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Autore: chiaretta85_    08/09/2017    6 recensioni
Tratto dal primo capitolo:
Eppure ora era diverso. O forse erano i miei occhi ad essere cambiati. Quel bosco mi intimoriva e mi affascinava in ugual misura. Perchè ora quelle stesse fronde, quegli stessi colossi silenziosi, avevano per me un altro significato. Io sapevo. Sapevo cosa potevano nascondere, io sapevo cosa potevano raccontare se fosse stato concesso loro il dono della parola, io sapevo i loro segreti. E loro conoscevano i miei. E mi aiutavano a custodirli. A loro avevo sussurrato il mio amore, il mio cuore e la mia gioia e avevo gridato il mio dolore, il mio tormento, il mio castigo.
Sospirai.
«Sei pronta?»
Sobbalzai, voltandomi verso la porta. Due lucenti occhi color ambra mi guardavano sereni, cercando di nascondere la ruga di apprensione che si stava formando al centro della stessa fronte del volto dal quale mi osservavano.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon, Più libri/film
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Capitolo 5

Pov Bella

Fu il tepore a svegliarmi. Non trovavo conforto nel calore, non più. Il freddo era mio amico, il freddo era mio complice, mi aiutava nelle mie illusioni. Cercai di riportare alla mente gli ultimi avvenimenti. Mi sentivo confusa, stordita e annebbiata. Avevo la bocca secca. Non era un buon segno. La bocca riarsa era un sintomo che avevo dormito troppo. Io non dormivo così tanto. In realtà non dormivo abbastanza.  Quando succedeva era solo perché mi venivano somministrati dei farmaci. Carlisle doveva avermi dato un calmante.

Solo quando aprii gli occhi ricordai davvero. Inspirai sentendo l’onda di dolore risalire come un fiume in piena dal centro del mio cuore. Mi sfuggì un singhiozzo e le mie mani corso istintivamente sulla mia bocca nel tentativo di contenerlo.

«Bella, che succede?  Ti senti male?»

La mia testa si mosse verso il suono della sua voce. Era appollaiata su una poltrona accanto al mio letto, il corpo proteso verso di me, sul volto un espressione allarmata.

«Alice» la mia voce era ruvida, gracchiante. Mi sentivo come se avessi ingoiato carta vetrata.

«Carlisle ha lasciato dell’acqua, ha detto che avresti avuto sete al tuo risveglio»

Annuii e lasciai che mi portasse il bicchiere alla labbra. Bevvi avidamente dalla cannuccia lasciando che l’acqua fresca lenisse quel sordo dolore pulsante.

«Va meglio?»mi chiese, quando il bicchiere fu vuoto. Annuii brevemente mentre puntellavo i gomiti sul materasso cercando di mettermi a sedere.

«Che fai? Carlisle dice che devi riposare»

Scossi la testa testarda. «Non sopporto parlare stando sdraiata. Mi fa venire il mal di testa» Mi guardava ma era leggermente combattuta. Alla fine sistemò i cuscini e mi aiutò a sedermi. Non smetteva di fissarmi.  Il silenzio si protendeva ed era così innaturale e pesante da essere imbarazzante. Finalmente trovai il coraggio di sollevare lo sguardo dal copriletto che fissavo con insistenza da quando avevo riaperto gli occhi. I suoi spalancati e preoccupati, attendevano.

«Non l’ho immaginato vero? Era lì. Lui.»

Solo un lieve movimento del capo, appena accennato. Nient’altro. Inspirai. Forte.

«Sta bene? Sembrava sofferente e… affamato.» Furioso.

Alice fece una smorfia. «Carlisle lo ha mandato a caccia. Ora sta meglio.»  Una pausa. I suoi occhi si offuscavano e tornavano lucidi, dopo ogni frase. Solo pochi istanti. Ma li vedevo.

«State comunicando»

Alice sobbalzò come se avesse preso la scossa. Non sia aspettava che lo capissi. Era decisamente stupita. «Si.» Un occhiata fugace oltre il letto. Alla porta.

Il  cuore accelerò il battito in un istante. Risucchiai il labbro tra denti così forte che sentii una scossa di dolore. La ignorai.

