Serie TV > Agents of S.H.I.E.L.D.
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Autore: Agent Janice    06/09/2017    1 recensioni
«Sono l'Agente Phil Coulson, lavoro per la Strategic, Homeland, Intervention, Enforcement & Logistic Division. Sei al sicuro adesso.»
Questa che (spero) state per leggere è la storia che ho creato intorno all'Agente Phil Coulson, mio personaggio preferito dell' MCU e dela serie TV "Marvel's Agents of S.H.I.E.L.D."
La storia comincia nel 2002, circa dieci anni prima gli avvenimenti del film "Marvel's The Avengers" e della "Battaglia di New York", ed ha come protagonista una ragazza, personaggio di mia invenzione, che non ha un vero nome se non il codice 3-1-7 che l'Istituto in cui è segregata le ha affibbiato. Non rivelo di più su di lei, non sono brava nei riassunti vi rovinerei i punti interessanti dei primi capitoli. E' una storia di lotta tra bene e male, come la 'casa delle idee', la Marvel, ci insegna e che, se riesco a portare a termine, dovrebbe ripercorrere e rivisitare alcune delle vicende salienti che abbiamo visto sia nei film, sia nella serie tv.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maria Hill, Melinda May, Nick Fury, Nuovo personaggio, Phil Coulson
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Commento personale: questo capitolo è stato un vero e proprio STRAZIO!  Perchè?! Perchè l'ho dovuto riscrivere due volte, e non perchè la prima stesura non mi aveva convinta, tutt'altro mi era venuta di getto, semplice, genuina, filava tutto liscio. WOW ero davvero orgogliosa. E poi?! Niente GoogleDocs ha deciso di non sincronizzare gli aggiornamenti di quella mattina e di cancellarmi 5 pagine e mezzo delle 9 che avevo scritto, lasciandomi con un sacco di rabbia, un sacco di frustrazione e soprattutto un sacco di caos in testa. 

Per questo capitolo, ve lo chiedo in ginocchio, ditemi se ci sono: ripetizioni esasperanti di situazioni o atteggiamenti dei personaggi. Se qualcosa non fila a livello logico, tipo contraddizioni o cose particolarmente fuori da ogni 'realismo' (sempre tenendo conto che è una fanfiction 'fantascientifica' ambientata nel mondo MARVEL).
Insomma ho bisogno del vostro sostegno perchè ho letto talmente tante volte questo capitolo, ho cercato di ricrearlo come avevo fatto alla prima stesura, intestardendomi e penso di aver fatto molta confusione. 
Chiedo scusa per il ritardo. Chiedo scusa per il caos. Il prossimo capitolo sarà un punto e a capo. Perchè devo scriverlo da zero, e sto arrivando ad un punto che adoro (sì, perchè nella mia testa il la trama è completa ahah). A presto.
 

13. Un po' più che un semplice film Horror

                                                                                                                    


I due agenti incaricati da Fury di controllare gli alloggi delle guardie si riunirono alla squadra principale. Con rammarico riferirono al direttore che non erano risaliti a granchè di utile.
Persino l'armeria, in cui i due avevano riposto gran parte delle loro speranze, si era rivelata un misero bottino, poiché era praticamente sgombra, se non per: quattro pistole di basso calibro e prive di munizioni, tre fucili d'assalto disassemblati e addirittura con parti mancanti ed infine un mobiletto in metallo imbottito di gommapiuma pieno di taser, ormai scarichi. Nient'altro.
Detto fra noi, quello che interessava ai due agenti non era recuperare nuove armi per rifornire le armerie della Strategic, tutt'altro, quello in cui avevano sperato era di trovare qualcosa su cui basare una indagine; codici dei telai, documenti con le immatricolazioni, particolari tipologie di munizione, particolari tipi di materiali, parti di ricambio, e così via dicendo. Ognuna di queste cose avrebbe potuto aumentare a livello esponenziale le probabilità di risalire ad una cerchia di contrabbandieri. I database della Strategic erano pieni zeppi di dati su contrabbandieri di armi e di materiali chimici di tutto il mondo. Sarebbe bastato davvero poco.
I due agenti, seppur delusi avevano ugualmente proseguito secondo la procedura standard esaminando quei pochi oggetti ritrovati. Li smontarono e ne scansionarono le varie parti usufruendo di particolari holo-scanner, digitalizzatori ottici di tecnologia avanzata, a marchio Strategic, che permettono di ricavare immagini olografiche in tre dimensioni dell'oggetto in questione, riuscendo a recuperare anche quei dettagli che l'occhio umano non riuscirebbe a percepire se non con un'analisi approfondita in un laboratorio adeguatamente attrezzato.
Infatti il passo successivo era stato inviare le immagini al QG per farle riscontrare con i dati dei vasti database della Strategic, ma come già sappiamo, non ebbero riscontri positivi di alcun genere. Sembrava che nessuno avesse prodotto quelle armi.

