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Autore: killian44peeta    02/09/2017    0 recensioni
Prologo - Gli Elementi - Secondo libro della prima trilogia di ''i sei predestinati'' -
La luce sciamava appena tra le sottili mura di quella che per aspetto poteva apparire una stanza come tante, provenendo da una piccola lampada accesa e appesa alle pareti, la cui fiamma bramava ossigeno per la bassa quantità che c'era nella stanza.
I sibili e gli schiocchi delle lingue di fuoco si ripetevano a lungo, come un tabù tra quel pesante silenzio, dando a Luxor una sensazione di ripetitività insopportabile ed insostenibile.
Se ne stava lì, sul letto, le mani congiunte e chiuse in una stretta ferma e rigida, rigida come la stessa mascella del giovane, talmente tanto serrata che sembrava stesse stringendo i denti per non urlare di rabbia, per non sputare ogni emozione negativa soppressa.
I suoi occhi gelidi fissavano la porta chiusa dall'esterno con ira folle e insistenza.
Dentro stava perlopiù boccheggiando, era una settimana intera che era rinchiuso in quella stanzetta come un animale in gabbia, cercando una ragione per non iniziare rabbiosamente a sbattere il proprio corpo sull' uscita per cercare di buttarla giú.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Gli Elementi- saga'
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Task

Mi gettai sul letto della camera che occupavo, stanco, facendolo sobbalzare appena e gustandomi la sensazione della scossa che questo si prendeva, sospirando appena e socchiudendo gli occhi, stringendo la coperta tra le dita, accarezzandone la morbida consistenza setosa con principalmente i polpastrelli.

Ero esausto e pieno di pensieri che mi attraversavano la mente, che si susseguivano con domande, idee, richieste e ipotesi.

Ogni pensiero si diramava in rami invisibili che si collegavano ad altri ancora, fino a quasi farmi dimenticare come ci ero arrivato.

Capitava spesso che mi scordassi la motivazione per cui un ragionamento mi era filtrato nella mente, ma non era poi così fastidioso, ormai mi ci ero abituato.

Rimasi perciò a fissare il soffitto, cercando di farle tacere una volta per tutte, quelle voci che non mi davano pace, ma senza risultati decenti a cui accedere, a cui potessi anche solo aspirare.

Mi tormentavano e non mi lasciavano dormire, anche se avevo preso una camomilla alle erbe per tranquillizzarmi sembrava non avere avuto alcun tipo di effetto.

Ogni secondo che passava sembrava ticchettare nella mia mente, quasi un rumore acustico e ripetuto che si ripeteva all' infinito, decisamente fin troppo forte per i miei gusti, ma che lentamente si abbassava, fino a portarmi ad una certa sonnolenza, sparendo, come i pensieri, che finalmente avevano iniziato a diradarsi.

Le mie palpebre scivolavano inesorabilmente verso il basso e i lunghi sbadigli che iniziavo a fare sembravano non finire proprio mai!

Aggrottai la fronte, mettendomi a pancia in giù nel letto, affondando la testa nel cuscino, stringendolo e stritolandolo.

Alla fine, nonostante i frequenti e continui sbadigli, riuscii a cedere totalmente al sonno, mentre la mia vista si faceva nera, per poi ricomparire, insieme al canto delle cicale e ad un bellissimo celo azzurro al di fuori dalla finestra.

-Task?- mi chiamò improvvisamente una voce chiara e limpida, da cui mi sembrava di poter trarre calore per come questa mostrava affetto.

Era familiare e piacevole.

Era una voce che non avevo sentito da tempo, troppo tempo.

-Papà?- chiesi, speranzoso, mentre di fronte a me si stagliavano i vecchi e ben intagliati mobili della mia stanza, tutti di legno di cedro.

-Task, alzati che farai tardi- mi ammonì

L'odore di casa, sentivo l'odore di casa diffondersi lentamente nelle mie narici, provocandomi uno strano brivido che mi saliva e mi scendeva dalla schiena.

-Orsù, sbrigati-

Mi risvegliai immediatamente da quella improvvisa sensazione di torpore che avevo provato, alzando le sopracciglia, scivolando lentamente fuori dalle coperte e schizzando via dalla mia camera, trovandomi davanti mio padre, il quale mi sorrideva, rassicurante.

-Questo é un ennesimo sogno- sussurrai, dando voce al mio pensiero, sospirando, ma continuando a guardare il viso scarno del mio genitore.
Più lo guardavo e più l'immagine di lui, morto, sdraiato al suolo, attaccavano la mia mente.

