Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: EffyLou    01/09/2017    2 recensioni
ATTENZIONE: storia interrotta. La nuova versione, riscritta e corretta, si intitola Stella d'Oriente.
- - - - - - -
Ha venti anni quando incontra per la prima volta quegli occhi, lo sguardo fiero del re di Macedonia, il condottiero che non perdona; ha venti anni quando lo sposa, simboleggiando un ponte di collegamento tra la cultura greca e quella persiana. Fin da subito non sembra uno splendente inizio, e con il tempo sarà sempre peggio: il suo destino è subire, assistere allo scorrere degli eventi senza alcun controllo sulla propria vita, e proseguire lungo lo sventurato cammino ombreggiato da violenza, prigionia e morte.
Una fanciulla appena adolescente, forgiata da guerre e complotti, dalla gelosia, dal rapporto turbolento e passionale col marito. Una vita drammatica e incredibile costantemente illuminata da una luce violenta, al fianco della figura più straordinaria che l'umanità abbia mai conosciuto.
Rossane, la moglie di Alessandro il Grande. Il fiore di Persia.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Memorie Antiche'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Rossane
il fiore di Persia



۷ . Haft


Taxila, primavera 326 a.C.
Alessandro quella notte si dedicò totalmente a Rossane, l’amò con un’intensa tenerezza e l’abbandono totale ai piaceri carnali – cosa che non era mai accaduta con le altre persone con le quali aveva giaciuto. Non le disse esplicitamente che aveva capito che la danzatrice con la spada era lei, ma glielo fece ben intendere.
La regina si riempì il petto d’orgoglio, aveva sortito l’effetto desiderato.
La mattina dopo si svegliarono tardi, nell’umida afa indiana. La pelle ricoperta da un velo di sudore che la rendeva appiccicosa. Tuttavia il cielo era coperto da una compatta coltre di nubi grigiastre.
Non si erano più detti niente, nemmeno la sera e la notte precedente. Praticamente non si parlavano da quando Perdicca aveva fatto irruzione nella camera.
Ora erano svegli entrambi, gli occhi fissi sulle tende del baldacchino attaccate al soffitto sopra il letto.
«Sei stata brava.» mormorò Alessandro.
Rossane avvampò, ma gli fece comunque un sorrisetto sornione. «Quando?»
Lui roteò gli occhi, senza far a meno di sorridere divertito. «Nel lasso di tempo tra la cena e il risveglio.»
«Mi hanno insegnato le concubine di mio padre.»
Le lanciò un’occhiata maliziosa. «Ah sì, non avevo alcun dubbio.»
«A ballare intendevo!» arrossì.
Alessandro scoppiò a ridere. «Anche io, cosa pensava quella tua testolina maliziosa?»
«Bugiardo.»
«Dubiti del tuo re?»
«Sempre.»
«Male.» si girò verso di lei, le soffiò un bacio sulle labbra. Rossane si rabbonì solo per un momento. Ricordò del suo re la sera precedente. Di come non si era nemmeno accorto della sua assenza al banchetto, di come guardava Bagoa e di come l’eunuco guardava lui.
«Non ti eri accorto che non c’ero, ieri sera, al banchetto.» osservò, atona.
Eri troppo occupato a mangiarti Bagoa con gli occhi per accorgerti che mancava tua moglie.
«Sei polemica. – sospirò. ─ Vuoi discutere proprio ora?»
Le occhiate tra lui e Bagoa bruciavano, la ferivano nell’orgoglio.
«Preferiresti una camera da solo in cui invitare chi ti pare la notte?» domandò, senza acidità nella voce, ma con solo un senso di sconsolatezza.
«Perché lo pensi? Sei gelosa, di nuovo.»
«Non mi dai motivi per non esserlo.»
«Di chi? Di Bagoa? – le accarezzò il viso col pollice, lei gli schiaffò via la mano facendogli storcere le labbra. – Ti dà fastidio che io abbia un rapporto con lui? È normale per noi avere un eròmenos
«Perché? – scattò a sedere, i capelli in disordine. – Dici di amarmi e poi fai così. Che cos’ho io che non va, che ti spinge a cercare altri?»
Alessandro la guardava disteso sul letto, di fianco. I suoi occhi eterocromatici che scrutavano ogni angolo del suo corpo, ogni centimetro di pelle scoperta sfuggita alle lenzuola.
