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Autore: Hi Asija    30/08/2017    1 recensioni
«Sembra che una parte di me ti abbia amato sin dal principio.»
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Detroit, 2000.
Le strade della capitale del Michigan sono affollate da malviventi e da futuri esordienti nel campo della musica hip-hop. Qualcuno prega per due dollari, qualcuno li ruba.
Tra loro, si nasconde il volto ingenuo, sbagliato e giovane di Diana, una cantante e bassista diciassettenne della periferia di Detroit, e quello serio e confuso di Marshall, un rapper esordiente di venticinque anni, re di quella strada in cui entrambi vivono da svariati anni.
Diana e Marshall si conoscono da quando lui e la madre si sono dovuti trasferire su quella che è la strada più malfamata di Detroit.
Sono due persone completamente diverse: lei è timida, mentre Marshall risulta sicuro di sé.
Eppure, qualcosa d’importante e forte si svilupperà tra loro.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~~Chris continuava a cantare la stessa cantilena da ormai svariati minuti, mentre Marshall guidava verso quella che, per i due, sarebbe stata la loro meta. Avevano una vecchia 1928 Delta, la quale tendeva a spegnersi ogni due per due. Solitamente, quando succedeva, il disprezzo nei confronti della macchina era accompagnato da una serie d’interminabili imprecazioni.

Ma quella sera non c'era nessuno, solo loro due. Un bianco e un nero.

Chris aveva proposto di raggiungere quel posto nella parte più malfamata di Detroit, dall'altra parte dell’8 Mile, perché aveva constatato il fatto che ci fossero belle ragazze e buona musica. Era uno street club, affollato e sporco. Ne parlavano tutti, le informazioni arrivavano alle orecchie di Rabbit come il "luogo dove accadono tutte le magie".

«Bello, ne sei sicuro?» chiese Marshall, muovendo la testa a ritmo di quella che era la canzone della loro serata: Sweet Home Alabama. Chris non rispondeva, muoveva anche lui la testa, mimando di suonare una chitarra o un basso.

Marshall era preoccupato, ma i suoi occhi dicevano il contrario. L'adrenalina era più forte della paura di sentirsi sbagliato in quel posto. Kim lo aveva appena lasciato, mentre Chris... Chris era fidanzato.
Si avvicinavano al posto, e sempre più, potevano notare della musica forte. Chitarra, batteria e basso: ciò che componeva quelle melodie che non sembravano attrarre i due giovani ed esordienti rapper.

«Cazzo... » sussurrò Marshall, parcheggiando quella che si poteva definire ancora per poco "macchina". Avevano sbagliato ancora.

«Senti, bello... » provava a scusarsi e a difendersi Chris, ma senza riuscirci.

Marshall cominciava a irritarsi, mentre i suoi occhi, originariamente marroni, cominciavano ad appesantirsi. «Bello, un altro locale per metallari del cazzo non lo voglio nella mia lista delle "cose da fare prima di morire"» gli diceva, un poco divertito, perché in realtà non lo pensava.

Chris coglieva l'ironia nella voce costruita di Marshall. Percorrevano la strada verso quello che era il locale "proibito da Dio", mentre la musica s’insidiava sempre più nelle loro orecchie che chiedevano assiduamente un cambio repentino di genere.

Marshall cominciò a guardarsi intorno, cercando con lo sguardo attento, qualche ragazza. Il locale era non era troppo affollato. Solo donne e uomini, troppo simili tra loro. Capelli neri, matita sugli occhi, borchie e merletto rigorosamente nero. Quei due erano due estranei.

«Bello, siediti lì», gli indicò un divanetto di pelle nera, poco più distante da loro, «vado a prendere qualcosa da bere» disse infine. Marshall fece un cenno con il capo, poi fece come Chris aveva detto. Da quella prospettiva riusciva a vedere tutto il locale, a grossomodo.

Era il periodo gotico, e tutti sembravano essere la stessa persona. Alle casse si potevano sentire le note di qualche gruppo sconosciuto alle orecchie del rapper, ma che tanti altri riconoscevano come "Evanescence". Effettivamente, quella canzone l'aveva sentita svariate volte alla radio. Si soffermò ad ascoltare la voce dorata e candida della cantante, condotta da flebili e ben scandite parole. Dopo poco si avvicinò Chris, con in mano due cocktail che all'occhio potevano sembrare decisamente troppo forti per Marshall.

«Sì, lo so. Questa roba non fa per te... » disse, riferendosi a tutte quelle circostanze sconosciute alla conoscenza del rapper, «ma guarda quella», gli indicò una ragazza poco lontana da loro.

