Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: EffyLou    01/09/2017    1 recensioni
Johann Trollmann è un pugile, beniamino del popolo tedesco negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Indisciplinato, imprevedibile, borioso. Non sono i suoi difetti più grandi. Johann Rukeli Trollmann appartiene ad un popolo scomodo: è uno zingaro. Conquista le platee di Germania e fa innamorare le donne tedesche.
Nella sofferenza che porterà il Nazismo, il suo unico punto fermo e pilastro incrollabile è Frieda. Johann tocca l'apice e il fondo, assaggia il successo e la disperazione, conosce la serenità e la guerra. La derisione nazista si scontra con l'orgoglio di uno zingaro, che proprio non vuole saperne di abbassare la testa a quelle umiliazioni.
C'è solo un modo per far tacere quell'anima in rivolta: ridurlo ad un numero e darlo in pasto al Porajmos, l'Olocausto del popolo zingaro.
- - - - - -
I veri combattenti non temevano la loro ultima battaglia, e se c'era una cosa che Rukeli aveva sempre fatto, era dimostrare di non temere neppure il Diavolo. Neppure il Nazismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
6 - Gute intentionen


Box-Sport, edizione del 25 luglio 1932 – Trollmann contro Sabbotke, 23 luglio ‘32.
Sabbotke va in knock-down ma si rimette subito in piedi. Alla fine va in knock-out. Già dai primi minuti del match, era chiaro che sarebbe finito al tappeto.
Lo zingaro, dopo la vittoria, non ha rinunciato ad una fantasiosa danza sul ring, ed è stato festeggiato alla grande. Tutti i mediomassimi del Paese avranno il loro da fare con questo atleta imprevedibile!
 
Box-Sport, edizione dell’8 agosto 1932 – Trollmann contro Ogren, 5 agosto ‘32.
Neanche Ogren, con la sua esperienza internazionale, riesce a venire a capo di uno stile pieno di trucchi. Nel secondo round lo svedese è riuscito a raggiungere il Troll solo con diretti e corti al mento, che però fa una smorfia e accusa senza conseguenze.
Anche Ogren ha subìto lo stile di Trollmann, che lo prende in giro e ogni volta che lo svedese crede di aver fermato il suo sfuggente avversario, quello spariva e ricominciava da capo.


Per quanto riguarda la situazione dei pugili mediomassimi in Germania, […]
tutti i veterani e aspiranti al titolo, non devono dimenticare che un bel giorno arriva Trollmann e manda al tappeto tutta la compagnia. Ne ha le capacità e ha già cominciato, a partire da Sabbotke.
 

Box-Sport, edizione del 19 settembre 1932 – Trollmann contro Russo.
Lo stile di Trollmann è tornato alla sua fase zingara. Contro Russo, che non aveva un buon gioco di gambe e riuscì a colpire Gipsy solo una volta, saltellava ovunque sul ring con quel suo fare spasmodico e imprevedibile.
I colpi erano scorretti, ma dal momento che Trollmann è ora il beniamino dei tedeschi può permettersi un tale modo di combattere.
 

 
Poi fu la volta di Rienus De Boer il 7 ottobre 1932. Anche lui, il campione olandese dei mediomassimi, cadde sotto l’imprevedibilità di Rukeli. Johann aveva in serbo un truccaccio per non essere sopraffatto dalla differenza di peso di sette chili che aveva con De Boer. Nel mezzo del match, mentre si fronteggiavano, lanciò un’occhiata alle stringhe dei suoi scarponcini. Il campione si lasciò distrarre da quello sguardo, credendo di avere i lacci slacciati, e venne trafitto da un montante al plesso solare.
Leyendecker amava e odiava il modo in cui combatteva Trollmann. Era corretto e rispettoso, ma per uno come l’allenatore, nella boxe non dovevano esistere certi trucchi. Non erano contro le regole, la boxe era anche un po’ d’inganno e un po’ di scena, ma Leyendecker era tutto d’un pezzo.
La rivista che lo osannava, Box-Sport, però, da qualche tempo scriveva infamando il giovane pugile.
Dopo il combattimento con De Boer, Trollmann fu assalito dai giornalisti. Era la seconda volta che lo zingaro sconfiggeva il campione nazionale di un altro Paese. Non solo li mandava al tappeto, ma sceglieva anche il round e lo comunicava alle prime file di spettatori durante il match.
«Volete vedere che cade stecchito all’ottava ripresa?» confabulava, avvicinandosi alle corde durante l’incontro. E Johann non era un cialtrone, le sue promesse le manteneva tutte.