Rossane ricambiava quell’occhiata, frustrata e furibonda, le labbra serrate. Bagoa aveva lo stesso ruolo di una donna, nel letto del re, e lei – a detta del conquistatore stesso – era la donna più bella che avesse mai visto. Allora perché Alessandro sceglieva spesso di stare con lui e non con la moglie? La regina non riusciva a spiegarselo.
Tutto l’autocontrollo le stava sfuggendo di mano, ma non le importava. Voleva sapere.
Era diventata così suscettibile, si alterava alla minima cosa, era diventata paranoica e polemica. Ne era ben consapevole, ma non sopportava l’idea di dover essere accantonata così. Era una ferita all’orgoglio che non sopportava né tollerava, e non aveva intenzione di stare zitta e buona. Anche a costo di risultare noiosa o irriverente, voleva una spiegazione concreta. L’avrebbe accettata, ma finché Alessandro si rifiutava di esprimersi lei si avvelenava il sangue.
«Tu non hai proprio niente che non va. Sei perfetta. È una cosa mia.»
Che Alessandro apprezzasse uomini e donne indistintamente, lei l’aveva capito e l’aveva in parte accettato. Che Alessandro la relegasse come seconda scelta, nonostante tutto, questo non avrebbe saputo spiegarselo.
Rossane gli faceva paura. Perché provava per lei qualcosa di inaspettato, di sconosciuto: un profondo senso di pace nell’animo e allo stesso tempo l’inquietudine. Rossane era il veleno ed era l’antidoto. Era l’aria arida che gli seccava la gola e l’acqua che la rinfrescava. Era la lama che gli squarciava il cuore e la miracolosa medicazione che riusciva a risanarlo. Aveva una fame e una sete inestinguibile per lei. Aveva vissuto storie platoniche, come con Efestione; di profonda e intensa passione, di bruciante libidine, come con Bagoa, Barsine e Campaspe. Ma Rossane… Non aveva mai amato così, fino a quel punto. Non aveva mai fatto fronte ad un sentimento così netto, genuino e spaventosamente profondo. Sapeva che non avrebbe amato nessuna donna, in futuro, come amava lei. Anche l’amore con la persiana era dolce e affettuoso, la passione bruciante passava quasi in secondo piano. Gli faceva perdere il suo rigido autocontrollo che gli impediva di essere sopraffatto dai piaceri della carne, gli abbassava ogni difesa e si sentiva vulnerabile.
Rossane gli faceva paura. Perché era forte e testarda, focosa e glaciale, schiva e agguerrita. Le donne con cui aveva giaciuto non erano come lei. Si lasciavano sottomettere volentieri al volere del sovrano. E la stessa cosa valeva per Bagoa, sempre così reverenziale.
Le donne forti gli incutevano un certo timore e non sapeva come gestirle. Gli ricordavano sua madre Olimpiade. Rossane non era come lei, certo, ma aveva una natura centaura tra l’impulsività e la razionalità, a tratti selvaggia, barbara. Erano caratteristiche di Rossane che amava e odiava. Le amava perché gli donavano emozioni forti, nel bene e nel male; le odiava perché non riusciva a gestirla.
E poi, Rossane non gli dava sicurezze. Il suo cuore era chiuso nella pietra più dura, non riusciva a scalfirla, non aveva idea di quali emozioni lo affollassero e quali pensieri accarezzassero quella sua testolina bruna. Questo lo spaventava, non aveva idea di come gestirla e di come comportarsi. Quando sembrava trovare una stabilità, lei aveva pronto il contraccolpo.
Ma quella frustrazione da lei manifestata gli fece pensare che qualcosa c’era, in quel cuore, che non era vuoto come un guscio. Era una perla sigillata in un’ostrica.
Si sentì sciocco: scendeva in battaglia senza nessuna paura, ma poi incrociava i suoi occhi verdastri e gli tremava l’anima. La guerra non lo spaventava, sua moglie e le sue emozioni per lei sì.
Suo padre glielo diceva, che le donne erano pericolose. Soprattutto se ci si innamorava di loro.
«Ci sarà un giorno in cui ti deciderai tra loro e me?» lo incalzò, amareggiata.
Non le diede una risposta. Avrebbe voluto dirle che non era come credeva, che per lui era solo difficile far fronte alle emozioni che gli scatenava nel petto e fronteggiare lei e la sua forza d’animo. Ma non riuscì a dire niente, le parole gli morirono in gola. La vide alzarsi e vestirsi.
