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Autore: 7vite    08/09/2017    1 recensioni
La vita di Doremi e le sue amiche è cambiata definitivamente da quando le sei apprendiste hanno deciso di rinunciare per sempre all'uso dei poteri magici, scegliendo di restare a vivere nel mondo degli esseri umani.
Le loro strade si sono divise, ognuna di loro ha intrapreso un cammino diverso, promettendosi però di restare amiche per sempre.
Ed è qui che le incontriamo nuovamente, alle prese con i problemi che affliggono tutte le adolescenti.
Riusciranno a gestire le nuove avversità senza l'aiuto della magia?
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-LA CADUTA DI UNA STELLA-

 
Al termine delle riprese del suo nuovo film, a Lullaby era finalmente consentito tornare a scuola.
Per ben sei mesi la ragazza era stata impegnata a girare le scene, sopportando orari di lavoro assurdi e condizioni abbastanza discutibili, se paragonate a quelle dei suoi impieghi precedenti. Tuttavia aveva accettato quei patti senza fiatare, perché sapeva bene che quella pellicola avrebbe potuto rappresentare il trampolino di lancio della sua carriera. Prima d’ora si era limitata a interpretare ruoli minori, soprattutto perché era ancora una bambina e quindi si era trovata a recitare al fianco di personaggi più competenti di lei. Questo le aveva dato modo di studiarli, di fare suoi i loro errori e quindi di non commetterli in futuro. Si reputava orgogliosa di se stessa, aveva fatto del suo meglio per arrivare dov’era adesso, e non era certo merito della fortuna se era stata scelta tra tante dal famoso regista emergente Yasu Nikitoshi.
Nikotishi aveva fama di essere intransigente, irremovibile sulle sue scelte ed anche parecchio indifferente ad eventuali problemi esterni alla regia. Se per sfortuna ti beccavi un’influenza che ti teneva costretto al letto, allora lui non ci pensava due volte a rimpiazzarti con qualcun altro. Lullaby sapeva che la sua precedente fama nel piccolo schermo aveva influito sulla scelta del regista, ma sapeva anche che se aveva portato a termine il suo incarico lo doveva solamente alla sua bravura e versatilità.
Si era recata al lavoro ogni giorno, anche quando non appariva in nessuna scena, aveva applicato lenti a contatto azzurre per somigliare di più al personaggio ideato da Nikitoshi ed aveva persino colorato i suoi capelli di nero, perché Nikitoshi si era rifiutato categoricamente di farla girare con una parrucca, ritenendola troppo irrealistica.
Aveva sopportato abbastanza, si era detta.
Adesso che finalmente poteva godersi un po’ di tranquillità, aveva chiesto alla madre di tornare a frequentare la scuola e vivere a pieno la sua condizione di studentessa delle scuole medie. Si chiedeva spesso come fosse, invogliata anche dai racconti delle sue migliori amiche.
Poco tempo prima sua madre era andata a parlare col nuovo preside scolastico, informandolo della sua condizione, chiedendogli di essere indulgente a proposito delle sue assenze, e presentandogli il contratto lavorativo sotto gli occhi come prova decisiva. Alla fine lui aveva dovuto accettare, chiudendo un occhio. Adesso Lullaby doveva dimostrargli che lei non era affatto una vip viziata, ma che avesse a cuore lo studio tanto quanto la recitazione, mettendocela tutta in questa sua nuova avventura.
«Ma ad una condizione.»
Aveva detto sua madre durante l’ultimo colloquio col preside, in cui aveva preso parte anche lei.
«Desidero che Lullaby venga trattata come una normale studentessa, sia dai suoi insegnanti che dai suoi nuovi compagni. È chiaro che non può concentrarsi sui compiti se è costretta a firmare autografi a destra e a manca, quindi le chiedo di firmare una dichiarazione in cui si accerti che Lullaby non verrà disturbata.»
Il preside aveva accettato senza batter ciglio. Era certo che la voce che la celebre Lullaby Segawa fosse una sua studentessa si sarebbe sparsa in fretta, rendendo la sua scuola popolare tra i ragazzini, garantendogli un maggior numero di iscrizioni l’anno seguente. Non poteva farsi sfuggire quella possibilità.