 
Quel giorno alla fine di ottobre era stato invitato a parlare in radio. L’intervistatore si chiamava Walter Waltz, l’aveva intervistato altre volte. Era un uomo basso, tarchiato, con un eccentrico parrucchino biondo platino.
Ma aveva la faccia grassa e simpatica, era la classica persona che piace prendere in giro con affetto.
Si sedette dall’altro lato del tavolo in cui si trovava Waltz, il microfono rotondo di fronte al viso.
Johann si era vestito di tutto punto. Un bell’abito scuro e una sgargiante cravatta verde smeraldo di velluto. I capelli erano stati pettinati alla bell’e meglio, era difficile gestire quei ricci neri.
Un operatore fece un cenno, la lucina rossa si accese. Erano in onda, faccia a faccia in quella stanza insonorizzata.

«Bentornati su Sportnachrichten. Il programma radio che fornisce notizie sportive e interviste esclusive agli atleti più in voga della Germania! Oggi con noi abbiamo il signor Gipsy Trollmann»
«Buonasera, signori» salutò.
«Di recente l’abbiamo vista confrontarsi con due campioni nazionali dei rispettivi Paesi, Ogren per la Svezia e De Boer per l’Olanda. Ancora prima ha tenuto testa a Seeling. Come la fa sentire?»
«Non dico invincibile» sorrise, piegando la testa, «ma dà una bella carica di autostima. L’incontro con Seeling, in particolare, è stato onesto e divertente. È stato un onore combattere con lui, davvero. Lui è una brava persona, ha una bella tecnica. Poi ad ogni incontro si impara qualcosa di nuovo»
«E che ci dici di Ogren e De Boer?»
«Se sono campioni nazionali un motivo c’è» alzò le spalle, «ma mi aspettavo di dover faticare di più per buttarli giù, soprattutto De Boer che pesava molto più di me»
«Immagino che non ci rivelerà mai il segreto per essere come lei, signor Trollmann. Posso chiamarti Gipsy?»
«Chiamami come ti pare, ma soprattutto dammi del tu.» rise Johann «Comunque, è davvero banale: osservare. Sta tutto nella capacità d’osservazione. Ma stiamo parlando di pugilato, quindi bisogna metterci pure ottimi riflessi, fiato, velocità e potenza»
«Credi di aver sviluppato queste abilità crescendo oppure per indole?»
Lui ci pensò un momento. «Sono molto istintivo per indole. Ma certo acume, l’attenzione, la malizia… si sviluppano crescendo in strada, come di fatto sono cresciuto io. Quando ti abitui a girare in ambienti sgradevoli, come la città vecchia di Hannover, impari a guardarti le spalle e riconoscere le persone. Devi diventare smaliziato, altrimenti sei finito»
«Era un ambiente tanto difficile?»
«Duro da vivere per un ragazzino»
«E dicci… punti a combattere per il titolo nazionale? In quale categoria, medi o mediomassimi?»
«Prima si deve presentare l’occasione. Potrebbe accadere domani come no, io sto qui e continuerò a combattere»
«Sai cosa dicono di te i giornali no? Che sei il pugile più veloce di Germania, nessuno riesce a prenderti. E che sei così abile che scegli persino il round in cui mandarli al tappeto. È vero?»
«Non sempre.» sorrise, mesto «Durante il primo round capisco se posso mandare al tappeto o meno il mio avversario durante l’incontro. Se lo posso fare, mi do un tempo limite per farlo quindi sì, decido il round in cui deve cadere. Di solito va come previsto; altre volte capitano sorprese, o non cade oppure cade prima del tempo»

