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Autore: NPC_Stories    09/09/2017    1 recensioni
Sono un ranger elfo dei boschi della foresta di Sarenestar, o foresta di Mir come la chiamano gli umani. Il mio nome è Johlariel, per gli amici Johel.
Sì, ho degli amici.
Sì, per davvero, anche se sono un elfo, quelle voci che girano sul nostro conto sono solo calunnie. In realtà sono un tipo simpatico e alla mano.
Questa storia è una raccolta di racconti, alcuni brevi altri lunghi e divisi in più parti, che narrano dei periodi in cui ho viaggiato per il mondo insieme a un mio amico un po' particolare. Per proteggere la sua privacy lo chiamerò Spirito Agrifoglio (in lingua comune Holly Ghost, per comodità solo Holly). Abbiamo vissuto molte splendide avventure che ci hanno portato a crescere nel carattere e nelle abilità, e che a volte hanno perfino messo alla prova il nostro legame.
...
Ehi, siamo solo amici. Sul serio. Già mi immagino stuoli di ammiratrici che immaginano cose, ma siamo solo amici. In realtà io punto a sua sorella, ma che resti fra noi.
.
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Nota: OC. A volte compariranno personaggi esistenti nei libri o nella wiki, ma non famosi.
Luglio 2018 *edit* di stile nel primo capitolo, ho notato che era troppo impersonale.
Genere: Avventura, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1307 DR: Il terzo incomodo, ovvero Quella volta in cui non riuscii a conquistare sua sorella


Il cartello d’indicazioni puntava chiaramente verso ovest. Recitava “Locanda dell’Orso”; le parole erano incise a lettere maiuscole con calligrafia rustica. Sotto, più in piccolo, era scritto “se portate tre mele, una torta gratis”.
Dalla strada principale, nella direzione indicata da quell’unico esemplare di segnaletica, si dipanava un sentiero ben battuto e largo abbastanza da lasciar passare un carro. Forse c’erano anche i classici segni delle ruote, ma la strada era coperta dalla neve. Ogni tanto a fianco del sentiero crescevano alberi da frutto, principalmente meli o ciliegi. In quel periodo dell’anno purtroppo non davano frutti, quindi non avremmo avuto la torta gratis. Peccato.

Il luogo ufficialmente si chiamava “Locanda dell’Orso”, ma nei villaggi vicini tutti la chiamavano con un nome diverso: “L’Alveare”.
All’inizio pensavo che fosse perché la proprietaria aveva le arnie. O perché con il miele delle sue api produceva un ottimo idromele.
Holly non negò nulla di tutto ciò, ma mentre ci avvicinavamo alla locanda riparandoci gli occhi dalla luce bassa del sole al tramonto, mi confessò che c’era anche un’altra ragione.
“Credo che molti paragonino mia sorella a un’ape regina” mi confidò “per via del suo comportamento mat... maternalistico? Esiste come parola? E anche perché non lascia quasi mai la locanda.”
“Non è anche perché ha un sacco di figli?”
Mi guardò con l’aria di non esserne troppo convinto. “Quattro sono un sacco?”
“Per gli standard di un elfo, sì.”
“Ah boh. Qui sono tutti umani Johel, non è considerato strano avere quattro figli. Non è considerato strano tantomeno per una seguace della dea della fertilità.”
“Pensavo che Chauntea fosse la dea della fertilità dei campi.” Sapevo poco delle divinità degli umani e non ero esperto sulle sottigliezze delle loro dottrine.
“Diciamo che è la dea patrona sia dei campi che della camporella.” Rispose con un sorrisetto ironico. “Hai conosciuto mia sorella, lo sai com’è fatta.”
“A dire il vero no, non so com’è fatta, ma mi piacerebbe scoprirlo!”
Non rispose, ma mi rivolse uno sguardo fugace, così rapido che al momento pensai di averlo immaginato. Non lo sapevo, ma avevo appena parlato troppo.

