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Autore: Echocide    07/09/2017    4 recensioni
[Sequel di Miraculous Heroes e Miraculous Heroes 2]
La minaccia di Maus è stata sventata, ma non c'è pace per i nostri eroi: il mistero dell'uccisione degli uomini del loro nemico non è stato risolto e un nuovo nemico trama nell'ombra...
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quantum Universe'
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Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.523 (Fidipù)
Note: Questo capitolo è stato un parto in pratica, complicato da scrivere perché non doveva succedere niente - e infatti è nulla più che un collegamento con ciò che avverrà dopo - ma doveva succedere qualcosa, qualcuno doveva decidersi per muovere le pedine nei prossimi e portare alla conclusione di tutto e, questo qualcuno, non è nient'altro che Qionqgi. Ma che fare? Un capitolo intero con una sola scena? E quindi via a metterci un po' di contorno, a muovere un po' due coppie che erano arenate e riportare qualche personaggio che, vuoi per forza di cose, era andato un po' in penombra. E quindi niente, ecco a voi il nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3.
Non voglio tediarvi ancora per molto, quindi passo subito a ricordarvi la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Detto ciò, come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate (lo so, sono un mostro perché non rispondo mai, però se mi mandate mp o mi contattate su facebook lo faccio, eh!) e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

Inspirò profondamente, ascoltando le voci dei propri amici attorno a lui e osservando l’ambiente familiare: «Starbucks. Da quanto tempo» bofonchiò Rafael, incassando la testa nelle spalle e affondando le mani nelle tasche dei jeans, mentre si accodava al resto del gruppo, capeggiato da una Lila decisa a prendersi il miglior tavolo del locale: «Perché ogni volta che ci incontriamo tutti assieme, veniamo sempre qua?»
«La mia domanda è un’altra» mormorò Manon, affiancandolo e tenendo lo sguardo fisso sulla schiena dell’apripista: «Lila è italiana, giusto?»
«Sì.»
«E gli italiani non odiano posti come questo?»
«Ti prego, non farti sentire da Lila» borbottò Adrien, intromettendosi nel discorso e inspirando, le spalle incassate e il passo lento quasi stesse andando verso il patibolo: «Sarebbe capace di partire in quarta con un trattato sulle schifezze che fanno qua.»
«Da italiana quale sono» iniziò la protagonista del discorso, fermandosi a un tavolo abbastanza ampio da poterli ospitare tutti e sgusciando lungo la panca, accomodandosi sulla fine e sistemandosi, intrecciando le mani davanti a sé: «Posso affermare che aborro il caffè che fanno in questi luoghi pieni di miscredenti, ma posso passarci sopra perché sono anche i fautori di quelle meravigliose schifezze piene di calorie e grassi che si andranno a depositare tutti sul mio sedere, ma che ti mandano in estasi per quei cinque minuti buoni.»
«Tu hai dei problemi» sentenziò Rafael, scostando alcune sedie e lasciando accomodare Sarah e Marinette su di queste.
«Uno dei quali sei tu, piumino» dichiarò decisa Lila, sorridendo zuccherosa e sbattendo le palpebre, iniziando a giocherellare con una ciocca di capelli: «Ed è inutile che parlate alle mie spalle. Ho un buon udito.»
Adrien le sorrise, un’espressione che si limitò alla bocca e che tanto ricordava quella che usava quando era davanti all’obiettivo: «Che cosa volete che vi portiamo, signore?» domandò, poggiando le mani sulla spalliera della sedia di Marinette e chinandosi leggermente in avanti, poggiando il mento sulla testa della moglie: «Richieste particolari?»
«Va e portami un frappuccino al caramello» ordinò Lila, incrociando le braccia al seno e alzando il mento, con un sorriso deciso in volto: «Mostra il tuo essere ricco sfondato e paga, Agreste.»
«Veramente offre il pennuto.»
«Cosa?» esclamò il protagonista del discorso, voltandosi verso l’amico: «Vorrei ricordarti che io vivo da solo.»
«Ed io sono sposato.»
«E che cosa centra? Non è che il fatto che sei sposato, ti rende migliore di noi comuni conviventi.»
«Pago io, basta che andate al banco» bofonchiò Lila, allargando le braccia e fissando male i due: «E vorrei ricordarvi che anche io vivo da sola, ma non mi lamento come voi due.»