«È qui? » la mia voce nascondeva una nota di panico. E di speranza. Speravo che non fosse troppo evidente.

«Si è allontanato solo per nutrirsi.» Chiuse gli occhi e mi rivolse una smorfia di scuse. «Non voleva lasciarti. Carlisle gli ha ordinato di aspettare fuori. Non voleva che stessi male di nuovo. Secondo lui hai avuto una crisi respiratoria dovuta allo spavento.»

Mi sfuggì una risata amara. «Non ero spaventata. Solo scioccata. Io, non mi aspettavo di vederlo… così»

Alice annuì. Il suo sguardo si perse di nuovo. Fece per dire qualcosa ma poi ci ripensò.

«Perché è qui fuori?» lo chiesi a lei, ma i miei occhi erano fissi sulle modanature del legno della massiccia porta bianca.

«È preoccupato per te» sussurrò lieve. Come se fosse un segreto. Ma certo. Edward era sempre preoccupato per qualcuno. Questo lo aveva preso da Carlisle. Quei due erano così simili. Mi chiedevo se notassero tutte le somiglianze che li accumunavano. Avevano una animo nobile, una natura altruista. Erano creature speciali. Lo sarebbero state in qualsiasi mondo, in qualsiasi forma. Umano, vampiro. Erano solo parole. Le loro azioni, i lori cuori, andavano oltre la loro natura.

«Puoi entrare, se lo desideri. Sto bene adesso.»

Mi  sorpresi di averlo detto davvero. Era stato un suono pacato, lieve e basso perfino per me che lo avevo prodotto. Ma sapevo che ogni vampiro in quella casa lo avevo udito.

E poi era li. La porta ora aperta faceva da cornice alla sua figura alta e slanciata. Le occhiaie erano meno marcate, gli occhi di un ambra brillante, i vestiti erano puliti e stirati. Ma il tormento e il dolore erano impressi a fuoco sul volto. Ripensai alle confessione di Carlisle.Il problema era l’amore travolgente che provava per te e l’odio e la repulsione che sentiva per se stesso.”

«Ciao»fu la mia brillante uscita. I suoi occhi erano dritti su di me. Mi scrutava, mi osservava, a volte si soffermava su un piccolo lembo di pelle, una ciocca di capelli, il tremolio di una ciglia. Sembrava perso in una sua personale contemplazione. Non sapevo nemmeno se mi avesse sentito. Ebbi un brivido quando un lampo di dolore gli deturpò il viso. Gli occhi fissi sui miei arti immobili, nascosti dalla copriletto.

«Non è brutto come sembra. Voglio dire, almeno ho smesso di inciampare» Che diavolo stavo dicendo? Mi guardò con disapprovazione, durò poco, il dolore riprese subito possesso del suo volto.

«Edward…» Il mio tono era supplichevole, volevo che dicesse qualcosa, che mi parlasse. Bramavo il suono della sua voce.

«Mi dispiace per Charlie» La sua voce. Il suono della sua voce. Era più bello di quanto la mia stupida memoria umana riuscisse a ricordare. La mia anima, il mio cuore, tutto di me vibrò e si animò sulle note della sua voce. La gioia data dal piacere di risentirla era annebbiata solo dal senso delle sue parole.

«Grazie» sussurrai. I suoi occhi si incatenarono ai miei. Ed ero persa. Di nuovo.

Alice si schiarì la voce. «Vado a vedere se riesco a trovarti qualcosa da mangiare. Hai saltato il pranzo»

Lui non diede segno di averla sentita. Guardava me. Io non potevo – volevo-  distogliere lo sguardo. Il leggero rumore della porta che si chiude fu l’unico avviso che eravamo soli.

«Mi dispiace» dissi. Di farti soffrire, di esserti di impaccio. Di essere umana.

Il dolore inondò ogni singola sfumatura del suo viso. Chiuse gli occhi.

«Bella» disse, in quel suo modo unico capace di toccare le parti più profonde del mio essere. Sobbalzai ritrovandomelo inginocchiato davanti al letto, a capo chino, la fronte appoggiata al materasso.

Restammo così un eternità. Lui chino sul letto, io a contemplare il suo profilo immobile, le mani che mi prudevano per il bisogno di passarle nei suoi capelli.

