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Autore: queenjane    30/08/2017    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Era l’erede al trono, fragile e delicato, l’unico maschio, adorato e vezzeggiato, ed era solo.
Potevano venire a giocare con lui, i figli di un marinaio, i cadetti della scuola militare, ben di rado i suoi cugini, di più il figlio di Ella Rostov-Raulov, ma era più piccolo di lui, li dividevano tre anni, e tanto non avrebbe mai sperimentato cosa significava essere in una classe, litigare e giocare con gli altri bambini, che una caduta poteva avere effetti letali.

Le lezioni principiavano alle nove di mattina, con una pausa dalle undici a mezzogiorno, in cui, tempo permettendo, faceva una gita in carrozza o in auto, con uno dei suoi tutori e  i marinai, riprendendo poi le lezioni fino al pranzo, cui seguiva una pausa ulteriore, all’aperto, nel pomeriggio.  Le sue sorelle e, quando poteva, lo zar, si univano e Aleksey giocava con loro, scendendo in slitta da una montagnola di neve, le guance arrossate per il freddo e gli occhi ridenti, oppure giocava con Vanka, l’asinello già appartenuto a un circo, che lo divertiva con buffe smorfie e ragli, che ti tirava una testata sulle tasche per scoprire eventuali delizie. Alle quattro le lezioni riprendevano, con una pausa per il tè pomeridiano,  faceva poi cena alla sette, il resto della famiglia alle otto e finiva la giornata con la lettura di uno dei suoi libri preferiti.

“.. sai, Catherine, le materie sono il russo, il francese, l’aritmetica, religione, storia e geografia, inglese, la mitologia greca e romana me la propinavi solo tu..”

“.. Achille ti piaceva, Zarevic, lui era il più grande guerriero del mondo conosciuto.. comunque, sono contenta dei tuoi bigliettini, un abbraccio Catherine”
 
Tutto sommato, rifletteva lo zar, lui aveva passato una bella infanzia con i suoi fratelli, Giorgio e Michele,giochi, lezioni e risate e punizioni condivise, ma Alessio, all’atto pratico, poteva contare sulle sue  sorelle, e i compagni di gioco gli mancavano, non era certo la stessa cosa. Vi andava pensando compiendo quella gita estemporanea in Crimea, eravamo nel mese di aprile1914, li accompagnavano Gilliard, l’insegnante di francese e pochi altri, aveva due auto, una la guidava lui stesso.  La natura era meravigliosa, fiori e profumi, una lussureggiante sinfonia di colori mentre percorrevano le foreste di pini vicino ad Yalta.
Nicola rimase commosso nel vedere suo figlio che giocava e saltava, era la gioia di vivere personificata, si era ripreso, alla fine.

“Che hai combinato di bello, Catherine?”una delle nostre solite telefonate settimanali.
“Ho preso il diploma di infermiera di primo soccorso, ho fatto gli esami e li ho passati con la lode” se pensavo che volevo fare, ai tempi, l’università alla Sorbona, un diploma da infermiera era stato relativamente facile.
“Bravissima..” percepii una sfumatura esitante, era la fine di maggio e io sarei ritornata in Russia entro poche settimane “Che c’è, Olga?”
“A giugno andremo in Romania, per ricambiare la visita che ci hanno fatto” torsi il collo per guardare l’aerea struttura della torre Eiffel, la svettante struttura di ferro su cui ero salita con Luois, la paragonavo a una torta, un bizzarro lampadario, poi scrutai la fede nuziale.
“Così è, in via ufficiale, Olga”
“E in via ufficiosa..”
“Rilevo che il principe Carol di Romania ti è vicino per età..un vostro fidanzamento e successivo matrimonio sarebbe ben visto, sia a livello politico che..”
“Catherine!! “Esasperata e divertita “Tanto hai detto quello che nessuno si premura di dirmi, a cui sono arrivata” una pausa ulteriore “Se non volessi, Papa non mi obbligherebbe, ha giurato che ognuna delle sue figlie si sposerà per amore, come lui e mia mamma, ora come ora non voglio lasciare la Russia”
“Olga, io sono l’ultima persona che può dirti qualcosa..” cercai di non influenzarla, né in positivo o in negativo “ Valuta se ti piace o meno.. In ogni caso, potresti tornare in Russia ogni volta che vorrai”
“Sarei una straniera in casa mia”  Lei era russa e voleva rimanerlo, riflettei.
“Olga, io dicevo che non mi volevo sposare e l’ho fatto in tempo di poco, quando mi sono innamorata, ripeto, valuta”
“Sei diventata una vera diplomatica. A proposito, hai detto che mi deve piacere.. e se non piacessi io a lui?”
“Olenka, tu piaceresti a qualunque uomo e non tirare fuori che sei la figlia dell’imperatore, per favore! Hai tante buone qualità, sei splendida sia fuori che dentro, i difetti li hai, non sei una santa e i tuoi pregi sono ben superiori!” e capì la mia sincerità, anche se eravamo per telefono a leghe di distanza, lei rimaneva la mia migliore amica e io la sua.
“Non vedo l’ora di rivederti, Madame!” ridendo
“Pure io, un bacione”

