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Autore: Kim WinterNight    07/09/2017    5 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ReggaeFamily

We are so close

[Leah]




Osservavo Daron mangiare e mi domandavo cosa gli fosse successo; poco prima di andare a pranzo era allegro e scherzava con tutti noi, si comportava in modo spontaneo e non faceva che sorridere. Poi, d'un tratto, si era incupito e aveva smesso di rivolgerci la parola, limitandosi ad abbuffarsi con gli occhi fissi sul suo vassoio.

«Daron?» lo chiamai, allungando una mano attraverso il tavolo per posarla sul suo braccio.

Notai che Shavo mi lanciava un'occhiata ammonitrice, così ricambiai con una interrogativa.

Daron si scrollò la mia mano di dosso e mi ignorò deliberatamente, così compresi che forse il bassista voleva farmi capire che non era proprio il caso di disturbare il chitarrista in quel momento.

Sospirai. Cosa gli era preso ora?

«Mi accompagni a fumare?» mi sussurrò Shavo all'orecchio.

Annuii e lo seguii all'esterno del Mc Donald's, felice di poter uscire finalmente all'aria aperta; il puzzo insopportabile di fritto mi stava facendo impazzire, senza contare che sentivo di avere ancora più fame di prima, dopo aver preso soltanto una porzione di pseudo-patatine fritte.

Shavo si accovacciò su un muretto che delimitava un'aiuola accanto ai parcheggi e si frugò in tasca, estraendo un pacchetto di sigarette. Ne prese una e mi lanciò un'occhiata. «Vuoi stare in piedi a guardarmi?» domandò in tono scherzoso.

«Mi siedo solo se mi lasci un tiro» ribattei con un sorriso.

«Aggiudicato. Ora vieni qui» mi esortò, posandomi una mano sul ginocchio.

Mi posizionai accanto a lui e mi appoggiai con la testa alla sua spalla, socchiudendo gli occhi.

«Ehi» sussurrò, avvolgendomi i fianchi con un braccio. «Tutto bene?»

«Sì. Ma Daron cos'ha?» chiesi con un pizzico di preoccupazione.

Shavo aspirò dalla sua sigaretta. «Allora è questo che ti tormenta» commentò con noncuranza. «Ma non dovresti preoccuparti troppo, sai? Lui è fatto così, è volubile, instabile, scostante...»

«Però...» attaccai.

«Sul serio, Leah. Devi lasciarlo in pace, prima o poi gli passa» tentò di rassicurarmi.

«Se lo dici tu...»

Shavo tossicchiò, poi mi porse la sigaretta. «Se vuoi puoi finirla, non mi va più.»

Aggrottai le sopracciglia e mi voltai a osservarlo. «Sei voluto uscire a fumare e la tua sigaretta non è neanche a metà. Che succede?» gli chiesi in tono sospettoso, sfilandogli l'oggetto dalle dita e portandomelo alle labbra. Ne presi due tiri, poi lo gettai a terra.

«Non fumo spesso di questa roba, solo ogni tanto» spiegò, riponendo il pacchetto di sigarette in tasca. «In realtà volevo parlarti di una cosa.»

Annuii. «Dimmi tutto, però non farmi preoccupare» lo incoraggiai, intrecciando le mie dita alle sue e sostenendo il suo sguardo. Nei suoi occhi scuri scorsi un velo di tristezza che non mi piacque particolarmente.

«Il fatto è che...» Sospirò e abbassò leggermente il capo. La visiera del cappellino che indossava adombrò parte del suo viso e io non riuscii più a leggere con chiarezza la sua espressione. «È successo un casino.»

«Che cosa?»

«Serj ha avuto a che fare con una ragazza che dice di essere figlia di Daron. Noi non sappiamo che fare, ma a lui non abbiamo ancora detto niente. Il problema è che questa tizia ha detto a Serj che vuole sapere quando torneremo a Los Angeles perché vuole incontrare suo padre, così io e John dobbiamo decidere la data di rientro. Questa tizia dice di sapere dove siamo, io penso che... ho un sospetto, potrebbe trattarsi...»

«Di una di quelle due groupies che vi hanno importunato giorni fa?» lo interruppi allibita.

Shavo annuì. «Esatto. O di una di loro, o di qualcuno che è stato mandato da loro per...» Scosse il capo. «Un casino, Leah, credimi.»

«Cazzo» imprecai, serrando una mano a pugno. «Quel ragazzo è davvero problematico.»

