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Autore: mononokehime    02/09/2017    1 recensioni
Elizabeth Thompson abita a Dover, a poche miglia dalle scogliere. La sua vita scorre tranquilla e senza pensieri, fino a che non viene coinvolta in un matrimonio di convenienza con uno degli scapoli più ricchi d'Inghilterra e si ritrova a vivere in una sfarzosa tenuta dello Staffordshire.
Nonostante i mille lussi che la circondano, si sente prigioniera di una vita che non è sua e desidera solo scappare... fino a quando non incontra un affascinante ragazzo dal passato avvolto nel mistero, che complicherà ancora di più la situazione.
***
DAL TESTO:
Infilai le mani nelle tasche della felpa, mentre camminavo lentamente godendomi quel raro momento di tranquillità lontano dall'opprimente sfarzo di Rangemore Hall. Proprio mentre stavo per tornare indietro notai una figura di spalle seduta su un muretto ai limiti del parco.
[...]
Rimanemmo a guardarci in silenzio per alcuni secondi, quando lui accennò un piccolo sorriso.
«Tu devi essere la famosa principessina di Tomlinson»
Storsi leggermente la bocca, contrariata.
«Non è esattamente il modo in cui mi definirei, ma suppongo che ormai tutta Rangemore Hall mi conosca come tale»
Il ragazzo ridacchiò divertito.
«In effetti non posso darti torto. Qui si parlava di te ancora prima che arrivassi»
Genere: Fluff, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Rimasi impalata sulla soglia per diversi secondi, tentando di raccogliere il coraggio che mi serviva per muovere gli ultimi passi e sedermi accanto a Louis. Quest’ultimo nel frattempo non aveva mai smesso di guardarmi dritto negli occhi con aria indecifrabile, sulle labbra lo stesso sorriso che aveva assunto da quando mi aveva vista entrare.
Mi obbligai a percorrere la sala da pranzo e a prendere posto a tavola, dove afferrai subito una fetta di pane tostato che iniziai diligentemente ad imburrare con cura.
Dio, fa’ solo che finisca in fretta.
Louis tornò a leggere il giornale. Sembrava in qualche modo… tranquillo, anche se non aveva esattamente un splendida cera.
«Dormito bene, Elizabeth?» chiese, mentre i suoi occhi scorrevano rapidamente colonne di cifre a me incomprensibili.
«S-sì, direi di sì…» mormorai, senza ben sapere dove andasse a parare la sua domanda. Non riuscivo a capire se nascondesse tracce di sarcasmo.
Lui annuì con un leggero sorriso sulle labbra, continuando a leggere avidamente le ultime notizie del bollettino economico. Sembrava una mattina esattamente identica alle altre, non c’era nulla nel suo atteggiamento che lasciasse intendere qualcosa di preoccupante.
Finita la sua lettura mattutina Louis finì in un sorso il caffè rimasto, si pulì la bocca e si alzò dal tavolo afferrando contemporaneamente la giacca poggiata sulla sedia accanto. Mentre passava a fianco a me per uscire dalla sala da pranzo posò un bacio sulla mia testa lasciandomi un po’ interdetta.
È tutto così… normale. Sta bluffando oppure fa sul serio?
Louis era già praticamente fuori dalla porta quando parlò.
«Ah, a proposito, Elizabeth» disse, girandosi a guardarmi. «Ieri ho bevuto parecchio con un mio collega, non mi ricordo praticamente nulla ma se ho fatto qualcosa di strano ti chiedo scusa»
Riuscii quasi a sentire il rumore della mia mascella che sfondava il pavimento.
Louis William Tomlinson si è scusato con me.
Il ragazzo sembrava in attesa di una mia risposta, perciò mi affrettai a scuotere la testa in segno di diniego.
«No, non… tutto a posto, Louis» farfugliai completamente presa alla sprovvista. Lui mi rivolse un sorriso sollevato – sollevato? – e annuì, passandosi una mano sulla fronte.
«Sto da schifo» si lamentò. «Ho un mal di testa terribile, ma non posso proprio rimandare questa riunione. Come se non bastasse ho una serie infinita di appuntamenti nel pomeriggio, chissà come mi è venuto in mente di ridurmi in questo stato proprio ieri»
Ogni tanto Louis aveva qualche momento in cui riusciva ad essere una persona quasi piacevole con cui scambiare due parole; in quelle rare occasioni si comportava più come un ragazzo della sua età che come un insopportabile damerino snob. Quando accadeva arrivavo addirittura a pensare che se fosse stato sempre così avrei potuto anche andarci d’accordo.
