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Autore: queenjane    02/09/2017    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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“Te lo affido”enunciò, la voce grave, i movimenti pesanti, mentre il ragazzino vibrava di gioia, aveva fatto fessi sia me che suo padre, i suoi occhi trionfavano di gioia e soddisfazione, un folletto, birichino e malizioso.
Dormiva nella stessa stanza, sempre lo seguiva passo per passo,  e non trovandolo quella mattina si era vestito piano e lo aveva tallonato, voleva fargli una sorpresa e la sorpresa l’aveva ben fatta a entrambi, lui credeva che non si sarebbe svegliato, confidando nel suo sonno immobile, di bambino e aveva altri pensieri, ritrovare ME e tanto altro (Nicola apprese che quando aveva incontri molto delicati doveva affidarlo a persone di fiducia, per non ritrovarselo ai talloni, il talento nell’evadere e spuntare all’improvviso era infinito).
Aveva seminato il suo marinaio infermiere, le guardie,tralasciamo che era davvero presto, una felice combinazione, il suo nuovo passatempo, più cresceva e meno tollerava l’essere guardato a vista, era diventato bravo come un agente della polizia segreta, un vero segugio a cercare varchi, osservare e via così.  Ed era presto, veramente presto.
Ed era una alba come una altra, pallide nuvole scialbavano il cielo a oriente, tipiche della fine dell’estate, indaco e grigio, pensava a tutto, tranne che non si sarebbe aspettato di trovarmi.
Vestito come un ragazzo che seguiva le truppe, nel suo lungo cappotto di cadetto, vicino al quartiere generale, era passato come un semplice soldato, la figura sottile ed elegante.
La sorpresa, reciproca, un momento immobile, poi avevo aperto le braccia e mi si era buttato addosso, lo slancio così forte da far quasi perdere l’equilibrio, eccolo che mi si era stretto contro. Con gioia, incredula lo guardavo.
Cat”
“Aleksej, amore, ciao”lo baciai, commossa, sussurrando, non mi pareva vero che fosse con me“ Tesoro mio, che bello, come sei diventato grande..” le ginocchia per terra, lo serravo tra le braccia, stretta con pari zelo
.
Lui mi  riempiva il viso di baci, le dita contro i miei corti capelli. L’ultima volta che mi avevo visto li portavo lunghi fino alla vita,raccolti in suntuose trecce o chignon,  nel 1915 erano corti come quelli di un paggio irriverente, castano scuro, scintille mogano che si accendevano sotto i barbagli del sole, rubino e melagrana scuro.
Era cresciuto e, insieme, era rimasto il fanciullo che avevo amato, che amavo, desideroso di storie,che amava Achille.
Di profilo, ora ci somigliavamo come incisioni, mio zio lo aveva, infine, capito, ignorando volutamente il prezzo pagato da mia madre Ella. E non formulava la domanda, una coincidenza, ci poteva stare, di più no.
Io pensavo solo a me stessa e ai miei guai, mentre Ella cercava di fare il proprio e l’altrui bene, presiedeva ai comitati caritativi, educava il mio fratellino, dei suoi sogni o delle sue speranze nulla diceva, era una principessa, in attesa, costante, la sua bellezza si era tesa e raffinata, era sempre molto bella, nonostante la malinconia, ormai aveva scavallato le quarantaquattro primavere.
“ Cosa fai qui?” Ridendo. Commosso.  “Sei tornata, Catherine, Cat, sei tu.. Vero, non era un addio” già .. avevo fatto finta di non sentire quella sua domanda, ansiosa, precisa, illudendomi che era un bambino e avrebbe dimenticato, conoscevo tante lingue e tante parole, non avevo saputo mentirgli su quella questione specifica. “Ti tocco, ci sei, sei vera”
“Una sorpresa. Forse. Hai sbattuto da qualche parte?sono io … più ossa che carne, e tanto sono io, Zarevic, ti fa male qualcosa”
“NO. Catherine. Sono sicuro” prevenendo la successiva, ansiosa domanda.