La ragazzina lo aveva calorosamente ringraziato, facendo un profondo inchino, ed aveva lasciato il suo studio pienamente soddisfatta.
 
Il giorno dopo avrebbe finalmente iniziato. Aveva indossato un vestitino viola che le piaceva particolarmente e ci aveva abbinato delle scarpe da ginnastica gialle. Si era guardata allo specchio sorridendo alla sua immagine riflessa, sembrava davvero una normale ragazzina!
Sua madre l’accompagnò per il suo primo giorno, promettendole di andare a riprenderla nel pomeriggio, e raccomandandosi di denunciare a preside qualunque studente l’avesse importunata.
Lullaby la rassicurò ed entrò nel grande atrio cercando l’armadietto in cui riporre le sue scarpe. Indossò le pantofole e cercò l’aula 1-D.
Quando aprì la porta tutti si voltarono a guardarla. L’insegnante, che stava scrivendo qualcosa alla lavagna le rivolse un sorriso.
«Ben arrivata signorina Sagawa, siamo lieti di ospitarla nella nostra sezione. Ragazzi, date anche voi il benvenuto alla vostra nuova compagna.»
I suoi nuovi compagni la salutarono con nervosismo.
«Buongiorno a tutti quanti, volevo scusarmi per il ritardo, mi sono persa.»
«Non fa nulla, credo possa capitare a tutti il primo giorno. Prego, si sieda a quel banco libero laggiù.»
La rasserenò la sua nuova insegnate, mostrandole un posto vuoto di fianco alla finestra.
Mentre Lullaby percorreva il minuscolo corridoio tra un banco e l’altro, si sentì lo sguardo di tutti gli altri addosso. Giurò di aver udito anche il suo nome tra i bisbigli.
«Ragazzi, mantenete la calma per favore. Lullaby è una ragazzina come voi, e desidera solamente imparare. Vi chiedo gentilmente di non infastidirla e di trattarla come tutti gli altri. Ci siamo intesi?»
Qualcuno mugolò un sì, altri annuirono debolmente, ma nessuno sperava sinceramente di tener fede a quella parola. Insomma, quando mai capitava di avere una celebrità in classe?
 
Al termine delle lezioni, mentre Lullaby raccattava le cose per sistemarle nello zaino, una ragazzina bruna con gli occhiali le si avvicinò con timore.
«Non riesco a credere che tu sia qui in carne ed ossa.»
Le aveva sussurrato, arrossendo debolmente.
«Sai? Io sono una tua grande fan. Ho visto tutti i tuoi film, ed anche i programmi televisivi a cui hai partecipato, ti sembrerà ridicolo ma li ho registrati tutti quanti…»
«Non lo trovo affatto ridicolo, anzi mi fa molto piacere. Però ti chiedo di non essere così intimidita dalla mia presenza, in fondo sono una tua compagna di classe!»
La ragazzina arrossì più violentemente.
«Sì, lo so ma… Insomma… Non si incontra tutti i giorni un idol, specialmente se si tratta del tuo personaggio preferito…»
«Oh? Sono davvero la tua preferita?»
Lei annuì con imbarazzo.
«La mia cameretta è tappezzata di poster che ti raffigurano, ed ho anche comprato numerosi gadget che promuovevi, guarda le mie matite!»
La brunetta mostrò a Lullaby un set di matite viola di cui aveva fatto la pubblicità poco tempo prima.
«Wow, allora devi essere una vera ammiratrice! Ascolta, anche se ho promesso di non comportarmi da star, tu mi sei molto simpatica, che ne diresti se ti facessi un autografo? Devi però giurarmi di non raccontarlo a nessuno.»
Gli occhi della sua compagna s’illuminarono di gioia, e lei annuì così forte che quasi non le scivolarono gli occhiali dal naso.
Lullaby strappò un foglio dal suo quaderno ed afferrò una delle matite della ragazza.
«A proposito, com’è che ti chiami?»
«Sakura, Sakura!»
Affermò lei con emozione, quasi incredula. Lullaby sorrise inclinando la testa.
«Alla mia carissima nuova compagna Sakura, con affetto…»
«Segawa, cosa sta succedendo qui?»
La voce della loro insegnante le fece sobbalzare.