Esattamente come successe anni fa quando alla Asklepius esaminammo le protesi di 3-1... di Janice. Pensò il direttore Fury cominciando a trovare la cosa noiosa e dannatamente ripetitiva. Chiunque abbia gestito questo posto, sa il fatto suo su come pararsi il culo.

 

In quel momento, colpito da un'ondata di rabbia, si promise mentalmente che se mai avesse avuto l’occasione di ritrovarsi faccia a faccia con l’uomo che gli aveva indicato quel luogo lo avrebbe strozzato con le proprie mani.
Strinse i denti dal nervoso e tiró dritto lungo il corridoio per qualche passo fino a che non giunse ad un bivio.
«Recluta...» richiamó Janice con un tono aspro che rispecchiava di gran lunga il suo stato d’animo. Quella fu per la ragazza una di quelle rare volte in cui aveva percepito un’emozione trapelare dal direttore in modo cosí chiaro.
«Sí, signore.» fece un passo verso di lui obbediente.
«Dimmi, cosa c’é più avanti?» le domandó voltandosi verso di lei.
Janice guardò verso il fondo del corridoio, distogliendo momentaneamente gli occhi dal direttore, per fare mente locale: «A destra ci sono i dormitori, signore. Mentre a sinistra c'è sicuramente la SALA OPERATORIA 3 che altro non é che un piccolo ambulatorio di ginecologia, dove non vi tenevano granché nemmeno all’epoca...»
Fece una breve pausa cercando di ricordare tornando a guardare l’uomo in volto: «Penso che andando oltre dovrebbe esserci la sala operatoria di ostetricia, il corridoio che porta alla quarantena ed infine c'è una porta blindata. Potrebbe essere... un obitorio?!» Corrugó la fronte in un’espressione di disarmo, perché ricordava di aver visto portare uno dei suoi compagni, privo di vita, in quel reparto, ma nessuno sapeva dove fosse davvero finito, sarebbe anche potuta esserci benissimo un’altra uscita, per quello che ne sapeva.
«Non sono mai andata oltre l'ambulatorio, ho solo visto l’insegna sopra alla SALA OPERATORIA 4 e sentito dire più volte che era adibita ad ostetricia anche se ad essere sincera non ho mai visto donne incinta qui dentro. Mi dispiace, non so dirle di più, signore.»
«Va bene cosí.» il tono dell’uomo scaturiva una certa freddezza, ma non rabbia.
Janice fece un passo indietro per tornare in mezzo alla squadra, facendo particolare attenzione a non urtare nessuno. Venne imitata dagli altri due agenti specialisti che si erano appena riuniti al gruppo che presero posizione al fianco dei loro colleghi.
Tutti rimasero in silenzio, in attesa della decisione del Direttore.
Janice aveva detto la verità, davvero non era mai stata più in là dell’ambulatorio di ginecologia. A dirla tutta, all’epoca vi era stata portata soltanto quelle due volte l’anno per sottoporla ad un controllo generale, quindi anche i suoi ricordi di quella stanza erano vaghi. Al contrario peró, il reparto a destra lo conosceva molto bene, erano soltanto a pochi metri da quella che una volta era stata la sua ‘stanza’.
Un’altra fitta le attanaglió lo stomaco seguita nuovamente da una forte nausea.
Fu questione di un attimo, solo pochissimi secondi o addirittura centesimi di secondo in cui improvvisamente la divisa aumentó drasticamente di peso ed il colletto le attanaglió la gola impedendole di fare respiri profondi, mentre l’arma che teneva in mano le dava smania, avrebbe voluto lanciarla via con tutta la forza che aveva in corpo, il più lontano possibile, urlandogli dietro a pieni polmoni.
L’attacco di panico si stava malignamente prendendo gioco di lei, mettendola in seria difficoltà.
Per quanto le fosse possibile cercó con tutta se stessa di non farsi notare dai colleghi cercando di mantenere una facciata neutrale. Non era facile. Sentiva il cuore martellarle nel petto e le orecchie presero a ronzarle come un alveare di grosse vespe indaffarate.
Le si chiuse la gola e le salì il bisogno di urlare e piangere.

STOP.

DANNAZIONE.

BASTA.