“Sono qui, in segreto” Le mie labbra si aprirono in un sorriso mentre valutava gli stivali, i pantaloni e la scura giacca che indossavo.
“ E non devo dirlo”, contrattò svelto. “Desidero .. Anzi voglio che.. “
Lo zar scosse la testa, rassegnato. “Sentiamo, cosa vuoi?”
“Alessio. Aleksej Nicolaevich, Zarevic, bambino mio  .”Gli toccai le spalle, poi la fronte. “Cosa vuoi?” Una mezza idea la avevo.
“Passare la giornata con te. Con te, Catherine, Papa. Mi è mancata, la voglio, è mia” Ricordava così tanto Olga da spezzarmi il fiato, e non ero la sola, anche lo zar pensava la stessa cosa”Senza marinai o precettori. Per favore, ti prego, Papa“un tono a mezza strada tra la supplica e il comando, e mi si era cacciato e stretto addosso, ricambiato con trasporto, lo stringevo ed era una liberazione dal dolore e dal buio di quelle lunghe stagioni.
“Va bene. Dalle retta, le devi obbedire in tutto, nessun capriccio, non scappare a  destra e manca, come fai di solito, o è la volta buona che ti metto in punizione, te la senti, principessa?”Un cenno con il mento, non volevo deludere lo zarevic nel breve periodo, nel lungo lo avrebbe imparato troppo presto.
“Lo sapevo, che tornavi, anche se ci hai messo tanto”Glissammo di correggere il refuso grammaticale. Mi augurai di saperlo gestire, intanto mi si era già attaccato alle gambe, per maggiore sicurezza, e sradicarlo sarebbe stato un duro affare . E io gli avevo messo le mani sulle spalle, a stento mi ero trattenuto dal prenderlo di nuovo in braccio, eravamo noi, di ritorno, attenti e fragili, finalmente lo rivedevo, un tesoro senza merito.
 Rise quando lo baciai sulle guance, gioia, stupore, meraviglia, il suo nome un incantesimo contro il male, lui ripeteva Cat e mi stringeva, districarlo sarebbe stata una inutile cattiveria. E sarei andata via, senza fallo, la felicità di quei momenti l’avrebbe riscontata alla partenza.
Per questo avrei preferito non vederlo. E intanto me lo caricai addosso, ero tornata a casa.
“Alessio, zarevic, tesoro”
“Prendimi in braccio.. forza” mi sdraiai sull’erba, stringendolo “Forza, Catherine, dai”mi mise i gomiti sul petto, ridendo da capo, enunciando che ero tanto buffa
 
 
“Lo sai che è una parentesi?”
“Sì, Catherine”
“Che mi devi dare retta”
“ Ma ..”corrugando la fronte, un preludio a qualche questione spinosa.
“Cosa?”
“Se sei in Francia, che ci fai in Russia?”Eccoci, era davvero intelligente, altro che storie.
“Un segreto, Aleksej.” Camminavamo nei boschi vicini alla città, ogni tanto mi toccava il fianco con la spalla, il polso con le dita, giusto per sincerarsi che non fosse un incantesimo, che vi fossi per davvero. Le foglie cadute componevano un arazzo, rame, oro e bronzo sotto i piedi, nell’aria profumo di mele e more, sopra di noi volavano stormi di rari uccelli migratori.
Che  scuse si sia inventato lo Zar, gli espedienti li ignoro ancora oggi, pregavo tutti i santi del calendario e alcuni di mia invenzione che non accadesse nulla, un urto poteva avere affetti deleteri.Ed era  l’ennesima prova di quanto Nicola II si fidasse di me, affidando il figlio delicato e cagionevole a una persona non meglio specificata, che tornava sgangherata e spiritata da ingaggi non  meglio definiti. Sua moglie sarebbe inorridita, con ogni buon diritto, sottolineo,  ogni sera alle nove entrava nella stanza dello zarevic, pregava davanti alle sue icone, come se il bambino fosse a casa, attendeva le sue note giornaliere e scriveva a sua volta, invitando lo zar a fare attenzione.