«Oh, Higarachi, non mi aspettavo questo comportamento da te. Seguimi subito nell’ufficio del preside, avevamo un accordo, spero te lo ricordi!»
«Eh? Ma io non ho fatto nulla di male!»
«Questo lo stabilirà il preside, una volta convocato i tuoi genitori, adesso vieni con me.»
«Signorina, non è come crede, lei non mi stava affatto disturbando!»
«Signorina Segawa, sono lieta di vedere che ci tiene a proteggere la sua compagna, ma non deve assumersi delle responsabilità che non la riguardano. Se qui c’è un colpevole, è proprio la sua compagna.»
«Ma io non le ho chiesto un autografo, lo giuro.»
Continuava a lamentarsi Sakura, mentre la sua professoressa la trascinava fuori dall’aula.
«Lullaby, che succede?»
La voce di sua madre la raggiunse dal corridoio.
«Vogliono portare Sakura dal preside solo perché le ho firmato un autografo, ma la colpa non  affatto sua, dobbiamo fermarli!»
Sua madre le afferrò un braccio trattenendola sulla soglia dell’aula.
«Tesoro, ricorderai il patto stipulato col preside: tutti gli studenti dovranno trattarti come una loro pari.»
«Sì ma non ha fatto nulla di male, non è giusto che venga punita.»
«Sono certa che riceverà al massimo un rimprovero, non devi preoccuparti più di tanto della tua compagna. Il preside mi è sembrato un uomo molto comprensivo, vedrai che andrà tutto bene.»
Lullaby non era dello stesso avviso, ma non poté fare a meno di lasciarsi convincere, e seguì sua madre fuori dall’edificio, interrogandosi su cosa sarebbe capitato a Sakura.
Se la sarebbe davvero cavata con un richiamo?
 
L’indomani Sakura non era venuta a scuola, né quello seguente e nemmeno il giorno successivo. I suoi compagni di classe avevano presto iniziato ad ignorarla, e le uniche della classe che non fingevano che non esistesse era un gruppo di ragazzine che la fissava con disprezzo. Si chiese cosa ne fosse stato della sua compagna, sperando di non averla messa nei guai.
Durante la ricreazione decise di andare a parlarne con la sua professoressa, raggiungendola nell’aula insegnanti.
«Mi chiedevo che ne fosse stato di Sakura, non viene a scuola ormai da tre giorni…»
L’adulta sorrise.
«Non devi preoccuparti, sua madre mi ha telefonato ieri informandomi che la tua compagna si è presa una bella influenza, è per questo che è stata assente in questi giorni, non ha affatto a che vedere con te! Adesso torna in classe e non caricarti colpe addosso, va bene?»
Il suo sguardo era rassicurante, tuttavia non riusciva a scacciare il brutto presentimento che le attanagliava lo stomaco. Era davvero tutto li?
Quel pomeriggio sua madre non era passata a prenderla, doveva sbrigare delle commissioni che non poteva in alcun modo rimandare, perciò Lullaby fece a piedi la strada che l’avrebbe ricondotta a casa. Le faceva bene camminare, si disse, l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee. Aveva combinato un vero e proprio disastro, a scuola nessuno le rivolgeva più la parola, neanche per augurarle il buongiorno. Si chiese se tutto sarebbe finito quando Sakura si sarebbe rimessa e avrebbe cominciato a rifrequentare le lezioni.
D’un tratto si bloccò, qualcuno la stava seguendo. Voltandosi si accorse che dietro di lei camminavano tre studentesse della sua classe. Sul suo viso si allargò un grande sorriso.
«Ciao ragazze, vi ricordate di me? Sono la vostra nuova compagna di classe!»
Le tre, che fino a poco prima confabulavano, adesso la guardavano con disdegno.
«Lo sappiamo chi sei, la piccola attrice dei miei stivali!»
Affermò una delle tre, socchiudendo gli occhi.
«La famosa Segawa, l’idolo degli sciocchi.»
Aggiunse un’altra, facendo una sua pessima imitazione.
«Ma che vi prende? Cosa vi ho fatto?»
«A noi nulla, perché non ti chiedi invece cos’’hai fatto a Sakura? Ah, ma forse la nostra diva non si nemmeno accorta della sua assenza in questi giorni.»
