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Autore: Applepagly    02/09/2017    5 recensioni
Il riposo è solo un pretesto per nascondere un segreto, una festa è l’occasione per svelarlo. La battaglia è finita ma non è mai finita davvero, e il male non è fuori ma dentro le mura... inizia la ricerca di ciò in cui è difficile credere. Inizia la ricerca del bello.
Genere: Commedia, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bloom, Nuovo personaggio, Tecna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
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II
 
Just ‘cause I predicted this
Doesn’t make it any easier to live with
And what’s the point of knowin’ it
If you can’t change it?
To Be Human, Sia&Labrinth
 

Maria faticò parecchio, per riuscire a mettere piede fuori dal teporino delle coperte.
Stava così bene, lì sotto, che quasi maledisse il suo spasmodico desiderio di avere a che fare con certa gentaglia di Fonterossa.
Si alzò a malincuore, perché quello era il giorno del suo appuntamento con quello sciocco fatofilo. Si stropicciò gli occhi, passandosi una mano tra i lunghi capelli; la sera prima doveva essere crollata dalla stanchezza senza asciugarli, perché le ricadevano sulla schiena in lunghi viticci del colore di quei fiori che teneva Flora nella sua stanza di Alfea.
Si diede una sciacquata, apprestandosi a scegliere ciò con cui avrebbe cercato di lasciare a bocca aperta quel babbeo. Lo specchio le ricordava, ancora una volta, di non aver bisogno di nulla di particolare, per farlo.
Osservandosi bene, notò di essere cresciuta ulteriormente in altezza.
Questa non ci voleva.
Non andava bene. Non andava affatto bene.
L’estate precedente aveva acquisito un numero ragguardevole di centimetri, senza quasi rendersene conto. Aveva inveito aspramente, perché non si ritrovava più in quel corpo sa stangona che non sembrava voler accennare a fermarsi nella sua crescita.
Gettò una rapida occhiata dietro di sé, verso la sua – ancora per poco – assopita compagna di stanza. Quella perfida Jena, che sputava sentenze su tutti.
«È basso» le aveva detto, la prima volta che lo aveva visto.
Due parole pronunciate in un caldo giorno d’estate, quando Maria era stata abbastanza stolta da uscire con lui senza ricordarsi che quella crudele strega sarebbe rimasta in giro per Magix.
«Quel Jared, dico. È basso» aveva specificato, non contenta.
Lo aveva detto così, a bruciapelo, appena l’altra aveva messo piede nella sua stanza, di ritorno da una giornata piuttosto proficua. Non che si fosse aspettata qualcosa di diverso, da lei.
Jena e Maria non erano amiche. Per tutto il tempo che avevano condiviso il loro spazio vitale, si erano sempre comportate come se non si fossero mai fidate totalmente l’una dell’altra.
Quella ragazza, così minuta e così peperita, era un po’ una vecchia volpe. Come buona parte delle streghe, agiva secondo un tornaconto personale; e la cosa andava contro i saldi principi di Maria, naturalmente.
Quella volta, però, le aveva semplicemente fornito un parere da amica – non richiesto, ma pur sempre da amica.
Jared era basso, e questo era risaputo.
O meglio, Jared era basso rispetto a Maria. Da quell’estate, lei lo superava di cinque centimetri abbondanti e questo non faceva che suscitare l’ilarità di Jena e di tutte quelle galline invidiose di Torrenuvola che, in realtà, chissà quanti pensieri dovevano aver fatto su di lui, sui suoi bei lineamenti sottili ed alabastrini.
Era basso, rispetto a lei; e questo le impediva di indossare qualsiasi cosa rischiasse di sottolinearlo ancora di più.
Mentre malediceva la natura, l’occhio le ricadde sul cellulare posato sulla sua scrivania. Emetteva un continuo bagliore; significava che qualcuno doveva aver cercato di contattarla, qualche ora prima.
Chi diamine poteva essere stato tanto sprovvisto di sonno da inviarle un messaggio alle… tre del mattino?
Oh.
Era Tecna di Alfea.
Per qualche istante, Maria si domandò come avesse fatto a reperire il suo numero telefonico. Che lei ricordasse, non glielo aveva mai lasciato…
Poi si ricordò del fatto che fosse grande amica di Flora e Musa che, al contrario, il numero lo avevano.
Se si era rivolta a lei e a quell’ora, doveva trattarsi di una questione grave e di una certa urgenza. Non avevano mai intrattenuto conversazioni particolarmente confidenziali che avessero dato a una delle due motivo di credere di essere poco più che semplici conoscenti.
Sullo schermo comparve il testo del messaggio.
Conciso e freddo, come quella fata. Tre parole, un segno grafico.
“Torrenuvola resterà chiusa?”
Tre parole ed un segno grafico che la spiazzarono più di qualsiasi altra cosa avesse mai letto. Perché accidenti le aveva fatto quella domanda?
