Fumetti/Cartoni americani > Teen Titans
Segui la storia  |       
Autore: edoardo811    01/09/2017    2 recensioni
Quello che sembrava un tranquillo viaggio di ritorno alla propria terra natale si trasformerà in un autentico inferno per i Titans e i loro nuovi acquisti.
Dopo la distruzione del Parco Marktar scopriranno ben presto che non a tutti le loro scorribande nello spazio sono andate giù.
Tra sorprese belle e brutte, litigi, soggiorni poco gradevoli su pianeti per loro inospitali e l’entrata in scena di un nuovo terribile nemico e la sua armata di sgherri, scopriranno presto che tutti i problemi incontrati precedentemente non sono altro che la punta dell’iceberg in un oceano di criminalità e violenza.
Caldamente consigliata la lettura di Hearts of Stars prima di questa.
[RobStar/RedFire/RaeTerra] YURI
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

The Good Left Undone

XII

ROTTURA

 

«Siediti e non muoverti» ordinò Amalia, costringendo il fidanzato ancora mezzo intontito a sedersi sul bordo del letto di camera sua. Red X, incapace di fare altro, obbedì.

La tamaraniana mugugnando di rabbia andò nel bagno e rovistò in un mobile, dove recuperò garze, cerotti, tamponi e un flacone di una sostanza la cui provenienza era meglio non chiarire, che in teoria doveva fungere come disinfettante. Per fortuna re Alpheus aveva voluto garantirgli ogni qualsivoglia di assistenza, diretta e non, altrimenti Amalia avrebbe dovuto trascinare il ragazzo nell’infermeria del palazzo e li la faccenda sarebbe stata decisamente più imbarazzante.

Quando ritornò in camera da letto trovò X esattamente nella stessa posizione di prima, con le mani appoggiate sulle ginocchia, la testa bassa e lo sguardo smarrito nel nulla. Non sembrava nemmeno essersi reso conto di dove si trovava. Forse la ragazza avrebbe dovuto gettarlo nel lago per svegliarlo come si doveva, prima di riportarlo al palazzo. Sospirò esasperata e gli si parò davanti, posando gli oggetti che teneva fra le mani sul materasso accanto a lui. Afferrò un tampone, che probabilmente non era altro che un batuffolo della pelliccia di qualche animale, ovviamente pulito, e lo imbevette nel disinfettante, poi cominciò a ripulire i tagli del ragazzo.

«Guarda come sei ridotto...» disse con tono apatico, mentre gli afferrava il mento per costringerlo a tenere la testa alta e a facilitarle la pulizia delle ferite. Lo trattò quasi come un bambolotto, mentre lo curava. La ragazza gli muoveva il capo quasi con dei gesti rabbiosi e lui, più che gemere in segno di protesta, non faceva nulla. I suoi occhi erano arrossati, la testa gli ciondolava, il sangue continuava a colare dai tagli. Più lo guardava, più Amalia, anziché provare pena per lui, si arrabbiava. «... sei ubriaco fradicio, ti lasci trattare da me come un pupazzo di pezza, sei ferito, sei... sei un idiota, ecco cosa sei!» Quasi gridò, quando lo disse. Il suo sguardo cadde su un taglio più brutto degli altri, che da circa metà del naso scendeva fino all’altezza del labbro percorrendo una linea verticale. «Qui ti rimarrà un’altra bella cicatrice, lo sai? Sei contento adesso?»

Lui non rispose. Non spostò nemmeno lo sguardo verso di lei. Era assente.

«E guardami quando ti parlo!» esclamò ancora lei, stringendo la presa intorno al mento con molta più forza, facendogli fare una smorfia di dolore. I suoi occhi blu si spostarono su di lei e questa volta non c’era più alcuna traccia degli oceani profondi che alla ragazza piacevano da impazzire. C’erano due iridi qualsiasi, incastonate sopra dei bulbi arrossati, in due occhi appartenenti ad un ragazzo che in quel momento altro non era che l’ombra di sé stesso.

«Ti sembra questo il modo di comportarti? Ubriacarti tutti i giorni a quel maledetto bar e scatenare perfino una rissa? Ma cosa c’è che non va in te?!» proseguì lei, continuando a tamponare le sue ferite quasi con rabbia. «Perché devo ridurmi ad occuparmi di te in questo modo?! A leccare le TUE ferite?»