Arrivammo alla locanda quando ormai le stelle erano alte in cielo e gli ultimi raggi del sole sparivano dietro l’orizzonte. Quasi un giorno di viaggio a velocità carro (un po’ meno muovendosi a piedi) in direzione nord-ovest sulla strada che da Secomber porta a Uluvin, per arrivare a vedere l’indicazione per la locanda; da lì è quasi un’altra ora di strada in direzione sud-ovest, inoltrandosi fra le campagne. Sforzandosi un po’, si arriva a quel benedetto luogo di riposo prima che faccia buio.
Non era una locanda di passaggio. Già di suo, la strada fra i due paesini non era mai particolarmente trafficata, se poi si va a nascondere una locanda a un’ora di viaggio dalla strada principale, è quasi certo trovarsi con un esercizio commerciale perennemente a rischio fallimento.
Scoprii la ragione di quell’isolamento quando raggiungemmo il luogo. Era preceduto da alcuni piccoli cottage di legno e paglia, dal cui buco sul tetto usciva del fumo. La locanda in sé era un vasto edificio in pietra, parzialmente circondato da mura. Più che una locanda sembrava un’abbazia.

“I tuoi occhi non t’ingannano” confermò Holly quando gli esposi la mia idea. “In effetti questa una volta era un’abbazia, formalmente consacrata a Chauntea.”
“E che cosa è successo? Come mai non lo è più?”
“Quando sono arrivato in questa regione, ho massacrato tutti i suoi abitanti.” Raccontò, in tono neutro.
Sì. Ci avrei creduto un tempo, forse.
“Questa è una di quelle volte in cui dici una parte della verità facendo credere che sia tutta la verità” lo accusai, con la stessa certezza con cui avrei affermato domani il sole sorgerà ad est.
Sospirò.
“Mi conosci troppo bene. Non mi dai mai soddisfazione.”
“Vuoi raccontarmi che cosa è successo?”
“Non ora. Siamo arrivati. Te lo racconterò quando avrai soddisfatto le tue necessità di essere vivente.”
“Tutte quante?” chiesi in tono malizioso, solo per pungolarlo.
“Cibo, alcolici e un camino acceso; mi sembra il giusto compromesso” rispose freddamente, senza darmi soddisfazione.

La locanda era piena di bambini. Holly si strinse nelle spalle e disse fuori dai denti che ne aveva sopportati già così tanti, che una decina o due in più non avrebbero fatto differenza. Non mi aspettavo che una locanda fosse piena di bambini. La taverna era stata trasformata in un refettorio ed era piena di gioioso chiasso infantile.
Krystel, la locandiera, era bella e sorridente come la ricordavo, ma aveva anche l’aria stanca. Nessuna delle sue figlie era in vista, e la sua aiutante Esmeralda stava raccontando una storia ai bambini per farli stare buoni. Senza molto successo, visto che sembrava volessero partecipare tutti alla narrazione.
“Perché la locanda è piena di bambini?” chiesi infine, quando ebbi buttato giù mezzo piatto di ottimo stufato e un paio di bicchieri di ippocrasso caldo.
“Tradizione invernale. I mercanti non circolano, la locanda rimane pressoché inattiva, e tutti i contadini della zona possono scegliere di mandare qui i loro figli in eccesso per imparare un mestiere.” Mi spiegò Holly sbrigativamente.
“I loro figli in eccesso? Che vuol dire?”
“Quelli di cui non hanno bisogno per i... boh, i lavori da umani nelle fattorie. Non lo so. Mia sorella dice che non c’è tantissimo da fare in inverno in una fattoria.”
“E qui che cosa fanno?”
“Oh beh...” si strinse nelle spalle. “Imparano a cucinare, a usare le erbe medicinali, i ragazzi si occupano degli animali e le ragazze imparano a usare il telaio... se si portano della lana, possono fare delle coperte o dei vestiti da riportare a casa. Quando non fa troppo freddo, Duvainion li addestra a tirare con l’arco e a combattere, e c’è sempre qualcuno pronto a insegnare a tutti le basi del primo soccorso; è una cosa che serve sempre, dopotutto siamo nella Frontiera Selvaggia e quella stupida brughiera piena di mostri è solo qualche giorno di marcia a sud. E poi fanno altre cose, preparano conserve, intagliano la legna, imparano a leggere e a scrivere, a fare le faccende, ad accendere il fuoco... a riconoscere gli animali e le piante commestibili e a non perdere la strada nella neve. Ogni tanto mia sorella si prende un’apprendista, se una ragazza dimostra di avere la vocazione. Possono portare a casa tutti i frutti del loro lavoro, ma una parte di quello che producono resta alla locanda come pagamento.”
Mi accorsi che avevo smesso di mangiare, rapito da quella spiegazione. Era un sistema molto comunitario per gli standard umani.
“È una cosa molto bella. Ma non è un impegno troppo gravoso per tua sorella? Aiuta questi ragazzi a diventare dei contadini migliori e più autonomi, e li sfama per tutto l’inverno. Non le costa troppo?”
“In cambio di questo, sono anni che non deve manutenere personalmente la locanda. I ragazzi più grandi fanno le piccole riparazioni, i bambini sistemano la ghiaia del cortile, tolgono le erbacce dall’orto, e come ho detto una piccola parte dei loro prodotti rimane qui. Però la ricompensa principale è un’altra ed è più importante, anche se invisibile: ogni persona nel raggio di due giorni di cammino conosce mia sorella e si fida di lei. Ogni persona nata negli ultimi quarant’anni è praticamente cresciuta qui per metà dell’anno ogni anno, così mia sorella è diventata una costante e un punto di riferimento nelle loro vite brevi. Questo luogo è considerato una seconda casa da tutta la gente della zona e nessuno alzerebbe mai un dito contro Krystel o i suoi figli. Inoltre questi bambini stringono amicizia crescendo insieme, cosa che non potrebbe accadere se crescessero in fattorie separate, in questo modo si rafforzano i legami della comunità e si minimizza il rischio di future dispute per la terra.”
Lo guardai con rinnovato stupore.
“Non avevo il minimo sentore che tu capissi tanto bene gli umani o le faccende che li riguardano.”
“Ho passato molto tempo con mia sorella. A lei questa gente piace.”
Lo disse con un tono che mi strappò una risata semi-alcolica.
“E a te questa gente non piace?”
“Mi lascia abbastanza indifferente, se proprio vuoi la verità.”
“Com’è che tu piaci a loro?”
“Io non gli piaccio, probabilmente gli sono indifferente a mia volta.”
“Ma non è strano?”
Sbuffò, seccato. “Mi lasciano in pace perché sono il fratello dell’Ape Regina, non è ovvio?”
Non ero convinto, ma lasciai correre. Cominciavo a essere troppo brillo per obiettare.