La richiusi in un pugno. Non sopportavo più quel silenzio.

«Di qualcosa»

«Cosa vuoi che dica?»

Risi. «Questa scena l’ho già vissuta. Non va a finire bene»

Alzò il capo con lentezza, come se quel movimento gli costasse un enorme sforzo.

«Non riesco a immaginare niente che io possa dire per farti capire quanto mi dispiace, Bella. Conosco decine di lingue, milioni di parole, e nemmeno una per esprimere come mi sono sentito quando ti ho vista scendere da quell’auto con…» sospirò e i suoi occhi corsero verso la sedia a rotelle, la guardava come se volesse distruggerla. «Non so come chiedere perdono per questo. Perché non posso chiederlo. Non ne ho diritto. Non lo merito.»

Ero senza parole. Non era quello che mi aspettavo.

«Di che cosa stai parlando? Questo ..» dissi  indicando le mie gambe  « … non è colpa tua. È stato un incidente. Un incidente imprevedibile, come quelli che capitano a milioni di persone nel mondo. È successo e basta. Non dipende da te, da me, da nulla. »

Le sue labbra si tesero, l’espressione si indurì.

«Bella. Pensaci. Se non me ne fossi andato, Alice lo avrebbe previsto e io sarei stato vicino, sarei potuto intervenire prima che avvenisse. Prima che tu perdessi tuo padre. Prima che tu vivessi un esperienza tanto orribile, un dolore tanto grande. Prima che il tuo corpo subisse questa … questa … agonia.» Le parole gli vennero fuori come un sibilo, fra i denti serrati.  Sentivo le mie palpebre aprirsi e richiudersi a grande velocità ma sapevo che probabilmente il mio sguardo doveva essere vuoto. Le sue parole vorticavano nella mia mente, ancora e ancora. Ma la conclusione alla quale arrivai, non era quella che mi sarei aspettata. E probabilmente nemmeno lui.

«Mi stai dicendo che ti sei pentito di avermi lasciata.»

Rimase in silenzio per un lungo, lunghissimo, istante. Decisamente troppo per un umano, figurarsi per un vampiro. Quando riprese a parlare non mi guardò.

«Non è quello che intendevo»

E io che pensavo che il mio cuore non potesse andare più in frantumi di così. Quanto ero stupida. Il respiro accelerò senza che potessi fare nulla per impedirlo. Mi sentivo soffocare. Lui se ne accorse e il suo sguardo allarmato fu come uno schiaffo in pieno viso. Improvvisamente era ansioso. Iniziò a parlare veloce, come se non avesse più tempo.

«Non capisci. Volevo davvero che tu avessi una vita lunga e felice, senza mostri che ti mettessero in pericolo, senza interferenze del mio mondo.  Volevo che potessi avere tutto ciò che io non posso darti. Volevo che avessi la possibilità di essere come tutti gli altri. Ma ho tralasciato un particolare importante. Ho commesso un terribile errore. Tu non sei come tutti gli altri. Non lo sei mai stata. C’è qualcosa in te che io…» Scosse la testa frustrato «Avrei dovuto prevedere che le tue sfortune non potevano finire con me. Sarei dovuto restare nell’ombra, proteggerti da lontano, impedire al male, che tu attiri come una calamita, di avvicinarsi a te. Ho sbagliato. Ho fallito. E sei stata tu a pagarne le conseguenze. Non può esistere perdono per questo. Per me. Non può…»

Il cellulare sul mio comodino scelse proprio quel momento per annunciare l’arrivo di un messaggio. Il suono fu così improvviso che non potei non sussultare. Lo fissai per qualche secondo. Sapevo esattamente chi era. A quest’ora doveva essere andato fuori di testa. E poi un nuovo bip. Forse avrei dovuto parlargli, ma non volevo che ci lasciassimo con una litigata. Così me ne ero andata e basta.

Passarono altri secondi. Immobili. Il telefono mi fissava, aspettando che mi decidessi. Io fissavo il telefono. Edward fissava me.

«Bella? Che succede?»

«Nulla. È solo … »

La porta si aprì con un leggero cigolio.

 

   
 
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