-Cosa dici Task ! Ma quale sogno!...- rispose dunque lui, allargando il sorriso -Cosa vuoi, che Pyd e Ronnie ti aspettino ancora? Lo sai che é una tua responsabilità nei loro confronti-

Il suo tono di voce era divertito, parecchio divertito, appoggiando le mani ai fianchi e inclinando il capo, come era solito a fare quando stava per ridere ma cercava di trattenersi, gesto che avevo sempre adorato.

In realtà, avevo sempre adorato tutto di mio padre, ogni singolo dettaglio, che fosse arrabbiato o meno.

-Lo so... sì... ora vado- balbettai sottovoce, sbrigandomi a rientrare in camera, rivestirmi e a sistemare la matassa disordinata che avevo come capelli, i quali non stavano fermi neanche se li avessi raccolti in una piccola coda, di quelle che molti miei amici di qui si facevano poco prima di tagliarseli.

-Non fare troppo tardi a tornare, d'accordo?- mi ammonì, ridacchiando

-Certo! Signorsi signore-

Appena fui fuori, abbracciai mio padre, gli baciai una guancia,afferrai un croissant dal tavolo che avevo intravisto poco prima, mettendomelo in bocca e uscii di casa, prendendo a correre per strada con tutta la velocità che potevo raggiungere.

Mi diressi verso la casa di quella vecchia signora, sapendo per certo che Pyd e Ronnie mi aspettavano con impazienza, vogliosi di ricevere ogni tipo di attenzione.

Come la signora, la casa era un po' antica e rovinata, con la vernice in parte scrostata sia all'interno che all'esterno, pareva a vedersi più un magazzino che una vera e propria abitazione e decisamente, se la donna l'avesse messa in vendita, nessuno avrebbe voluto comprarla.

Entrai in essa con la chiave che ella mi aveva dato, guardando la serie di scatoloni appostati alla parete opposta a cui ero davanti.

Erano tutti ammucchiati, confinati in quello spazio per probabile mancanza di voglia.

-Sono qui signora Mortie, Pyd e Ronnie sono lì con lei?-

Una donna vecchia, ricurva, con una serie di rughe sul viso e gli occhi piccoli ,infossati, contornati da profonde occhiaie si fece avanti, camminando lentamente, con il suo bastone mal intagliato a portata di mano e con le pantofole rosse nei piedi, mentre i capelli grigi erano coperti da una fascia.

-No, loro sono chiusi in quella stanza- indicò una porta, dopo ad un piccolo corridoio -Mi hanno infastidita tutta notte, facendo chiasso, perciò li ho messi là, scommetto che appena ti vedranno, ne faranno ancora di più... le mie povere orecchie-

-Non vi hanno detto ancora nulla riguardo a Bridgette?-

-No, lei è sparita, starà vagando per strada o avrà trovato una nuova casa-

-Mmmh... okay, si riposi signora Mortie, ritorni a letto o altrimenti le tornerà il mal di schiena- accennai un sorriso

La donna ricambiò, mostrando la bocca sdentata, prima di annuire e girarsi, avviandosi verso la sua camera da letto, non troppo lontana.

Percorsi brevemente il corridoio e entrai nella stanza che mi aveva indicato.

Era abbastanza luminosa, un po' spoglia, con un armadio a due ante, un letto e un comodino.

-So dove siete- asserii subito, chiudendo la porta dietro di me -Non vorrete giocare a nascondino, vero?-

Udii due versi soffocati e mi avvicinai all'armadio, aprendolo, tirando fuori un sacchetto e due ciotole pulite.

Da sotto il letto sbucò quasi subito Pyd, che zampettò verso di me, miagolando, prendendo a strusciarsi contro le mie gambe.

Non riuscii a trattenere un sorriso, osservando il pelo nero del micio e gli occhi verdi, molto simili per colore ai miei.

-Hai fame, non è vero?- feci, accarezzandolo e grattandogli sotto il collo, facendolo miagolare per tutta risposta.

Un secondo miagolare, più effeminato, giunse da sotto il letto, mentre iniziavo a riempire la ciotola del maschietto con le sue crocchette, che prontamente spazzolò via.

Una gattina dal pelo rossiccio salì sul letto, guardandomi, per poi scendere con fare insicuro e dirigersi a sua volta in mia direzione, annusando prima la ciotola vuota e poi la mia mano, protestando con un verso seccato.

La signora Mortie mi aveva incaricato di dare il cibo alle sue bestiole e a giocare con loro in cambio di delle torte di mele e una paghetta abbastanza sostenuta, siccome lei, ormai, non riusciva a piegarsi particolarmente e nemmeno a restare in piedi per troppo tempo.