«Certo che me ne sono accorta, la signorina Ijirou mi ha detto che è malata.»
Rispose Lullaby irritata.
«Certo che è malata, si è presa una bella collera dopo che il preside le ha abbassato la media scolastica per averti rivolto la parola.»
Quelle parole le fecero mancare l’aria.
«Non è vero!»
«Sì che è vero, il tutto per aver ignorato una stupida regola… Ma in fondo si capisce, Lullaby la suprema non vuole certo essere disturbata mentre si pavoneggia nei corridoi. Guai a rivolgerle la parola o anche solo lo sguardo, la regina dell’egocentrismo non vuole mescolarsi con i comuni mortali, le fanno schifo.»
Lullaby divenne paonazza dalla rabbia, non le era mai capitato di venir trattata in questo modo.
«Ma cosa vi viene in mente? Io non l’ho accusata, anzi mi sono persino presa la colpa per…»
«Sono tutte frottole, non credere di darcela a bere.»
La più alta delle tre le si avvicinò con fare minaccioso, le mani aperte sui fianchi.
«Noi non ci facciamo incantare dalle belle parole, sappiamo quanto possano essere meschini quelli come te, persone che credono di essere migliori degli altri solo per essere finiti in televisione, che credono che tutto sia loro dovuto solo perché il loro nome appare su qualche rivista per bambini.»
Lullaby strinse i pugni in preda alla collera, quelle ragazze non sapevano nulla di lei, come si permettevano di parlarle in quel modo? Lei non era affatto come la stavano descrivendo, non si era mai creduta migliore di nessuno, anzi spesso e volentieri aveva dei ripensamenti su se sessa.
«Che fai ora, tremi di paura?»
La punzecchiò un’altra di loro, avanzando con passo deciso verso di lei.
«Non è paura, è rabbia! Voi non avete il diritto di parlarmi così.»
«Oh, avete sentito? Non abbiamo il diritto… Chi ti credi di essere Segawa? Dici di non avere paura, ma credo proprio che invece dovresti.»
Lullaby si tirò indietro, cosa voleva dire?
«Sì, indietreggia, vedo che cominci a capire, finalmente. Allora non sei così tonta come sembri.»
«Io non sono affatto tonta, e voi siete delle vere e proprie bulle.»
Il volto delle tre si rabbuiò. In un istante anche l’ultima raggiunse le sue amiche, agitandole un pugno chiuso sotto il naso.
«Come ci hai chiamate? Attenta a moderare il linguaggio.»
Ma Lullaby non aveva alcuna intenzione di tacere.
«Tre contro uno, vi sembra corretto?»
«E a te sembra corretto aver denunciato Sakura?»
«Io non ho fatto proprio niente!»
A quel punto stava urlando.
«BUGIARDA!»
Insinuò una di loro puntandole il dito contro, e spingendola così forte da farla cadere.
Lullaby cadde sul sedere, facendosi male. Mentre si rialzava sentì le tre ridere. Si mise lo zaino in spalla e fece per andarsene, ma un’altra delle tre la tirò per i capelli.
«Dove credi di andare? Non abbiamo ancora finito con te.»
Prima ancora che potesse muoversi, quella le prese un braccio e glielo portò dietro la schiena, bloccandola. Le altre due la circondarono, e iniziarono a malmenarla con pugni e schiaffi.
Divincolarsi era inutile, ogni tentativo di liberarsi le causava solamente più dolore. La tizia che le teneva il braccio dietro la schiena le aveva anche tappato la bocca con l’altra mano, impedendole di urlare.
Un forte calcio allo stomaco la costrinse a piegarsi, facendola cadere sulle ginocchia.
Non seppe se quanto sopportò durò cinque minuti o cinque ore, la testa le doleva per i numerosi colpi presi, il viso le avvampava per via del calore e delle lacrime. Le braccia avevano perso la sensibilità e le ginocchia sanguinavano bagnandole le gambe.
Fu un attimo; il rumore di un automobile che si avvicinava, le tre ragazze che scappavano tra le risa, il suo corpo che, finalmente sciolto, si accovacciava debolmente per terra, stremato.
  
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