Capelli biondi, lunghi e lisci. La pelle candida e bianca come il latte, con delle labbra marcate da un rossetto rosso sangue. Lo sguardo di Marshall si posò sulle sue gambe, sfortunatamente coperte da uno strato di tessuto nero, quasi trasparente. «È bella...»

Chris annuì. «Immaginala senza quelle cinture di castità nere che indossa» fece allusione ai vestiti gotici, «è ancora più bella, bro.»

Marshall ridacchiò, continuando a guardare attento la ragazza, come se volesse spogliarla con gli occhi. Cantava quella che era la canzone trasmessa alle casse, insieme con un ragazzo, pressoché coetaneo.

«Ti piace?» chiese Chris, finendo il suo cocktail in poco tempo. Marshall annuì, poi prese parola.

«Ti guarda...» sussurrò, senza avere ancora tolto lo sguardo da lei. La ragazza disse qualcosa al ragazzo che le sedeva vicino, poi si avvicinò ai due rapper.

«Sì, Rabbit.»

Le gambe della ragazza si muovevano leggere mentre attraversava il locale, avvicinandosi sempre di più ai due. Sempre più vicina, le si potevano scorgere svariati piercing sul viso. «Hey», disse, ormai vicina ai due. Marshall spostò lo sguardo per pochi secondi, notando che il palco era ormai allestito con vari strumenti.

«Hey», replicò secco Marshall.

Lei porse la mano a entrambi, prima a Chris, poi soffermandosi su Rabbit. «Sono Mariah, piacere» disse, fingendo una trasparente dolcezza nella sua voce. I due si presentarono, poi fecero sedere la ragazza tra loro. «Avete proprio un bel coraggio a venire qua», li prese in giro.

«Perché?» chiese Chris, sconcertato.

Mariah rise, poi estrasse dalla borsetta nera un ventaglio, cominciando a sventolarlo contro di lei. «Vedete, questo posto è frequentato solo da, insomma... le persone che lo frequentano sono in relazione con la musica che viene suonata...» fece una pausa «e devo dire che oggi è abbastanza vuoto» raccontò ai due. Chris e Marshall si guardano, allarmati.

«Dove vuoi arrivare?» chiese Marshall, guardando Mariah con uno sguardo investigativo.

«Al fatto che, voi finti rapper, vi credete troppo superiori» ridacchiò. Marshall notò gli occhi del ragazzo amico di Mariah, puntati su di lui. «In questo posto, quelli come voi non fanno una bella fine» comunicò ai due. «Però, sta sera non c'è praticamente nessuno» ripeté, «e non biasimo nulla.»

«Perché non c'è nessuno?» chiese Marshall.

«Questo posto è come un videogame», spiegò Mariah, prendendo in mano il cocktail di Marshall e bevendone una bella parte. «Se c'è qualcuno di valido a suonare, c'è il pienone. Sennò, beh, è così.»

«Chi suona sta sera?» la interruppe Chris.

«Oh, la mia sorellina... canta e suona il basso nella sua "band"» rispose Mariah, mimando le virgolette con le dita.

Chris rise, poi le si avvicinò lentamente. «Strano, sei così una bella ragazza. È strano che ci sia così poca gente...»

Anche Mariah rise, avvicinando le sue labbra all'orecchio sinistro di Chris. «Sì, ma mia sorella è una sfigata...»

I due risero all'unisono, mentre Marshall restava in ascolto. Sul palco cominciarono a salire tre ragazzi, i quali si misero alle rispettive postazioni: un chitarrista, un tastierista e un batterista. Al centro dello stage, giaceva abbandonato un microfono con cavalletto. I ragazzi avevano all'incirca vent'anni, e rispettavano dettagliatamente le descrizioni che Mariah gli aveva dato poco prima: degli sfigati.

«Come si chiama la band della tua sorellina?» chiese Chris. Mariah non rispose subito.

«Foxes, una cosa simile...» cercò di ricordarsi la ragazza.

Marshall quasi si strozzò con la sua stessa saliva. «Foxes?» chiese, quasi incredulo. Non sapeva chi fossero, ma il nome non gli sembrava per nulla sconosciuto.

Chris rise sguaiatamente. «Foxes, Rabbit... che coincidenza è questa?!»

Mariah aggrottò un sopracciglio. «Rabbit?» chiese, rivolta a entrambi i ragazzi.

«Sì... lo chiamiamo Rabbit da tempo, perché è veloce e scopa un sacco!»

Mariah lanciò un’occhiata divertita su Marshall, poi poggiò un braccio attorno alle sue spalle, come per farlo avvicinare a lei. «È vero?» gli chiese, cercando di risultare il più sensuale possibile.