Indossare larghi pantaloni da fachiro con le stampe indiane, stretti sulla pancia e alle caviglie, una camiciola infilata nell’elastico del pantalone, le scarpe basse con la punta arricciata verso l’alto che lasciavano scoperto il collo del piede.
Rossane passò le dita tra i capelli per districarli velocemente dai nodi, dopodiché li ordinò dietro la testa con una molletta d’oro. Uscì senza salutarlo, senza la vacua promessa di rivedersi più tardi.
Alessandro si abbandonò sul materasso.
Come avrebbe potuto gestire una donna del genere? Così schiva, così irriverente. Gli chiedeva di metterla al primo posto tra le concubine e Bagoa, ed era giusto poiché era pur sempre sua moglie ed era bellissima, più delle altre. Lui non sapeva gestire la sua personalità né assecondarla. Sfuggiva al suo controllo, e ciò non gli piaceva molto. Non sapeva gestire sé stesso e le emozioni che provava per lei, e questo non gli era mai successo.
Rossane era veleno ed era antidoto.
 
*
 
 
Durante il viaggio il generale Cratero le aveva insegnato a maneggiare i coltelli, era stato relativamente semplice: non erano ingombranti e potevano essere ben nascosti nei vestiti. Non richiedevano forza ma solo agilità, velocità. Alla tecnica però andava aggiunta la pratica e soprattutto l’esperienza. Rossane aveva fatto un po’ di pratica ma l’esperienza…
Cratero l’aveva iniziata anche al tiro con l’arco. Non aveva proprio una buona mira, in realtà, ma il generale si era stretto nelle spalle: «Mica dovrei colpire una sottile linea, ma corpi compatti nello spazio. Anche se non colpirai al cuore, potresti prenderlo vicino e forargli un polmone. Direi che va bene comunque.»
Perciò la sua tecnica rudimentale con arco e frecce andava bene. Magari non colpiva il centro, ma l’importante era colpire. Ma lei non riusciva ad accettare il fatto che la sua tecnica fosse così scarsa. Si allenava con il tiro con l’arco anche fuori le lezioni del generale, estenuanti allenamenti che videro persino le dita sanguinare, scalfite dalla corda tesa dell’arco. Alla fine la mira migliorò, le frecce che colpivano sempre più vicine al centro del bersaglio.
 Con la daga invece non aveva fatto progressi, era troppo pesante per lei, ed era stata accantonata.
Cratero le diede allora una shamshir persiana, leggera, lunga, sottile. Rossane sorrise, perché sapeva maneggiare la scimitarra per la danza, chissà se non era molto diversa da farla roteare in combattimento. Non lo disse al generale.
Con quella spada, Rossane si trovò a suo agio. Conosceva il peso, la lama, il suo spazio nell’ambiente, il metallo freddo. Sapeva come maneggiarla, al contrario della daga.
Durante gli allenamenti estenuanti nel giardino interno del palazzo di Ambhi, insieme a Cratero, se le davano di santa ragione.
E se le diedero per due lunghe settimane.
Nel mentre Alessandro aveva mandato una truppa di ricognizione per confermare le parole di Ambhi, in merito alla grandezza dell’India, e non aveva più avuto contatti con la regina, con la quale non condivideva più nemmeno il letto. Scambiavano sporadiche frasi formali quando si vedevano, ciò aveva lasciato interdetti un po’ tutti, dal momento che fino a pochi giorni prima sembravano quasi affiatati.
Ma nessuno aveva osato esprimersi in merito, solo Efestione aveva cercato di parlare con Alessandro per comprendere i motivi dietro quell’allontanamento e aveva appurato che, sorvolando le problematiche della coppia, la lontananza era dovuta ad una cosa sola: l’orgoglio.
I problemi c’erano, tra i due, ma invece di cercare di superarli si comportavano come bambini ed Efestione cercò di farlo capire all’amico.
«Bene, Rossane. – sospirò Cratero, passandosi il braccio sulla fronte. – Direi che per oggi basta. Non ti sto appresso dopo un po’.» le scoccò un sorriso bonario e furbastro.
L’allenamento giornaliero si concludeva al tramonto. Il generale era fradicio di sudore, lei invece era pimpante. Sudaticcia, ma pimpante. Aveva fiato ed energie d’avanzo.
