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Autore: Luana89    07/09/2017    0 recensioni
«Perché?». Mi guardò dubbiosa.
«Perché cosa?»
«Perché rimani se odi l’idea di mostrarmi il tuo corpo?». Ero sinceramente curioso.
«Perché .. – una pausa, le sue dita sul gancio del reggiseno. Lo tolse – preferisco questo piuttosto che..»
«Piuttosto che?»
«Tornare in quella casa». Le dita sottili e dalle unghie corte e colorate sfilarono via le mutandine. Nuda e imperfetta.
«Lo preferisco anch’io». Continuò a fissarmi dubbiosa, non capiva se parlassi di lei o di me stesso. Non avrei comunque esaudito la sua curiosità. Per il momento. Le indicai il divano, la prima cosa che fece fu coprirsi con il lenzuolo.
«Come devo mettermi? Insomma c’è qualche posa precisa..?» quando era nervosa parlava velocemente, memorizzai anche quel dettaglio.
«In effetti si». Mi avvicinai a lei, la costrinsi a sedersi e piegare le ginocchia al petto, il lenzuolo cadde appena scoprendole un seno. Le braccia abbandonate mollemente, le dita che accarezzavano i piedi candidi, le spalle ricurve come se portasse addosso il peso del mondo e il viso chino e appena rivolto alla finestra.
«Questa non è una posa..»
«Lo è. E’ la tua». Mi guardò e stavolta ero sicuro avesse capito. Era così che la vedevo, un’anima stanca e ferita. Come me?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Continuavo a tremare tenendogli la mano mentre l’ambulanza veloce ci scortava al più vicino ospedale, lo fissavo con gli occhi offuscati dalle lacrime senza riuscire a credere a ciò che avevo di fronte.
«Ragazzina sei una sua parente?». Il medico neppure mi guardava intento ad osservare la dilatazione delle sue pupille. Ricordai quelle iridi cangianti, non potevo pensare ad un mondo senza quegli occhi a scrutarlo.
«Si.. cioè no, sono la sua ragazza ». La voce venne meno all’ultima parola.
«Devi dirmi il suo nome, la sua età e il suo gruppo sanguigno se lo conosci ». L’uomo non sembrò notare il mio turbamento mentre nuove lacrime strabordavano dai miei occhi.
«Ha 22 anni, e io ..non so nulla ». Singhiozzai disperatamente, era tutto un incubo. Non sapevo neppure il suo nome, il suo fottutissimo nome.
«Non sai il suo nome? Chi diamine sei tu ». Mi fissò con occhi indagatori, non potevo di certo biasimarlo.
«Si fa chiamare AJ.»
«Aj? Quindi, Adam? Alan? Alexander?». Inarcò un sopracciglio e io restai a bocca aperta senza sapere cosa dire.
 
La barella correva veloce lungo il corridoio, le mie dita aggrappate ad essa mentre fissavo le profonde ferite adesso coperte dalle bende, aveva perso troppo sangue il suo colorito quasi grigiastro, non riuscivo a vederne la vita scorrergli dentro.
«Tu resti qui». Sentii delle braccia bloccarmi, il mio cammino insieme a lui si arrestò bruscamente mentre le porte della sala operatoria mi si chiudevano in faccia. Mi accasciai sentendo le ginocchia cedere, caddi a terra e non riuscii più a rialzarmi. Non riuscivo neppure a respirare, era come se una mano comprimesse la mia gola.
«Tutto quel sangue..» non riuscivo a pensare ad altro. Tolsi con foga la sciarpa e sbottonai i primi tre bottoni del cappotto bianco ormai chiazzato di sangue, a bocca spalancata provavo a prender fiato ma sembrava tutto inutile.
«Signorina, va tutto bene?». Un’infermiera si inginocchiò preoccupata, le afferrai la maglia sporcandola di sangue.
«Salvatelo vi prego, voi dovete salvarlo, voi..» non riuscii a finire, non sentivo neppure ciò che mi stava dicendo. Parole di conforto forse vuote, o forse non stava parlando e le mie orecchie sentivano cose inesistenti. Improvvisamente mi venne un pensiero, afferrai il cellulare e composi un numero frettolosamente. E poi un altro ancora. Mi trascinai sulla panca e lì mi sedetti ad aspettare, se la condanna o l’assoluzione questo non potevo saperlo.
 