Si era fatta ormai troppo anziana per riuscirci.

A breve avrebbe compiuto centocinque anni, di certo si poteva permettere di evitare gli sforzi.

Riempii anche la ciotola della micetta, mentre il maschio concludeva il suo pasto, leccandosi i baffi e riprendendo a strofinarsi contro le mie caviglie, senza interruzioni, facendo le fusa e appoggiando una delle zampe sui miei pantaloni, soddisfatto.

Mi chinai maggiormente, inostrando le dita tra il suo pelo morbido e setoso, coccolandolo per bene.

Decisi di sedermi, portandolo ad acciambellarsi sulle mie gambe.

-Sei molto coccolone oggi, eh?-

L'altra invece, quando finì di spazzolare la ciotola, non lasciando nemmeno un rimasuglio, prese a pulirsi il pelo, passandoci ripetutamente con la lingua ruvida e rosa e ad agitare insistentemente la coda.

Quando Pyd decise di scendere dalle mie gambe, sistemai gli oggetti tirati fuori nuovamente nell'armadio, osservando le cianfrusaglie rimaste.

Vi erano diversi peluche con grossi buchi, alcuni negli occhi, altri nel ventre o nella schiena, palline blu e rosse, sonagli allacciati a luccicanti nastri di stoffa viola tenue, un po' sfilacciati ai bordi inferiori.

Trovai anche una piccola torcia e qualche topolino di gomma.

Li feci giocare a lungo, osservando le loro reazioni, ascoltandoli miagolare e infilando le unghie in ogni giocattolo mentre cercavano di afferrarlo.

Non potei non ridacchiare, o almeno, così feci prima di realizzare che, per essere un sogno, si stava dilungando parecchio.

Mi girai, fissando concentrato la porta da cui ero entrato per dare da mangiare e giocare con i gatti.

Uno di essi mi si appese alla stoffa dei pantaloni, conficcandoci le unghie, facendomi scappare un gemito di sorpresa.

Questo improvviso attacco, sembrò diradarmi quei pensieri, portandomi a continuare a giocare con i due gatti, i quali sembravano fare di tutto per attirare la mia attenzione.

Volevano che giocassi con loro, sempre.

Volevano che rimanessi con loro, che, una volta invecchiati, morissi con loro.

Il micio dal pelo nero e gli occhi verdi sembrava lentamente alzarsi di dimensioni, ma inizialmente non ci feci caso, troppo preso com'ero a farli giocare ad entrambi.

Una parte di me continuava ad urlarmi nella testa, dicendomi che dovevo uscire dalla stanza il più velocemente possibile, scappare a gambe levate, svegliarmi prima che la situazione peggiorasse.

L'altra parte di me però, sembrava non sentire ciò che la prima le diceva, esattamente come quel giorno.

Quel giorno in cui mio padre era morto per uguale causa.

Con questo pensiero, finalmente riuscii a cacciare via la parte di me che voleva continuare a giocare con quei gatti.

Gatti che però iniziavano ad avere una stazza anormale e che, con le ossa che si allungavano sotto il pelo, diventavano sempre più minacciosi.

Indietreggiai istintivamente, mentre Pyd invece avanzava, con gli artigli che sembravano lame di spade.

La testa della femmina si stava corrodendo, Ronnie aveva le orbite decisamente fin troppo ingrandite, con pezzi di carne che si staccavano, lembi che rimanevano penzolanti e ossa esposte.

Continuai a fare passi indietro, sempre più velocemente, sul punto di mettermi a correre, senza staccare lo sguardo dai due mostri.

Mollai una delle palline rosse, che avevo involontariamente tenuto in mano fino a quel momento e raggiunsi la maniglia della porta, aprendola di scatto e cercando di chiuderla alle mie spalle prima che quei cosi potessero superarla a loro volta.

Mi girai, cominciando a correre a perdifiato, trovando davanti alla porta la vecchia signora, sorridente.

-Se ne deve andare! I suoi gatti... i suoi...- prima che potessi completare la frase, sentii un colpo abbattersi contro al legno, un tonfo che mi fece rabbrividire, portandomi ad afferrare la mano della vecchietta e a partire velocemente per raggiungere il più in fretta possibile la mia abitazione.

Correvo così in fretta che l'aria mi mancava e i polmoni sembravano starmi bruciando, mentre il mio cuore mi rimbombava nella cavità toracica, frequentemente, troppo frequentemente, tanto che il battere scandiva i secondi che passavano.

La signora Mortie, ricurva, riusciva benissimo a mantenere il passo, ma prima che me ne accorgessi ero già davanti a casa mia.