«Tu vivi alle spalle di Wei» decretò Rafael, incrociando le braccia e piegando le labbra in un ghigno: «Chi è il poveraccio che deve ricomprare tutti gli elettrodomestici che distruggi?»
«Chi è il poveraccio che a breve rimarrà senza attributi maschili se continua a parlare di ciò?»
«Lila» Wei alzò una mano, posandola sul capo della ragazza e carezzandola dolcemente: «Cosa ti ho detto riguardo alle minacce?»
«Che non si fanno. Ma Rafael è esente da ciò.»
«Ehi, perché solo io?»
«Ogni essere maschile a questo tavolo è esente da ciò, tranne Wei.»
Marinette sorrise, piegando indietro la testa e osservando il marito dabbasso: «Potresti gentilmente andare a prenderci qualcosa? Così la finite?» domandò, alzando una mano e portandola sopra quella del ragazzo: «Per favore.»
«Come la mia signora desidera» dichiarò Adrien, chinandosi e baciandole la fronte, spostando poi l’attenzione sul gruppo: «Ok, fate la vostra ordinazione.»
«Frappuccino al caramello.»
«Lo so, volpe» decretò il giovane, rimanendo in silenzio e appuntandosi mentalmente ciò che il resto del tavolo desiderava, annuendo a ogni richiesta e ripetendo a bassa voce il tutto; una volta finito il giro, si diresse verso il bancone del locale con Wei e Rafael, lasciando il resto del gruppo al tavolo.
«Devo capire» bofonchiò Lila, poggiando il volto sui palmi aperti e fissando i tre: «Lo fanno, ma prima si devono lamentare. Ma sono così anche a casa?»
«Intendi Adrien?»
«Adrien e Rafael.»
«Sono bravi ragazzi, Lila» mormorò Sarah, sorridendo e chinando la testa: «E solo con te sono così.»
«Oh. Devo essere felice per questo trattamento speciale? Aspetta. No, non lo sono. Come fate a sopportarli?»
«Penso con lo stesso criterio con cui Wei sopporta te, Lila» commentò Alex, poggiando le spalle alla sedia e allungando le gambe sotto al tavolo, sorridendo indolente all’amica: «Pover’uomo, costretto a vivere con te ogni giorno.»
«Perché tu non sei andato con gli altri?»
«In verità stavo pensando di andare» commentò il ragazzo, sistemandosi più comodamente sulla sedia e mettendo le mani nelle tasche della felpa, tirando fuori una carta di credito e mostrandola al resto del gruppo: «Anche perché, con la gentile concessione del maestro Fu, potrei evitare i problemi su chi paga il conto.»
«Hai di nuovo rubato la carta di credito al maestro?» domandò Sarah, voltandosi verso l’amico e incrociando le braccia, lo sguardo che si offuscava come il cielo prima della tempesta: «Alex!»
«Ehi, è per una giusta causa.»
«Quale sarebbe la giusta causa per un furto? Sono curiosa.»
«Mia piccola e innocente amica, è molto semplice: devo comprarmi un nuovo monitor per aiutarvi nelle vostre imprese.»
«In pratica ci stai usando per migliorare il tuo pc?» domandò Lila, scuotendo il capo e lasciando andare un sospiro: «Alex, tu sei…»
«Incredibilmente geniale, non è vero? E ora andrò dai vostri baldi uomini – Thomas escluso, perché è fisso al suo cellulare – e li libererò dalla costrizione di pagare il conto» dichiarò il ragazzo, alzandosi con un movimento fluido e stirando i muscoli, dirigendosi con tutta calma verso il bancone, puntando il gruppetto di amici.
«Mi spiegate perché li sopportiamo?» domandò Lila, facendo vagare lo sguardo sulle amiche e sospirando pesantemente: «O meglio, perché voi tre li sopportare: Wei è la perfezione fatta maschio.»
«Perché sono compresa anche io?» domandò Xiang, posando la sua più totale attenzione su Lila e vedendola sorridere: «Io non…»
«Tu stai con Alex. Forse non ancora ufficialmente, ma siete già una coppia» decretò l’italiana, puntandole l’indice contro e sorridendo divertita: «Devi semplicemente accertarlo, mia piccola millenaria che non sa niente in campo amoroso.»
«Alex è un amico» decretò Xiang, alzando il mento: «Un caro amico.»
«Come friendzonare qualcuno» bofonchiò Thomas, alzando lo sguardo dallo schermo del cellulare e puntandolo sulla ragazza: «Xiang, dovresti scriverci un libro.»