La prima ad arrivare fu Nicole, mi venne incontro trafelata e io l’abbracciai istintivamente iniziando a singhiozzare.
«Hope ti prego non piangere, spiegami cos’è successo – provai a farlo ma le parole uscivano spezzate e incoerenti, mi bloccò – no Hope, calmati prima e poi parliamo». Ci volle un’ora prima che ne fossi in grado.
«Lui è in sala operatoria, ha quattro ferite da taglio .. due all’addome e una alla schiena. Io l’ho trovato così, c’era tutto quel sangue e il medico .. lui voleva.. lui.. non so neanche il suo nome ». Mi fissai le mani imbrattate e nuove lacrime sgorgarono copiose. Sentii la sua stretta sulla mia spalla.
«Si chiama Alexander, e devo parlare con un medico assolutamente». Mi voltai lentamente, temevo di non aver sentito bene.
«Tu conosci il suo nome?» . La fissai incredula, le lacrime si asciugarono rendendo il mio viso arido e appiccicoso.
«Si.. era di questo che volevo parlarti». Sospirò e io sentii il mio cuore fermo battere una piccolissima volta. Dei passi attirarono la mia attenzione.
«HOPE». B-bomb mi venne incontro trafelato, respirò affannosamente guardandomi con la paura negli occhi.
«Lui..» mi tremò il labbro e quindi restai in silenzio, non volevo farmi vedere debole più di quanto non apparissi.
«E’ stato Juan insieme a Eric». Il mio viso si sollevò di scatto, Nicole accanto a me portò una mano alle labbra.
«Che diavolo vuoi dire». La mia voce improvvisamente tesa e senza sbavature.
«Quei due figli di puttana non erano con noi, uno di loro, Santiago, dopo qualche cazzotto ha cantato per bene. Non vedevamo Juan e questo ci ha insospettito. Ho provato ad avvisare AJ ma non ha risposto..» fissò la sala operatoria con dolore ma io ero troppo presa da quella nuova scoperta per curarmi di ciò che succedeva attorno a me. Era stato Juan. Mi vennero in mente le sue parole, aveva giurato di togliermi tutto e lo aveva fatto sul serio. Le mie iridi tremarono appena, la mia espressione mutò in qualcosa di spaventoso mentre osservavo con insistenza la cinta di B-bomb, sapevo che lì teneva la pistola, lui non se ne separava mai. Mi alzai andandogli incontro, approfittando del suo dolore e della sua distrazione gliela strappai quasi a forza iniziando a correre.
«HOPE ». Le voci concitate di Nicole e B-bomb mi arrivarono alle orecchie ma io ero sorda all’appello, lo avrei ammazzato con le mie mani stavolta. Correvo e correvo tenendo l’arma tra le mani, incurante di chi potesse vedermi ma delle mani mi afferrarono all’uscita dell’ospedale. Urlai scalciando con rabbia, ringhiando tutto il mio dolore finché uno schiaffo non mi stordì abbastanza da togliermi tutte le forze, mi accasciai tra quelle braccia massicce mentre Nicole mi fissava con la mano ancora alzata.
«Non te lo permetterò. La legge Hope, è quella ciò che ci distingue dalle bestie. Vuoi giustizia? Allora esci le palle e denunciali». Lentamente la presa attorno al mio corpo si sciolse e la pistola mi venne sottratta. Nicole aveva ragione, Juan doveva pagare ma nel modo giusto.
«Lo farò marcire in galera». Sussurrai quelle parole tra le lacrime, una lenta carezza sui miei capelli mentre Nicole si allontanava lasciandomi sola con B-bomb che continuava a fissarla.
«La conosci?». Lo guardai con apatia.
«L’ho vista da qualche parte». Scrollò le spalle sorridendo evasivo.
«Lei conosce Alexander». Al suono di quel nome si pietrificò, deglutì annuendo appena.
«Mi dispiace..» allargò le braccia e io non fui sicura di capire per cosa esattamente si sentisse dispiaciuto, fissai il cielo attendendo il momento giusto per andare alla stazione di polizia ma non prima di essermi accertata che lui stesse bene. I fuochi d’artificio illuminarono il cielo, il duemilanove mi aveva appena salutato senza lui al mio fianco.
Ci vollero cinque ore, ormai era l’alba quando le porte si aprirono e il medico uscì guardandosi attorno. Tutti e tre avanzammo preoccupati, mi torcevo le dita sentendo un dolore senza fine. Ricordai il finto messaggio di mia madre, a differenza di allora non c’era solo la voragine nel mio petto ma anche una mano che dentro stringeva il mio cuore nell’indecisione di strapparlo o meno. Era così doloroso.
«Siete qui per il ragazzo ferito stanotte? – annuimmo in religioso silenzio – abbiamo fatto il possibile anche se ha perso molto sangue, per quanto mi riguarda l’operazione è riuscita. Aspettiamo che si svegli per saperne di più». Mi sorrise e le mie ginocchia cedettero ancora, B-bomb mi sorresse e io sentii il suo corpo in tensione. Non avrebbe mai pianto davanti a me, e so che aspettava di restar solo. Fissai Nicole con decisione.
«Andiamo, ho una denuncia da fare». La vidi sorridermi e annuire, adesso che Aj stava bene potevo allontanarmi senza alcuna remora. Guardai B-bomb senza dire nulla, annuì facendomi cenno di andare tornando a sedersi sulla panca. Lo stavo lasciando in buone mani.
 