“Come un soldato. Io sono un soldato dello zar”Omettendo la stanchezza, le missioni compiute, gioco o caso, mete rincorse senza scopo, e vinte per caso.
Strinsi le palpebre.“Ma non combatto in trincea”Semplici parole per spiegare il nuovo destino, dai giorni dell’addio che mi ero forgiata dall’anno prima.
“ In un altro modo, un reparto segreto. Già. A Olga piace Achille, a te il re Ulisse. Che si traveste e cerca sempre una soluzione”
“Perfetto, hai centrato il punto” peccato che Cassiopeia fosse un misto tra Achille e Ulisse. La lezione l’aveva appresa e declinata in modo sorprendente.
“A Olga manchi. Non dice nulla, ma scorre 10 volte le tue lettere, quelle che ci mandi, diciamo che sono pensieri raffazzonati, anzi manchi a tutti. E tanto lei non lo dirà mai, almeno a me, appena lo ammette tra di sé ” Improvviso. L’amore non segue il merito, io che ritenevo di non meritare nulla ne ricevevo, accadeva e basta, che ironia.
“ Ti ricordi la storia di Achille, dei travestimenti e degli incantesimi?“Parole semplici per spiegare l’inenarrabile. Una mano sulla schiena, rimisi a posto una ciocca di capelli sul viso, frammenti di tenerezza.
Una pausa, Alessio mi osservava con tanto di occhi  sgranati, una sfumatura di zaffiro e indaco nello sguardo (come ha avuto poi Felipe, Andres aveva indovinato che sarebbero tornati dove meno li attendevo, quel nostro primo figlio era il nostro reciproco capolavoro).Omisi di chiedere di Olga,nello specifico,  in quei momenti, che non dovevo guardarmi la spalle, la sua mancanza era un tizzone avvelenato.
Capì al volo che non ero pronta a parlare di Lei, che a sua volta ben di rado mi nominava.Eravamo in un momento di pausa, per intrattenerlo e non camminare per ore avevo avuto la leggiadra idea di insegnargli a smontare e rimontare la pistola, una vera. Davanti ai suoi perché  e  cosa, mi ero alleggerita, ridendo di cuore, se vuoi ti insegno.
“ Tieni così le mani, le braccia così..”
“Tre, due e uno..!
“Bravissimo.. hai preso le pigne!!!
Odore acre di polvere da sparo, la resina.. giusto due tiri, per evitare di ritrovarci addosso una pattuglia. Se non fosse stato malato come era avrebbe avuto un grande potenziale, era preciso e coordinato, le mie non erano illusioni affettuose. Sarebbe andato a caccia, a cavallo, avrebbe giocato a tennis, si sarebbe arrampicato sugli alberi, avrebbe giocato e si sarebbe goduto in pieno la vita.“.. ho fame”.
Annuendo.
Tirai fuori due panini, ripieni di prosciutto e formaggio, Alessio aveva così fame da spazzolarlo in pochi minuti, in genere farlo mangiare era una lotta, una supplica e una contrattazione, non aveva mai appetito, ogni pasto era una tortura per lui e i suoi, si alzava di continuo, faceva le smorfie, parlava e parlava, era un successo fargli mangiare tre o quattro forchettate, non lo inibiva nemmeno la presenza di estranei, anzi, era ancora più bizzoso. Definirlo maleducato e irrispettoso era un eufemismo. O era un modo per controllare gli altri, una situazione che poteva gestire. Il cibo, osservo, lui che era monitorato a vista.
E colsi quella grazia inopinata, di non supplicare per un boccone..


Era un rischio, ogni movimento brusco poteva essere fonte di una crisi, ma, ormai, era cresciuto ed era un errore che fosse controllato a vista, come un infante. Doveva essere più autonomo possibile per avere maggiore auto controllo e la Stavka era una grande avventura, in un dato senso, lontano dal palazzo di Alessandro e dalle ossessioni materne, ansie giustificate peraltro e basate sulla imprevedibilità del morbo. Che, cresciuto, non sarebbe stato il suo bene se fosse rimasto un moccioso viziato e petulante. E insieme era un macroscopico azzardo, poteva stancarsi troppo, prendere più spesso malattie o semplici scossoni rimanendo in treno con conseguenze inenarrabili.