Comunque, la visita vi fu, andarono sullo yacht Standard a Costanza, in un caldo e radioso mese di giugno.
Onori militari, spari a salve e colpi di artiglieria, ogni nave del porto aveva le sue bandiere innalzate. Olga e i suoi vennero ricevuti dal re Carol e dalla regina Elisabetta, poetessa e scrittrice sotto il nome di Carmen Sylva, Canto dei boschi, tradusse tra sé la ragazza, mentre venivano ricevuti dal resto dei rumeni. Carol era carino, ma insipido, nonostante la sua fama di Don Giovanni, mentre si incamminavamo alla cattedrale per un solenne Te Deum.
Era vestita di chiaro, con un grande cappello a fiori, ultima novità di Parigi, il principe era gentile, mentre le famiglie  parlavano in privato, argomenti generici e svagati, la bellezza dei centrotavola, il tempo favorevole per navigare, che delizia la privata residenza di Carmen Sylva ove erano, da lei fatta costruire sulla scogliera. La regina rumena annotò che amava stare per ore sulla terrazza, ascoltando il mare, sospesa tra terra e cielo, rilevò che anche la sua amica, Sissi  d’Austria, l’imperatrice, quando le aveva fatto visita aveva amato quel sito, poverina, ormai era morta da  quasi 16 anni, uccisa da un anarchico. La granduchessa prese un pezzo di pollo al crescione, era delizioso, meglio di Carol che cercava di fare colpo su di lei, annuiva e parlava a tratti, cortese, senza avere pregiudizi. Non mi dice nulla, rifletté, dopo la rivista, mentre si preparava per cena, studiando come sorridere.
Comunque la sala dei banchetti era regale, fiori a profusione, dolci le musiche di sottofondo, la sera declinava in una romantica notte, combinazione di sicuro effetto, al pari delle pareti di stucco bianco decorate da piccole lampade elettriche.. Annotò il muso lungo delle sorelle, nei limiti della buona creanza, Alessio non partecipava direttamente, per tema che ne combinasse una delle sue, la scusa ufficiale era che alle nove dormiva già. La verità era che a tavola era una mina vagante, i suoi svaghi potevano essere irritanti, una volta aveva trafugato una scarpa a una dama ignara (durante un banchetto di stato), infilandosi sotto la tavola e l’aveva consegnata allo zar, che lo aveva redarguito, e si era affrettato a riportarla, la poveretta aveva fatto un salto, accorgendosi che vi aveva messo una fragola. Sennò  si alzava di continuo, parlava sempre e non mangiava.
 Il ricevimento fu breve.