 

AJ
 

Le mie palpebre volevano aprirsi ma le sentivo talmente pesanti che rinunciai parecchie volte. Sentivo i rumori attorno a me, e quel dolore persistente allo stomaco. I miei ricordi erano confusi ma sapevo sommariamente cosa fosse accaduto; mi venne in mente il viso di Hope, mi stava aspettando in caffetteria? Quanto era passato? Aveva pianto? Credo furono quei pensieri a darmi la forza di aprire gli occhi, e quando lo feci il primo viso che vidi fu l’ultimo che mi aspettavo.
«Ben svegliato, Alex». Mi fissò con sguardo preoccupato, nonostante ciò si curò almeno di sorridere e camuffare il tutto.
«Come cavolo mi hai trovato, Kevin..» la mia voce impastata di sonno mentre fissavo colui che per una vita era stato come un fratello.
«So dove sei da circa un mese, è una fortuna che ti abbia fatto tener d’occhio. Sono corso qui col primo volo disponibile. Cristo Alexander, devi proprio farmi prendere questi infarti?». Mi fissò arrabbiato, abbozzai un sorrisino che si spense notando la sua espressione.
«Okay, spara». Provai a sollevarmi ma non ci riuscii.
«Non sono l’unico a sapere dove ti trovi». Il tono grave seguì il nostro silenzio, sorrisi senza gioia fissando le luci al neon.
 
Mi dispiaceva non poterla vedere ancora una volta, un’unica singola volta.
 
 

Hope

 
Sbocconcellai il cibo spostandolo infine disgustata, sorseggiando la strana tisana preparatami da Nicole. Continuava a fissarmi preoccupata, dopo il colloquio con la polizia aveva temuto un altro mio tracollo, in realtà a dominarmi era la fretta, volevo correre da lui e vedere se si fosse svegliato. Mi aveva convinto a lavarmi e infine a mangiare qualcosa, avevo accettato solo per poterle parlare.
«Voglio sapere tutto. Adesso». Il mio tono risoluto non sembrò spiazzarla troppo.
«Non posso dirti ‘’tutto’’, posso solo dirti ciò che so». Mi sorrise come a volersi scusare, non potevo di certo dirle che era meglio del non sapere nulla. Mi sedetti rigidamente e la guardai.
«Okay, sono pronta». Strinsi i denti e mi preparai, mi guardò fissamente per un istante per poi trascinarmi nel caos totale.
 

Los Angeles, 2003 – Ospedale Psichiatrico

 
«Dottoressa Freeman, hai un momento?». Il dottor Craig mi fissò con una cartella in mano.
«Si certo, dimmi pure». Ero nuova in quell’ospedale, non conoscevo ancora nessuno e aiutare i colleghi pensavo fosse un buon modo per socializzare e farmi largo in un’equipe ormai consolidata.
«Ho un paziente, ma non un paziente qualsiasi. Lui sta nella lista ‘’VIP’’, ha sedici anni e si chiama Alexander». Sbattei le palpebre annuendo appena, mi chiesi come mai non avesse citato il cognome.
«Cosa ti serve Josh?». Sembrò tentennare.
«Solo qualche colloquio, non collabora con noi e ha già aggredito tre delle nostre infermiere. Forse un viso nuovo lo renderà più ..collaborativo». Fu la prima volta in assoluto in cui provai disprezzo per qualcuno, insomma lo stronzo mi stava mandando in pasto al lupo cattivo.
Il lupo cattivo sedeva composto al tavolo della propria camera – o cella, come la definiva lui – era così bello e .. serio? Non so, non so il tipo d’aggettivo giusto che dovrei usare. Conobbi così Alexander, capendo dopo pochi giorni il perché della sua reputazione. Non solo era violento con chi tentava di prevaricarlo, ma era molto subdolo nei discorsi, confondeva verità e bugie abilmente. Era in ospedale perché dopo la morte del padre, avvenuta sette anni prima, a seguito di un incendio era divenuto ‘’strano’’. Non si specchiava mai, anzi distruggeva ogni specchio nella quale si imbatteva come se ne avesse paura, sentiva ‘’voci’’ e non capivamo di che natura, e aveva scatti violenti verso se stesso e gli altri. Tentò tre volte il suicidio.
Una notte, un anno dopo, lui fuggì. Eravamo sicuri avesse avuto la complicità di un addetto, e io sono quasi sicura di sapere chi fosse: Alice. Un’infermiera che aveva interagito spesso con lui. Aveva trentacinque anni, ed era riuscita a farsi sedurre da un ragazzino di diciassette. Non riuscimmo a sapere più niente di lui, le sue cartelle sparirono nel nulla, e nessuno lo nominò più. Alle volte mi capita di ricordare ancora i suoi discorsi, il suo tono di voce, il suo modo di fissarmi.