“Con Papa, abbiamo visitato un ospedale di feriti, è stato .. duro. C’era puzza, i malati si lamentavano e molti non avevano un braccio o una gamba, o mancavano entrambi. O deliravano per il dolore”
“E che hai fatto?” bloccai il movimento, lo volevo accarezzare, una tenerezza potente e sconosciuta.
“ Il saluto militare e detto che ero orgoglioso, che erano valorosi, anche se era tremendo che fossero .. feriti. Mutilati. E visitato le truppe, tante sai”  Mi scostò delle ciocche di capelli dalla fronte, sfiorando la cicatrice, quella della caduta a cavallo del 1906, poi la guancia, la appoggiai contro il suo palmo, per un momento. 
C’est le guerre, Alexis” Lo dissi in francese, una leggerezza apparente, è la guerra, Alessio, incartando i resti del mio panino.
Mi era passata la fame tuttavia. Avevo timore di quello che mi avrebbe riservato mio zio. Se lo zar esponeva suo figlio, il suo solo erede a quelle realtà, a me che sarebbe spettato?
“ Già, vedo, sei una principessa soldato. Come il dragone della tua storia segreta”
“ Te la ricordi?”
“Sì, poi anche Olga le racconta. Vedi, fa l’infermiera con Mamma e Tata,(l’affettuoso nomignolo per Tatiana) il pomeriggio legge o suona per chi sta meglio, dei convalescenti, sta insegnando a scrivere meglio a un soldato, si chiama Michael.. e legge, come sempre, e ha annotato le storie che dicevi su un quaderno, le ripesca e le ridice” la cronaca di un bambino che raccontava una nostalgia.
Spero solo di non vederti mai più.. Come no..
Sbattei le palpebre, mi stava venendo da piangere “Già, alcune sono belle. Mi  manca..”E le avevo forgiate per sottrarmi a un lungo incubo, una bambina diffidente, curiosa e arrogante, amata solo da Olga e ricambiata in ben misero modo.
“Ritorna e fate pace, se avete litigato, anche se lei nega e tanto è colpa sua. Comunque stasera, mi racconti te qualcosa”
“ Va bene. Aleksej, lei  non c’entra nulla.. ho fatto tutto io“Deglutii e mi ricomposi. Non era un litigio, era uno scontro tra Titani, una lotta fra sorelle, la riconciliazione sarebbe stata ben difficile.
“Intanto stamattina non ti ho pesato per bene, quanto sei cresciuto? Fatti sollevare, vieni qui” Mi allacciò per la vita, lo sollevai contro il fianco, come sempre, come al solito. I lineamenti delicati, fini e regolari, i capelli castani e le iridi meravigliose, indaco e zaffiro, era alto e sottile, gli arti snodati e magri, una meraviglia, la mia.


Dopo, con il senno degli anni, ho capito che per lo zarevic quella fu una parentesi incantata. Sempre oppresso dai divieti, dal non fare, la permanenza alla Stavka con lo zar, con annessi e connessi, fu un punto di luce.
Era un piccolo soldato e tutto poteva accadere, compreso il ritrovare me.
E Andres fu suo amico, nonostante la differenza di età.
Un segreto, una favola. Amara, che, in fondo, era sensibile e timido e le continue crudeltà e molto altro gli fecero più male che bene, rendendolo nel lungo periodo irrequieto e frettoloso, con incubi notturni e risvegli continui, e mi si attaccò e lo feci attaccare a me oltre misura, peraltro ricambiato.