«Mentre tu dovresti stare solo zitto» borbottò Manon, seduta accanto a lui e ignorando lo sguardo pieno di offesa che il ragazzino le puntò contro, voltandosi verso Marinette e sorridendo alla ragazza con tutta l’innocenza del mondo, sbattendo le palpebre sugli occhioni castani e continuando a non considerare l’amico.

 


Sorrise mentre scendeva la grande scalinata che dominava la parte centrale della casa, lo sguardo verde rivolto verso la donna che si stava togliendo il soprabito, aiutata dall’assistente del marito: «Bridgette» mormorò, attirando su di sé lo sguardo divertito dell’interpellata e quello pieno di confusione del Gorilla; Sophie aprì la bocca, schioccando la lingua e ricordando solo in quel momento l’altro nome dell’amica: «Perdonami, non sono abituata a usare l’altro tuo nome.»
«Nessun problema» dichiarò la donna, scuotendo la lunga chioma e scostandosi le onde scure come la notte dalla schiena, liberando così i capelli dalla prigionia della sciarpa di seta che portava al collo: «Ero da queste parti e ho pensato di fare un salto: hai voglia di andare in quel locale che avevamo visto l’ultima volta? Mi andrebbe proprio un buon the.»
Sophie annuì, mugolando sottovoce e passandosi la lingua sulle labbra, quasi assaporando già il gusto pieno della bevanda: «Non mi dispiacerebbe» dichiarò, ridendo cristallina e annuendo poi con la testa: «Mi preparo e andiamo?»
«Assolutamente sì» Bridgette sorrise, tirando su la grande borsa di pelle marrone e indicandogliela con un cenno del capo: «E mentre tu lo fai, io vado a tormentare tuo marito. Ho bisogno dei due idioti come modelli.»
«Immagino tu stia parlando di Adrien e Rafael.»
«Com’è che tutti lo capiscono subito?» domandò Bridgette, scuotendo la testa e facendo ondeggiare i lunghi capelli, mentre il suo sguardo veniva attratto da un movimento alla sua sinistra: Nathalie stava uscendo dal suo ufficio, la testa inclinata e premuta contro la spalla, le mani cariche di fogli e le labbra che si muovevano, mentre dava ordini al telefono incastrato fra viso e corpo.
Non si fermò, mentre marciava diretta verso il portone della villa, salutandole con un impercettibile movimento del capo, senza che questo le impedisse di continuare ciò che stava facendo: «Ultimamente è strana» commentò Sophie, tenendo lo sguardo verde sulla schiena dell’assistente del marito e abbassando un poco le spalle: «La trovo molto spesso a fissare il nulla. Gabriel ha detto che, alle volte, è irraggiungibile.»
«Forse è solo stanca?»
Sophie lasciò andare un lento respiro, scuotendo il capo e storcendo le labbra in una smorfia: «Non so dirti. Non la conosco così bene, sono tornata da nemmeno sei mesi ma Gabriel sa com’è fatta e questo suo comportamento è strano.»
«Un atteggiamento alquanto particolare» commentò la voce di Gabriel, intromettendosi nella conversazione e avvicinandosi alle due donne, lo sguardo puntato sulla borsa che Bridgette teneva fra le mani e lasciando andare un sospiro: «Sinceramente spero sia solo un segno della sua umanità, una fase passeggera. Esattamente come spero lo sia anche il fatto che tu debba disturbarmi sempre, Bridgette.»
«Gabriel…» mormorò Sophie, avvicinandosi al marito e poggiandogli una mano sul petto, carezzando la stoffa del panciotto chiaro e sorridendogli: «Bridgette è un’amica.»
«Non ricordo di averla mai elevata al rango di amica.»
«Questo perché tu sei asociale come solo pochi possono essere» bofonchiò Bridgette, alzando il braccio e facendo ondeggiare la borsa davanti al viso di Gabriel: «Ho una nuova collezione e voglio i tuoi modelli.»
«Non ne hai di tuoi?»
«Ci pensava Maxime. E quell’idiota è ancora non reperibile.»
«Chissà come mai…»
«Gabriel.»
«Non era un insulto alla tua amica, Sophie» spiegò l’uomo, calcando la voce sull’aggettivo possessivo e sorridendo appena: «Ma una constatazione di ciò che sta avvenendo: il suo assistente è irreperibile da settimane, ormai.»