Scostò una ciocca di capelli dal viso.
«Va bene. Opinioni del maestro?»
«Sei migliorata molto. Sei agile, elegante, rapida. Non sembri più quella sciocca ragazzina che martoriava un ceppo con una daga più pesante di lei.»
«Ho avuto l’insegnante migliore.»
Cratero la scrutò con i suoi occhi azzurri, glaciali. Era un bell’uomo, non doveva avere più di quarant’anni. I capelli castano chiaro cominciavano a dare accenni di candore, la barba corta.
«Si può sapere che succede tra voi due?»
Rossane aggrottò le sopracciglia, contrariata. «Oh, nulla. Solo che lui mi mente dicendo di amarmi e poi preferisce tuffarsi tra le coperte con Bagoa.»
A parte la sera del loro arrivo a Taxila. Ma lei faceva un discorso generico, che il generale afferrò.
«Il che fa di lui uno stolto, se non giace con una donna come te, consentimelo. – inarcò le sopracciglia, divertito. – Capisco la tua frustrazione. Purtroppo ti ci abituerai.»
Cratero aveva sempre una parola gentile per Rossane. Ma non lo faceva con un tono viscido o lascivo, era un giudizio oggettivo e amichevole, come uno zio che dice la sua opinione alla nipote.
Era un po’ così che considerava Cratero: uno zio, un mentore.
Poteva rivolgerle parole di conforto o rimproveri severi, ma sempre con la massima oggettività, senza lasciarsi accecare dai suoi pareri personali o dalle emozioni.
«E se non volessi abituarmici?» borbottò Rossane, calciando l’aria.
Lui alzò le spalle, le prese la scimitarra dalle mani per riporla nella rastrelliera. «Gliene hai parlato? Che dice?»
«“È una cosa mia, tu sei perfetta”.» scimmiottò la voce del re.
Il generale scoppiò a ridere e si passò le mani sul volto, grattando la barba sotto il mento. «Per Zeus. Sembra un ragazzino alle prime armi. Efestione ci ha parlato, sai? Lo ha rimproverato.»
Rossane inarcò un sopracciglio.
Efestione era il migliore amico di Alessandro, la loro amicizia era così genuina, così pura. E loro due avevano un rapporto particolare. Ma era diverso da quello del re con Bagoa: non baciava Efestione, non giacevano insieme. C’era un che di platonico nel loro affetto, che non turbava particolarmente Rossane. Anzi, credeva che tutto sommato qualcuno come Efestione, capace di rimetterlo in riga, era necessario nella vita di Alessandro.
Efestione era l’unico a cui il re dava retta davvero.
Cratero continuò. «Nonostante giacere con altri sia parte sia della mia che della tua cultura, Efestione capisce la tua posizione e il tuo risentimento. Ora bisognerà dargli tempo perché le sue parole facciano effetto.» le sorrise bonario.
Rossane si lasciò andare in un sorriso incerto.

 
In serata fecero ritorno le truppe che Alessandro aveva mandato in avanscoperta circa dodici giorni prima.
Dopo cena, Ambhi seguì il macedone e i suoi soldati in una stanza appartata abbastanza grande da ospitarli tutti. Efestione aveva insistito con Rossane perché partecipasse: in quanto regina ne aveva il diritto, e lei era solamente contraria a vedere Alessandro.
La presenza della ragazza lo sorprese, ma non disse nulla e ascoltò il resoconto della missione esplorativa.
Gli uomini inviati fecero presente che si erano addentrati nella regione chiamata dai popolani Amristar che confermava in parte il racconto di Ambhi. Venne sottolineata la difficoltà dell’impresa per via della scarsità di vie di comunicazione, per il clima quotidianamente piovoso che trasformava i sentieri aridi e polverosi in paludosi.
Inoltre confermarono la presenza di regni limitrofi frammentati, e che quello più vicino a Taxila era numericamente superiore a quello messo in campo dai regni della valle dell’Indo fino a quel momento.
«Purushottama governa Paurava, il regno qui vicino, tra l’Idaspe e l’Acensine. I nostri regni non sono in buoni rapporti, ora che sanno che un conquistatore straniero è mio ospite e che ha intenzione di marciare su tutta l’India, si starà sicuramente preparando ad attaccare.» affermò il re di Taxila.
