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Autore: Sospiri_amore    29/08/2017    0 recensioni
❤️SECONDO LIBRO DI UNA TRILOGIA❤️
Ritorneranno Elena, Kate, James, Jo, Adrian, Stephanie, Lucas, Rebecca, (Nik ??).
Ci saranno nuovi intrecci, guai, incomprensioni e amori.
Elena avrà dimenticato James?
Chi vivrà un amore proibito?
Riuscirà il Club di Dibattito a sconfiggere la scuola rivale?
Nik sara sempre un professore del Trinity?
Elena andrà al ballo di fine anno?
IL FINALE di questo libro corrisponde alla fine del liceo, il terzo libro sarà incentrato sulla vita adulta dei personaggi. Più precisamente quattordici anni dopo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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IERI:
Arte e cibo




«Sì papà, ho avvisato sia Hanna che Roger. Sì, ho pranzato da loro. No, non ti preoccupare ho mangiato abbastanza, sai che Hanna non ha mai il frigorifero vuoto», dico a mio padre mentre addento una mela.

 

Papà non capisce perché mi trovi lì, non capisce che diavolo ci faccia in una casa vuota. Potrei rilassarmi nel nostro appartamento e tornare più tardi, potrei fare un giro in città e aspettare che Hanna e Roger ritornino. Potrei fare molte cose, eppure non ho intenzione di smuovermi.

Povero papà, me lo immagino con le mani nei capelli mentre cerca di trovare la frase giusta, le parole migliori per convincermi a ragionare, eppure, più passa il tempo e più mi intestardisco. Sarà l'età, sarà quello che ho passato, eppure mi ritrovo a diventare sempre più difficile a gestire. A volte mi infastidisco da sola, se potessi mi prenderei a schiaffi.

 

«Ciao papà», gli dico prima di chiudere la telefonata e ritrovarmi immersa nel silenzio surreale della cucina. Il rumore della mela che mastico è l'unico suono presente. Con attenzione ripongo nel lavandino il piatto dove ho mangiato, apro l'acqua ed inizio a lavare. La grande finestra di fronte mi mostra parte del giardino, gli alberi e uno spicchio di cielo grigio. Probabilmente pioverà. Asciugo tutto, poi mi metto a giocherellare con le tende della finestra. Passo il dito tra i ricami, seguo le linee delle cuciture e tiro i piccoli fili che pendono. 

Non ho voglia di guardare la televisione, a quest'ora non c'è nessun programma che mi piace. Gironzolo per il salotto poi vado verso lo studio di Roger. Prendo un volume d'arte che non ho mai sfogliato, sono le fotografie dei coniugi Becher. Le immagini di capannoni industriali, in bianco e nero, simili ma diversi l'uno all'altro, catturano la mia attenzione. Pagina dopo pagina inizio a perdermi tra la ripetizione, la catalogazione e la ricerca dei due fotografi. Non viene ritratta nessuna persona, solo tubi, cisterne, acciaio, silos e legno. Freddezza. È come mi vorrei sentire io, vorrei poter essere capace di saper cosa fare, riuscire a staccarmi da me stessa e, clinicamente, imparare a reagire. Nell'apparente distacco dei fotografi c'è molto amore, la ricerca e lo studio di un soggetto sono la maggiore dimostrazione di attenzione. Forse dovrei fare lo stesso con quello che ho combinato con Andrew. Forse se riuscissi ad avere sangue freddo potrei capire come comportarmi. 

Avere il controllo. 

Io e la razionalità corriamo su binari paralleli, non ci incontreremo mai.

 

Delle gocce di pioggia battono sulla grande vetrata dello studio, il ticchettio mi tiene compagnia.

 

Distesa sul divano continuo a sfogliare altri libri di fotografia. Andreas Gursky. Gabriele Basilico. Diane Arbus. Credo siano di Kate, deve averglieli comprati suo padre. 