Janice cercò di prendere la situazione in mano, strinse i pugni per darsi forza e si costrinse a fare un paio di profondi respiri e a razionalizzare i sintomi, dunque: la divisa é leggera e comoda come sempre, tra il colletto ed il mio collo ci passano tranquillamente due dita - portó meccanicamente due dita al collo per constatare la veridicità dei suoi pensieri - l’arma… beh quella basta riporla nella fondina e fine del problema.
La frequenza cardiaca si abbassó nuovamente tornando nei limiti della norma, la nausea si attenuó e l’unico sintomo che persistette fu quel maledetto mal di stomaco, che tuttosommato senza tutto il resto, era sopportabile.
Tutto si era svolto in una manciata di secondi, ma per lei erano ugualmente sembrati minuti interminabili.
Janice lanció d’istinto un’occhiata a Coulson che, dandole le spalle, apparentemente sembrava non aver notato il suo attimo di smarrimento e ne fu profondamente sollevata.
La voce del direttore la distrasse catturando la sua attenzione: : «Direi di lasciare gli alloggi per ultimi. Procediamo da questa parte...» sentenziò facendo qualche passo in direzione del corridoio di sinistra.
Il team si incamminó obbediente dietro a Fury fermandosi solo a dare un’occhiata veloce all’ambulatorio di ginecologia, che come aveva suggerito Janice, non aveva molto da nascondere.
La voce del direttore la distrasse ancora una volta, catturando la sua attenzione: : «Direi di lasciare gli alloggi per ultimi. Procediamo da questa parte...» sentenziò facendo qualche passo in direzione del corridoio di sinistra.
Il team si incamminó obbediente dietro a Fury fermandosi solo a dare un’occhiata veloce all’ambulatorio di ginecologia, che come aveva suggerito Janice, non aveva molto da nascondere.
Proseguendo oltre Coulson passó in testa al gruppo e fu il primo ad entrare nella ‘SALA OPERATORIA 4’, facendo strada agli altri.
La stanza che gli si paró davanti era sbalorditivamente enorme, al centro vi erano due grossi tavoli operatori con due lampade scialitiche* ciascuno; una grossa semi-fissa ed un’altra piccola con un braccio articolato molto lungo che probabilmente alla necessità le avrebbe permesso di avvicinarsi molto al ripiano del tavolo.
Quello che peró attiró l’attenzione di Coulson fu la parete al lato opposto alla porta da cui era entrato.
Lunga poco più di quindici metri, cosí ad occhio,la parete era interamente coperta, dal pavimento al soffitto, da un angolo all’altro, da scaffali di metallo lucido, le cui mensole erano stipate da contenitori cilindrici di vetro trasparente.
Ce n’erano di diverse dimensioni ed erano tutti colmi di un liquido verde acqua, sorprendentemente limpido, tanto che si potevano notare, avvolte al suo interno, strane forme, non distinguibili da quella distanza.
Ogni mensola era illuminata da una sottile striscia di led a luce soffusa che sembrava venir assorbita dal liquido di quegli strani contenitori, sprigionando luminosi riflessi verde-azzurro che si allungavano come sinuosi tentacoli sia sul pavimento che sui muri adiacenti, dando l’illusione di trovarsi di fronte ad una enorme onda di qualche bel posto tropicale.
Quando in realtà si trovavano in una stanza nascosta svariati metri sotto terra, in mezzo a quello che sembrava sempre più un inquietante mix di film dell’orrore.

Avete presente quelle storie dove troviamo un gruppetto di ragazzi che rimangono bloccati in mezzo al nulla cosmico con macchina in panne, ed ovviamente non gli rimane molto altro da fare se non inoltrarsi nel bosco (sí, c'è sempre un bosco) per cercare altre strade o case a cui chiedere aiuto e solo quando si fa notte arrivano davanti ad una vecchia villa. Ovviamente vi entrano perchè nessuno è in casa e tutto procede in modo tranquillo, diciamo pure ‘alquanto noioso’... Fino a quando d'un tratto, non si sa bene come ma in un modo o nell’altro il gruppetto di ragazzi si divide ed almeno un paio finiscono sempre per entrare in quella che si rivela la stanza degli orrori, uguale a quella in cui è adesso il nostro team, solo più buia, più sporca e piena di poltiglia putrescente.
Di solito a questo punto uno dei ragazzi nota, allontanandosi dagli amici a causa della sua maldestra curiosità, che il contenuto di quegli strani barattoli si muove, attratto dalla sua presenza cosí vicina… ed il suddetto ragazzo non ha il tempo di pentirsi di essersi allontanato che la creatura infrange il vetro con uno schiocco sordo e schizza fuori avvinghiandoglisi al volto, senza dargli il tempo di gridare.
Nel frattempo, dall’unico pertugio buio della villa, qualcos’altro di più grosso e terrificante scivola allo scoperto per infierire su questo povero malcapitato, ormai immobilizzato, e lo trascina via facendolo sparire misteriosamente...

Mioddio, guardo troppi film dell’orrore… si disse Coulson, passandosi una mano sul viso, strizzando gli occhi, come a voler scacciare via quelle immagini.

