Respiro a pieni polmoni l'odore di pulito, è da molto tempo che non metto piede lì.

Con calma mi siedo sulla scala di fronte all'ingresso, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e con la testa tra le mani inizio a contare i secondi che mi separano dal vedere la mia più cara amica, l'unica che mi conosca da sempre e mi ami nonostante tutto.

Kate, la mia amica perfetta.

 

 

   
 
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