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Autore: BeforeTheDayYouLeft    07/09/2017    1 recensioni
In una Londra martoriata dalla terza guerra mondiale, in uno scenario di morte e dolore, le vite di due personaggi sono intrecciate indissolubilmente. Da una parte, un individuo dalla spiccata intelligenza, con un cuore avviluppato da una pesante lamina di ghiaccio, a capo della Resistenza contro il Governo Socialista a Nuova Londra; dall'altra un uomo giusto e altruista, costretto ad entrare nella Resistenza e ghermire informazioni per salvare le vite di migliaia di persone.
Che cosa succederà quando questi due personaggi si incontreranno? Riusciranno a realizzare il loro più grande desiderio o la guerra e il tradimento li terranno separati?
Genere: Fluff, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 7
Presente
Nuova Londra 2049

 
 
Era uno dei vecchi uffici del personale. Avevano sgomberato tutto – scrivanie, scartoffie, intralci di ogni genere – e avevano posizionato brandine e lettini su cui giacevano i corpi sofferenti di una decina di persone.
Mike aveva optato per il restare fuori dato che era un soggetto facilmente impressionabile come si era definito, mentre Sally aveva accompagnato Watson in quella piccola infermeria. Il medico guardò con non poca difficoltà alcuni corpi mutilati a cui mancava una gamba o un braccio o un piede…Lamenti agonizzanti straziavano il silenzio e certe volte qualcuno veniva scosso da profondi singulti.
“Dottor Watson.” lo salutò una ragazza graziosa e dalla voce acuta porgendogli la mano. “Sono Molly Hooper, la responsabile dell’infermeria.”
Watson le prese la mano e gliela strinse calorosamente. “Piacere. Allora, com’è la situazione?”
Le labbra della ragazza ebbero un fremito. “Non buona. Sono arrivati in quattordici e siamo già arrivati a nove. Di questo passo temo che non ce la faranno. A meno che lei non riservi qualche sorpresa.”
“Sono ore che siamo qui, Molly, e abbiamo fatto tutto il possibile.” s’intromise un uomo dai capelli scuri e laccati. “Credo che ormai neanche un medico brillante come il dottor Watson possa fare molto.”
“Philip!” lo riprese il sergente Donovan.
“Questo lo lasci decidere a me.” replicò John facendo un giro di ricognizione per studiare la situazione. Avrebbe operato a fasce di gravità: dai casi più seri fino a quelli più lievi – anche se ad una prima occhiata dubitava ci fossero –.
“Watson.” lo chiamò Donovan. “Questa è la tua prova: salvali. Tutti. Se ci riuscirai allora sei dentro.”
Il medico nascose l’incertezza e annuì ostentando convinzione. Non sarebbe stato facile, questo era certo. Anzi, era molto improbabile che sarebbe riuscito a curare tutti quanti. E se non ce l’avesse fatta e avesse perso l’opportunità di entrare nell’organizzazione? Non doveva pensarci, non in quel momento. Doveva solo concentrarsi su quei corpi sofferenti.
Operò con cura e perizia. Nella borsa che Moriarty gli aveva consegnato c’era tutto il necessario. Non si limitava a pulire le ferite, ricucirle, fasciarle, somministrare antidolorifici, ma anche a sussurrare parole di conforto ai suoi pazienti. Molly e Anderson lo aiutavano come potevano.
Riuscì a stabilizzare le situazioni più importanti e così si mosse velocemente verso un uomo dai capelli brizzolati e il volto gentile. Si chinò accanto a lui, ma quello lo scacciò con la mano. “Prima…gli altri.” mormorò con la voce incrinata dal dolore. John guardò con ammirazione quell’uomo e notò con un sorriso che – effettivamente – il suo caso non era così grave. Passò allora da altri bisognosi di cure. Lavorò fino a quando, fuori da quei tunnel, il sole colorò di chiaro il cielo. Con sua stessa sorpresa John constatò che la situazione era stata finalmente stabilizzata.