«In effetti non è stata un’ottima idea» commentai con un sorrisetto divertito, anche se teso.
Louis sospirò teatralmente, mentre si aggiustava la cravatta e lisciava le pieghe della camicia.
Potrei approfittare di questo suo sprazzo di umanità per chiedergli se posso invitare Liam.
«Beh, ora devo andare. Tornerò nel tardo pomeriggio» si congedò brevemente, facendo per andarsene.
«Ehm, Louis…» lo chiamai, al che si girò a guardarmi con aria interrogativa. «È un problema se faccio venire qui un mio amico di Dover per un paio di giorni?»
Il ragazzo sollevò un sopracciglio.
«Un tuo… amico, Elizabeth?» indagò sospettoso, socchiudendo gli occhi.
«Oh eddai, Louis» esclamai con una punta di esasperazione. «Siamo praticamente fratelli da quando ho un anno, a Dover casa mia era a non più di dieci metri dalla sua e raramente passava un giorno senza che ci vedessimo almeno una volta. È ovvio che mi manca, ma nulla di più»
Sollevò le mani con aria sconfitta, scuotendo la testa.
«Va bene, va bene» concesse magnanimo. «Però se lo vedo uscire dalla tua stanza in piena notte con i pantaloni in mano appenderò la sua testa nell’atrio d’ingresso della villa»
Roteai gli occhi. Doveva sempre essere così… esagerato.
«Non succederà, te lo prometto»
Louis annuì e mi salutò con la mano, prima di voltarsi e dirigersi a passo svelto verso l’uscita.
Quando anche l’eco dei suoi passi non fu più udibile liberai un rumoroso sospiro di sollievo, ancora sbalordita dalla piega che aveva preso la situazione. Se Louis non ricordava nulla di quello che era successo era tutto molto più semplice; niente terzo grado su dove avessi passato la notte, né timore che sarebbe potuto accadere di nuovo in qualunque momento. Mi sarebbe bastato comportarmi come avevo sempre fatto e sarebbe andato tutto bene.
E se stesse solo fingendo di non ricordare? Se si stesse solo dando un contegno, aspettando il momento giusto per il secondo round?
Misi immediatamente a tacere la scomoda vocina che minacciava di spezzare il sottilissimo filo di serenità che ero appena riuscita ad afferrare. Mi passai una mano tra i capelli, cercando di rilasciare almeno in parte la tensione che mi aveva irrigidita durante tutta la conversazione.
Lo stomaco completamente chiuso mi portò ad abbandonare sul tavolo anche la solitaria fetta di pane imburrato che avevo in mano, prima di avviarmi verso la mia camera e recuperare il telefono.
Dopo che ebbi scritto a Liam, dicendogli di partire quando voleva, non riuscii a resistere dall’andare di nuovo verso la mia finestra e sbirciare all’esterno. Constatai con una leggera stretta al cuore che di Harry non c’era traccia. Stava ancora piovendo, e non dava l’impressione di voler smettere tanto presto; si prospettava una giornata di noia mortale, almeno fino all’arrivo di Liam.
Decisi di recuperare il portatile e cercare su Netflix un film da guardare. Cliccai su un titolo a caso dopo aver passato alcuni minuti a scorrere infinite locandine della sezione “Consigliati”. Avviai il film e lasciai che le immagini in movimento riempissero lo schermo, smettendo di seguirle appena pochi secondi dopo, mentre un paio di occhi verdi mi invadeva irrimediabilmente i pensieri senza che io potessi fare nulla per impedirglielo.
 
***
 
Harry’s POV
 
Ero stravaccato sul divano con il cellulare in mano e le cuffiette nelle orecchie, stavo cercando di battere il mio record a Temple Run mentre Master of Puppets dei Metallica infuriava a tutto volume pompando nel mio sangue quella carica extra di adrenalina che mi aveva appena fatto raggiungere il notevole punteggio di 17 milioni.
Quando il personaggio si schiantò contro un tronco d’albero un paio di minuti dopo mi strappai le cuffiette di dosso e lanciai il telefono verso il fondo del divano con un ringhio frustrato. La musica era talmente alta che riuscivo a sentirla perfettamente anche a distanza di un paio di metri.