Dai quaderni di Olga “.. non me la sono sentita, Catherine, ecco tutto, chiesi a Papa di poter posticipare, ero giovane, avevo tempo, o pensavo di averne, tornai al palazzo di Alessandro con sollievo, di nuovo PeterHof a luglio, era passato un anno abbondante da quando ti eri sposata. L’estate scintillava, dorata e calda come una bocca di leone, quando saresti comparsa? Oziosa domanda, leggevo su una panchina vicino a una fontana, le gocce d’acqua che provenivano dagli spruzzi mitigavano la calura. Percepii un paio di mani che si allacciavano sul mio viso, sopra gli occhi, e profumo di arancia amara e rosa, le essenze che amavi usare. “Catherine” finalmente, tu, era il nostro particolare tipo di saluto “Olga” mi abbracciasti, un sorriso che danzava tra labbra e occhi, radiosa come l’estate, appunto. “Non è possibile” rilevando il vestito chiaro, che sottolineava la vita sottile e la carnagione, perle ai lobi, al collo il monile che ti avevamo regalato per un natale di tanti anni prima, con una piccola perla “ Racconta dai” “Cosa?” “Dimmi te..” ed era facile, come se non ci fossimo mai lasciate, la confidenza rifluiva, senza imbarazzo


Eravamo cresciute, tutte. Tatiana mi superava di qualche centimetro, tranne che con le sue proporzioni perfette non ci badavi, era snella e perfetta, la sua timidezza apparente smorzata dalle mie solite chiacchiere, Marie era diventata bellissima, la carnagione chiara che si accompagnava a folti capelli castani, sottile e con un bel seno, altro che la “piccola grassa bau-bau” come la chiamavano le altre, aveva una forza incredibile, tanto che riusciva a sollevare i suoi precettori, uomini adulti.. e rimaneva sempre gentile e quieta E Anastasia restava minuta, in termini di statura, con capelli biondo rossi che scintillavano come le sue battute, era e rimaneva un enfant-terrible, le sue spiritosaggini colpivano sempre  “Ecco qui le vecchie zitelle appassionate di mitologia.. sempre su Achille e compagnia, come siete pesanti.. “
“Davvero.. ?” Gonfiai le guance, feci una smorfia, sventolando la vera nuziale, ero una grassa signora maritata
“Dai Alessio, ci hai fatto diventare idioti da come la volevi e ora manco spiccichi un ciao” lui diventò rosso come un papavero, timido tutto insieme
“Anastasia, lascialo tranquillo” le sussurrai “Non lo mettere in imbarazzo”
“Siii.. Sapessi..”
“Basta” la interruppe Tata, accigliata e soprasedette.
 Timido e riservato, o forse, in quell’anno, o quasi,  gli era passata la nostalgia, o non era più abituato a me, con Olga ci eravamo scritte e sentite per telefono almeno una volta a settimana, rimarginando la frattura.



Univamo l’utile al dilettevole, io e Luois con quella visita. A luglio il presidente francese si sarebbe recato in via ufficiale in Russia, dove stavamo soggiornando, che le cancellerie europee erano in pieno fermento.
Poche settimane prima uno studente serbo aveva ucciso a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando, erede degli Asburgo, se vi fosse stata una dichiarazione di guerra il gioco degli equilibri e delle alleanze, il senso dell’onore avrebbero condotto al conflitto.
La Russia per tradizione proteggeva i popoli slavi e la Serbia era composta da slavi. Se fosse stata guerra sarebbe stata di tutti contro tutti.
Effetto domino, diceva Luois, rilevando la singolare (come no) coincidenza che durante la visita del presidente francese erano state organizzate due parate militari di vaste proporzioni.
Il Kaiser Francesco Giuseppe scrisse al suo imperiale collega tedesco, Guglielmo, che quello era un crimine efferato, non imputabile a un singolo individuo, la complicità era certo da imputare al governo serbo, che voleva unificare tutti gli slavi, situazione che poteva essere un pericolo per i suoi domini e certo non potevano lasciare correre. 
L’arciduca Francesco Ferdinando era morto a Sarajevo il 28 giugno 1914, poche ore dopo, in Siberia, nel suo villaggio di provenienza, Rasputin  venne accoltellato da una finta mendicante, in realtà una prostituta con turbe mentali, allo stomaco, ferendolo dallo sterno all’ombelico, lo operarono di urgenza ma era mezzo morto, rimase a letto per mesi.  E non morì, per sventura comune.