«Lo so» ammise mestamente il bassista.

Gli posai una mano sulla spalla. «Dai, stai tranquillo. Tu e John che avete deciso?»

«Quando rientriamo in albergo devo controllare gli orari dei voli.»

Improvvisamente mi resi conto che io e lui ci saremmo presto separati e una sensazione di disagio si impossessò del mio petto. Era strano, era come se qualcosa si stesse pian piano congelando, come se si fosse creato improvvisamente uno spazio vuoto e freddo all'altezza del cuore.

«Shavarsh» mormorai, immersa in tristi pensieri.

«Anche tu devi partire tra pochi giorni» affermò lui in tono ovvio.

«Già.»

Rimanemmo in silenzio, poi fui presa da un forte moto di ribellione e mi alzai di scatto dal muretto. «Non dobbiamo pensarci!» affermai. «Vivremo questi giorni senza riflettere e pensare al futuro, sei d'accordo?» esplosi con entusiasmo, afferrando Shavo per le mani e costringendolo ad alzarsi. «Smettiamo di essere tristi, ragazzaccio mio. Dobbiamo ancora andare in pedalò, ricordi?»

Il suo viso si illuminò di un improvviso sorriso e mi prese tra le braccia, attirandomi a sé e tenendomi stretta. Poco dopo prese a dondolare a destra e sinistra, facendomi venire da ridere.

«Che fai?» farfugliai, con la faccia affondata tra le pieghe della sua maglietta dei Motörhead.

«Niente, faccio il cretino...»

«No, tu sei un cretino, è diverso!» lo accusai, stringendomi forte a lui.

«Allora perché mi stai così vicino?» mi punzecchiò, arruffandomi i capelli.

«Perché sono stanca e avevo bisogno di qualcuno che fungesse da bastone della mia vecchiaia» mentii spudoratamente, facendogli il solletico su un fianco.

«Ti approfitti di me!» mi accusò.

Proprio in quel momento Daron e John ci raggiunsero e il batterista ci sorrise. «Ehi piccioncini, vi va un gelato?»

Io e Shavo ci voltammo appena a guardarli, poi sciogliemmo l'abbraccio e mi accostai ai due ragazzi. «Qualcuno dovrebbe prenderne uno gigante per rallegrarsi» dissi, rivolgendomi a Daron che ancora se ne stava imbronciato in un angolo.

«Che vuoi da me?» bofonchiò il chitarrista, mentre si preparava una sigaretta a base di erba con movimenti meccanici.

«Voglio un sorriso per la stampa!» affermai, piazzandomi proprio di fronte a lui e scuotendolo appena per le spalle.

«Sei una piattola, ragazzina.»

«E tu non sei da meno! Dai, Daron, non fare così. So che ti mancherò quando questa vacanza finirà, però non c'è bisogno di pensarci proprio ora» blaterai, trotterellandogli intorno.

Shavo e John si scambiavano occhiate interrogative e perplesse, trattenendosi appena per non scoppiare a ridere.

«Uff, la smetti?» sbottò il chitarrista esasperato.

«No, finché non reagisci non ti lascio in pace!»

Daron si soffermò a osservarmi con sguardo assorto, poi sospirò e non riuscì più a evitare che le sue labbra si incurvassero in un sorriso. «Sei tremenda» commentò.

«Oh, ce l'ho fatta! Hai vinto un premio per questo sorriso!» gridai, alzando le braccia al cielo con entusiasmo. «Ti meriti un gelato con tutti i gusti che vuoi, senza limiti.»

Daron allungò una mano verso di me. «Affare fatto.»

«Leah, ti sei messa nei pasticci con questa promessa» mi fece notare Shavo; sembrava piacevolmente sorpreso dal fatto che fossi riuscita a far sciogliere la tensione in Daron.

«Non importa, non voglio che qui ci siano delle persone tristi e depresse! Siamo in Giamaica, in vacanza, dobbiamo sorridere e fregarcene di tutto il resto!» esclamai con convinzione.

«Ora smettila di blaterare e offrimi quel dannato gelato» strepitò Daron, afferrandomi per un braccio e trascinandomi alla ricerca di una gelateria.

Quando la trovammo, poco prima di entrare, Shavo mi trattenne per un istante sulla soglia; si chinò su di me e mi baciò brevemente sulle labbra, poi mi sorrise e disse: «Sei stata meravigliosa con Daron. Non so come tu abbia fatto, ma grazie».