La donna continuava a sorridere, un sorriso finto, falso, quasi meccanico.

-Task... Pyd e Ronnie volevano solo giocare con te... c'è qualcosa che non va?- mi chiese, innocentemente.

Le mollai la mano, ma la vecchia me la afferrò prontamente, infilandoci le unghie, graffiandomi la pelle, cercando di inoltrarsi nella carne.

Mi scostai, terrorizzato, chiedendomi che cosa diavolo stava accadendo.

Se era un sogno... perché non mi svegliavo una volta per tutte?

Dopotutto non poteva durare per sempre.

Sentii il sangue uscire dal punto in cui le unghie vi si erano conficcate, scendendo ad una lentezza plateale.

Corsi in casa, bloccando la porta con una serie di mobili, accatastandoveli contro, come fosse un muro, trovandomi davanti, appena mi lasciai il lusso di guardarmi attorno, un uguale scena a quella di quel giorno, se non peggiore, siccome mi veniva mostrata in casa mia.

Mi avvicinai a lui e cercai un qualche modo di trascinarlo via con me, per nascondermi, chiudendomi infine a chiave in una qualsiasi delle stanze, sperando che nessuno potesse trovarci.

Inutile dire che fu vano il mio tentativo, perché appena lo afferrai, sembrò dissolversi nell'aria.

A questo punto, ogni idea che mi passava per la testa, mi pareva inutile.

Un rivolo di sudore mi attraversò la fronte, mentre la paura mi portava a tremare convulsamente.

Fissai l'entrata di casa mia, trattenendo il respiro, quasi soffocando, ascoltando l'accelerato ritmo del mio cuore, che galoppava sfrenato.

In silenzio, cercai di captare qualche suono che potesse simboleggiare la presenza di qualcuno fuori o dentro a casa mia.

Non udivo niente, c'era troppo silenzio, come se l'attesa fosse solo all'inizio e il peggio dovesse ancora arrivare.

Un verso.

Si riprodusse solo un verso, o più che altro, un lamento roco e gorgogliante.

Mi paralizzai anche di più di quanto già non fossi prima, serrando la mascella, mentre un altro lamento seguiva il primo.

Passai lo sguardo su ogni lato della casa, ripiombandolo infine su quella porta di legno.

Mi venne in mente l'albero che sporgeva di fronte alla finestra di camera mia, quello su cui mi ero arrampicato spesso da piccolo.

Forse salendo lì sopra, avrei potuto osservare dall'alto la situazione, senza farmi troppo notare.

Che poi, probabilmente i due gatti avevano già sfondato la porta della stanza in cui erano stati rinchiusi.

E forse anche quella dell'entrata in generale.

I lamenti erano dunque della vecchia? Probabilmente era anche lei della stessa specie.

Scossi il capo con decisione.

Ogni dettaglio di questo incubo era a dir poco orribile, mi stava confondendo.

Perché stavo sognando una cosa simile?

Non ne potevo più.

Volevo svegliarmi, preferivo mille volte l'allenamento con Will, Diana, Nemes e gli altri che questa tortura mentale.

Inghiottii la saliva a fatica, mentre mi affrettavo a muovermi e a raggiungere la mia stanza, sporgendomi verso la finestra e appoggiando la pianta del piede al ramo davanti a me.

Scorsi la figura della vecchia da lì, notando che i due gatti le erano vicini.

La vecchia li accarezzava con dolcezza, sussurrando parole sottovoce, mischiandole con i lamenti che avevo sentito poco prima.

Sembrava, per qualche attimo, che cantasse, cambiando spesso tono di voce, passando da aggressiva a passiva.

Cercai di reggermi in equilibrio sul grosso ramo, mentre avanzavo disperatamente verso la sua corteccia, mordendomi il labbro inferiore.

Potevo sentire il sangue scendere ancora dalla ferita, gocciolando silenzioso, indebolendomi.

E finalmente riuscii ad aggrapparmi al busto dell'albero, tacendo, continuando ad ascoltare quella cantilena bizzarra, mentre la vecchia sembrava miracolosamente drizzarsi di un poco.

Le ossa emisero un sonoro schiocco che mi fece sobbalzare dallo spavento, senza però emettere un suono.

Lentamente, la vecchia smise di cantare, mentre i capelli grigi cadevano, la pelle si sbiancava, rinsecchiva e scendeva a pezzi, mostrando lo scheletro completo, allungando quelle che avrebbero dovuto essere le sue mani, mostrando invece due arti coperti da fuliggine e occhi verde- gialli, come quelli dei due gatti, i quali, per l'appunto, sembravano non possederne più.