Mi lasciai andare contro lo schienale, chiudendo gli occhi e passandomi una mano tra i capelli. Odiavo quelle giornate che sembravano morte, in cui non c’era assolutamente nulla da fare. Non si poteva lavorare in giardino ma non potevo nemmeno andarmene dalla tenuta, perché tecnicamente ero in servizio e avrebbero potuto chiamarmi in qualunque momento per fare piccoli lavori di manutenzione alla villa – sostituire lampadine, sbrinare i freezer della cucina, spostare mobili pesanti eccetera.
Sospirai, tentando di inventarmi un escamotage per trascorrere quella giornata più nera del solito in modo da non avere tempo per pensare. Non erano nemmeno le tre di pomeriggio, Phil era stato chiamato alla villa e la dépendance era immersa nel silenzio, fatta eccezione per la musica che le cuffiette continuavano a vomitare e le gocce di pioggia che picchiettavano sul tetto, sulle pareti e sui vetri delle finestre.
Allungai una mano e presi il cellulare, interrompendo la musica, al che l’occhio mi cadde sul giorno segnato dal calendario digitale.
27 maggio.
Mancavano solo due settimane al mio venticinquesimo compleanno, ed in qualche modo l’idea di raggiungere il traguardo di un quarto di secolo mi metteva un po’ a disagio. La mia vita era stata tutt’altro che entusiasmante e non si prospettava granché diversa nel futuro; certo, avrei potuto licenziarmi e andarmene da Rangemore Hall, ma questo avrebbe significato abbandonare Phil come i miei genitori avevano abbandonato me.
Phil si era sempre preso cura di me come se fossi il suo vero figlio, ed era giusto che anche io facessi lo stesso con lui. Volevo bene al vecchio ed ero orgoglioso della persona che ero diventato grazie a lui, anche se spesso non riuscivo a non sentirmi prigioniero di una vita che non mi ero scelto io.
Come Lizzie.
Sbuffai rumorosamente, strofinandomi gli occhi con una mano. In quel momento la porta della dépendance si aprì e Phil entrò, infilando l’ombrello fradicio nel portaombrelli contro la parete e togliendosi la giacca a vento blu.
«C’è un ospite fuori dal cancello, ragazzo» disse, mentre posava la giacca sull’appendiabiti. «Prendi l’ombrello, vai ad aprirgli e a parcheggia la sua auto»
Fare il parcheggiatore era un altro dei miei doveri di tuttofare. Talvolta capitava che qualche riccone venisse a trovare i Tomlinson e, se non avevano il loro autista personale, sistemare la loro auto negli ampi garages della tenuta era compito mio.
«Chi è stavolta? Il fondatore della Sono Ricco e me ne Vanto LTD?» chiesi con un ghigno, indossando il mio giubbotto e recuperando l’ombrello.
Phil ridacchiò, scuotendo la testa.
«Non era atteso, perciò non si sa chi sia. Nessuno dei Tomlinson è in casa, chissà cos’è venuto a fare» borbottò, quasi più a se stesso che a me. «Ad ogni modo questo non è affar nostro. Ora sbrigati, ragazzo, l’ospite sta già aspettando da qualche minuto»
Dopo aver recuperato il telecomandino per aprire il cancello uscii dalla dépendance aprendo l’ombrello, e mi diressi a passo svelto verso il viale d’ingresso della villa.
Quando arrivai rimasi parecchio sorpreso di trovarmi davanti una comunissima – per non dire vecchia – Peugeot 207 bianca, che si discostava decisamente dallo standard di auto che in genere vedevo arrivare a Rangemore Hall.
Di solito gli ospiti dei Tomlinson possedevano i modelli più costosi di BMW, Mercedes e Audi; una volta avevo perfino visto entrare dal cancello una Lamborghini, che ovviamente non mi era stato permesso di parcheggiare.
Decisi di non farmi troppe domande e premetti il pulsante di apertura del cancello sul telecomandino, permettendo alla Peugeot di entrare nella tenuta. Non appena il cancello si fu richiuso mi avvicinai al finestrino del guidatore, che subito si abbassò rivelando un ragazzo dai corti capelli castani che doveva avere all’incirca la mia età. Aveva un’aria piuttosto disorientata.