Waltz si mosse leggermente sulla sedia, diede un’occhiata al foglio con le domande che aveva preparato.
«È un po’ che non compari in cartelloni pubblicitari, è successo qualcosa?»
«Se ci fai caso, ora richiedono i volti di donna»
«A proposito di donne!» esclamò, in vena di pettegolezzi, senza seguire ancora il foglio con le domande preparate «Moltissime riviste femminili parlano di una donna in particolare, che pare averti rubato il cuore»
«Anche la pazienza» scherzò Johann, con un sorriso affettuoso al pensiero di Frieda.
«Con le donne è sempre difficile venirne a capo, non scervellarti troppo. Dalle foto che sono uscite sulle riviste, si capisce che si tratta di un prodigio sportivo di pochi anni fa, Olga Frieda Bilda.»
Johann si mosse nervoso. «Sì, è lei»
«Per i nostri spettatori, che non la ricordano o non la conoscono: Olga Bilda si qualificò come una delle migliori atlete regionali in diversi settori sportivi, ovvero atletica, ginnastica, tiro con l’arco ed equitazione. Nel 1928, a soli diciotto anni, è diventata campionessa nazionale di equitazione nel cross-country. Ma, ahimé, essendo una fanciulla e di origini straniere, non è stata neanche selezionata per partecipare alle Olimpiadi di Amsterdam e, nell’estate del 1929, le venne tolto il titolo».

Mentre io firmavo il contratto per il professionismo e cominciavo la mia ascesa al successo, lei l’aveva già raggiunto e stava precipitando. Finirò anche io così? Toccherò l’apice e cadrò solo perché sono un diverso?

«E dicci» continuò Waltz distogliendolo dai suoi pensieri, «hai un debole per la signorina Bilda, perché?»
«È spontanea, sempre sé stessa, è semplice.» non gli andava di parlare pubblicamente del perché amasse tanto Frieda, dunque tagliò corto e si sbragò sulla sedia. – Tu invece? Tua moglie ti ha lasciato?»
«No, Gipsy» ridacchiò Waltz.
«L’altro giorno le ho chiesto perché continuava a farsi del male così»
Gli operatori dietro il vetro della sala stavano ridendo a crepapelle, anche Waltz scoppiò a ridere.
«Non ti agitare che altrimenti quel gatto che hai in testa mi morde» gli intimò.
L’intervistatore si toccò il parrucchino. «Oh no, è buono e tranquillo»
«Come l’hai chiamato? Figaro?»

Waltz quando rideva sembrava un orsetto gommoso, la sua pancia si muoveva a ritmo della risata. Era più divertente vederlo ridere che la battuta in sé.

«Caro Gipsy, ora dobbiamo proprio salutarci. È sempre divertente e piacevole averti con noi qui in studio. Ti ammiriamo tutti molto, ti auguriamo tutte le fortune del mondo»
Johann sorrise, gli mollò una pacca sulla spalla. «Anche io le auguro a voi, grazie».

Si alzò dalla sedia e salutò con la mano sia il conduttore che gli operatori, mentre Waltz continuava a leggere ultime notizie sportive dal giornale. Atletica, lancio del giavellotto, rugby.
Firmò un autografo per il figlio di uno degli operatori, e strinse la cravatta uscendo dallo studio radio.
Era già buio. Il cielo d’ottobre minacciava pioggia e soffiava un vento fastidioso, portando con sé foglie secche e polvere. Le auto sfrecciavano sull’asfalto.
Johann avrebbe voluto portare a cena Frieda quella sera, dopo che finiva il turno al pub. Ma non era sicuro che lei volesse: quel periodo era stressante, mancava personale e faceva turni lunghissimi.
Probabile che una volta finito neanche le andasse di stare in giro, tantomeno con quel tempaccio. Poteva portarla a casa sua, poteva passare la notte con lui. Gliel’avrebbe chiesto.
Andò a prenderla, l’aspetto fuori il pub, appoggiato ad un palo della luce. Lei uscì con i consueti vestiti da uomo, era quasi più elegante di lui.
Johann si chinò su Frieda per darle un bacio tra i capelli, poi le prese la mano intrecciando le dita alle sue. Amava tenerla per mano, la sua era così piccola che quasi spariva in quella di Rukeli, grande e dura.
«Qualche idea per stasera? – le chiese. – Ti andrebbe di venire da me stanotte? Non sei ancora mai venuta a dormire a casa mia.»
«È arrivato mio cugino Ivan. – gli rispose. – Tu, piuttosto, vuoi stare a cena da noi?»
«Va bene. Ma poi torni a casa con me?»
Lei annuì con un sorriso, portandosi la grossa mano di Johann alle labbra per baciargli le nocche.
 