X la fissò in silenzio, senza aprire bocca. Al che la ragazza si arrabbiò ancora di più. «RISPONDI! Di qualcosa! Qualsiasi cosa! Cosa stavi pensando mentre ti azzuffavi con coloro che ci stanno ospitando, che ci stanno dando vitto e alloggio gratuiti? Che non vuoi vivere su questo pianeta?! Beh, mi dispiace dirtelo, ma siamo qui e qui resteremo fino a nuovo ordine! Perché non te lo vuoi mettere in testa? Perché?! Ma hai la più pallida idea di come mi senta io a vederti ridotto così? È quasi un mese che ogni singolo giorno ti ubriachi in quel posto, UN MESE! E oggi, come se non bastasse, te ne ritorni da la dopo una rissa! UNA RISSA! E io, stupida, che perdo perfino tempo a farti la predica e a curare le tue ferite, quando so perfettamente che domani sarai di nuovo la a procuratene altre! Perché lo fai?» Quando gli porse quest’ultima domanda, il tono della ragazza era quasi demoralizzato.

Il tono demoralizzato di chi aveva perso le speranze. Da quando erano arrivati in quel posto, Red X non aveva fatto altro che comportarsi come un bambino capriccioso. Non voleva vivere in quel villaggio, era chiaro come il sole, ma a differenza degli altri, lui non faceva niente di niente per cercare di farselo comunque andare bene. Si limitava semplicemente ad andare a quella locanda e bere, bere e ancora bere, affogando quelle preoccupazioni in quel veleno liquido che erano gli alcolici. Lui ed Amalia non avevano una discussione normale da praticamente il loro arrivo. Dopo il litigio sulle buone maniere della ragazza, fuori dalla nave, e dopo il litigio sul pericolo che Red X aveva fatto correre a Stella, le loro discussioni si erano semplicemente limitate all’urlarsi in faccia a vicenda o, nella maggior parte dei casi, a rimproveri da parte di Amalia. Vista la situazione, la ragazza avrebbe preferito di gran lunga che Red X continuasse ad assillarla con il bambino come aveva fatto in passato, anziché quello, ma lui non sembrava della stessa opinione.

All’inizio avevano una stanza tutta per loro, proprio come Robin e Stella, ma dopo circa una settimana di litigi avevano entrambi preferito prendersi camere separate. E quello era stato l’inizio del decadimento. Non avevano più fatto l’amore, non si erano nemmeno più baciati, neanche abbracciati. Red X continuava a lamentarsi della loro permanenza forzata su Quantus e lei non faceva altro che rimproverarlo per la sua mania di alzare il gomito. Unendo il tutto alla facile irritabilità di X dopo aver bevuto, beh, era un miracolo che non erano ancora passati alle mani. E tutto ciò, oltre che a far imbestialire Amalia, non faceva altro che ucciderla dentro, letteralmente. Odiava con tutta sé stessa litigare con lui, odiava rimproverarlo, odiava vedere gli sguardi rabbiosi che lui le rivolgeva, ma purtroppo non poteva fare altro. Non avrebbe mai e poi mai potuto perdonarlo per quel suo comportamento infantile. Un comportamento che un futuro padre come lui non avrebbe dovuto tenere nemmeno nei suoi sogni più lontani e impossibili.

«Dov’è il ragazzo che ho amato con ogni fibra del mio essere sulla nave, quello che mentre ero spaventata è venuto a confortarmi, quello con i pensieri profondi, quello che sapeva essere serio quando era il caso e sapeva essere il contrario se le situazioni lo permettevano? Dov’è? Dov’è...?»

«Scusa...» biascicò lui per la prima volta da quando erano lì, distogliendo lo sguardo un’altra volta, incapace di reggerlo ulteriormente.

«Scusa?! SCUSA?! È tutto quello che hai da dire?!» gridò di nuovo Amalia lasciandolo andare e smettendo di curarlo, ritraendosi da lui quasi schifata. «Scusa è quello che mi dici per avermi straziato il cuore in questo modo? È tutto quello che hai da dire per aver trasformato in un inferno la permanenza della futura madre di tuo figlio in questo posto?! SCUSA?!»