Scossi il capo e gli diedi una leggera spinta, per poi raggiungere il resto del gruppo all'interno del negozio.


Trascorremmo gran parte del pomeriggio all'interno del negozio di strumenti musicali; John prese a svaligiarlo senza rimedio, comprando piccole percussioni e miniature di vari strumenti da regalare a questo o quell'amico. I ragazzi comprarono qualcosa anche per Serj e per sua moglie, divertendosi a sguazzare in mezzo a tutti i bellissimi oggetti esposti. Dal canto mio, comprai qualcosa per alcune mie colleghe dell'università, poi mi trovai di fronte a un dilemma: volevo fare un regalo a Shavo, ma cosa potevo donargli?

Trovai addirittura qualcosa per Daron – ovvero una chitarra come quella che lui aveva regalato a me il giorno precedente –, e un portachiavi a forma di rullante della batteria per John. Mi pareva scontato cercare una piccola miniatura di basso per Shavo, così mi aggirai con nervosismo per il punto vendita, incapace di decidermi. Intercettai John chino su una serie di djambé di varie dimensioni e mi accostai a lui per chiedergli un consiglio.

«Cosa regalo a Shavo?» esordii, dando un piccolo colpo sulla pelle chiara di un tamburo.

John si mise nuovamente in posizione eretta e mi scrutò pensieroso. «Uhm, bella domanda.»

«Mi aiuti?»

Il batterista sospirò. «Volentieri, ma non so neanche io da dove cominciare. Che ne dici di...» Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa da propormi. «Vediamo...»

«Ehilà, guardate che ho scovato!» strillò Daron all'improvviso, comparendo di fronte a noi con qualcosa tra le mani.

«Ma è perfetto!» esultai, strappandogli un volume rilegato in pelle dalle mani.

«Ladra, ridammelo!» si lagnò lui, allungandosi verso di me.

«Anche secondo me è perfetto» confermò John, esaminando con interesse il libro rilegato in pelle nera che tenevo in mano. Si trattava di un'antologia che esaminava l'evoluzione della musica reggae in Giamaica e la sua diffusione in tutto il mondo, attraverso un esame accurato su tutti gli artisti che avevano contribuito alla sua nascita e crescita. Mi piaceva perché non si limitava a parlare di Bob Marley come unica icona di quel genere musicale, ma si riferiva a tantissime figure che, in un modo o nell'altro, avevano contribuito a rendere il reggae ciò che era poi diventato.

«Che te ne fai?» chiese Daron curioso.

«Lo regalo a Shavo» mormorai.

Il chitarrista sorrise malizioso. «Le cose si fanno serie!» commentò.

«Sta' zitto.»

John mi sfilò delicatamente il libro dalle mani e prese a sfogliarlo lentamente, facendo attenzione a non rovinarlo. «Ehi, ci sono anche loro!» esclamò all'improvviso.

Io e Daron ci sporgemmo a controllare a cosa si riferisse e prendemmo a sghignazzare.

«Eek e Barrington!» dissi entusiasta.

«Qui dice che Barrington è più giovane di Eek, non l'avrei mai detto! Io pensavo...» osservai, leggendo l'anno di nascita dei due artisti giamaicani che, neanche a farlo apposta, erano stati sistemati in due pagine affiancate.

John annuì. «Invece Eek è nato nel 1957, mentre Barrington nel '64.»

«Arriva il bassista» sibilò Daron; John mi riconsegnò il libro e io mi affrettai a dirigermi verso la cassa per pagare ciò che avevo scelto.

Quando tornammo all'esterno, ci dirigemmo in fretta verso il Fyah, dove avevamo deciso di incontrarci con Bryah e il suo compagno per poi andare a cena da qualche parte.

Una volta arrivati a destinazione, prendemmo a chiacchierare del più e del meno, finché la giornalista non ci raggiunse con aria stravolta. Era sola e sembrava stanca e sconvolta da qualcosa.

Nessuno le chiese come mai fosse sola, senza il suo compagno, ma io immaginai che fosse capitato qualcosa tra i due. Decidemmo di andare a mangiare qualcosa sulla spiaggia e Bryah ci promise di portarci in un buon posto.

Mentre ci avviavamo verso il lungomare, mi accostai alla giornalista e la presi sottobraccio, rivolgendole un sorriso. «Bryah, tutto bene?» le domandai.