«Devi, per forza, infierire?» bofonchiò Bridgette, incrociando le braccia al seno per quanto glielo permettesse la borsa, e fissando male l’uomo: «Ok. Ammetto che venir posseduta totalmente da Chiyou e sparire per parecchi mesi in Tibet – dove, vorrei ricordarti, stavo cercando tua moglie – non favorisce alla mia causa, ma Maxime mi ha mollata, nel pieno di un evento. E adesso ho una nuova collezione da presentare e nessun modello.»
«Gabriel, per favore, vuoi aiutarla? Così Bridgette ed io andiamo a prenderci un the e sparlare…» Sophie si fermò, sorridendo appena: «Beh, qualcosa troveremo.»
«Oh. Fidati. Sono piena di argomenti, io.»
Gabriel fissò le due, lasciando andare un sospiro e abbassando le spalle, socchiudendo le palpebre e riaprendole, guardando da sopra le lenti la collega stilista, indicandole poi il suo ufficio con un cenno del capo: «Solo perché me l’ha chiesto Sophie. Sia chiaro.»
«Certo, certo» mormorò Bridgette, piegando le labbra in un sorriso che le fece brillare gli occhi, mentre una risatina le scuoteva le spalle: «Ricordi Felix, quando dici così: lo faccio, ma solo perché lo dici tu, Bridgette.»
«Pover’uomo.»
«Gabriel…»
«Sophie, stavo semplicemente constatando.»


Xiang si fermò all’incrocio dei due grandi viali, alzando la testa e notando il cartellone pubblicitario sul palazzo di fronte ove una spiaggia al tramonto faceva da sfondo a quello che doveva essere un noto marchio: «Non capisco perché ci siamo dovuti incontrare» mormorò, stringendosi nelle spalle e osservando il ragazzo, poggiato alla balaustra e che, inclinato verso i due ragazzini al suo fianco, stava studiando lo schermo del cellulare del primo: «Non abbiamo fatto nient’altro che…»
«Rilassarci, Xiang. Ci siamo rilassati: siamo stati in compagnia dei nostri amici e, per una volta da parecchio, non abbiamo pensato a niente» le spiegò Alex, tirandosi su e portandosi una mano agli occhiali, sistemandoli in un gesto ormai familiare alla ragazza: «Non è vero, Thomas?»
«Se per rilassarci intendi ascoltare Lila, Adrien e Rafael farsi frecciatine a vicenda…» borbottò Thomas, senza alzare la testa dallo schermo e sospirando: «Manon, potresti darmi una mano? Non è che si prende facilmente questo leggendario.»
«Ehi, ti ricordo che l’ho installato da poco» borbottò Manon, aggrottando la fronte e storcendo le labbra, prendendosi fra i denti quello inferiore: «No, no, no. Non morire.»
«Dai. Non possiamo perderlo.»
«Sto facendo del mio meglio.»
Alex ghignò, scuotendo il capo e lasciando andare un sospiro, mentre spostava l’attenzione su Xiang: «Non ti sei divertita?» le domandò, tirandosi su e avvicinandola, allungando una mano e stringendo quella della ragazza: «Mi sembra che anche tu hai riso mentre quei tre si beccavano a vicenda.»
La ragazza chinò la testa, annuendo lentamente e stirando le labbra in un sorriso che sparì subito dal volto: «Dovremmo rimanere concentrati, non perdere tempo in questo modo»
«Fu dice sempre che di solo missione non si vive» dichiarò Alex, sorridendole con dolcezza e stringendo un poco di più le dita di lei: «Alle volte bisogna fermarsi e dare tregua alla nostra povera anima.»
«Non è ciò che mi è stato insegnato.»
«Tu sei stata educata per essere una guerriera dei tempi passati, Xiang» la riprese Alex, inclinando la testa e fissandola negli occhi: «Ma gli eroi di quest’epoca, oltre alla missione, hanno anche una cosa chiamata divertimento e vita privata.»
«Il tuo discorso ha un fine, non è vero?»
«Beh, ho saputo che c’è un film molto interessante al cinema e mi domandavo se volevi venire a vederlo con me.»
«Al cinema?»
«Sì, sai quelle cose con le immagini che vanno in televisione? Ecco, praticamente è la stessa cosa ma con un schermo più grande, ma con tanta gente attorno a te e, cosa più importante, i pop corn.»
«Non penso che…»
«Cosa ti ho appena detto, mia cara Xiang?»
«Che gli eroi di quest’epoca devono sapere divertirsi?»