«Galvor ti aveva insultata, io non potevo restarmene con le mani in mano...» borbottò ancora lui, fissando le piastrelle del pavimento. Parlava a fatica, non sembrava nemmeno pensare le cose che diceva, probabilmente non aveva recepito nemmeno un quarto delle parole di Amalia.

In ogni caso, ciò non le impedì di serrare la mascella. «Oh, certo, quindi adesso tutto questo l’hai fatto per me! Per il mio onore! Accidenti, non hai idea di come mi senta lusingata! Anzi, sai che ti dico? Ti perdono, perché dopotutto hai distrutto un bar rotolandoti a terra con un branco di ubriachi come te per il mio onore! Sul serio, cosa può chiedere una ragazza di meglio dal proprio fidanzato? Uno premuroso, che mette la felicità della propria amata prima di ogni cosa? Anelli di diamanti? Cene romantiche? Oh, no, certo che no, non c’è niente di meglio che una bella rissa tra zoticoni!»

Red X strinse i pugni. Il tono sarcastico di Amalia non gli era piaciuto per niente. I rimproveri erano un conto, le beffe erano un altro. «Smettila...» rantolò, sempre senza guardarla.

«Io devo smetterla? Ok, sì, hai ragione, non ha senso che continui a parlarti. Dopotutto, sono solamente la ragazza che per prima ha avuto il coraggio di amarti, colei che ti ha letteralmente ridato la vita, colei che in grembo porta il NOSTRO figlio, hai ragione, io non conto un cazzo in questa faccenda, non ho assolutamente voce in capitolo. Sì, hai proprio ragione, è meglio che taccio.»

«Basta...»

«Stai tranquillo, alleverò da sola nostro figlio quando nascerà e la sera prima di mandarlo a dormire sarò lieta di spiegargli come mai papà preferisce andare ad ubriacarsi anziché badare a lui e di come, soprattutto, causa risse in mio onore!»

Il ragazzo serrò la mascella, mentre piantava le unghie nei palmi con talmente tanta forza da farsi male. «Zitta... sta zitta...»

«Un vero peccato che qui non ci siano le prostitute, vero? Immagino che altrimenti tra un bicchiere e l’altro saresti stato ben felice di mettermi un bel paio di corna come quelle dei fongoid, dico ben...»

«TAPPATI LA BOCCA!» urlò lui rialzandosi in piedi con un impeto furioso, che fece indietreggiare non di poco la tamaraniana. «Chi cazzo ti credi di essere per parlarmi così?!»

Lo scatto rabbioso del ragazzo l’aveva ammutolita per un istante, ma dopo aver udito quella domanda la voglia di parlare era tornata più forte che mai. «Chi cazzo mi credo di essere?! CHI CAZZO MI CREDO DI ESSERE?! Sono la futura madre di tuo figlio, brutto idiota! Sono la ragazza che fino ad un mese fa’ dicevi di amare alla follia, ECCO CHI CAZZO SONO! Ti basta come risposta?!»

Insultarlo in quel modo le faceva male, un male lancinante. Ma non poteva, non doveva, restare in silenzio davanti a lui.

«Tu non hai alcun diritto di criticarmi in questo modo! Ho alzato il gomito, qual è il problema?» continuò lui, allargando le braccia esasperato.

«Cos... il problema?! È TUTTO ADESSO che sto dicendo qual è il problema! Ma hai sentito una, e dico, UNA SOLA delle mie parole?! O eri troppo occupato a riflettere su cosa bere la prossima volta che andrai alla locanda?!»

«Ti credi meglio di me a criticarmi in questo modo? Tu che per prima dovresti stare zitta, con tutte le porcherie che hai fatto in passato?!»

«Non menzionare il mio passato» replicò lei ringhiando letteralmente dalla rabbia, puntandogli contro un dito accusatore. «Non osare farlo, non dopo avermi detto tu stesso che potevo metterci una pietra sopra! Non cercare di cambiare soggetto, perché caschi malissimo.»

«Io casco male? Ah sì? E tu che hai distrutto il tuo pianeta e hai cercato di uccidere la tua stessa sorella dove caschi invece?!»