Mi piacerebbe avere un grande talento come lei. Me la cavo a dipingere, ma è da quando è morta Demetra che non prendo in mano un pennello. Non che altrimenti sarei diventata una artista, sono solo una discreta esecutrice, nulla più. Copio e basta, sia che siano paesaggi, immagini o fotografie. Mi manca quella cosa in più, la scintilla che mi permetta di trasformare un interesse in ricerca artistica.

Mi sento veramente una incapace. Tutta quella bellezza, racchiusa in poche pagine, ha più senso di molte cose che faccio. Penso continuamente a me stessa, sono così assorbita dalle mie paranoie che non mi rendo neanche conto di quello che mi circonda, mi perdo il meglio che la vita mi offre.

Ripongo i libri d'arte mentre sgranchisco la schiena. La libreria di Roger e Hanna è fornitissima, ci sono molti libri da leggere. Camminando avanti e indietro sfioro le coste dei libri. Adocchio una copertina che conosco bene: Tramonti sul cuore, uno dei libri della mia saga preferita. Sono mesi che non ne leggo una pagina. Per anni ho sperato di poter vivere un amore come quello descritto nel libro e adesso, che ne ho vissuto uno, non faccio altro che boicottarlo comportarmi da ragazzina immatura. E pensare che credevo di essere migliore, ero convinta che non avrei fatto gli stessi errori di quei personaggi fatti di inchiostro e carta. Invece no, sbaglio sempre finendo per cacciarmi in un mare di guai.

 

Il pendolo in salotto rintocca.

Sono le due del pomeriggio.

 

Salgo le scale ed entro nella camera di Kate. Preferisco aspettarla lì. Sono cambiate parecchie cose dall'ultima volta che ci sono entrata, le pareti sono di un color celeste molto chiaro; non ci sono più le foto di noi due appese alla bacheca di sughero, c'è solo qualche volantino stropicciato; i libri di scuola sono impilati in due alte colonne sulla scrivania. Kate ha tolto tutti i peluches dalle mensole, ha fatto spazio per la sua attrezzatura fotografica. Sopra la testata del letto, attaccato al muro, c'è un planisfero con tanti adesivi triangolari appiccicati: Tokyo, Lisbona, Bagdad, Mosca, Bali. Tutte le principali città di ogni nazione sono evidenziate.

Chissà cosa ha in mente? È da così tanto tempo che non parliamo che mi pare di essere nella camera di un'estranea.

Mi siedo sulla vecchia sedia a dondolo in legno ed inizio a cullarmi senza smettere di guardare la mappa appesa di fronte a me. I nomi di tutte quelle città mi frullano per la testa, il ritmico ondeggiare della sedia a dondolo mi culla dolcemente. In pochi minuti mi addormento perdendomi in immagini di posti esotici e metropoli lontane, paesaggi mozzafiato e mari cristallini, vicoli fumosi e monumenti imponenti. Tutti posti meravigliosi e spettacolari. 

Finalmente dormo senza incubi.

Finalmente riposo un po'.

 

«Elena? Elena!». Kate mi sfiora un braccio facendomi sussultare.

Mi guardo intorno confusa per qualche secondo, ci metto un attimo per mettere a fuoco dove sono. L'espressione interrogativa di Kate mi riporta alla realtà. 

«Scusa, devo essermi addormentata», le dico con la voce impastata dal sonno.

«Non c'è problema, non volevo svegliarti così, ma non mi aspettavo una tua visita», mi dice mentre si toglie la giacca della divisa del Trinity.

«Sì, ecco... Ho voluto farti una sorpresa. Volevo sapere come stavi». Non so come affrontare l'argomento Andrew, non è una cosa semplice da spiegare.

Kate mi guarda di sbieco, poi si siede sulla sedia della scrivania: «Tutto normale. Solite cose».

Mi sento a disagio, c'è molta freddezza tra noi. Giocherello con i ciondoli attaccati al bracciale che ho al polso mentre mi guardo in giro:«Ho visto che hai cambiato un bel po' di cose qui dentro», le dico mentre indico le parete e il planisfero.

«Cosucce, niente di che», mi dice neutra.