«E questo era chiaro. – intervenne Efestione. – Poro ha risposto in modo assolutamente eloquente alla richiesta di Alessandro.»
Per l’appunto, il sovrano macedone aveva chiesto a tutti i rajah delle province d’India di sottomettersi di loro spontanea volontà. Poro aveva risposto in modo più che esplicito: “Mi preparo ad accogliervi, ma con le armi!”
«E Abisare? L’altro rajah?» incalzò Alessandro.
Efestione si strinse nelle spalle. «Ha una tattica attendista, è pronto a soccorrere il vincitore dello scontro imminente.»
Alessandro era seduto su una poltrona di velluto rosso, fissava un punto dritto di fronte a sé mentre si tamburellava le dita sulle labbra.
«D’accordo. Bisognerà perlustrare preventivamente la zona più a sud di Taxila, ai margini dell’Idaspe. Controlliamo il territorio. Io voglio prendermi l’India, Poro è solo un banale ostacolo.»
I soldati restarono in silenzio, scambiandosi sguardi.
C’era la possibilità, sempre più concreta, di non ritornare a casa.
«Alessandro. – si permise Perdicca. – Nemmeno i persiani hanno superato l’Idaspe. Tra l’altro ci stiamo preparando per una battaglia in territori sconosciuti, mai cartografati, e si avvicina la stagione dei monsoni.»
«E con questo?»
«Beh è… rischioso.»
«Lascia tornare a casa i più anziani, sono anni che non fanno ritorno dalle loro mogli, dai loro figli, dai loro nipoti.» provò a dire Cratero, conciliante.
«Per la battaglia contro Poro cosa ne pensi, Cratero? Sei un grade generale, consigliami.» lo incalzò Alessandro. Il mento sul pugno chiuso, le gambe accavallate. Gli occhi che sondavano l’anima del generale. Pensava davvero che l’amico fosse il più abile, tuttavia la sua voce era incrinata dall’amarezza.
L’amarezza che in quelle due settimane aveva passato più tempo lui con Rossane, che chiunque altro. Ma in cuor suo sapeva di non poter biasimare nessuno se non sé stesso, e le sue mancanze nei confronti della moglie.
«È una campagna rischiosa. Soprattutto per i monsoni in arrivo. – lanciò un’occhiata a Perdicca. – I fiumi straripano continuamente e le provviste sarebbero a rischio, se le lasciamo incustodite o nei pressi del fiume dall’altro lato del campo di battaglia. L’intera conquista dell’India, con l’esercito di ora e le risorse di ora, non può essere svolta. I soldati minacciano l’ammutinamento, il clima non ci è favorevole.»
Alessandro ci pensò su.
Cratero aveva ragione, tuttavia doveva raggiungere la fine del continente asiatico, prendersi tutte le terre finché non le avrebbe viste tuffarsi in mare. Anche se avesse deciso di restare a Taxila fino alla fine della stagione dei monsoni, Poro minacciava guerra al regno di Ambhi e ai macedoni. Andava preso di petto e fermato.
«Pensiamo a Poro, prima. Fate sacrifici agli dèi, che ci aiutino e rendano il clima favorevole. Poi vedremo cosa fare, se tornare a Babilonia o proseguire.»
Si alzò in piedi, sciogliendo l’assemblea con un gesto. I suoi occhi si puntarono su Rossane, in piedi come una colonna in fondo alla stanza, il mento sollevato, lo sguardo di sfida.
Alessandro ripensò alle parole di Efestione. Forse avrebbe dovuto parlarle.
Aggrottò le sopracciglia impercettibilmente, poi lasciò perdere. Lei sembrò quasi intuire, perché uscì dalla stanza senza fare un fiato. C’era una battaglia alle porte, doveva cominciare a radunare l’esercito, tenere pronti i suoi uomini, ragionare su una tattica.
L’indomani qualcuno sarebbe andato a perlustrare il corso dell’Idaspe per sondarne il territorio, non ci sarebbero voluti più di quattro giorni. Una volta tornati avrebbe discusso con i diadochi della strategia da adottare in base al territorio.
Aveva troppe cose per la mente, non poteva permettersi di pensare anche a Rossane.

 
*
 
 
Nei quattro giorni consecutivi, periodo in cui una piccola truppa di Alessandro era andata ad esplorare la zona lungo l’Idaspe, Rossane continuò la sua routine quotidiana.