Amalia ammutolì di nuovo. Incrociò lo sguardo di Red X e lesse chiaramente la rabbia nei suoi occhi. Poteva aver parlato in preda ai fumi dell’alcol, poteva non aver davvero pensato quelle cose, ma quelle iridi dicevano tutt’altro. Lo aveva detto. Lo aveva davvero detto. Le aveva rinfacciato il proprio passato come scusa per uscire dai propri problemi. Le aveva sferrato un colpo basso ben più doloroso di un calcio o un pugno vero. Lui non l’aveva mai picchiata, non aveva mai osato alzare un dito su di lei, ma in quel momento fu come se lo avesse appena fatto. Per lei fu impossibile tenere a freno la mano. Un po’ perché voleva negarlo, un po’ perché non voleva che lui vincesse quella discussione in un modo così infimo, un po’ per la sua stessa disperazione, gli sferrò un fortissimo schiaffo, colpendo oltretutto un punto sul suo volto già segnato da un brutto ematoma viola.

Vi fu un rumore orrendo, il ragazzo fu costretto a voltare la testa di profilo dopo l’impatto, la sua guancia si fece già visibilmente arrossata. Abbassò lo sguardo, serrò le labbra e così rimase, per diversi istanti.

Amalia lo osservò con il fiato grosso, gli occhi lucidi, molto prossimi al pianto, e la mano ancora sospesa a mezz’aria. Guardò quel ragazzo che aveva amato con tutta sé stessa, per il quale aveva avuto così tante considerazioni positive che ormai aveva perso il conto, per il quale aveva provato molti sensi di colpa per tutte le volte che lo aveva rimproverato. In quel momento sapeva che, dopo quella loro discussione, dopo il gesto da lei compiuto, nulla sarebbe più stato come prima. Qualcosa si ruppe, nei toraci di entrambi. E non fu bello. Non fu bello per niente.

«Esci da questa stanza... esci...» mormorò lei, quasi implorante, con le prime lacrime che solcavano le sue guancie. «Non voglio più vederti.»

Il ragazzo fissò ancora il pavimento, sbattendo le palpebre, muovendo la mascella infastidito dal dolore bruciante alla guancia, poi drizzò la testa, evitò rigorosamente lo sguardo della ragazza e si diresse alla porta. Amalia si abbracciò il ventre come se si fosse appena ferita o come se stesse cercando di proteggerlo, mentre il suo sguardo si abbassava e la vista le si appannava per via delle lacrime salate.

Red X si fermò sull’ingresso, un istante dopo aver aperto la porta. Fissò il corridoio deserto con sguardo indecifrabile. «Così è finita?» domandò, con tono incolore. Poteva essere triste, arrabbiato o perfino felice, era impossibile capirlo.

Amalia non si voltò neanche. Non rispose nemmeno, rimase con la testa bassa, a morire dentro in silenzio.

Lui grugnì, anche se non aveva ottenuto risposta. «Bene.» Uscì dalla stanza senza nemmeno portarsi dietro l’occorrente per medicare le altre sue ferite e sbatté la porta. L’eco riecheggiò per tutti i corridoi, arrivò dall’altra parte del castello, mentre per Amalia fu qualcosa di ben peggiore. Quel rumore non era un semplice effetto acustico. Era il punto di non ritorno. Aveva chiuso quella porta e con essa un capitolo delle loro vite. Era la fine tra loro due.

Singhiozzò molto più forte, massaggiandosi il ventre, la custodia di ciò che era il frutto dell’amore tra lei e Red X, che da quel giorno in poi altro non sarebbe stato che una cicatrice lasciata dalla loro relazione. Le lacrime scivolarono sul suo volto, le caddero sulle mani, sul ventre, sul pavimento. E poi arrivò la disperazione vera e propria. Aveva il materasso poco distante da lei, ma non riuscì ugualmente a raggiungerlo. Crollò in ginocchio e riversò tutto il suo dolore e la sua sofferenza in un pianto che mai e poi mai si sarebbe aspettata arrivasse in quel modo.