Ma Marshall non sembrava ascoltare le parole della bionda che cercava di abbordarlo. I suoi occhi erano puntati su quel palco, nell'attesa della venuta della cantante.

Di lì a poco, si fecero strada una t-shirt nera di qualche band che probabilmente Marshall non conosceva e delle gambe formose, coperte da un sottile strato di calza a rete e da un paio di shorts neri, collegati con delle bretelle alla maglia. Poi alzò lo sguardo. Davanti ai suoi occhi si pararono una chioma ricoperta da capelli di un rosso acceso e degli occhi chiari, tendenti al grigio. Palpebre pesantemente truccate di nero. Tacco dodici. Sullo zigomo destro aveva disegnato un crocefisso. La guardò attentamente, poi capì.

«Diana?» sussurrò, cercando di non farsi sentire dai due.

«Diana Robinson» ripeté Mariah, divertita. «La conosci?»

Marshall annuì, poi balbettò qualcosa. Era impressionante come il suo sguardo rimanesse sempre lo stesso, in qualsiasi situazione. «Più o meno. In concreto solo di vista. Vive con la madre, a tipo due case da me...» cominciò, «nell'ultimo periodo credo che mi abbia insultato almeno tre volte il giorno...»

Mariah annuì. «Io me ne sono andata via a diciassette... quella casa era un incubo» ridacchiò.

«È almeno brava a cantare?» chiese Chris.

Scrollò le spalle «Gusti.»

Diana poggiò le sue mani sul basso, cominciando a fare alcuni accordi, mentre la musica del locale spariva lentamente.

«I don't have to leave anymore...» sembrò come sussurrare la ragazza. Le sue labbra si poggiavano lentamente e timidamente sul microfono, mentre suonava, accompagnata dai tre dietro di lei. «What I have is right here...» chiuse gli occhi, continuando a suonare.
Marshall era concertato su ogni suo singolo movimento, e nonostante la trovasse odiosa per il comportamento che aveva nei suoi confronti, non riusciva a distogliere lo sguardo da lei. Voleva che riaprisse i suoi occhi, per poterla guardare dritta e colpirla nell'anima, nel caso lei lo notasse, data la sua vicinanza con il palco.
«Spend my nights and days before...» continuò, con una voce sempre più flebile e quasi strozzata, ma sempre roca e bassa. «Before... I am yours now.»

«Che strazio, bro...» commentò Chris, accarezzando i capelli alla bionda seduta tra i due ragazzi.

Ma Marshall non aveva sentito nemmeno quello. Continuava a guardare fisso con gli occhi, ogni singola e più piccola azione della ragazza di fronte a lui. Un cambiamento di tono, un segno di cedimento a causa della troppa ansia, qualsiasi cosa che avrebbe potuto scattare in lui un minimo di movimento, di sussulto.

Bastarono alcune parole, ripetute ancora. «I am yours now...»

Diana aprì gli occhi, puntandoli in qualche luogo sconosciuto del locale. Il suo tono di voce cambiò, raggiungendo di colpo un acuto assordante, ma allo stesso tempo intonato. Gli occhi di Marshall si spalancarono, ma non si spostarono di un millimetro. La guardava, la ammirava, nonostante avesse un ben di Dio al suo fianco. Nonostante fosse sua sorella.

«If you stand there and watch me burn, it's alright because I like the way it hurts» pronunciò Diana, con voce spezzata e sempre più roca. Quelle parole balenarono nella mente di Marshall in un secondo: erano perfette. Avevano metrica, avevano un ritmo ben preciso, ma soprattutto, avevano un senso.
Milioni di combinazioni cominciarono a svilupparsi nella sua piccola e contorta mente. Avrebbe voluto dirglielo, urlarle che lui aveva la continuazione esatta per quel verso così delicato e perfetto. Eppure rimase in ascolto, sistemandosi meglio sul divanetto di pelle e allontanandosi evidentemente da Mariah.

«If you stand there and make me cry» continuò Diana, spostando lo sguardo investigativo sulle persone presenti nel locale: sembrava assortita dal dolore di qualcosa, esattamente come Marshall. «I don't mind because I love the way you lie...»

Gli occhi chiari di Diana incontrarono quelli castani e profondi di Marshall. Quegli occhi che finalmente riuscivano ad essere come erano veramente. Senza quel sottile strato azzurro che li colorava. Diana smise di suonare, per pochi secondi. Le sue labbra erano fisse su quel microfono.
Si guardavano perché si conoscevano, ma fuori da quelle quattro mura in cui vivevano come vicini di casa, erano dei perfetti sconosciuti.

«I love the way you lie...»

  
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