A quell’orario improponibile, oltretutto!
Perché mai si supponeva che Torrenuvola restasse chiusa?
Aggrottò la fronte, chiedendosi se fosse erronea la sua percezione della realtà o se, semplicemente, ci fosse qualcosa di sballato nella mente di quella Tecna.
Bah.
Non aveva tempo da perdere; ci avrebbe pensato dopo. Quell’improvviso accorgimento – quelle gambe appena più lunghe, che rendevano ormai ridicoli i suoi pantaloni preferiti – la infastidì.
Cosa diamine avrebbe dovuto fare, adesso?
«Voglio sprofondare…» sussurrò, sconsolata.
«Altina come sei, spunterebbe comunque uno spazio che va… dal busto in su» biascicò la voce impastata di Jena. Accidenti a lei e al suo udito. «Puoi allungarli, no?»
Giusto…
Come aveva fatto a non pensarci? «Per una volta ti rendi utile»
In risposta ottenne solo un grugnito. Il rumore delle coperte scostate in malo modo ed il suo pesante sciabattare suggerirono che si fosse svegliata di cattivo umore.
«Cosa ti affligge, ora? Un’altra alga cisposa ti è cresciuta tra i capelli?» scherzò, ricordando l’incidente avvenuto l’anno prima, nel laboratorio di pozioni.
Jena fece comparire un piccolo specchio tra le sue mani, prendendo ad osservarsi il viso. Borbottò qualcosa a proposito dell’acne che non accennava a voler diminuire nemmeno dopo tutti gli impacchi che aveva applicato.
«O forse sarebbe più prudente usare uno di quelle lozioni di Trisha del secondo anno? Aminta ne ha presa una, ieri» raccontò, ormai completamente ridestatasi dal sonno. «Quella Trisha ci sa davvero fare, con i filtri. O almeno, così dicono. Il bagno del terzo corridoio è diventato il suo negozio»
Maria si voltò verso di lei, perplessa. «Li vende
«Certo. Mica è scema, con quegli intrugli fa degli affari…»  trillò, con ovvietà. Con un gesto della mano fece spalancare l’armadio e un ampio vestito verde volò oltre le ante d’ebano. «Non lo sapevi?»
Scosse la testa. Non ne aveva mai sentito parlare. «Credo sia anche contro il regolamento. Ma, come sempre, immagino che la Griffin promuova queste cose, in realtà»
Andava così ogni anno. Anche quando qualcuno veniva sorpreso a portare a termine certi lavoretti senza autorizzazione, la preside cercava le parole adatte a mascherare con rimprovero quello che in realtà era orgoglio.
«Non può tarpare le ali ad un talento del genere. All’inizio preparava solo cosmetici. Pozioni che rimodellavano i lineamenti, fiale di siero allunga ciglia… cose così» raccontò, fremendo per l’emozione. «Ma poi… ha iniziato a frequentare con grande e curiosa assiduità la biblioteca. Sai perfettamente che lì ci si trova di tutto e di più»
Jena si cimentò nell’articolato resoconto di tutte quelle che – pareva – erano state le prodezze di quella Trisha. A quanto si diceva, il ragazzo con cui era stata vista girare per Magix se lo era procurato con un afrodisiaco, o un filtro d’amore.
Era tutto molto interessante, ma lei non poteva tardare. Si appuntò un lungo orecchino di ali di farfalla – le sue compagne di scuola parevano apprezzare particolarmente il fatto che sembrassero le ali di una fata – e calzò gli stivali.
Fuori, come al solito, diluviava. «Non credo che sia saggio, comunque. Cosa succederà, quando l’effetto svanirà?»
L’altra rivolse gli occhi al soffitto, annoiata. «Perché sei sempre così noiosamente giusta? A momenti sembri una fatina di Alfea. Non ti fa bene frequentarle»
Una fatina di Alfea.
«Se lo fossi, a Jared potrei piacere sicuramente di più» scherzò, pensando in realtà a quanto fosse vero.
Diede un’ultima occhiata allo specchio. In verità, sapeva di piacere a Jared anche e soprattutto per le sue gambe lunghe; doveva solo abituarsi ad abbassare lo sguardo un po’ di più, no?
«Credo che gli piacerebbe ancora di più se potesse sovrastarti fisicamente. Ma dimentico sempre che è basso» ribadì Jena, appollaiandosi sul letto e rigirandosi l’abito tra le mani.
Maria le rivolse una stilettata abbastanza eloquente.
«Jared è basso, Maria»
Sbuffò. «Non mi interessa»
La sua compagna parve ammutolirsi, momentaneamente. Poi, sorrise; lo fece in maniera genuina, del tutto priva di quella piega maliziosa o furba che assumevano le sue labbra piccole, di solito.
«Non so perché, ma non mi aspettavo una risposta diversa» replicò, posando il vestito sulle coperte e facendo comparire un pacchetto di snaks al sale marino che aveva saviamente nascosto in un cassetto del comò.
«Come sarebbe a dire?»
«Deve piacerti davvero» bofonchiò, mentre sgranocchiava i grissini. «Che cosa disgustosamente mielosa»
Maria sorrise appena. Aveva ragione, però.
«Ma se dovessi cambiare idea, credo che quella Trisha abbia anche qualche rimedio per accorciare le ossa!»
Si richiuse la porta alle spalle con un tonfo.
 