 

***

 

I Titans si accomodarono nella sala da pranzo, anche se presto avrebbero dovuto consumarvi la cena. Una stanza come le altre, molto ampia, con il pavimento ricoperto da lucide piastrelle nere, muri e soffitto verniciati dello stesso colore, lisci e senza imperfezioni. Uno sfavillante lampadario risplendeva sopra le loro teste. Era costituito da un materiale simile al cristallo, sul quale i raggi del sole ormai calante che entravano dalla finestra si riflettevano, illuminando tutta la stanza. Decine di quadri raffiguranti i probabili predecessori di Alpheus li osservavano severi, accanto ad altre tele raffiguranti paesaggi e nature morte o astratte.

Al centro della sala sorgeva un enorme tavolo circondato da decine di sedie con sedili di pelle, morbide e confortevoli. La tovaglia era bianca e immacolata, diverse brocche contenenti acqua fresca e bevande simili al vino erano già disposte su di essa, insieme a due tipi di calici, uno per l’acqua e uno per il vino, le posate erano d’argento ed erano almeno sei per parte, disposte in modo da formare una scala decrescente. Inutile dire che i Titans, BB in particolare, usavano la stessa forchetta e lo stesso coltello per ogni cosa, così come lo stesso calice. Il mutaforma una volta aveva perfino usato la tovaglia per pulirsi le labbra macchiate, ottenendo poi i migliori sguardi omicidi da parte di Robin e Corvina. L’unica che se la cavava egregiamente in quell’ambiente reale era Stella, per ovvi motivi. Neppure Amalia sapeva come comportarsi con tutte quelle posate, o Terra, la quale era scappata dalla propria famiglia reale da tempo immemore e di quella vita non ricordava alcunché. Erano tutti pesci fuor d’acqua, in poche parole.

Parlottarono a bassa voce, del più e del meno. BB e Cyborg erano seduti vicini, come al solito, così come Robin e Stella, che si trovavano accanto a loro. Terra invece era seduta dall’altra parte del tavolo, con un posto vuoto alla sua destra e due alla sua sinistra. Il primo era destinato a Canoo, che sedeva sempre vicino ad Alpheus, il capotavola, mentre gli altri due erano di Amalia e Red X, il quale sedeva vicino a Corvina, l’altra capotavola. La bionda avrebbe voluto con tutta sé stessa sedersi vicino alla maga, ma purtroppo avrebbero entrambe finito con l’attirare l’attenzione e La Salvatrice non voleva.

Passarono diversi minuti prima che un’altra persona li raggiungesse, ovvero la stessa capotavola. Entrò nella sala con passo aggraziato, tenendo lo sguardo alto e facendo di tutto per non incrociare gli occhi dei suoi amici mentre il suo corpo seminudo era in bella mostra. Terra arrossì quando la vide e si costrinse a tenere le iridi incollate alle posate sulla tovaglia. Il suo cuore accelerò i battiti quando la maga si sedette e finalmente salutò i compagni. Ogni volta che sentiva la sua voce le pareva quasi irreale, considerando i momenti lunghi come anni interi che trascorreva senza sentirla. La bionda alzò appena lo sguardo, per poi incrociare proprio gli occhi della maga. Fu solo un’occhiata di sfuggita, le loro iridi si sfiorarono appena, ma bastò ad entrambe per farle fremere.

«Corvina, stai bene?» le domandò Robin, distogliendo la loro attenzione. «Ci sono novità?»

La maga sospirò e scosse la testa. «No, purtroppo no. Ci sto lavorando, ve lo giuro, sto facendo del mio meglio per riuscire a toglierci tutti da questo impiccio, ma ora come ora i risultati sono zero. Mi dispiace, dovrete resistere ancora un po’ di tempo.»

Il leader annuì, mascherando la sua esasperazione. «Ok... se solo ci dicessi cosa dobbiamo fare per aiutarti, noi non esiteremmo a...»

«Non potete fare niente» lo interruppe la maga con tono fermo. «Se volete davvero aiutarmi, dovete solo restarvene in disparte e portare pazienza.»

Robin ammutolì e rinunciò. Corvina era l’unica che riusciva ogni volta ad avere l’ultima parola con lui.

«Canoo ed Alpheus dove sono?» domandò Cyborg.

La maga spostò lo sguardo su di lui. «Non li vedo da un po’. Alpheus è rimasto impegnato tutto il giorno, mentre Canoo è rimasto con me fino a qualche ora fa’, ma poi anche lui se n’è andato. Credo che a cena li vedremo di nuovo... piuttosto, anche qui manca qualcuno. Red X e Amalia?»