Mi tappai la bocca per non urlare, mentre mi saliva un conato di vomito e mi si restringeva lo stomaco come mai era accaduto prima d'ora.

Quella fuliggine, svolazzante, trasportata da probabili correnti d'aria, la avvolgeva quasi completamente, tanto che il resto del corpo quasi non si vedeva.

-Task... gioca con noi... Taaask, abbiamo tutta la vita davanti...- una voce femminile mi chiamava, emettendo quelle che parevano delle fusa, mentre i secondi scorrevano ad una lentezza disarmante -scendi dall'albero-

Se poco prima avevo faticato a respirare, con l'agitazione alle stelle, ora era anche peggio.

"Sanno dove sono" il pensiero mi attraversò la mente come un fulmine a ciel sereno, lampante e vivo, seguito dalla consapevolezza di essere in trappola.

Di essere stato in trappola sin dall'inizio e di averlo realizzato solo ora.

Di non avere scampo.

-Task- di nuovo la voce femminile, stavolta un po' più strana, come se fosse mischiata ad un'altra

-Task, ... è pericoloso stare lassù, potresti cadere... perciò, scendi-

-No- sibilai, stringendomi maggiormente alla corteccia, cercando di recuperare un po' di lucidità mentale.

Certo, era un po' difficile, ma in qualche modo dovevo pure fare.

Non potevo rientrare in casa.

Era una mossa prevedibile e poi, una volta dentro? Cosa fare ?

Doppiamente in trappola.

Non potevo fare altro che rimanere sull'albero?

Quanto tempo potevo rimanerci sopra senza rischiare di cadere da un momento all'altro?

Presi a studiare ciò che avevo attorno, ma senza trovare vie di uscita.

-Scendi !-ordinò di nuovo la voce, intimidatoria come non mai.

Ed ecco che partirono, tante voci come quella che mi ordinavano di scendere dall'albero, di giocare con loro, di morire, mentre contemporaneamente altre chiamavano il mio nome, a basso volume.

Mi sembrava di impazzire.

Mi distaccai dalla corteccia, per mettermi la mani sulla testa e spegnere quel frastuono, ma senza volerlo, persi l'equilibrio, cadendo perciò dall'albero, pronto a schiantarmi al terreno, o peggio, venir divorato da quei mostri-gatto.

Ma né giunse l'impatto, né fui divorato.

Mi risvegliai improvvisamente nel letto della stanza nella Montagna sul Lago, intriso di sudore, boccheggiando.

-Stai bene?- la voce di Guy mi fece sobbalzare dallo spavento, portandomi a spalancare gli occhi

-Che ci fai qui nella mia...-

-Oh, tranquillo, sono solo venuto a controllarti visto che hai dormito per quasi un giorno intero- obiettò lui.

Se ne stava a braccia incrociate, con una gamba accavallata sull'altra, seduto sulla sedia affianco all'armadio

-Cos... che ore sono?-

-Mmmh... le cinque e mezza del pomeriggio, domenica- asserì, sbuffando -Hai fatto preoccupare praticamente tutti e ci siamo dati dei turni per controllarti-

Tacqui, alzando il sopracciglio e scivolando fuori dal letto.

-Probabilmente ora sono tutti in biblioteca, anche se, prima, alcuni di loro se ne stavano appostati alla porta... tra cui Diana- alzò gli occhi al cielo, sospirando -Su, andiamo, hai bisogno nettamente di mangiare qualcosa-

Feci per avanzare verso la porta, prima di bloccarmi, dando vita ad un pensiero -Perchè ora ti comporti così? Ieri con il fatto del riposare, oggi del mangiare, e se non sbaglio anche qualche giorno fa nell'impugnare la spada... non sarai mica diventato improvvisamente un empatico, vero?-

Lui fece una smorfia -Affatto- rispose, sollevandosi dalla sedia, girandosi verso la porta -Semplicemente lo so e basta-

-Perché ci sei passato anche tu?- azzardai, alzando la voce e inclinando la testa, squadrandolo.

Dal suo atteggiamento sembrava proprio quello e la risposta alla mia domanda non fu a parole.

Mi bastò vederlo irrigidirsi per capire che avevo fatto centro.

-Muoviamoci- sbottò, seccato, aprendo la porta e passando oltre, cosa che mi portò ad imitarlo, alzando le spalle e passandomi una mano tra i capelli per il nervoso.

E non potei non chiedermi se per caso anche Nemes fosse stata preoccupata.

Mi riscossi, cancellando il pensiero 

  
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