Si scostò.
Evitò accuratamente il suo sguardo, imbarazzata e vergognosa, guardandosi più volte intorno, anche se sapeva perfettamente che nessuno li avrebbe disturbati, lì, in quello sprazzo erboso appena fuori dall’accademia.
«Perché non riesci a guardarmi?» le domandò piano, cercando i suoi occhi di carbone.
Non riusciva a guardarlo. Non ci riusciva mai.
«Non è nulla» fece, scuotendo la testa.
Non era nulla.
Solo che non mi sento mai abbastanza.
«Non è vero» disse. «So stai mentendo. So riconoscere le bugie»
«A differenza tua, non mento mai» replicò a tono, trovando il coraggio di fronteggiarlo, finalmente.
Lì, in quel blu così magnetico, Musa vi scorgeva sempre un tono di sfida e di alterigia che camuffava una grande insicurezza. Era come lei?
Riuscivano a parlare senza veli solo quando si trattava di litigare, di prevalere l’uno sull’altra e viceversa.
«Il semplice fatto che tu lo dica dimostra quanto sia falso» fece notare, furbamente.
Le si strinse nelle spalle. «Puoi non credermi, se vuoi. Ora, se vuoi scusarmi…»
Fece per voltarsi e ritornare tra le mura di Fonterossa, ma Riven la trattenne per il polso sottile. Il suo sguardo non ammetteva repliche. «Non puoi andartene così. Perché lo hai fatto?»
Musa arrossì nuovamente.
Perché sono una povera bambina inesperta e capricciosa. Non riesco nemmeno a fare qualcosa senza pentirmene.
Benché io lo voglia.
«Non lo so»
 
Come la prima volta che si erano incontrati e si erano scambiati calore; e lei aveva sentito il petto di lui sussultare insieme al suo.
Le sue dita sulla nuca, che correvano a scioglierle i capelli setosi, lasciandoli cadere, a sfiorare appena le spalle, le sue spalle delicate.
 
«Come le altre volte?» fece lui, allentando la presa. «Lo ripeti in continuazione. Eppure non sembri pensarlo davvero»
Puntualmente era sempre lì, a posare il capo nell’incavo del suo collo, trattenendo lacrime al sapore di gioia e frustrazione insieme.
 
Lei non era abbastanza per lui; lui non era abbastanza per lei.
Entrambi lo pensavano, entrambi lo negavano e si facevano forti e sicuri, quando uno dei due dava l’impressione di ricordarlo.
 
«Tecna ha intenzione di indagare» cambiare discorso, allontanarsi dalla fonte di tutti quei dubbi; le sembrò la cosa più appropriata da fare, sebbene l’argomento rimandasse fitte altrettanto dolorose.
«Su di noi?»
«No. Credo inizi a sospettarlo; e, comunque, quella pettegola di Stella lo sa già e non si risparmierà di farlo sapere anche alle altre» masticò, acidamente. «Chissà chi glielo ha detto, eh?»
 