Stella trasalì, stringendo con una mano una posata, con l’altra il palmo di Robin. Quella sua reazione sorprese Corvina, che inarcò un sopracciglio. «Che è successo?»

«Problemi alla locanda...» sospirò Cyborg. «X e Galvor hanno avuto un brutto battibecco che è sfociato in una rissa. Io ero presente quando è successo. Ho cercato di intervenire, ma gli amici di Galvor mi hanno trattenuto.»

Corvina ascoltò incredula il racconto. «Ma... perché Galvor e Red X lo hanno fatto?»

Il robot si strinse nelle spalle. «A Galvor non piace la nostra presenza e a Red X non piace Galvor. Metti insieme le cose, aggiungi il fatto che entrambi erano ubriachi, ed eccoti la spiegazione.»

Non appena terminò di parlare, la maga appoggiò la testa allo schienale della sedia e sospirò. La situazione cominciava davvero a farsi problematica. «Almeno voi due state bene?»

Cyborg annuì. «Io abbastanza, era X quello messo male, ma Amalia lo ha preso con sé e lo ha portato al palazzo, probabilmente si starà occupando di lui in questo momento.»

La ragazza si prese il mento, riflettendo. Il fatto che Red X odiasse quel posto era saltato all’occhio di tutti praticamente subito, perciò forse avrebbe fatto meglio a parargli di persona. L’ultima cosa che voleva, erano problemi con i fongoid in città. Non aveva alcuna voglia di mettersi a cercare cosa dovesse fare in quanto Salvatrice e calmare perfino gli animi dei cittadini.

Terra osservò Corvina. Com’era bella, anche quando rifletteva. E si sentì in pena per lei. La maga era quella su cui praticamente tutti stavano facendo riferimento, in quel frangente. Ricopriva un ruolo di vitale importanza per i fongoid, da quello che aveva capito, e allo stesso tempo doveva anche trovare il modo di permettere ai suoi amici di andarsene da quel pianeta e rivedere casa loro. Quanto avrebbe voluto aiutarla, o anche solo consolarla con un abbraccio, ma nulla di tutto ciò le era concesso. Poteva solo guardarla mentre le sue occhiaie peggioravano e i suoi capelli si facevano sempre più incolti. Corvina era esausta, si vedeva da chilometri e chilometri di distanza. E lei non poteva farci nulla.

Rimase così tanto concentrata sulla maga che non si accorse che Robin aveva notato il suo sguardo e aveva inarcato un sopracciglio, rimanendo in silenzio. Non appena Terra si accorse di avere il riflettore del leader puntato su di sé, trasalì e incrociò il suo sguardo. Il ragazzo la osservò con aria interrogativa, lei per tutta risposta abbassò di nuovo gli occhi, incapace di sostenere le iridi azzurre di lui, pregando con tutta sé stessa di non essere arrossita o quell’impiccione avrebbe capito tutto. O peggio, avrebbe potuto fraintendere e credere che fosse arrossita per causa sua.

Non poté rimuginarci più di tanto, perché altri due dei mancanti all’appello entrarono nella sala: Canoo e Alpheus. I ragazzi fecero per alzarsi in segno di rispetto, ma il re li liquidò. Sembrava piuttosto agitato, così come Canoo. «Mi è giunta voce che il capitano delle guardie Galvor e il vostro amico hanno avuto un diverbio alla locanda di Bardock, ebbene, ciò è vero?»

I ragazzi si scambiarono occhiate nervose, ognuno di loro temeva che ad Alpheus la cosa sarebbe piaciuta molto poco. Fu Robin, poi, a rispondere. «Sì, purtroppo sì. Tutti noi siamo terribilmente dispiaciuti e chiediamo scusa a nome suo.»

Alpheus sospirò esausto, sorprendendo tutti i presenti. Non parve arrabbiarsi, semplicemente... tutto ciò sembrò farlo sentire ancora più vecchio e stanco. «No, sono io che devo chiedere venia a nome di Galvor. È sempre stata una guardia leale e un ottimo lavoratore, ma ultimamente sta davvero rischiando di manomettere la sua posizione. Provvederò immediatamente a lui.»