Si avvicinó alle file di contenitori per poterne distinguere i diversi contenuti. Da subito desideró di non averlo fatto - no, nessun essere alieno si mosse galleggiando nel liquido verde, tranquilli - inumidendosi il labbro inferiore con la lingua in una smorfia di disgusto, comprese che quella prima parte di scaffalatura era piena, dall’alto in basso, di feti in perfette condizioni, tutti di diverso tempo di gestazione ed ognuno con diverse malformazioni. Facevano senso perché fluttuavano in quel liquido limpido, pulito, e sembravano essere in stasi in attesa di svilupparsi.
Su ogni barattolo vi era un’etichetta con un codice particolare.
Coulson si schiarì la voce sentendosi bocca e gola secche: «Dobbiamo cercare bene, penso che da qualche parte debbano esserci dei documenti con tutte le catalogazioni di questo...» non riuscí a trovare una parola ‘professionale' adatta a descrivere quello schifo… perché di ‘schifo' si trattava. Che fosse sul pulito e non sul putrescente, come sarebbe stato in un film horror, la natura di quello che stava osservando gli trasmetteva disagio e disgusto.
Scorrendo ulteriormente le mensole con lo sguardo notó che, seppur radi, c’erano diversi spazi vuoti
«Qui ci sono degli spazi vuoti, in diversi punti.» annunció.
«Anche qui...» asserí Fury davanti al blocco successivo prendendo tra le mani un contenitore con dentro una mano, presumibilmente di un adulto, perfetta per proporzioni e condizioni, l’unico particolare erano le sottili membrane, quasi trasparenti, che univano le dita. L’uomo che nonostante stesse tenendo tra le mani un arto appartenuto a chissà chi, o chissà cosa, che lo rendeva raccapricciante a priori, riuscí a trovarci ugualmente qualcosa di affascinante. Bene o male, si doveva ammettere che tutti i membri del team, chi con disgusto, chi con semplice curiosità, si erano soffermati a guardare gli abitanti di quei cilindri, attratti da una sorta di inquietante magnetismo.
Tornando allo scaffale che stava osservando il direttore, si poteva dire che nel suo insieme era un enorme catalogo di deformazioni genetiche che affliggono arti e diverse parti del corpo, come: polidattilismo, mani e piedi con sindattilia semplice, ogni caso con diversi tipi di membrane, mani con squame fini come quelle dei pesci e parti di pelle con invece squame spesse come quelle dei grossi rettili.
C’erano persino sezioni di visi spellati che mostravano, anche ad un occhio ignorante in materia, una muscolatura particolare, innaturale, mentre altre presentavano addirittura dentature non conformi a quella umana.
Il direttore pensó che sembrava di star visitando un laboratorio di effetti speciali Hollywoodiano.
L’ultima sezione capitó a Janice, al contrario degli altri rimase indifferente davanti a tutti quegli organi: parti di apparati respiratori collegati a quelle che sembravano branchie, cuori di diverse dimensioni e forme, occhi con una o più pupille di forma atipica, ossa dalla composizione particolare, e cosí via, le sembrava di star facendo una particolare lezione di anatomia medica all’accademia. Abbassando lo sguardo incontró le forme di alcuni organi che erano persino stati decellularizzati, ed erano di un bianco candido, sembravano quasi essere stati intagliati nel marmo.
Quell’innaturalezza le fece inaspettatamente sussultare lo stomaco e la sensazione di un conato si fece largo nella sua gola, chiuse gli occhi e provó con tutta se stessa a reprimerlo.
In quel momento una mano le afferró la spalla facendola trasalire. Con la coda dell’occhio vide che era bianca, quindi dedusse fosse Coulson, nessun altro della squadra l’avrebbe toccata con così tanta confidenza, inoltre lui era uno dei pochi che non indossava i guanti perché non era in divisa.
«...Signore.» deglutí rumorosamente senza volere «Non sa cosa ha rischiato.»
Cercó di fare del sarcasmo ma era difficile in quelle condizioni.
Nel momento entró nella sala anche l’agente Roland troncando cosí sul nascere le parole che Coulson stava per rivolgere a Janice. «Direttore?!» chiese il permesso l’agente.
«Dica, Roland»
«Gli agenti della seconda squadra sono riusciti ad aprire i due uffici, hanno trovato diverso materiale cartaceo, cartelle mediche, documenti ed altro. Li stanno dividendo e preparando per il trasporto. Mentre io ho finito di catalo...» il suo tono professionale scemó in una smorfia di disgusto: «Hey, ma che diavolo di posto è questo?» si accostó ad una delle macchine più vicine all’entrata, l’aprí e ne controlló l’interno trovandovi delle provette sporche il cui contenuto peró era ormai compromesso.