«Salve, sono qui per parcheggiare la sua auto» gli dissi, senza essere ben sicuro su che grado di formalità dovessi rivolgergli. «Può prendere il mio ombrello e darmi le chiavi, l’ingresso della villa è da quella parte»
Il ragazzo spalancò gli occhi e si lasciò andare ad una mezza risata sorpresa, spiazzandomi completamente.
«Wow, incredibile» commentò, passandosi una mano sul mento. «Sapevo che questo posto era praticamente un castello, ma non credevo ci fossero pure i parcheggiatori»
Ero piuttosto divertito dalla sua meraviglia, ma sapevo di dover fare il mio lavoro senza perdere troppo tempo. Il ragazzo scese dalla macchina e gli passai subito il mio ombrello, richiudendo in fretta la portiera non appena mi fui seduto al posto di guida. Gli indicai di nuovo la direzione che doveva prendere, raccomandandogli di aspettarmi davanti al portone d’ingresso in modo che potessi restituirgli le chiavi, ed ingranai la marcia conducendo l’auto fino al garage.
Quando spensi il motore e scesi dalla macchina battei piano una mano sul cofano.
«Un vero bolide» borbottai, prima di allontanarmi in direzione dell’ingresso principale della villa. Una volta uscito all’esterno dovetti correre per bagnarmi il meno possibile; la pioggia continuava a cadere, fitta e noiosa, e non mi era nemmeno venuto in mente di prendere con me un ombrello in più. Imprecai sottovoce, cercando di correre più in fretta senza scivolare, e quando svoltai sbucando sotto la tettoia all’ingresso mi paralizzai.
Insieme al proprietario della Peugeot c’era Lizzie, che appena mi vide spalancò gli occhi e si strinse di più nella larga felpa verde bosco che indossava.
«Harry» mormorò, al che il ragazzo mi guardò con stupore puntando l’indice verso di me.
«Harry? Lui è Harry?» chiese rivolgendosi a Lizzie, che sembrava presa alla sprovvista quanto me.
«Liam… ti spiegherò meglio dopo» rispose debolmente, senza sapere dove posare lo sguardo. Lui socchiuse gli occhi e non rispose, facendo però intendere che per lui non era finita lì.
Calò un silenzio scomodo, rotto soltanto dal rumore monotono e leggero delle gocce di pioggia; Lizzie si tormentava le mani, chiaramente in imbarazzo, ed io riuscivo a pensare solo al fatto che dovevo assolutamente parlarle. Non sapevo quando avrei avuto un’altra occasione per vederla, perciò non potevo andarmene senza aver almeno provato a risolvere le cose con lei.
Porsi le chiavi della Peugeot a Liam, che le accettò con un cenno del capo, quindi tornai a guardare Lizzie. Lei prese un sospiro nervoso, quindi parlò.
«Ecco… ora noi entriamo, quindi… ci vediamo, Harry»
Fece per aprire la porta d’ingresso ma le afferrai il braccio per trattenerla. Liam mi guardò sospettoso, anche se io non vi badai.
«Aspetta, Liz. Ti prego, ho bisogno di parlarti» la implorai, al che esitò combattuta.
Liam dovette capire l’antifona perché le lanciò uno sguardo denso di sottintesi e sparì dietro la porta, ignorando le silenziose suppliche di lei.
Ci ritrovammo soli, l’uno di fronte all’altra, avvolti dallo stesso silenzio pesante di poco prima. Potevo sentire chiaramente il suo respiro teso, vedevo i suoi occhi saettare incerti a destra e a sinistra e le sue braccia che si avvolgevano intorno al corpo infagottato nella felpa oversize. Era a disagio e avrei fatto qualsiasi cosa per dissipare l’imbarazzo che c’era tra di noi.
«Prima di tutto voglio dirti che non sono arrabbiato, nel caso avessi avuto questo dubbio, e che mi dispiace per averti costretta a prendere questa decisione così drastica» cominciai tutto d’un fiato, mentre con una mano tiravo indietro alcune ciocche umide di capelli che mi erano finite davanti agli occhi. «Sono stato egoista ed irresponsabile, non avrei dovuto lasciare che fossi solo tu ad essere razionale»
Lizzie si mordeva un labbro, cercando con tutte le tue forze di non far uscire la prima lacrima. Era bellissima, constatai con una stretta al cuore.