Come rilevato in altre sedi, Anastasia aveva il gusto per gli scherzi e le buffonate, a volte era .. pesante. Solo che assorbiva come una spugna le tensioni (in particolare, lo zar era preoccupato per la questione serba, Alix per Rasputin, che Olga si sposasse e varie altre eventuali) e si sfogava a modo suo, quando io e Olenka avemmo l’onore di un tuffo improvvisato in acqua.
Una risata e due braccia che ci spingevano dentro uno dei laghetti del parco, osservando la fioritura delle ninfee da un pontile e .. splash, eccoci versioni sirenette, fradice e annaspanti “Anastasia!!”
“Peste” lei rideva e batteva le mani
“Sembrate due meduse e..” le acconciature sfatte, i vestiti adorni di alghe e ..
”Ti diverte eh”
“Si..” le presi il polso e, con grazia inopinata, tuffai pure lei
“Non vale!!”
“Bien sur, imp” la schizzai,  il livello non giungeva oltre il metro e trenta, non saremmo affogati, decisi, mentre Olga, scemata la prima arrabbiatura, rideva a tutto spiano.
“Che inventate?”
“Prendiamo il fresco, Alyosha” rispose la monella imperturbabile, e lui entrò ridendo a sua volta, mentre il povero Nagorny, il suo marinaio che poteva aspirare a un posto di angelo per la sua pazienza, si metteva le mani tra i capelli, disperato.
“Vieni, dai, zarevic” gli tesi le dita e le afferrò.
“Siete buffissime”
“Continua e fai un tuffo pure tu..bagnato per bagnato” e non lo avrei fatto, per gli urti, mai
“No” mi si serrò addosso “Ora sei tu, non sei più seria.. “
“Ah..” seria, proprio, con tutti i vestiti fradici e i capelli pietosi, poi realizzai che la timidezza gli era passata.
 “Vuoi venire sulla schiena?”
“Nuovo mezzo di locomozione..” non replicai, gli diedi un  bacio e me lo strinsi addosso.


“Zarevic, direi che può bastare” mi aveva messo il suo cappello in testa, eravamo un tantino ridicoli, tra tutti e quattro, Anastasia si era posata una ninfea sopra l’orecchio, Olga era senza fiato da quanto rideva, Nagorny si tratteneva a stento “Le prove per la crociera.. vieni?”
“Se vengo invitata..”
“Cinque giorni, poi viene Poincarè e siamo di nuovo a Peter Hof“Il presidente della repubblica francese “Tuo marito pure può venire“ chiosò lo zarevic “In crociera ..”
“Grazie” poi riflettei che dovevo cambiarmi e asciugarmi, senza che nessuno vedesse la mia schiena massacrata dalle cicatrici.


“Mi sono abituata così” dissi “A fare da sola..”finii di allacciare l’asola della camicia,  mentre Olga scuoteva la testa “Sei ancora più indipendente del solito.. e va bene, tranne che Nastenka è improponibile” A letto senza cena, una  settimana senza dolci e tre ore supplementari di lezioni al giorno,la marachella l’avrebbe ben riscontata, mentre Alessio, nulla, che era entrato in acqua spontaneamente, e tanto vi erano sempre due mesi e due misure. “Meno male che Tata ha la tua stessa taglia..Domani riavrai le tue cose lavate e stirate.. Buffo, da una parte”
 
“Una brutta storta, è saltato al momento sbagliato e.. ha preso con la caviglia l’ultimo scalino della passerella che portava al ponte dello yacht” Olga trattenne il fiato “E all’inizio pareva nulla..invece..” mi tappai le orecchie, sentivo le urla e i gemiti, l’emorragia sottocutanea che seguiva un urto era sempre tra le più dolorose
“E non pensare di portare sfortuna, Cat, da agosto dell’anno scorso” un sussurro contro il mio orecchio “ ne ha avute.. meno rispetto a quando era piccolo, e  tanto ogni mese o quasi abbiamo dolori articolari, febbri, emicranie e via così, gonfiori spontanei se traffica troppo con un coltello o prende un colpo alle braccia”
Scrutai il mare, le onde che danzavano sullo scafo, verdi e azzurre, increspate di bianco, gli isolotti quieti, la perfetta geometria della costa, il paesaggio quieto e sempre uguale. “Piuttosto, hai preso un bel diploma ufficiale da infermiera..”