«No, non serve, davvero!» lo fermò Robin, con un gesto della mano.

Ma il re scosse la testa. «Non è la prima volta che Galvor si lamenta di voi, anche se non avete mai fatto nulla di male. Immagino che se il vostro amico ha litigato con lui, è perché è stato provocato, ho ragione?»

Gli sguardi si posarono su Cyborg, l’unico che avrebbe potuto rispondere con certezza. Il robot osservò i presenti, poi sospirò e guardò il re. «Sì, Galvor aveva insultato la sua fidanzata.»

L’anziano fongoid grugnì infastidito, battendo lo scettro a terra. «Come temevo. Non vi preoccupate, mi assicurerò che non vi dia più fastidio. Voi siete nostri ospiti e non meritate simili trattamenti. Gli manderò un richiamo ufficiale. Piuttosto, adesso il vostro amico dov’è? Qui non lo vedo.»

«La sua fidanzata ha pensato a lui. Credo che lo stia aiutando con le sue ferite.»

Il re annuì. «Molto bene, cercherò di parlare anche con lui quando ne avrò modo. Se lo vedete, ditegli che la nostra infermeria è sempre aperta e che se ha bisogno di cure più grandi può benissimo dirigersi lì. E ora scusatemi, ma non posso trattenermi a cena con voi, questa sera. Devo occuparmi immediatamente di questa faccenda. Se Galvor vi infastidirà di nuovo, lo solleverò dal suo incarico.»

Nessuno dei presenti era in vena di discutere la decisione di Alpheus, anche se i motivi per farlo erano molti. Se Galvor si fosse visto sollevare l’incarico da Alpheus per colpa loro si sarebbe sicuramente arrabbiato più di quanto già non fosse e la situazione già grigia non avrebbe fatto altro che peggiorare. L’anziano sovrano si congedò poco dopo e uscì dalla sala. Canoo andò invece a sedersi nella sedia tra Terra e Corvina, anche lui sospirando piuttosto esausto. Si stravaccò letteralmente sulla sedia, incrociando le gambe e cominciando a dondolarsi. «Davvero, scusate Galvor, ma è un idiota. E io non smetterò mai di ripeterlo.»

Un sorriso scappò dalle labbra di alcuni dei presenti. Canoo in assenza di Alpheus e dunque non costretto a comportarsi in maniera regale, spesso e volentieri parlava senza mezzi termini.

«Nessun problema, davvero» rassicurò Cyborg, giocherellando con una posata. «Era ubriaco, dopotutto.»

«Motivo in più per non tenerlo come guardia...» brontolò Canoo, posando entrambe le mani sul proprio grembo. «Ma purtroppo lui è uno dei pochi in grado di far funzionare gli Scettri...»

Quelle parole incuriosirono tutti i presenti. «Gli Scettri?» domandò Robin a nome di tutti.

Lo sciamano annuì e afferrò il proprio bastone, che aveva poco prima appoggiato a terra, lo sollevò e lo mostrò a loro. «Vedete, la gemma che vedete incastonata qui è in realtà uno dei molti reperti storici lasciatici in eredità dalla razza che visse su Quantus prima di noi, gli Zoni. Ognuna di queste pietre possiede un enorme potere, che non tutti sono in grado di utilizzare.» Mentre parlava, strinse più forte la presa intorno al manico e la pietra brillò di una tenue luce azzurra, dopodiché il lampadario si spense completamente, per poi riaccendersi pochi istanti dopo, facendo gemere di sorpresa tutti i ragazzi. «Io sono colui che meglio di tutti riesce a maneggiare questi oggetti, perciò sono divenuto lo sciamano del villaggio anni orsono. Le guardie come Galvor riescono solo a generare sfere di energia da usare come armi, mentre io posso fare molto altro, come avete appena visto» concluse, posando di nuovo a terra il bastone.

«Wow...» borbottò BB. «Ma... credevo che i fongoid non fossero dei guerrieri!»

«Infatti non lo siamo, ma dovremo pur difenderci in qualche modo, no? Dopo gli avvenimenti di diversi anni fa, poi... Dubito che, tuttavia, riusciremmo a vincere un conflitto con altri predoni, ma ci piace pensare di potercela fare, grazie a queste pietre.»