Eppure, lui non si vergognava di lei.
Lo aveva raccontato; lo sapeva.
Quando smetteva di essere inavvicinabile, ricordava e faceva male.
Allora si aggrappava a chi era rimasto lì con lui, a quei due.
Non si azzardava a chiamarli “amici”, perché non ne aveva mai avuti.
Allora condivideva ciò che aveva dentro insieme a loro; fingeva che si conoscessero come fossero stati amici veri.
Allora rideva e scherzava con Brandon e Timmy e quell’Helia.
Come avrebbe fatto un qualsiasi ragazzo di diciassette anni con gli altri.
 
«Intendevo…»
«Ho capito cosa intendevi» la interruppe, cingendole i fianchi. «Lascia che indaghi quanto vuole»
Fece scorrere le mani sulle sue braccia, lentamente, come una carezza.
«E se… ci fosse davvero qualcosa? Se le nostre supposizioni fossero giuste?» Musa si allontanò, cercando di richiamare a sé tutto l’autocontrollo di cui era capace.
Riven sottovalutava troppo le capacità di Tecna, comunque. «Voglio solo tenerle lontane dai guai, Riven. Non mi stupirei se si andassero a ficcare in qualche brutta faccenda»
L’intelligenza della sua amica la portava a porsi con grande curiosità verso tutto ciò che conosceva ma, quando l’aveva conosciuta, si era sempre dimostrata in grado di frenare quei desideri istintivi, di non impicciarsi in ciò che non la riguardava e, soprattutto, di avere fiducia e rispetto per chi si supponeva fosse competente.
Ma ora era tutto diverso e sia Tecna sia le altre non riuscivano più ad affidarsi al giudizio delle loro guide.
Il ragazzo stava per ribattere, quando una voce li fece sobbalzare entrambi.
«Musa! Sei tu?» era Maria.
La fata sorrise, vedendo la strega avvicinarsi a grandi passi. Come le andrò in contro, le gettò le braccia al collo. «Non ci vediamo dall’inizio dell’anno!» esclamò.
«È vero, in effetti. È bello vederti» sorrise, sciogliendo l’abbraccio. A guardarla con attenzione, sembrava più alta. «Sei qui per Jared?»
L’altra annuì.
«E tu?» fece, con un velo di malizia, rivolta oltre di loro.
Riven si era appoggiato a ridosso di un albero, guardando in lontananza. Era imbarazzato?
«Più o meno come te…» biascicò Musa, non sapendo esattamente come rispondere. Non sapeva nemmeno se lei e quel brutto bisbetico stessero insieme o no. «Anche se, a dire il vero, stavo per andarmene»
«Oh…» fece la strega. «Di già?»
«Sì… ho parecchie lezioni di galateo in arretrato ed è proprio il caso che inizi a studiare… però, in effetti, gli esami sono stati posticipati» realizzò.
All’improvviso, Maria ricordò il curioso messaggio che aveva ricevuto quella mattina e sussultò. «Ah! Ascolta… la tua compagna di stanza… Tecna…» iniziò. «Per caso ti ha chiesto il mio numero di telefono, o lo ha chiesto a Flora?»
La fata rimase interdetta. «No… a me no, e nemmeno a Flora, che io sappia. Perché avrebbe dovuto?»
«Questa mattina ho ricevuto un suo messaggio. Mi ha chiesto se Torrenuvola resterà chiusa» spiegò, non badando all’espressione dell’altra.
Ora era chiaro; Tecna non si era certo persa in chiacchiere. Aveva subito dato inizio alle indagini, a quanto pareva.
«Non sapevo come interpretare la sua domanda. Mentre venivo qui ho pensato potesse avere qualche significato nascosto, o qualcosa del genere. Ma…» sorrise. «…anche così, proprio non riesco a capire perché mi abbia contattata e perché a quell’ora»
Per un attimo, Musa fu tentata di raccontarle tutto. In un certo senso, il fatto che Maria e lei non fossero così intime le rendeva più semplice aprirsi con lei.
Poi, però, ricordò tutte le raccomandazioni di chi sapeva. Non sarebbe stato prudente diffondere quelle ipotesi e scatenare il panico.
«Mah, sai… Tecna è particolarmente curiosa. Ieri Faragonda ha convocato l’assemblea di istituto e ci ha detto che quest’anno, in concomitanza con il… Soldì, Alfea resterà chiusa» spiegò, simulando disinteresse. «Ha detto che ci vuole un po’ di relax prima degli esami e che vuole concederci la possibilità di festeggiare questa tradizione. So che anche a Fonterossa lo farà. Forse Tecna te lo ha chiesto per quello»
«Oh… ho capito…» mormorò Maria, a cui la situazione apparve ancora più contorta.
Musa dovette accorgersi di non essere stata abbastanza convincente. «È solo che le sembra veramente insensato. Sai, su Zenith il Soldì è ancora più lontano che dovunque altro e lei davvero non se ne capacita» disse, abbozzando una risata.
L’altra parve autoconvincersi che fosse così. Alla fine, le stranezze di Tecna tornarono utili; meno fossero circolate alcune notizie, meglio sarebbe stato per tutti.
«Beh, spero tanto che noi di Torrenuvola non saremo le uniche perdenti a restare a scuola» commentò, rianimandosi. «Ora devo sbrigarmi, scusa… ci sentiamo presto, Musa!»
Dopo averla abbracciata nuovamente, Maria scomparve oltre il portone delle mura dell’accademia. Da quando era stata ricostruita ed ampliata, la scuola dei maghi pareva ancora più bella ed imponente.
Eppure, ogni volta che vi metteva piede, la strega aveva l’impressione di percepire la terra tremare appena, come scossa da qualcosa che si muoveva lì sotto. Non avrebbe saputo spiegarselo.