 
 
Per cena, Edmund Bilda aveva preparato un ottimo spezzatino di cinghiale con patate lesse e peperoni al forno, c’era l’insalata e una piccola torta che aveva tentato di fare Frieda.
Ivan Bilda era un ragazzone di trent’anni, le spalle ampie e le braccia possenti. Aveva i capelli biondo cenere, a spazzola, e occhi malinconici di un profondo blu. La mascella squadrata, il naso bozzato. Alla comunità cosacca in Ucraina aveva un sacco di donne che lo desideravano in sposo.
Ma c’era un problema, Ivan Bilda era fidanzato. Con un uomo otto anni più giovane, un soldato delle SS. Anche Ivan si era arruolato nelle SS, per questo era riuscito a raggiungere Berlino, grazie all’alleanza tra cosacchi ucraini e il partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi.
In Ucraina stavano vivendo una situazione mortale, in cui si moriva di fame, eppure lui era rimasto un ragazzone possente. Era stato merito delle sue conoscenze nell’esercito sovietico.
Ivan Bilda piaceva, a uomini e donne, e lo sapeva: non aveva esitato a sfoggiare un po’ di sé ai soldati sovietici segretamente omosessuali pur di mangiare e far mangiare qualcun altro.
E nel periodo in cui Frieda ed Edmund erano andati fino a Kiev per riprenderlo, lui sembrava sparito nel nulla nell’ultimo periodo di permanenza.
Nonostante ciò, non aveva movenze effemminate come qualche altro. Era estremamente maschio e virile. Gli uomini della famiglia Bilda erano colossi biondi, puri slavi forgiati dai venti delle steppe cosacche e dal calore dei cavalli che cavalcavano dall’alba dei tempi.

«Anche io tiravo un po’ di boxe in Ucraina, prima del genocidio. Poi ho smesso» disse Ivan a Johann, divorando lo spezzatino.
Ivan il tedesco lo parlava male. Un forte accento slavo deformava la maggior parte delle parole. Al ragazzo vennero i brividi quando parlò di genocidio. Capì che ciò che stava accadendo in Ucraina era più serio, era lo sterminio di un’intera etnia.
Rukeli alzò gli occhi su di lui, inarcò le sopracciglia. «Un po’ si vede. Pesi massimi?»
Ivan annuì, «Dilettante»
«Peccato che hai smesso. Con la tua stazza avresti fatto strada»
«Parlano molto bene di te, qui. Il pugile ballerino» sorrise, «ma poi stendi tutti questi pagliacci ingessati»
«Sono avversari validi.» alzò le spalle «Se un giorno ti va, vieni a tirare due pugni alla palestra dove mi alleno. Mi fai sapere e ti vengo a prendere, okay, bisteccone?»
Frieda tossì, per non scoppiare a ridere.

«Siamo tutti un po’ appassionati di boxe qui.» intervenne Edmund, conciliante «Tranne Frieda. A Frieda non importa nulla, si interessa solo di un pugile»
A quel punto Rukeli scoppiò a ridere, stringendo il ginocchio della ragazza sotto il tavolo.
«Che sicuramente non è Johann Trollmann» chiarì lei con ironia, in imbarazzo, mettendosi a bere.
«Stasera posso rubarvela?» domandò Johann.
«Tienitela pure.» ghignò il signor Bilda «Ma ti avviso: disobbediente com’è, ti farà diventare matto»
«Guarda che non sono così indisciplinata.» si difese Frieda «Lo mangiamo il mio dolce oppure no?»
Tagliò a fette la torta con i frutti di bosco e panna. Aveva preparato tutto lei, e si era impegnata nel farlo. Non era male, al sapore un po’ acre ci si faceva l’abitudine.
«Bambina, la pasticceria non è roba per te» le sussurrò Johann.

Frieda, in tutta risposta, gli sporcò il naso con un po’ di panna. Lui si pulì senza che gli altri due se ne accorgessero e le lanciò un’occhiata famelica. A fior di labbra le disse che si stava arrabbiando, e sarebbe diventato cattivo. Lei gli fece una linguaccia e in risposta lui le strinse le dita sulla coscia.
Ivan ed Edmund avevano praticamente divorato le loro porzioni.
Finita la cena, Johann aspettò che Frieda recuperasse le sue cose e poi uscirono. Lui era ancora vestito elegante, lei invece aveva addosso ancora gli abiti maschili che indossava quand’era uscita dal pub, e i capelli legati.
«Siamo una strana coppia» aveva riso lei, lungo la strada verso Schluterstaße.