Dopo un po’ di tempo si alzò e andò a, così mi disse, indagare se in cucina era rimasto qualcosa di dolce perché dovevo assolutamente provare il qualcosa di non mi ricordo.
Tornò con un pezzo di crostata e altro ippocrasso, stavolta freddo. Aveva un sapore dolce ma meno speziato di prima, però non ci feci caso. Ad un certo punto mi venne il singhiozzo.
“So come puoi mandarlo via” Holly aveva il tono più volenteroso e convincente che un amico possa avere “Prendi un bicchiere d’acqua e bevi dalla parte più lontana dalle tue labbra.”
“Cos? Come fa...sccio?” biascicai, parlando in elfico perché il Comune era ormai un ricordo confuso.
“Chinati in avanti. Su su” mi aiutò. Quando la mia testa arrivò all’altezza delle mie ginocchia, registrai due eventi quasi contemporanei: il bicchiere raggiunse finalmente la pendenza necessaria per rovesciare acqua nella mia bocca, ma finì tutta nel mio naso; la seconda cosa che accadde, fu che capitombolai per terra con una mezza capriola e senza sapere come mi ritrovai per metà sotto il tavolo, con un bernoccolo sulla testa e la stanza che girava e ondeggiava come il ponte di una nave.

Mi risvegliai la mattina dopo, confuso. Non ero nel letto di Krystel come avevo inizialmente sperato, ma nella branda dell’infermeria. Per Corellon, che vergogna. Mi ero ubriacato come un pivello.

Durante il tempo che passammo insieme quell’anno, Krystel non riuscì mai a vedermi come un potenziale partner, per lei rimasi solo l’amico di suo fratello, quello che non regge l’alcol. Quello da tenere d’occhio perché era un po’ infantile.

Per questa volta aveva vinto lui, mi aveva ingannato portandomi dell’idromele fermo e molto alcolico al posto del vino che mi aspettavo di bere.

Ma prima o poi, giurai a me stesso, sarei riuscito a sedurre sua sorella.

           

   
 
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