Robin finalmente scoprì come mai quella volta che Galvor gli aveva puntato il bastone, la sua pietra si era illuminata. «Ed è difficile controllare questa energia?» domandò, interessato.

Lo sciamano piegò la testa. «Non tutti ci riescono. Saper usare queste pietre è una capacità che si ha con la nascita e che non si può imparare in alcun modo. O ce l’hai, o non ce l’hai. L’unica cosa che si può fare con essa è perfezionarla, come io ho fatto, ma come potrete ben intuire, prima bisogna possederla. Galvor ha avuto la fortuna di avere ciò, così come tutte le altre guardie e lo stesso Alpheus.»

«Puoi riparare navi con quello?» si intromise Cyborg, anche se la risposta già sospettava di saperla.

Lo sciamano ridacchiò, rispondendo ironico: «Certo, poi posso spegnere il sole e dominare l’universo...»

«C’ho provato!» borbottò il robot, tornando a guardare la forchetta.

«Anche... anche le pietre che hai intorno al collo hanno quel potere?» domandò Terra osservando la collana di cristalli dello sciamano. Le differenze, infatti, erano minime. Tra esse e la pietra dello Scettro cambiavano solo le dimensioni.

Il fongoid fece un cenno di diniego con la testa. «Non proprio. Queste...» Staccò uno dei cristalli e lo diede alla ragazza, che lo prese fra le sue mani e lo osservò rapita. «... sono molto più piccole di quelle degli Scettri, non hanno che un briciolo del loro potere. I fongoid le usano semplicemente come scaccia fantasmi, o per allontanare la mala sorte.»

«Nemmeno se usate tutte insieme?» insisté Terra sollevando gli occhi dalla pietra, suscitando sguardi incuriositi da parte di tutti, anche da Corvina. La maga sorrise di fronte all’interesse della bionda. Adorava la sua espressione incuriosita. Sembrava una bambina.

Canoo, nel frattempo, scosse nuovamente la testa. «Nessuno è mai riuscito a controllare più di un cristallo per volta, nemmeno io. Altrimenti si scaturirebbe un’energia non indifferente ed incontrollabile.»

«Oh...» mormorò Terra, sorpresa e in parte anche delusa. Fece per restituire la pietra, ma lo sciamano la rifiutò, sorridendo. «Tienila pure, tanto di quelle ne ho a bizzeffe.»

La ragazza si illuminò. «Posso davvero? Grazie!» Si mise la pietra in tasca, sorridendo gioiosa.

Lo sciamano addolcì la sua espressione, guardandola, poi si voltò verso il corridoio, quasi adirato. «Allora, questa cena quando arriva? Io ho fame!»

Alcune risatine si sollevarono quando lo videro comportarsi in quel modo.

Diversi fongoid arrivarono poco dopo, quasi come se le parole di Canoo li avessero appena svegliati, portando ogni qualsivoglia di ben di dio sulla tavola e imbandendola come un buffet. Lo sciamano si sfregò le mani compiaciuto, una volta che i camerieri furono lontani, poi ci diede dentro. E nel giro di poco tempo tutti i ragazzi lo imitarono, dimenticandosi completamente delle formalità. Dopotutto, Alpheus non c’era.

Nel giro di poco tempo la conversazione si ravvivò e si cominciò a parlare del più e del meno, diverse risate scapparono alcune volte. Tutti quanti sembrarono ricordarsi solo allora che, dopotutto, erano tra amici e che pertanto divertirsi era lecito. Pure Stella, dapprima angosciata per la sorella e Red X, riuscì a dimenticarsi di quei grigi pensieri e si lasciò andare.

Fece tremendamente bene a tutti loro ridere un po’, anche Corvina riuscì per quel momento a scordarsi delle sue responsabilità. Non rise come gli altri, né fece battute, si limitò a sorridere e a gustarsi l’ottimo cibo preparato dai cuochi reali. E le occhiate tra lei e Terra con successivi rossori non mancarono di certo.

Nessuno di loro avrebbe mai potuto immaginarsi cosa fosse appena successo sopra le loro teste, nella camera di Amalia e Red X e che, mentre loro ridevano e scherzavano, qualcun altro piangeva disperatamente.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Teen Titans / Vai alla pagina dell'autore: edoardo811