Stringo le labbra in un finto sorriso e annuisco.

 

Possibile che sia finita così la nostra amicizia?

Osservo Kate svuotare lo zaino e mettere in ordine i quaderni voltandomi le spalle, non mi degna di attenzione. Non è più la dolce amica pronta ad ascoltarmi ed io non sono più la sua più confidente. L'unica persona in grado di aiutarmi non è in grado di farlo, soprattutto per colpa mia. Il mio atteggiamento l'ha allontanata da me.

Con il magone in gola faccio per uscire dalla stanza, è evidente che non siamo più in sintonia. Non faccio drammi, nessuna scenata. Mi defilo con calma dalla porta per trovarmi nel corridoio che porta alle scale.

Prendo un profondo sospiro. Ho la consapevolezza che tutto ciò che è successo è colpa mia. L'incubo che negli ultimi tempi mi perseguita è semplicemente specchio della verità. Ho rovinato pure la bella amicizia che avevo con Kate.

Il pendolo in salotto rintocca. Sono le cinque, è ora che me ne torni a casa.

 

«Dove te ne vai?», la voce di Kate rimbomba per la casa.

«La mia presenza non è gradit...». Mi interrompo appena un dolcetto confezionato, lanciato a tutta velocità, mi sfiora l'orecchio: «Ma sei scema? Potevi colpirmi!», urlo a Kate.

«Forse avrebbe iniziato a farti ragionare stupida oca», ribatte lei.

La faccia mi si infiamma: «Ma che ti prende? Me ne stavo andando, non è quello che volevi?».

Kate si arma di una nuova merendina facendola saltare nel palmo della mano: «Non era quello che volevi?», dice scimmiottandomi.

Furiosa raccolgo la merendina ai miei piedi e la tiro verso Kate che agilmente la evita.

«Ho un rifornimento pieno. Ho a portata di mano una stanza piena di cibo». Kate indica la porta socchiusa alle sue spalle dove Hanna ha la dispensa: «Sono partita con cose morbide, ma se non funziona inizio con i barattoli di sottaceti».

«Sei un genio. Una vera signora. Usi la violenza pe...». Mi abbasso di colpo, un dolcetto sta per colpirmi in fronte. Kate ha una mira strabiliante, non posso restare con le mani in mano. Salgo il più velocemente possibile le scale evitando un paio di colpi. Camminando abbassata mi dirigo verso la dispensa arraffando la prima cosa che mi trovo per le mani, un grosso tubo di ketchup che punto verso Kate.

«Non oserai, vero?». La mia amica mi guarda allarmata.

«Sei tu che hai voluto sfidarmi», le dico con un ghigno mentre uno schizzo rosso la colpisce sulla camicia.

«Vuoi la guerra? Preparati!», mi dice Kate saltandomi addosso e strappandomi di mano il tubo con la salsa. Con il sedere per terra, completamente disarmata, mi ritrovo con la testa piena di Ketchup.

Urlo.

Cerco di ripulirmi come posso, ma il risultato è pessimo, sono una macchia puzzolente e rossa.

«Credo che il troppo studio ti abbia dato di volta il cervello», dico a Kate mentre inzacchero con le mani sporche il suo volto.

«Credo che il troppo vantarti ti abbia cancellato quelle tre cose che sapevi», mi dice mentre mi spiaccica un dolcetto sulla spalla.

 

Briciole.

Poltiglia.

Salsa.

Scivolare.

Appiccicare.

Lanciare.

 

La lotta degenera in poco tempo, farina, cereali e marshmallow sono sul pavimento e appiccicati addosso a noi. Sembra che abbiamo fatto un bagno nella spazzatura. 

La rabbia iniziale è svanita, io e Kate stiamo ridendo come due pazze mentre ci lanciamo cibo e ci sporchiamo a vicenda. Era da tempo che non mi divertivo così. 

 

Kate afferra due marshmallow e li inzuppa nel ketchup, me ne allunga uno:«Mangia», mi dice mentre addenta il suo con gusto.