Si svegliava nella sua camera, dall’altro lato del palazzo rispetto a dove si trovava il marito, trovava il carrello con la colazione, mangiava, si lavava ed usciva.
Aveva visitato Taxila, scarabocchiando su alcuni pezzi di carta l’architettura dei palazzi per timore di dimenticarli con il passare del tempo; aveva visitato la stupa Dharmarajika decorata con ghirigori indù e buddisti; aveva comprato qualche abito tipico indiano nel mercato, tentato di imparare le danze popolari con le donne dei sobborghi.
Ovviamente era sempre tenuta sotto controllo da Perdicca, incaricato di scortarla e assicurarsi che non le accadesse niente di spiacevole.
Per l’ora di pranzo tornavano al palazzo di Ambhi e dopo mangiato, Rossane riposava un’oretta.
Si allenava poi con Cratero e prima di cena si sistemava. Passava poco tempo con le concubine nell’harem indiano, in ogni caso aveva chiesto che Almas diventasse la sua ancella. La ragazza siriana ne era stata davvero felice, voleva bene alla regina e l’ammirava.
Cratero aveva disposto per lei degli allenamenti a sorpresa. Quando si aggirava a palazzo da sola, uno dei soldati le andava addosso all’improvviso e lei doveva difendersi. Sotto sorveglianza di Cratero stesso. Se la cavava bene con gli agguati, aveva buoni riflessi e la sua corporatura minuta l’aiutava a scivolare via dagli aggressori.
«Ti da un gran bel da fare.» commentò Perdicca mentre la raggiungeva, accompagnandola al suo posto nello spiazzo dove si tenevano i banchetti.
«Già. – annuì. – Quando attaccherete Poro?»
Lui tentennò. «Molto presto. Alessandro sta cercando falle nella tattica, ma se non le trova entro domani, dopodomani partiremo.»
Rossane annuì di nuovo, incerta. Perdicca aveva un anno in più rispetto ad Alessandro. I capelli neri e lisci sempre in disordine e gli occhi di un intenso azzurro. Era alto, possente, il portamento fiero. Era astuto, leale e buono, e aveva sempre lavorato al fianco di Alessandro come guardia del corpo e generale.
Comunque, dopo la cena, avrebbe parlato con Alessandro. Tra le vie di Taxila si vociferavano cose su Poro e la sua armata.
Il re, dall’altro capo della stanza, non le staccava gli occhi di dosso nonostante ci fosse Bagoa a ronzargli intorno e le ballerine dell’harem a muoversi sinuose di fronte a lui nello spiazzo.
La stessa sensazione bruciante che ebbe la prima volta che incrociò i suoi occhi. Rossane conosceva quello sguardo: stava cercando di comprenderla, di decifrarla, come se stesse tentando di risolvere l’enigma della Sfinge.
Terminata la cena, Ambhi era ubriaco. Dovette essere scortato nelle sue stanze, per quanto aveva bevuto non si reggeva in piedi.
Rossane ne approfittò per sgusciare al fianco di Alessandro, lasciandosi cadere sul cuscino di velluto cremisi.
«Girano voci su Poro, in città.» esordì.
«Potrebbero essere false. Non devi credere a tutto quello che senti per strada.» sospirò.
«Dicono che abbia duecento elefanti tra le sue fila.» insistette lei, ignorandolo.
Alessandro inclinò la testa verso sinistra. «Non sarebbe strano. Qui usano gli elefanti per ogni cosa.»
Per l’esercito macedone non sarebbe stata la prima volta che si ritrovavano a fronteggiare elefanti, tuttavia nella battaglia di Gaugamela ne erano solo quindici. Se le voci che riportava Rossane erano vere e Poro aveva davvero duecento elefanti tra le sue fila, sarebbe stato un grosso problema.
«E che faranno appollaiare arcieri tra i rami degli alberi.»
Si bloccò, una piccola ruga d’espressione si formò tra le sopracciglia. «Questo è interessante. Se fosse vero, indebolirebbero le nostre forze.»
«Fai venire anche me.»
Lo disse tutto d’un fiato. Le parole rotolarono sulla lingua prima che potesse fermarsi.
«Sei diventata matta?! – sbottò, stringendole le dita intorno al braccio. – Tu non ti muovi da Taxila. So bene che dirti di no è futile, ma ascoltami per una volta. È una battaglia, non un gioco per bambini, lo capisci o no?» ringhiò, a bassa voce.