«Quindi andiamo al cinema.»
Xiang lo fissò, scrollando poi le spalle e sorridendo, alzando la testa verso il cielo che si stava imbrunendo e lasciando andare un sospiro: «Come vuoi» bisbigliò, ricambiando la stretta della mano che, ancora, teneva la sua: «Ma voglio i pop corn. Tanti pop corn.»
«Come dice Chat: ogni desiderio della mia signora, è un ordine.»
«Io non…»
«Certo, certo» Alex ghignò, tirando su testa e spalle, quasi come se l’accettazione dell’invito da parte di Xiang l’avesse alzato di una manciata buona di centimetri: «Thomas. Manon. A casa.»
«Finalmente ti sei ricordato che eravamo qui anche noi.»
«Eravate impegnati con il raid.»
«Certo, certo» sospirò Thomas, scostando dalla ringhiera di ferro che delimitava il vano delle scale che portavano alla fermata della metro sottostante e scambiandosi un’occhiata fugace con Manon che ricambiò con un’alzata di spalle, scuotendo poi la testa e seguendo la quasi coppia per le scale della metro.
Thomas rimase indietro, osservando la schiena della ragazzina e i capelli che ondeggiavano a ogni passo, infilando poi il cellulare in tasca e stringendolo spasmodico: «Manon?» domandò, raggiungendola velocemente e affiancandola, tenendo sotto controllo Xiang e Alex avanti a lui: «Stavo pensando…» iniziò, guardandola con la coda dell’occhio e vedendo la sua completa attenzione: «Domani potremo andare a caccia di un altro raid, che ne dici?»
Manon sgranò lo sguardo, fissandolo per una buona manciata di secondi e facendolo sentire stupido per la proposta che aveva fatto, poi la vide piegare le labbra in un sorriso allegro e annuire con la testa: «Però non sono molto di aiuto…» bisbigliò la ragazzina, chinando la testa e abbassando le spalle: «Lo hai visto prima, no?»
«Beh, l’importante è divertirsi, no? E chi se ne frega se scappa anche quello.»
«Sicuro?»
«Sicuro» assentì Thomas, sempre più convinto di ciò che aveva deciso, quando la vide sorridere raggiante: «Domani dopo scuola?»
«Domani, dopo scuola.»


Il Quantum cristallizzato donava una luce ambrata alla stanza, dandole un aspetto molto diverso: l’oscurità onnipresente in quel luogo era rischiarata appena dal monolite che conteneva Hundun, quasi come se fosse un antico insetto immerso nell’ambra.
Viva?
Morta?
Qionqgi se lo domandava, ogni volta che la vedeva.
«Non pensa di essere stato troppo severo, mio signore?» domandò, voltandosi verso l’uomo che l’affiancava e puntando lo sguardo sul volto e poi sul monile che Kwon teneva al collo: ciò che gli permetteva di usare il Quantum, ciò che aveva reso tutti loro quello che erano.
Kwon non rispose, lo sguardo fisso avanti a sé e Qionqgi si domandò cosa stesse pensando: aveva qualche rimorso per aver ucciso – sempre se questo aveva fatto – la donna che lui stesso aveva scelto come suo generale? Oppure non provava assolutamente niente, ammantandosi dell’insensibilità dei potenti?
«Mi chiedo chi sarà il prossimo. Taotie? Taowu?» continuò Qionqgi, mentre un movimento, nelle ombre della stanza, attirò la sua attenzione: Yi li fissava da lontano, l’unico occhio libero fisso su di loro, il corpo teso e pronto a scattare, quasi come se stesse temendo che lui potesse fare qualcosa al loro signore.
Interessante.
Dunque Yi e Kwon non si fidavano di lui.
«Forse tu?» mormorò Kwon, voltandosi verso di lui e Qionqgi fu quasi certo di vedere le spire del serpente di metallo stringersi appena attorno alla gola del loro signore: «E’ interessante come ti senti superiore a tutti, Qionqgi, quando invece sei esattamente uguale a tutti gli altri.»
«Io sono qui per servirvi, mio signore.»
«Ed è quello che devi fare, Qionqgi. Non deludermi e non subirai la fine di Hundun.»
«Certamente, mio signore.»
Kwon lo fissò, voltandosi poi e andandosene, diretto verso la propria stanza mentre Qionqgi rimase immobile dove era, spostando poi l’attenzione verso la povera e cara Hundun: lui non sarebbe finito così, lui non sarebbe mai stato una pedina sacrificabile per permette a Kwon di avere il pieno potere, lui non si sarebbe fatto usare.