La squadra era rimasta talmente scioccata da quella parete degli orrori che non aveva ancora rivolto lo sguardo alle proprie spalle per notare i diversi tipi di macchinari.
«Sa cosa sono, agente?»
«Sí, signore… servono per la procreazione in laboratorio. Tutti questi...» indicó diverse macchine: «...sono macchinari per lavorare il materiale genetico. Questa serve a dividere diversi geni...» indicò quella che aveva controllato: «...mentre quella é per creare materiale genetico chimico, serve a tappare i gap nei filamenti di dna.»
Aggrottó la fronte sconcertata e confusa: «Signore, sono tutte macchine sperimentali, sono anni che se ne parla e che ne vengono mostrati i prototipi alle expo, ma ancora non gira niente di ufficiale. Soprattutto, niente di funzionante.»
Janice sentendo quelle parole si portó una mano sulla propria spalla cercando quella di Coulson, che peró si era già scansato. Lo cercó con lo sguardo e richiamó la sua attenzione dando un piccolo strattone al suo giubbotto in kevlar. «Signore...» sussuró con lo sguardo perso nel vuoto: «Cosa… Se io… E se fossi nata qui…?» domandó cominciando ad andare completamente in panne.
Ad essere sinceri era lo stesso dubbio saltato in mente a Coulson, quando la Roland aveva pronunciato “procreazione in laboratorio”, ma allo stesso tempo nel caso di Janice, considerando la sua soprannaturale abilità, non sembrava una conclusione plausibile e non voleva alimentare le paure della ragazza prima di avere delle prove concrete.
Le afferró un braccio delicatamente e l’accompagnó dall’altro lato della stanza, allontanandosi dalle orecchie del Direttore, dalla Roland e gli altri agenti che stavano facendo capannella intorno alla donna, seguendo la sua discussione su quegli aggeggi infernali.
Piantó i suoi occhi in quelli della ragazza:«Calma Jan, non arrivare a conclusioni affrettate.»
Il tono dell’uomo, seppur basso per rimanere discreto, aveva abbattuto ogni barriera di formalità.
«Tu hai dei ricordi riguardo alla tua vita prima di entrare qui. Ricordi della tua famiglia, di que…»
Janice lo interruppe: «Sí, ma sono vaghi, potrebbero essere tutta opera loro, no?»
«Non è cosí facile. Pensaci, non sono mai riusciti ad entrare nella tua testa…Ti hanno sottoposta a terapie invasive pur di capire come funziona la tua mente ed hanno avuto risultati disastrosi. Non esiste ancora una tecnologia per riscrivere la memoria nelle persone...» Stava per dire…«Normali, non si faccia scrupoli… non qui dentro.» taglió corto Janice finendogli bruscamente la frase.
Coulson l’aveva sempre incoraggiata ad accettarsi per quello che era, per la sua diversità, con i suoi pro ed i suoi contro, ma spesso si era trovato in imbarazzo a rivolgerle determinate parole. Non era una questione di discriminazione per lui, semplicemente non voleva ferirla, voleva egoisticamente rimanere un punto di riferimento per lei senza metterla a disagio o farla dubitare del suo appoggio.
«Sí, normali...» continuó Coulson: «...e anche se avessero qualcosa in fase sperimentale sono certo che giacerebbe fulminato in un angolo del dimenticatoio se l’avessero usato su di te.»
«Ma il test per l’obbedienza. Quello… quello fu-funzionava...»
L’uomo fece cenno di ‘metà e metà’ con la testa.
«É vero, ma solo in parte. Ha funzionato talmente bene che ora sei qui, con noi della Strategic.» Le fece un mezzo sorriso cercando di consolarla.
Tutto ció gli venne davvero dal cuore, non poteva e non voleva giocare all’agente freddo e metodico, non in questa situazione.
Oltretutto non l’aveva presa ingiro, le aveva esposto un ragionamento a cui credeva davvero, non una cosa sconclusionata cosí tanto per rassicurarla.
Ovviamente poteva essersi sbagliato, ma fino a prova contraria poteva anche aver ragione.
Janice ci pensó un attimo, aveva paura che l’uomo si sbagliasse e di essere davvero soltanto un codice, un ibrido genetico. Cercó di concentrarsi, le parole di Coulson erano giuste, non erano assolute ma poteva riporvi la propria speranza ed appigliarvisi con tutta la forza che aveva. Perlomeno fino a quando non avrebbero scoperto la verità.
«Va bene...» inspiró a fondo diverse volte distogliendo lo sguardo dall’uomo perché sentí gli occhi riempirsi di lacrime.
«Signore...» la voce le tremava, anche se non stava davvero piangendo:«... forse ho sbagliato a venire. Non… non so se sono davvero pronta a sapere chi o cosa sono…» ammise, sempre guardando altrove.
«Sfido chiunque in questa stanza e in tutta la Strategic ad essere più coraggioso di te.» le fece un mezzo sorriso premuroso anche se lei non lo vide.
«Senti Janice, se tutto questo é troppo per te, basta una sola parola per farti tornare di sopra...»