Vidi che era stanco, per non umiliarlo con i soliti veti gli proposi di venirmi a cavalcioni sulla schiena, che il giorno dopo lo avrei fatto a montare a cavallo, doveva fare le prove e annuì, per educazione, senza crederci fino in fondo, se era uno scherzo ero cattiva e non lo ero mai stata in modo deliberato, con lui, e tanto era, che ne sapeva che potevo avere visto e combinato in un anno.
E sua madre, per ovvie ragioni, non glielo aveva mai permesso e pensava che lo prendessi in giro, affondò i gomiti nelle mie clavicole, fremeva dalla voglia inespressa, ai tempi ancora riuscivo a caricarlo con agio, dopo, tra che era cresciuto di altezza e di peso, oltre al resto, era una scommessa.
“Basta Zarevic.. mi avete riempito di lividi “
“.. dai, dillo.Uffa.. Te la sei cercata..” Mi si rannicchiò addosso, ridendo, le dita contro le mie labbra, gliele scaldai  con il fiato.
“E mi sei mancato, va bene.”
“Quanto?”
“BOH, un pochino.. scherzo, Zarevic, parecchio..”vedendo il suo visetto corruscato. Ogni singolo momento, Zarevic, se sapessi. Poi “Giochiamo a carte o dama ..”
“Entrambi, tanto ti batto, scaldami le mani, massaggiami le braccia, la gamba”
“Perché non lo fai?Su” notando che avevo incrociato le braccia e lo fissavo severa, giusto un angolo delle labbra sollevato in un sorriso.
“Che hai saltato? Un per piacere o simili. Che le orecchie le ho buone, mica ho sentito.”
“Per favore.. Dai, ti prego, poi giochiamo.”
“Come se Olga avesse torto a dire che ti vizio.. o almeno diceva” mi corressi.
“Uffa, per favore, Cat, scusami” Vezzoso, sbattendo le sopracciglia. A rigirarmi come voleva era sempre un campione annotai divertita. Vieni qui, sussurrai, mettendolo in grembo, cingendolo con le braccia, fatti scaldare, poi giochiamo,
Finimmo in pareggio, lo feci apposta,  Olga mi batteva a occhi chiusi, avevo all’attivo una decina di anni di partite in più rispetto a lui.
 
Quella sera mangiammo insieme, nelle stanze di mio zio, che non si fece vedere, aveva requisito lo Zar per una riunione urgente, ma Alessio non fece una piega.
Era stanco, in piedi dalle sei e rotti di mattina, alle sette e trenta di sera sbadigliava.
“Non ho fame”
“ E mi fai mangiare da sola? Siediti e fammi compagnia. Sul tuo appetito carente nulla osservo, ormai è un dato assodato” rise per quelle parole, assillarlo alla lunga a cosa serviva.
“No.” Un sorriso birichino. “ Ma tu mi hai fatto sparare, quell’altro no”
“Chi?” intanto, senza parere, mormorando mm che buono, gli avevo fatto prendere una forchettata abbondante di pollo arrosto.
“Uno.. ma è simpatico” idem come sopra per le patate, bevve un poca d’acqua per deglutire, gli sfiorai la mascella con un dito.
“Ah. Questo è veramente buono” terza spedizione nelle imperiali fauci. Aveva masticato per riflesso, abitudine.
“ Vedrai.” Quarto ingaggio, si ripulì con un tovagliolo.
Già, alla lunga ci risultammo fin troppo “simpatici”, io e “Uno”,  intanto lo avevo imboccato,Alessio,  rapide forchettate per mezza porzione abbondante, mi tirò un colpetto alle mani e mormorò solo Cat, mi hai giocato. Come no.. Se mi prendi in braccio mangio ancora qualcosa..Salta su, imperatore dei viziati..Vediamo. Allora avevi fame davvero..hai finito tutto… saltando di dire, Alessio, possibile che se hai fame, davvero e sul serio, dobbiamo fare questi teatrini, che mi si era rannicchiato sul petto, non per capriccio, quanto per rassicurazione e mancanza.
Era l’erede di un impero e voleva una bastarda, cioè IO.
L’amore non segue il rango.
Ti voglio bene, Alexei.

 
   
 
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