Al tonfo del pesante legno si accompagnarono i passi decisi di Riven.
«Quella ragazza è ogni volta più bella» scherzò, ricevendo ben presto una gomitata ben assestata tra le costole. «La tua è solo invidia»
Proprio così…
«Ma non credo mi piacerebbe avere una ragazza alta poco meno di me. Già tu lo sei troppo, per i miei gusti» concluse.
«Noi non stiamo insieme» fece notare, voltandogli le spalle.
Oh, non gli piacevano le ragazze alte; eppure, non le era sembrato avesse fatto troppe storie, quando si era trattato di Darcy…
«Giusto» annuì, rientrando nell’accademia, senza degnarla di uno sguardo o di un saluto. Musa sospirò, non aspettandosi nulla di diverso.
Decise di incamminarsi verso Alfea a piedi. Quella mattina non aveva minimamente voglia di volare.
Si chinò, riallacciandosi una scarpa. Forse avrebbe dovuto comprarne un paio nuovo; le suole erano quasi completamente consumate e un ampio buco nella tela era nascosto solo dall’orlo degl’altrettanto ampi pantaloni.
Sbuffò, rialzandosi.
Mentre camminava, rabbrividì appena. L’inverno era ormai alle porte e non poteva sperare di continuare ad andare in giro con quella giacca leggera.
Chiuse gli occhi per qualche istante, addentrandosi nei suoni di Selvafosca e lasciandosi cullare dai sussurri del vento, sempre più vivi, sempre più allegri. Portavano con sé tracce dell’autunno appena trascorso tra le tante stranezze; dell’estate dalle molteplici tristezze; della primavera fatta di giornate serene.
Come sarebbero stati, i mesi a seguire? Che voce avrebbe avuto, il vento che li avrebbe accompagnati?
Inquietudine e un pizzico di novità, forse.
Tese bene l’orecchio.
Spensieratezza, alla fine.
Curioso come andavano le cose. Spensieratezza.
Non chiedeva di meglio.
Spesso le capitava di riflettere, di comprendere come gli eventi si susseguissero senza un preciso criterio; come mossi da un caso; come una fiera dalle mille occasioni.
Non che non ci fossero anche le giostre impossibili da vincere, di quelle dove il lancio degli anelli era truccato perché i pali erano semplicemente troppo larghi; non che non ci fossero premi insulsi, rispetto all’impegno che si riversava in quello stupido gioco.
Tuttavia, ce n’erano anche di belle; quel genere di cosa che si ripete all’infinito solo perché piacevole; perché non vi è nulla di più bello che quello che si ama e che reca serenità.
Musa aspettava solo di poter trovare quelle meraviglie, di poter trovare quelle belle cose che le avrebbero ricordato quanto valesse la pena sopportare tutte le altre.
Forse, quel bisbetico e le sue paturnie la stavano riportando alla normalità, alla spensieratezza lecita per una ragazza qualsiasi.
Imboccò la strada più lunga, per poter prolungare un po’ quella passeggiata e respirare l’aria pungente dei pini, che lottava aspramente con la dolcezza dei fiori lungo il lago di Roccaluce. Come si aspettava, lo specchio dell’acqua era ancora limpido e tiepido, come se l’autunno non l’avesse mai nemmeno sfiorato; e così l’inverno.
Gli animali erano un po’ meno vivaci, però, e Musa si scoprì sorpresa di non sentire il cinguettio di quei piccoli uccelli che di solito albergavano nei dintorni.
Sospirò, sedendosi a riva. La terra era fredda, ma l’erba era ancora morbida.
Il pallido riflesso di sé la fissava, scrutandosi.
Distolse lo sguardo, scuotendo la testa.
Talvolta, quando si osservava troppo a lungo, aveva quasi l’impressione di non vedere se stessa; di avere di fronte qualcun’altra e di starla guardando da lontano. E allora non si riconosceva, si estraniava e si spaventava.
Qualcosa di terribile e curioso allo stesso tempo, che la rendeva ancor più incapace di apprezzare quel corpo che spesso non le pareva quasi suo. Tendeva ad attribuirne le cause a tutto ciò che le era capitato, ai profondi sforzi ed affaticamenti che la sua mente aveva dovuto subire in quei mesi.
Mai come quando era penetrata nei ricordi di Vera si era sentita esausta. Aveva prosciugato ogni briciolo di quell’energia di riserva che aveva sempre avuto con sé.
Era diventata più debole? Non avrebbe saputo dirlo.
Fatto stava che ancora le sembrava di vedere un’estranea, nel lago.
Chissà cosa le avrebbe detto, Tecna, se avesse espresso i suoi dubbi. Era anche di questo, che non riusciva a parlarle.
Lei sembrava sempre così lontana da quelle paranoie e da quelle riflessioni contorte che impiegavano una buona parte del suo tempo. Certo non poteva sapere che Tecna, per quanto matura e, a detta sua, metà androide, restava pur sempre un’adolescente.
Ma forse, in ogni caso, neppure si sarebbe accorta della mancanza di Musa. Quella del giorno prima era stata una scena dettata dal momento; la sua razionale compagna non si sarebbe certamente lasciata trasportare da una qualsiasi emozione.
Si sarebbe comportata come nulla fosse stato. Ormai la conosceva.
Sospirò ancora una volta. Sembrava proprio che la bellezza di quel mondo cercasse di fuggire il più lontano da lei.
Forse avrebbe solo dovuto arrendersi, smettere di sperare di poter cogliere il bello.
 