«Ti ho già detto che mi sento inutile, una zavorra.» replicò piccata.
«E il suicidio è il tuo piano geniale per sentirti utile, Rossane? I patti erano che tu imparassi a combattere per difesa personale, non per venire in battaglia. – si bloccò, come illuminato da una rivelazione. – Tu hai sempre avuto l’intenzione di scendere sul campo di battaglia! Ecco perché!»
Rossane scosse la testa. «Ti sbagli. E comunque posso aiutarvi, so usare la scimitarra, i pugnali, so tirare con l’arco.»
Aveva espresso a voce il pensiero che tormentava il suo inconscio, senza che ci avesse mai riflettuto su. Lo stesso silenzioso tormento generato dal suo sentirsi inutile, al pari di un carico in più, che l’aveva spinta a prendere lezioni da Cratero. Ed era passato dalla bocca prima che dalla mente.
Alessandro strinse di più le dita sulla pelle. «I miei uomini sono soldati addestrati.»
E non sono donne, si ritrovò a pensare amaramente Rossane, come intuendo i pensieri del re.
«Ci sono state donne che hanno combattuto! Artemisia I di Caria è stata una comandante della flotta di Serse, era alla guida di cinque triremi!»
«Molto eroico. Anche mia sorella Cynane ha combattuto al fianco di mio padre durante una campagna militare, in cui ha ucciso la regina degli Illiri, Caeria. Ma era addestrata! Anche la moglie di Dario III, Statira, seguì il marito ma l’abbiamo fatta prigioniera insieme alle due figlie e alla madre del re in seguito alla battaglia di Isso. Durante un attacco a Tebe, uno dei miei generali ha stuprato una donna e lei lo ha buttato in un pozzo.»
E lui non aveva in alcun modo punito quella donna ma anzi l’aveva lodata per non aver permesso a quell’uomo di fare di lei ciò che voleva. Non si era lasciata sopraffare.
Era sicuro che una donna come Rossane avrebbe fatto la medesima cosa, sapeva che sarebbe stata in gamba in battaglia. Solo che lei era sua moglie e l’amava, non avrebbe mai rischiato di perderla.
«Ecco! E perché io non posso seguirti? Non farò la fine di Statira, né della donna di Tebe!»
«Non voglio che tu rimani qui perché non ho fiducia in te, Rossane, anzi.  Ma se tu sei sul campo di battaglia, non ce la farò a concentrarmi. Avrò il terrore di perderti e non permetterò che ciò accada. Devo saperti al sicuro, lontana dalla violenza e dagli orrori della guerra.» ammise, tutto d’un fiato.
I suoi occhi erano torbidi, fissi in quelli della regina. Poteva leggervi dentro tutta l’angoscia del re, tutta l’apprensione.
Era troppo pura per prendere parte al conflitto e lui avrebbe preservato quel candore.
Rossane ammutolì e Alessandro tolse la mano dal suo braccio, mostrando i segni rossi che le aveva lasciato per la forte stretta. La ragazza si strofinò le pelle, distratta, sotto lo sguardo del condottiero.
«Ma se sarò io a perdere te?» domandò piano.
Lui abbassò gli occhi, intrecciò le dita a quelle della moglie. «Non accadrà, abbi fiducia in me.»


Angolo autrice:
Habemus capitolo. Avrei voluto aggiornare prima, ma è stata una mattinata piuttosto amara e per questo non ero neanche moto concentrata nell'ultimo controllo del capitolo, prima della pubblicazione. Perciò se trovate qualche errore, fatemelo notare, che io purtroppo oggi ho la testa altrove!
Bene, oggi abbiamo conosciuto il punto di vista di Alessandro, che non vedevo l'ora di farvi leggere; la vena paranoica e polemica di Rossane, che dal mio punto di vista è pallosa ma nel contesto, secondo me, ci sta che diventi così, con un marito del genere; e infine il suo lato più scellerato, la matta vuole scendere in battaglia HAHAH 
Grazie a tutti per le views, l'aggiunta alle preferite/seguite/ricordate, anche ai lettori disinteressati che spulciano hahaha e ovviamente grazie mille a chiunque decida di scrivermi, fa sempre tanto piacere sentire le vostre opinioni! 
Un bacino, a presto! ♥

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: EffyLou