 
Quando entrarono, Johann accese la luce del salotto.
Era abbastanza fiero della sua tana. Aveva un unico grande ambiente con angolo cottura e tavolo con le sedie, poi un piccolo corridoio conduceva alla camera da letto e al bagno con il lucernario. Non era una casa molto spaziosa, ma non doveva metterci niente. C’era un divano, una radio, qualche scaffale con dei libri, un tappeto con le frange tutto colorato. Le pareti erano bianche. C’era anche un balconcino rettangolare da cui si accedeva dalla cucina, che lui aveva decorato con un paio di piante… Quasi morte.
Fece posare la sacca di Frieda in camera da letto. Era spaziosa, con un grande letto matrimoniale sfatto, un armadio a due ante e una scrivania vuota. Sulla sedia c’erano sparsi alcuni abiti di Johann.
Si vedeva che Rukeli non passava molto tempo in casa, e che non ci prestasse neanche molta attenzione. Però ci teneva a tenerla pulita. Ordinata no, ma pulita sì.

«Vuoi bere qualcosa? Ho la birra» fece oscillare una bottiglia di vetro con una certa fierezza.
«Preparamene un bicchiere, vado a mettere il pigiama»
«Quanti anni hai, novanta?»

Dalla camera da letto, Frieda gli lanciò una pantofola, facendolo scoppiare a ridere.
Il pigiama di Frieda: una camicia da notte di raso color perla, i riflessi rosati, con i bordi della scollatura in pizzo delicato. Stringeva leggermente il seno e il punto vita, scendeva morbida su fianchi.
Quando lui la vide, alzò un sopracciglio e non commentò. Indugiò con gli occhi sulla scollatura, intravedeva l’incavo dei seni. Deglutì a vuoto.

«Che fai qui quando sei solo?» gli chiese, appoggiandosi al muro.
«Non sono quasi mai qui» replicò con un sorriso furbastro.
«E dove sei?» indagò, quasi a volerlo sfidare.
Assottigliò lo sguardo. «Con una dannata ragazza cosacca che fa la gelosa»
«Mh, va bene.» esclamò, su di giri «Vuoi giocare a carte? È presto per dormire» si voltò per avviarsi verso la camera e prendere le carte da gioco.

Johann la guardò sbigottito e si sentì preso in giro.
Lo stava mettendo alla prova, voleva vedere quando avrebbe ceduto. Se non l’avesse desiderata così tanto in quel momento, avrebbe lottato un po’ di più per non dargliela vinta. Ma avrebbe ceduto lo stesso, lo sapeva, Frieda gli faceva crollare tutte le difese.
In un attimo fu alle sue spalle.

«Ho un’idea migliore.» le sussurrò, all’orecchio, facendola rabbrividire «Mia casa, mie regole. Sei qui con me, siamo soli, abbiamo una notte davanti, e tu indossi questa fastidiosa sottana che vorrei strapparti di dosso. Arrenditi».

Le mani cercarono i fianchi, accarezzarono il tessuto liscio della camicia da notte, ricalcando le forme dolci della ragazza. Baci bollenti sulle spalle, sul collo. I corpi attaccati.

«Da quanto tempo aspettavi questo momento, Gibsy?» sibilò con un sorriso dispettoso e sexy, le mani posate su quelle di lui.

Un sorriso famelico gli increspò le labbra, passò la lingua sui denti come un predatore a caccia.
Una mano le premeva delicatamente sul costato, appena sotto il seno, per tenerla attaccata e lui; con l’altra risaliva il fianco, portando con sé la camicia da notte e lasciando la pelle scoperta, con la punta delle dita le accarezzo la striscia di pelle appena sotto l’elastico della mutanda. Le labbra continuavano il loro percorso sulle spalle. Risalirono sul collo, raggiunsero l’orecchio. Le morse il lobo prima di parlare, in un sussurro, la voce calda ed erotica.
Tutto il bassoventre di Frieda si contrasse a quelle attenzioni.

«Ti voglio tutta, senza esclusione di colpi. Respiro affannato, guance rosse e camice da notte da strappare. Ho solo buone intenzioni con te, quelle cattive decidile tu».
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: EffyLou