Sometimes I go and walk the street
Behind a green sheet of glass
A million miles below their feet
A million miles, a million miles
Low, Cracker
 
Eccoci qui!
Dunque, dunque, dunque…
Lo so, avrei dovuto pubblicare domani ma, purtroppo, questa domenica sarò via tutto il giorno, quindi… eccomi!
Maria è uno dei personaggi introdotti nella scorsa fanfiction; qui avrà un ruolo più marginale, come Aisha, ma compariranno spesso. Per chi non la conoscesse o non la ricordasse, è un’amabile (beh, forse) streghetta di Torrenuvola che frequenta Jared (sì, proprio lui, proprio il filarino di Musa) e le Winx.
Jena è la di lei compagna di stanza. Sì, lo ammetto, sono io.
Ah, per quanto riguarda il Soldì… lo so, è un nome stupido. Però proprio non sapevo come chiamarlo e giorno del “Sol Invictus” mi sembrava un po’ troppo altisonante anche se, alla fine, si tratta di quello.
Durante le prime fasi di stesura della storia ho pensato che fosse un po’ un azzardo piazzare Natale a Magix perché, che io ricordi, lì non esiste una tradizione di quel tipo; e così è nato il Soldì (nonostante Magix se ne freghi abbastanza anche di quello).
Musa e Riven sono quello che sono perché non credo che la loro relazione sarà mai tutta cuoricini (certo, magari lo sarebbe diventata ma, a quanto pare, hanno deciso di recidere il povero Specialista e sostituirlo con… chi è che frequenta Musa, adesso?) e carezze, e non dimentichiamoci che non è passato nemmeno un anno dal casino che lui ha combinato!
Lei si deprime, mentre Tecna non perde un attimo. Mi sa che l’esperienza dell’estate scorsa la stravolta un tantino… beh, se è troppo OOC provvederò ad inserire l’avvertimento!
Ora vado. Grazie a tutti voi che avete letto e grazie a Tressa per il suo commento!
Appuntamento al 17 settembre!
7th
  
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