Lui avrebbe usato.
Taotie. Taowu. Yi. Lo stesso Kwon.
Li avrebbe usati tutti.
Strinse i pugni, spostando l’attenzione verso il punto in cui aveva visto Yi e trovandolo solo il vuoto ad attenderlo.


Sorrise, posando le labbra sul collo della ragazza e succhiando leggermente la pelle candida: «Adrien, dobbiamo…» bisbigliò Marinette, stringendo appena la presa fra i capelli di Adrien e inclinando appena il capo all’indietro, sorridendo quando sentì la risposta mugugnata del marito. Si morse il labbro inferiore e un gemito le sfuggì dalle labbra, mentre faceva scivolare le mani sulle spalle nude di lui e avvertiva sotto le sue dita la fasciatura alla spalla ferita: «Adrien, devo cambiare la medi…»
«Puoi farlo dopo, no?» mormorò il ragazzo contro la pelle della gola, scivolando con le labbra verso il basso e baciandola poco sopra lo scollo della maglietta: «Non morirò se ritardiamo un po’.»
«Ritardare un po’?» commentò la voce sarcastica di Plagg, facendo sospirare pesantemente Adrien che, ancora stretto alla moglie, poggiò la fronte contro il seno di lei: «L’ultima volta ti sei divertito tutta la notte.»
«Secondo te è possibile uccidere un kwami?» domandò il ragazzo, sistemandosi meglio sul divano e posando un braccio attorno alla vita di Marinette, osservando lo spirito felino che, comodamente seduto sul tavolinetto basso, li fissava intensamente: «Non hai niente da fare? Non so, mangiare camembert? Rinchiuderti nel congelatore?»
«Mi diverto di più qui» dichiarò Plagg, assottigliando lo sguardo verde e muovendo le zampette: «Ma, prego, continuate pure. Non fate caso a me.»
«Come se fosse possibile…» borbottò Adrien, mentre Marinette scivolava al suo fianco e, inclinata la testa, studiava la fasciatura che gli prendeva la spalla e parte dell’addome: «Beh, volevi cambiare la medicazione, no? Sono tutto tuo, mon coeur» continuò lui, allargando le braccia e piegando le labbra in un sorriso felino: «Certo, per fare un lavoro accurato dovresti tornare sulle mie gambe.»
«Sei incredibile, moccioso.»
«Vuoi andartene?»
«Vorrei commentare, ma preferisco pensare alla tua salute, Adrien.»
«Se vuoi pensare a quella, vedi anche il modo di occuparti di quella mentale e far sparire questo guastafeste dalla mia vista.»
«Non è colpa mia se tu volevi divertirti con la tua mogliettina in soggiorno, dimenticandoti che ci siamo anche noi.»
«Tikki non è qui a disturbare. Cosa che tu fai e, fammelo dire, anche in maniera eccelsa.»
«Che posso dire? Ho un talento naturale.»
«Non lo metto in dubbio.»
Marinette alzò gli occhi al cielo, portandosi le mani ai capelli e legandoli in uno chignon improvvisato, allungandosi poi e iniziando a sfasciare Adrien, aggrottando lo sguardo alla vista della ferita che si stava rimarginando: «Stai meglio» decretò, alzando la testa e sorridendo al ragazzo: «Decisamente meglio.»
«Tutto merito delle amorevoli cure della mia mogliettina.»
«Oh, ma per favore.»
«Plagg, muori!»
«Sono un kwami, moccioso, non posso morire.»


Gabriel poggiò gli occhiali, massaggiandosi il setto nasale e inspirando profondamente, ascoltando il silenzio che regnava in casa: Sophie era ancora fuori con Bridgette – a quanto pareva avevano deciso di estendere l’uscita anche a una cena fra donne –, il Gorilla era sicuramente da qualche parte fuori l’abitazione e Nathalie…
Nathalie sembrava essere sparita, come succedeva molto spesso da un po’ di tempo.
Un comportamento che lo impensieriva, sebbene aveva cercato di minimizzare la cosa con Sophie e Bridgette: non poteva negare la sensazione che avvertiva, era come se stesse aspettando che succedesse qualcosa, sebbene non ne comprendesse il motivo.
Qualcosa stava per succedere e non sapeva se tutti loro erano preparati ad accoglierlo.

 

   
 
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