 
Quando finì di parlare sentivo l’aria ormai a corto nei polmoni, adesso avevo uno scorcio della sua vita più ampio di quanto mi aspettassi, sapevo il suo nome, sapevo il suo passato e ciò che mi aveva nascosto. Persino la storia delle voci adesso assumeva un senso e un significato. Chinai il capo, le mie mani serrate e le nocche sbiancate, mi importava davvero? Adesso, dopo aver scoperto tutto, mi rendevo conto di quanto fossi pazza di lui. A me non importava il passato dalla quale scappava, a me importava del presente costruito insieme a me.
«Voglio andare da lui, ha bisogno di me». Sollevai il viso e mille parole inespresse passarono tra noi, lei mi capì e sorrise.
 
Le urla di B-bomb mi accolsero nell’atrio, vidi un’infermiera oltre il bancone dall’aria più spaventata che mortificata, corsi verso di lui insieme a Nicole e gli afferrai un braccio attirando la sua attenzione.
«Che succede?». Si voltò, gli occhi iniettati di sangue e io temetti il peggio. Era per caso.. morto? La mia presa perse sicurezza.
«Che succede? SUCCEDE CHE QUESTA PUTTANA MI PRENDE PER IL CULO». Sputò con rabbia quelle parole voltandosi verso la povera malcapitata che dal canto suo non riusciva più a controllare la situazione.
«La prego, si calmi, le sto dicendo la verità». Nicole si fece avanti mostrando il proprio documento.
«Per cortesia, può dirmi che succede?»
«Il signore cerca una persona, ma questa persona non è mai stata qui». Sorrise tremante fissandoci. La mia presa sul suo braccio venne meno definitivamente.
«Cosa sta dicendo, il nostro amico è stato portato ieri notte qui d’urgenza. Il suo nome è Alexander, aveva ferite d’arma da taglio, per favore controlli meglio». Fu Nicole a parlare per me, io non ne ebbi la forza mentre la realtà si delineava con dolorosa chiarezza.
«Ho controllato già cinque volte, non esiste nessun Alexander ricoverato in chirurgia, mentre gli altri non corrispondono alla descrizione». Il mio mondo prese a girare vorticosamente, io e Nicole ci fissammo e probabilmente entrambe andammo a ritroso nel tempo. Un tempo che lei aveva vissuto in prima persona, e io in seconda tramite il suo racconto.
 
‘’Sparirò quando meno te lo aspetti’’. Questa fu l’unica promessa che Aj riuscì a mantenere.
 
***
 
Gettammo in aria i cappelli tra lo scroscio degli applausi e le risate liberatorie di noi studenti finalmente liberi dal liceo. Nicole mi venne incontro sorridendo, una busta tra le sue mani.
«Posso abbracciare la mia futura collegiale?». Ci sorridemmo e io non attesi oltre gettandole le braccia al collo. In un anno era cambiato tutto e niente, Nicole era divenuta la mia tutrice legale e insieme dopo il diploma delineavamo la nostra nuova vita insieme. Scorsi B-bomb oltre i margini del prato, mossi una mano in segno di saluto invogliandolo a raggiungermi. Ogni volta che lo vedevo il mio cuore batteva più veloce nella speranza che portasse notizie di lui, ma puntualmente venivo delusa dal suo scuotere il capo tristemente.
La mia vita stava andando avanti, ero felice ma quel profondo dolore dentro me era impossibile da mandare via. Volevo che AJ vedesse i miei progressi, la persona che miravo di diventare, sapere comunque che fosse vivo da qualche parte era ciò che mi spronava ogni mattina a muovere i miei piedi verso il futuro.
Un raggio di sole mi colpì dritto in faccia, mi schermai con la mano fissando un punto poco distante, una sagoma ben distinta ritta contro l’albero mi fissava. Le voci divennero attutite, quasi inesistenti, mentre i miei piedi si muovevano veloci, sempre più veloci verso di lui. Sentii chiamare il mio nome ma non vi badai, spingevo la gente mirando a quel punto preciso, ma quando arrivai il nulla mi accolse. Mi guardai intorno col fiatone, mandando giù il bolo amaro di saliva, era stata solo la mia immaginazione. Mi ero immaginata davvero tutto? Sarebbe mai tornato da me? Quella domanda restò marchiata a fuoco nella mia mente, non tolsi il suo anello mentre la mia nuova vita iniziava ufficialmente con il sottofondo dei motori aerei che mi portavano finalmente lontana da Chicago.
 
 


 
  
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