«Cosí in una volta sola deludo il direttore, e ti… le faccio fare una brutta figu..»
Coulson la interruppe tirandole su il viso con una mano per poi poggiargliela fermamente su una spalla. Gli occhi azzurro-verdi dell’uomo si fissarono in quelli verdi di lei, serio e con una nota dura nella voce:«Questa non è una prova, Janice. Non é una missione di iniziazione in cui devi dimostrare qualcosa a qualcuno. Ti riguarda personalmente a livelli che nessuno di noi puó capire. Non ci siamo né io né Fury, ci sei solo tu.» indicó se stesso e poi dietro le spalle con un gesto ampio del braccio.
Janice annuì stringendo i denti per non piangere.
«Purtroppo qui ci sei tu ed i tuoi ricordi. Nessun livello nella Strategic sarebbe abbastanza alto per poterti giudicare.» fece del sarcasmo, cercando di alleggerirle il peso psicologico che le gravava addosso: «Io nei tuoi panni avrei giá cominciato a colpire e spaccare tutto questo ‘schifo'...» l’aveva detto ‘schifo', ‘schifo', ‘schifo’…:«...già nella prima stanza, compromettendo ogni sorta di indizio.»
Le asciugó una lacrima che sfuggita al suo controllo stava rotolando giù dalla sua guancia.
«Nessuno ti giudicherà se vorrai tornare di sopra.» le ripetè: «Ricevuto?»
La ragazza deglutí tirando su col naso :«Okay, ricevuto signore.»
Passó giusto il tempo che serví a Janice per riprendersi ed I due tornarono indietro.
Fury lanció uno sguardo su entrambi: «Tutto bene?»
«Sí, signore. Ci siamo solo posti alcuni dubbi ma finché non arriviamo ma non me la sento di esporli fintanto che non avremo qualcosa di concreto tra le mani.» Coulson cercó di tagliare corto per non dover accendere un dibattito sulle origini di Janice. In quel momento sarebbe stato comunque pura speculazione, quindi solo una ulteriore perdita tempo.
«Va bene agente.» il direttore comprese il genere di dubbio che i due si erano posti, era lo stesso che aveva tirato in tavola all’agente Roland pochi attimi prima, quando aveva visto Janice allontanarsi. Ma anche loro non erano giunti a nulla di concreto.
Guardó Janice per un attimo: «Ragazzina, se hai bisogno di aria basta un’alzata di mano. Si comincia a soffocare quaggiù.» le fece l’occhiolino prima di voltarsi verso il resto del gruppo.
«Agente Roland, prenda loro quattro...» indicó gli agenti intorno a se: «… e scansionate, documentate tutta questa stanza.»
«Sí, signore. Ho il permesso di chiedere di portarmi un drone dal piano superiore?»
Il direttore le annuí spiccio uscendo dalla stanza solo con un paio di agenti, piú Coulson e Janice al suo seguito.
Rimaneva un'unica stanza da controllare, evitando la quarantena per questioni di sicurezza, tanto sarebbero potuti tornarvi in un secondo momento con l’attrezzatura adatta, ed era la criocella.
Era chiusa da una porta ermetica molto grossa, ci vollero le forze del Direttore e di Coulson assieme per sbloccarne la leva di apertura.
Quando l’arnese cedette, facendo schioccare gli ingranaggi, i due tirarono la porta con forza, aprendo quello che a tutti gli effetti sembrava un freezer.
Una nuvola di gas si versó sul team facendo allontanare tutti a gran velocità. L’odore disgustoso riempí di prepotenza bocche e narici degli agenti, portandone due seguiti a ruota da Janice a correre lontano nel corridoio per vomitare l’anima.
La ragazza distinse e salutó la cena a base di pizza, patatine, birra e snacks, consumata poche ore prima insieme a Coulson… Coulson?!
Alzò lo sguardo da terra appoggiandosi alla parete, pochi passi dietro a lei Coulson ed il Direttore stavano annaspando cercando di riprendere fiato, entrambi con occhi gonfi, lacrimanti e molto arrossati, a causa del contatto con i gas.
Fury e Coulson si sostennero a vicenda incamminandosi lungo il corridoio, Janice li imitò andando ad aiutare gli altri due agenti che si erano sentiti male come lei: «Tutto a posto? Ce la fate a camminare?» I due non riuscirono a parlare assaliti dai colpi di tosse insistenti ma uno le fece cenno di riuscire a proseguire mentre l’altro alzò un braccio in gesto d’aiuto che la ragazza afferrò prontamente e lo fece appoggiare alle sue spalle, sostenendolo per la cintura della divisa con l’altra mano. «Non ti preoccupare. Arriverà l’altro team con le attrezzature. Presto ti sentirai meglio.» cominciò a parlargli per non fargli perdere completamente i sensi.
Fury tra un colpo di tosse ed un altro, raggiunse insieme a Coulson il lato opposto del corridoio attirando l’attenzione della Roland che stava cercando di contattare la squadra in superficie.
Il direttore la precedette attivando la trasmittende che aveva all’orecchio: «Abbiamo bisogno di maschere anti-…» la tosse gli taglió il fiato.