Ma lì non interveniva l’infermiera, ma la ragazza che gli voleva bene, si abbattè gemendo contro la mia clavicola, i lamenti smorzati contro di me, lo serrai cercando di non mettermi a piangere, lieta che Luois fosse rimasto a Pietroburgo, che mi avrebbe chiesto spiegazioni e io sarei stata muta. Eravamo innamorati, felici, e alcune cose non potevo condividerle, come i segreti di Ella, il grande affetto per i fratelli Romanov, come io non capivo la sua ossessione per la vita militare, fossero scoppiate le ostilità sarebbe partito di gran carriera, che ritenesse una perdita di tempo (finché non fossero giunti figli, almeno) il mio amore per i libri e la cultura, la mia indipendenza sotterranea. Su come gestivo la casa e i ricevimenti nessun rilievo, ero cresciuta osservando mia madre e me la cavavo. Passato il primo impatto della luna di miele, stavamo scoprendo la realtà di tutti i giorni, un adattamento più da parte mia che sua.
“Sdraiati, sui guanciali” tenendogli una mano, asciugavo il sudore “Sei diventata davvero brava”annotò la zarina, aveva le occhiaie pure lei, solchi scuri peggio di suo figlio “Ho preso il diploma ufficiale  da infermiera” sussurrai “Questa primavera.. “ “Non ti dedichi solo ai libri o ai balli..” “No” ero stanca e innervosita, come lei, se stavamo troppo a contatto rischiavamo un litigio e non era il caso “Scusa è che..” non terminò la frase, mi sono chiesta per un pezzo cosa volesse dire. E sapeva che Alessio mi voleva bene e viceversa, che, vai a sapere come, riuscivo a tenerlo tranquillo.

Era amore, comunque, tra fratelli, tenerlo quando si inarcava e gemeva, asciugargli la fronte, la sua mano che mi carezzava il viso in una pausa, “Cat” “Alexei..”, l’aprire l’oblò per cambiare aria e osservare l’alba, che, immutabile, sorgeva a prescindere da noi che avevamo passato la notte in bianco e che lo faceva sorridere. Nessuno aveva il potere di alleviare quel dolore.
Mi andai a riposare per un paio d’ore, lo dovevano lavare e cambiare, prendendo dell’acqua, un toast. 
Una pausa, al rientro mi appiccicai un sorriso di circostanza, come se non avessi mai visto la cabina tappezzata in toni chiari, con tante icone, i giocattoli sugli scaffali, foto di famiglia e tappeti preziosi, aveva passato una notte orrenda e sul momento vi erano scarsi miglioramenti, mi ritrovai a pregare, la prima volta in tanti anni, figuriamoci, per lui, non per me.
Ti voglio tanto bene Alessio e tanto a nulla serve.. e lo stringevo, delicata, era un tesoro, un fragile bucaneve da non mollare. E lui, a prescindere dalla debolezza fisica, era già un vero imperatore, dolce, accorto e ironico, dotato di infinita pazienza.

Dai quaderni di Olga “.. Poche settimane dopo arrivò un dolore immenso, senza preavviso, che ti portò a dimenticare, almeno in apparenza, a desiderare la morte, tu che hai sempre amato la vita, l’oblio.. rimanesti tre giorni con Alessio, alternandoti con me e mamma, le altre sorelle, alla fine stava meglio, il 19 sbarcando a PeterHof, da due giorni aveva un poco di requie, tranne che dovette essere portato via a braccia, che non poteva camminare.. Per contrappasso, io e te, filammo a cavallo, dopo anni ebbi la ventura di vederti schizzare al galoppo, saltare muri ed ostacoli, una dea della guerra in fieri
 
   
 
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