«Sai che sarà disgustoso, vero?», le dico mentre guardo poco convinta quello strano abbinamento.

«Il ketchup rende buono tutto. Dai, mangia».

Infilo in bocca la caramella ricoperta di salsa sperando non abbia un sapore troppo sgradevole, ma mi sbaglio. Fa schifo.

«Come fai a dire che è buono? Hai un pessimo palato... Ti ricordi quella volta al mare in Italia quando hai messo il ketchup sulla pasta e vongole? Il cameriere è sbiancato. Credo che nessuno avesse mai avuto l'ardire di fare una cosa del genere», le dico sghignazzando.

«Prima di tutto avrò avuto sette o otto anni, ero piccola. Secondo, le vongole non mi sono mai piaciute», dice Kate facendomi una linguaccia. 

Ci guardiamo per pochi secondi poi scoppiamo a ridere, come abbiamo sempre fatto da quando ci conosciamo.

 

Cavolo, quanto mi è mancato tutto questo.

Quanto mi è mancata Kate.

 

Le risate finiscono presto, le ansie degli ultimi giorni affiorano nella mente. Il sorriso mi si spegne sulle labbra, mi affloscio come un sacco di patate vuoto. Prendo una manciata di cereali e inizio a sbriciolarli cercando di pensare ad altro. Kate disegna dei ghirigori con la salsa sul pavimento evitando il mio sguardo. L'atmosfera è cambiata, sembra sia tornato il gelo tra di noi.

«Che cavolo succede Elena? Perché non vieni più a scuola?», mi chiede a bassa voce.

Gli occhi mi si riempiono di lacrime, mi vergogno talmente tanto delle mie azioni che non so da che parte iniziare: «È tutto molto complicato».

«Sono brava ad ascoltare, forse posso aiutarti».

«Vorrei fosse una di quei disastri che facevamo da piccole, come rubare i biscotti di Hanna o togliere le stringhe dalle scarpe di mamma. Questa volta l'ho combinata grossa», le dico asciugandomi le lacrime con il dorso della mano.

«Suvvia, non esagerare. Nell'ultimo periodo sei diventata così... Così...».

La interrompo:«Melodrammatica? Esagerata? Forse hai ragione, non sei la prima a dirmelo, però credimi se ti dico che non c'è soluzione».

«Quelle sceme dei fan club hanno fatto volontariato in un ricovero per anziani. La Marquez non ti incolpa per le spillette», mi dice Kate prendendomi per una spalla e accennando un sorriso.

«Loro non c'entrano. C'è di peggio».

«Cosa può esserci di peggio di una punizione della Marquez e umiliazione al Trinity?». Kate ridacchia cercando di alleggerire la situazione.

I miei occhi cercano quelli di Kate.

Kate smorza il sorriso e mi guarda preoccupata. 

Con tutto il coraggio che possiedo dico quello che per giorni ho provato a trattenere, scoperchio il vaso di Pandora, pronuncio il nome della persona che ha iniziato tutto:«Di peggio c'è Andrew. Andrew Cossé-Brissac».

Kate è con la bocca spalancata:«A-Andrew? Quell'Andrew che James e gli altri ci hanno descritto come uno capace di tutto? Uno che manipola, complotta e combina guai peggio di Rebecca?.

Annuisco.

«Cosa? Quando? Perché?». Kate sembra una mitraglietta.

Sto per risponderle quando un urlo proviene dalle nostre spalle.

 

Hanna è tornata a casa, è in piedi a pochi metri da noi con le mani nei capelli.

 

Per qualche secondo mi guardo intorno rendendomi conto del disastro che abbiamo combinato, Kate ed io, con tutto quel cibo. Le urla di Hanna potrebbero udirsi a chilometri di distanza.

Kate pare non sentirle. Le mani hanno iniziato a tremarle come mai prima. Non smette un attimo di fissarmi:«E-Elena sei nei guai?», mi chiede con un filo di voce.

«Tutto il Trinity è nei guai. Kate, ho combinato un casino».

   
 
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