«So che questa situazione è uno schifo, soprattutto per te» continuai con un sospiro, senza smettere di guardarla, «ma in tutto questo siamo da soli, Liz. Vorrei più di ogni altra cosa poterti portare lontano da qui, ma sappiamo entrambi che non è possibile. L’unica cosa che possiamo fare è non abbandonarci a vicenda, perché non abbiamo altro modo per sopportare tutto questo senza impazzire»
«Harry…» tentò debolmente di protestare, gli occhi già irrimediabilmente lucidi, ma la interruppi.
«Perciò ti prego, non scappare da me. Non evitarmi, non fingere che io non esista, e soprattutto non cercare di farti carico di tutto questo da sola. Permettimi di starti accanto, Lizzie»
Il pianto che aveva cercato di dominare esplose senza che lei potesse impedirlo, ed io impulsivamente coprii la distanza di pochi passi che ci separava e la strinsi tra le braccia. Singhiozzava in silenzio come il pomeriggio precedente, contro la mia maglietta, ma non potevo fare a meno di sentirmi finalmente di nuovo completo e vivo.
Portai le labbra tra i suoi capelli, chiudendo gli occhi, e vi lasciai un bacio delicato che durò diversi secondi. Il suo profumo morbido e fresco mi riempiva le narici, facendomi sentire a casa. La sensazione che provavo sentendo il suo corpo sotto le mie dita era così intensa e vivida da darmi quasi alla testa.
I singulti si affievolirono con il passare dei minuti, e mentre si tranquillizzava le accarezzavo piano la schiena. Non ci volle molto perché tornasse a respirare regolarmente, al che mi allontanai quel tanto che mi bastava a poterla guardare negli occhi.
«Non volevo andarmene così, stamattina» sussurrò, con la voce ancora un po’ tremante dal pianto. Le rivolsi un piccolo sorriso, sfiorandole una guancia con le dita.
«Lo so, è tutto a posto. Non preoccuparti di nulla»
Sembrava più tranquilla, anche se il suo viso mostrava tracce di apprensione.
«Devi andare… sarebbero guai se Louis tornasse e ti vedesse qui» mormorò, abbassando lo sguardo. Annuii, lasciandole un leggero bacio sulle labbra.
«Prima dammi il tuo telefono, così potrò salvare il mio numero» proposi, al che lei tirò subito fuori il suo iPhone dalla tasca della felpa e me lo porse. Creai in fretta il contatto e lo memorizzai nella rubrica, quindi le restituii il cellulare.
«Ti scrivo più tardi» promise, finalmente sorridendo. La strinsi un’ultima volta tra le braccia, baciandola ancora prima di salutarla e recuperare l’ombrello, e mi allontanai in direzione della dépendance.
Mi sentivo di nuovo vivo, carico di un entusiasmo che non avrei creduto possibile. Ce l’avevo fatta, ero riuscito a sistemare le cose con Lizzie ed ora nient’altro aveva importanza. Non riuscii a trattenere un ampio sorriso trionfante, che mi rimase stampato sul viso per diversi minuti fino a che le guance non iniziarono a farmi male.
Ormai nulla avrebbe potuto separarci; avremmo trovato un nostro equilibrio, ci saremmo ritagliati il nostro angolo di mondo dove poter stare insieme.
Lizzie, prima o poi ti libererò da questa prigione, fosse l’ultima cosa che faccio. Te lo prometto, e questa volta ho intenzione di fare sul serio.




Spazio autrice
Salve a tutti <3 eccomi di nuovo qui, come sempre attesissima dai miei soliti due lettori e mezzo xD
Lizzie riesce a far venire Liam a Rangemore Hall, ed entrambi incontrano Harry in una scena che personalmente ho adorato scrivere :')
I nostri due piccioncini decidono di riprovarci... riusciranno ad avere un po' di pace finalmente? Lo vedremo presto :') 
Ho deciso infatti di aggiornare la storia ogni paio di giorni, a seconda di quando avrò tempo. So già che probabilmente piangerò quando pubblicherò l'ultimo capitolo, ma non voglio pensarci ora ahah
Però....... sto scrivendo una nuova storia a tema 1D, e posso dire con relativa sicurezza che sarà completamente diversa da qualsiasi cosa abbiate letto di questo fandom :D
Vi lascio qui sotto il banner che avevo progettato per questa nuova storia, e chi vuole avere qualche info in più mi scriva in privato :3
Tra parentesi, grazie di cuore a 
_RoBeRtInA96_ per aver inserito High Society tra le storie seguite <3

Un abbraccio,
mononokehime

   
 
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