La Roland prese in mano la situazione passando sopra alle formalità e si avvicinó a lui per farsi sentire dall’altra parte della trasmittente: «Portate la valigia delle maschere anti-gas e prendete tutti i filtri di ricambio che abbiamo a disposizione.»
Il direttore le fece cenno di assenso tra un colpo di tosse e l’altro, solo lui poteva sentire le risposte. «Portate anche dell’acqua ed un paio di droni per le scansioni.»
Fury recuperó fiato, la gola bruciava ancora ma la tosse stava pian piano calmandosi.
«Ben fatto agente.» si complimentó con la donna.
In poco tempo il team che era rimasto in superficie li raggiunse dando loro il supporto che avevano richiesto.
Tutti gli agenti che erano stati coinvolti nell’incidente e avevano respirato dentro a quella nuvola di gas furono obbligati dall’agente Roland ad usare degli inalatori e del collirio ad intervalli regolari per almeno una mezz’ora prima di poter bere o indossare le maschere anti-gas.
Passata la mezz'ora Coulson aiutó Janice ad indossare la propria maschera regolandone i lacci in modo da farla aderire bene al viso della ragazza, che lo ringrazió limitandosi ad un gesto di ‘ok' con la mano ed una pacca di gratitudine.
Janice aveva addosso ancora vivida la sensazione di quell’odore terrificante, quindi aveva deciso di limitare le parole per non rischiare di sentirsi nuovamente male.
Fu molto sollevata quando al primo respiro dentro la maschera i filtri sprigionarono un profumo di menta, che a cose normali avrebbe ricordato una di quelle pomate balsamiche per il raffreddore, ma in quel momento era una manna dal cielo che allevió il suo disgusto.
Quando tutti i membri del team furono pronti, il direttore Fury diede il comando di proseguire inoltrandosi nuovamente lungo il corridoio che portava alla criocella.
L’agente Roland, unitasi al gruppo, si portó alle spalle di Janice e attiró la sua attenzione appoggiandole una mano sulla spalla: «Hey ragazza, tutto okay?» la voce fuoriuscí ovattata dalla maschera della donna.
«A parte aver cercato di pulire il pavimento con la mia cena…» cercó di fare del sarcasmo ma gli uscí malissimo, si arrese all’evidenza:«Non okay, immagine disgustosa, mi è uscita malissimo. Scusi, agente. In realtà, non so se sia tutti okay.»
La Roland annuí con un semplice gesto della testa: «Capisco.»
«Secondo me stai andando bene. Forse anche troppo! Si vede che sei allieva di Coulson, sai mantenere una facciata imperturbabile e professionale.»
Le fece l’occhiolino dalla maschera per esprimere il suo sincero apprezzamento.
«Peró sei una recluta, non devi ancora dimostrare niente sul campo. Non sforzarti...»
«Ho bisogno di sapere.» la interruppe Janice stufa di sentirsi dire che ‘arrendersi' era lecito nel suo caso.
Tiró un sospiro profondo: «Ho bisogno di sapere chi sono. Perché sono cosí? E perché, se avevo una famiglia, mi hanno abbandonata qui? Questo posto ha influenzato la mia vita per troppo tempo. Mi sta facendo uscire matta. Il mio addestramento come Agente é l’unica cosa che mi rimane a cui aggrapparmi per mantenere lucidità. Per essere qualcosa di diverso da quello che si aspettavano qui dentro.»
Ci furono alcuni attimi di silenzio mentre si avvicinavano alla porta blindata, ora socchiusa, della criocella.
«Non voglio che qualcuno si prenda il fardello di venirmi a raccontare la mia storia. Voglio vedere la verità con i miei occhi. Non importa quanto faccia male.»
«Ah dannazione. Coulson ha tirato su un’agente degna della co-fondadrice della Strategic.»
Janice rise «Non dirlo di fronte a lui che poi ci crede e mi fa un culo cosí...» mimó il gesto sorridendo alla Roland: «...ai prossimi allenamenti.»
Mentre lo diceva si rese conto che il team si era fermato davanti alla criocella, Coulson e Fury ne stavano spalancando la porta. Dei neon bianchi si accesero automaticamente sfarfallando ogni volta che l’intensità della luce aumentava.
Fury e la Roland entrarono per primi, seguiti a ruota da Coulson e Janice.
La stanza non era tanto diversa da quelle visitate in precedenza: anche lí lo spazio era enorme ed anche lì c’erano delle scaffalature che prendevano tutto il perimetro, non solo una parete.
La grossa differenza stava nello stato generale: il pavimento era ricoperto da una sottile melma scura, di colore indefinito che ricordava qualcosa di marcio e appiccicosiccio, e le pareti avevano enormi macchie di muffa, nere ed umide.
Le scaffalature erano ad altezza uomo, con soli tre ripiani. Nelle mensole in alto, che erano piú strette, c’erano dei contenitori isotermici, di solito usati negli ospedali per il trasporto di organi.