Un urlo di dolore percorse la stanza e tutti gli occhi vennero puntati sull’uomo di prima, quello che aveva rifiutato le cure del medico. Watson corse verso di lui e lo fissò allarmato: il volto era cinereo, le labbra violacee, la camicia bianca imbrattata di sangue. John sollevò l’indumento e si accorse che sul ventre dell’uomo era aperto un profondo squarcio. Dentro la ferita, poteva intravedere il pezzo di granata che gli aveva perforato la carne.
“D’accordo, allora, mantenga la calma. Va tutto bene, ci sono io qui con lei, ma ora devo estrarle dal corpo il frammento di granata che l’ha colpita.”
L’uomo non rispose e si limitò a gemere nuovamente di dolore.
John frugò freneticamente nella sua borsa e con un sospiro di sollievo ne estrasse un paio di pinze mediche. Afferrò il volto dell’uomo e lo costrinse a guardarlo. “Mi ascolti, lei mi deve guardare, va bene? Si concentri solo su di me.” L’altro si sforzò ad annuire. “Farà male, ma alla fine starà meglio. Lei deve cercare di stare il più fermo possibile. Ecco,” continuò sistemando le mani dell’uomo sulle sue spalle. “Si aggrappi a me. Qualunque cosa succeda, si aggrappi a me. Va bene?” Altro cenno sofferente con la testa. “Bene.”
John impugnò le pinze e con due dita della mano libera scostò appena i lembi della ferita. Fortunatamente, il frammento si era fermato in superficie e difficilmente avrebbe provocato una compromissione degli organi vitali. Con mano salda avvicinò lo strumento al taglio e dopo un paio di sussulti di agonia dell’uomo, riuscì ad arrivare al pezzo di granata. “Okay, ci siamo. Mi raccomando, si aggrappi a me.”
Tirò piano, cercando di non allargare la lacerazione, ma non era facile con il corpo dell’uomo che continuava a dimenarsi per il dolore. “Si aggrappi a me.”
Mancava poco, il frammento era quasi uscito, la ferita non si era dilatata, ma comunque spillava sangue troppo velocemente. Quando il pezzo fu finalmente fuori dal corpo dell’uomo, John si concesse un sospiro di sollievo che si impegnò a ricacciare subito indietro. Cercò di pulire la ferita il più rapidamente possibile mentre il pallore sul viso del paziente diventava sempre più evidente. Afferrò un panno sterile e premette sulla ferita. Doveva bloccare l’emorragia o l’uomo sarebbe morto dissanguato. Mantenne una presa salda sulla ferita e non gli restò che pregare che il sangue smettesse di fuoriuscire.
Proprio mentre cominciava a perdere la speranza, il panno smise di tingersi di rosso a poco a poco, fino a quando John non ebbe il coraggio di rimuoverlo e di osservare la ferita. Con un sospiro di sollievo, notò che il sangue si era fermato e che la lacerazione non si era infettata. Con ago e filo procedette nel ricucire il taglio. Una volta terminato si lasciò cadere a terra, seduto. Un sorriso rincuorato sulle labbra.
“Sta bene. E’ stabile.”
Donovan che non si era mai mossa dalla stanza sorrise a sua volta. “Grazie dottore, grazie. Riferirò al più presto il suo successo.”
“Non per chiamare la sfortuna, ma prima di essere certi che vada tutto bene dovremo aspettare qualche giorno.” replicò John scoccando un’occhiata all’uomo che finalmente poteva riposare.
Sally gli poggiò una mano sulla spalla comprensiva. “Gli occhi miei, di Philip e di Molly sono testimoni della sua efficienza, dottore. Capiamo che ormai non dipende più da lei. Può stare tranquillo. Mi scusi un momento.”
Uscì dalla stanza parlando con qualcuno di cui il medico non comprese il nome. Dopo una manciata di minuti, il sergente ritornò con un sorriso furbo sulle labbra. “E’ un uomo fortunato, dottore. Il geniaccio vuole conoscerla di persona.”
 
   
 
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