«Insomma...» Sospirò appena. «Non sto molto bene oggi, ma non volevo darvi buca.»

«Se ti va, puoi parlarne con me» le proposi, sentendomi un po' triste per il suo stato d'animo. Da quando l'avevo conosciuta, Bryah era sempre stata allegra e restia a mostrare troppe emozioni negative; era una di quelle persone che parevano star sempre bene, come se la negatività non fosse qualcosa da loro conosciuta.

«Ho litigato con il mio uomo.» Lo disse senza esitazione, con un'alzata di spalle. «Cose che succedono.»

«Cavoli, mi dispiace» mormorai.

«Con lui è sempre così. Abbiamo entrambi un carattere forte. Ci scontriamo spesso. Forse siamo un po' troppo esuberanti» raccontò con un mezzo sorriso.

«Vi tenete testa a vicenda allora.»

«Molte persone mi dicono che dovrei stare con una persona più tranquilla, capace di farmi calmare un po'.»

Risi. «Oh Bryah, tu sei perfetta così.»

«Tu dici? Benton dice che dovrei darmi una calmata. Mi ha detto che non riesce più a starmi appresso» spiegò con una leggera punta di delusione nella voce. «Ma, Leah, chi ti ama dovrebbe accettarti per come sei.»

«Già, ma chi ti ama dovrebbe anche trovare un modo per stare con te nonostante tutto. Quando lui ha deciso di stare con te, sapeva a cosa sarebbe andato incontro?» le chiesi.

«Certo. Mi sono sempre mostrata così come mi vedi, sono sempre stata me stessa» affermò la giornalista.

«Allora è strano questo Benton!»

Bryah fece spallucce. «Se mi vuole, sa dove trovarmi. Altrimenti, be', affari suoi.»

Le battei una mano sulla spalla. «Giusto, sorella!» concordai con una risatina.

Poco prima di giungere al locale in cui avremmo cenato, raggiunsi John e gli mollai una gomitata ammiccante. «Ehi, batterista, ho una buona notizia per te!»

Lui mi lanciò un'occhiata interrogativa. «Ovvero?»

«Bryah ha litigato con il suo compagno.» Ridacchiai. «Io te l'ho detto, poi vedi tu. Non fraintendermi, io non voglio creare problemi, ma mi dispiace da morire che tu non possa avere un'occasione con la nostra bella giornalista.»

«Ma Leah, io non penso che sia il caso di...»

«Riflettici un po': potresti non rivederla mai più, però lei ti piace. Se non ci provi, vivrai con il rimpianto e ti domanderai per sempre cosa sarebbe successo se...»

John sollevò una mano per arrestare il mio blaterare. «Okay, ci penserò, ma non ti prometto niente.»

Gli indirizzai un occhiolino e annuii, poi mi avvicinai a Shavo e gli presi la mano.

«Che combini?» mi chiese con sospetto.

«Niente» sghignazzai.

«Leah...»

«Su, Shavarsh, tu non ce li vedi bene insieme?» insinuai, accennando a John e Bryah che avevano preso a scambiare qualche parola.

Daron mi sentì e scoppiò a ridere. «Io sì!»

«Non abbiamo chiesto il tuo parere» lo rimbeccò Shavo.

«Antipatico, allora io mi offendo e non ti parlo più!»

«Ragazzi, smettetela, dai! Comunque, io spero che tra quei due succeda qualcosa. Sono troppo carini!» cinguettai.

«Concordo.»

«Voi due avete seri problemi» osservò il bassista esasperato. «Ma la cosa più grave è che vi assomigliate così tanto... non è che siete fratello e sorella e non lo sapete?»

Io e Daron ci scambiammo un'occhiata schifata e scuotemmo energicamente il capo.

«Non dire cazzate, Odadjian!» esclamò il chitarrista.

«Appunto, io non vorrei mai un fratello come lui!» mi ribellai.

Tutti e tre scoppiammo a ridere e seguimmo John e Bryah all'interno di un chiosco.

Stavo davvero bene con quei ragazzi, mi sentivo a mio agio e mi dispiaceva un sacco che il nostro tempo insieme stesse per terminare.

Mentre ci avviavamo a occupare un tavolo, osservai Shavo e il mio cuore si riempì di un intenso calore, alimentato dal suo sorriso, dai suoi occhi scuri e profondi e dalle nostre dita ancora intrecciate.

  
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