Mentre nelle mensole in basso, che erano molto profonde, c’erano a coppie dei sacchi neri, sporchi ai bordi dai quali gocciolava quella sostanza che aveva interamente ricoperto il pavimento.
«NON toccate niente. NON aprite niente.» comandó l’agente Roland con particolare enfasi sulla negazione.
Janice si avvicinó ad uno dei sacchi, tutti avevano capito che contenevano cadaveri, ma lei aveva bisogno di averne la conferma leggendo l’etichetta che penzolava dalla cerniera: 3-1-6…
Nonostante la consapevolezza, immediatamente un moto di rabbia e disgusto le salí al petto.
Coulson le si avvicinó superandola di mezzo passo per controllare di persona le altre etichette, una delle quali era attaccata ad un sacco più piccolo:«1-9-4, 2-7-9…»
L’uomo si portó istintivamente una mano sul volto, incontrando peró il vetro della maschera: «Sono gli altri ragazzini...»
Janice si voltó verso di lui: «Come mai li hanno lasciati qui?» domandó con un filo di voce e si affrettó ad aggiungere senza lasciarlo rispondere: «Perché non li hanno trasferiti o bruciati, che senso ha?»
A rispondere fu Fury: «Sarebbe rischioso spostare tutti questi cadaveri in breve tempo senza essere notati...»
«Soprattutto perché questo non era un obitorio, i cadaveri non andavano smaltiti. Questo é un frigorifero. Cercavano di mantenerli. Servivano a qualcosa.» specificó la Roland guardandosi attorno «Probabilmente a recuperare materiale genetico.»
Janice annuí fidandosi delle supposizioni dei colleghi. Con freddezza innaturale che fece preoccupare Coulson, la Roland e anche Fury, la ragazza continuó a guardarsi intorno senza proferire parola. Riconobbe i codici di quasi tutti i ragazzini che aveva conosciuto nell’Istituto e che man, mano erano spariti. Ma rimase sorpresa nel vedere molti più sacchi, molti più codici di quanti ne avesse mai incontrati. Suppose che fossero persone arrivate prima di lei, che quindi non aveva mai incrociato.
«Janice!» la voce di Fury la richiamó dai suoi pensieri. «Dobbiamo proseguire, te la senti?»
La ragazza si giró verso di lui con aria sicura: «Sí, signore.» gli rispose: «Con tutta sincerità penso che ormai non possa esserci niente che sia peggio di tutto questo.»
Fury fece un gesto che sembrava una sorta di spallucce: «Penso anche io.»
Le fece cenno di seguirlo mentre con una falcata usciva fuori dalla criocella.
«Hey ragazzina. Credimi, non ho mai visto tanta merda tutta in una volta.
Ed ho una lunga carriera alle spalle. Quindi di merda ne ho vista davvero tanta.»
«Le credo, signore.»
«Non hai mosso ciglio dentro al frigorifero degli orrori. Come mai?»
«Immaginavo già cosa vi avremmo trovato.» guardó il direttore togliersi la maschera antigas e lo imitó cercando di mantenere il suo passo lungo il corridoio.
«Una volta due ragazzi si misero a litigare nella mensa.» sentire nuovamente i rumori nitidi e soprattutto la sua voce in modo cosí cristallino le fece uno strano effetto.
«3-1-6 perse il controllo ed attaccó la guardia che cercó di trattenerlo. Lui poteva controllare la pressione del sangue.»
Si strofinó gli occhi d’istinto ricordando l’accaduto: «Non vado nei particolari ma sappia che la testa della guardia fece la fine di un gavettone.
Scoppió il trambusto, ci fecero tornare nelle nostre stanze mentre un’altra guardia riempì di piombo il ragazzo. 3-1-6 venne portato oltre quella porta blindata. Anche se non vedemmo cosa c’era all’interno, lo intuimmo.»
«Quanti anni avevi?»
«Quattordici. Credo…»
«Credi?»
«So quando sono entrata. E quando sono uscita. Ma non riesco a collocare nel tempo cosa é successo lì dentro.
Il Dr. Garner dice che é una conseguenza post traumatica. La mia testa cerca di dimenticare, ma non riesce, quindi l’unica difesa che le rimane é mettere tutto in confusione.»
«Sí, ho letto la cartella. Successe anche a me. Nella missione in cui persi l’occhio. Ho cominciato a ricordare i dettagli solo anni dopo.»
«Scommetto che é una storia classificata.»
«Naturalmente.»
Fury le fece un mezzo sorriso e alle loro spalle Coulson e la Roland erano rimasti a bocca aperta vedendoli parlare insieme.
Era riconosciuto che il Direttore fosse un uomo molto spiccio, di poche parole in missione.

                                                                                                          

*lampada scialitica: sono quelle lampade, solitamente di forma circolare, che usano in chirurgia per illuminare il campo operatorio in modo uniforme, così da non avere ombre che potrebbero compromettere l’operazione.

   
 
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