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Autore: QueenOfEvil    10/09/2017    1 recensioni
(Dal capitolo sette):
"Sì, aveva aspettato quel giorno per anni, nella polvere, nell’ombra di qualcun altro, di Ahadi, di Mufasa e adesso che correva il rischio di venire oscurato anche da Simba, da quello scricciolo che altro non era che un prolungamento del fratello tanto odiato, gli era stata finalmente data l’opportunità di scuotersi di dosso tutti: sarebbe diventato ciò che era stato predestinato ad essere fin dall’infanzia, fin dalla nascita. Il sovrano che nessuno mai aveva visto in lui."
La storia di un re considerato tale solo da se stesso. E, chissà, forse, in fondo, neanche quello.
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Scar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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10. Taka(?) God hath given you one face, and you make yourself another

Il funerale della regina delle Pride Lands trascorse in silenzio. Anche Ahadi, che in quanto sovrano e compagno avrebbe dovuto tenere un discorso, si limitò a qualche frase di circostanza, senza riuscire davvero ad esprimere lo sconcerto e il dolore che ognuno di loro stava attraversando: era stato un malore improvviso, nessuno sapeva esattamente cosa lo avesse provocato, ma restava il fatto che quando la sua famiglia era sopraggiunta alla pozza d’acqua era stato subito chiaro che le sue condizioni erano critiche e, prima ancora che Rafiki potesse sopraggiungere per guarirla, ella si era spenta, sotto gli occhi del marito e del figlio.

Figlio che in quel momento era in disparte, gli artigli affondati nella terra e lo sguardo assolutamente spento: non si capacitava di quello che stava accadendo, o almeno, forse il problema era che lo capiva fin troppo bene, ma si rifiutava di accettarlo. Sua madre era stata l’unica che non l’avesse mai fatto sentire inferiore ad altri, l’unica che mai l’avesse paragonato a Mufasa, l’unica che sembrava avere sempre avuto fede nelle sue possibilità; persino la storia della sua nascita confermava questo suo pensiero e, anche se spesso in quell’ultimo periodo l’aveva mentalmente rimproverata perché mai l’aveva sentita opporsi alla volontà di Ahadi, rimaneva comunque che tutto ciò che aveva compiuto era stato per il bene dei suoi figli, di entrambi. E ora se n’era andata.

Taka vide il fratello, con l’espressione addolorata e gli occhi lucidi di chi ha pianto da poco, venire consolato da Sarabi e trattenne un moto di fastidio per quella dimostrazione così aperta di debolezza, completamente contraria al suo comportamento che invece, anche in quell’occasione, era rimasto composto, perfettamente coerente e fermo. Dall’esterno, si sarebbe potuto dire assolutamente indifferente alla situazione, ma era sempre stato piuttosto bravo a mascherare le sue emozioni. Venne in breve raggiunto da Mufasa, che, dopo essersi congedato dalla leonessa, si era diretto verso di lui con un’espressione grave e seria che mai il secondogenito aveva notato sul suo muso: il giovane giocoso e pieno di energia aveva lasciato il posto ad una figura austera e quasi imponente per la solennità con cui sembrava muoversi e, forse per la prima volta, a Taka sembrò di scorgere dentro di lui il sovrano che un giorno sarebbe potuto diventare.

“Nostra madre è in pace” gli disse, cercando nel fratello un qualsiasi segno di comprensione e conforto, una rassicurazione simile a quella che lui stava tentando di dare a sua volta, che però non ottenne: invece, il minore sembrò quasi infastidito dalle sue parole.

“Intendi con i Re Antenati?” gli chiese, alzando un sopracciglio: non poteva pensare che l’altro avesse davvero fede in quella sciocchezza che il padre aveva raccontato loro per anni. Non c’era nulla dopo la morte, nessun tipo di Paradiso ad attenderli e anche la storia di quella meravigliosa ed idilliaca armonia che avrebbe dovuto coinvolgerli e renderli vicini agli altri sudditi non era altro che una stupida serie di insulsaggini. Solo gli ingenui come Mufasa potevano permettersi di credere in quelle cose.

“Ascolta, so che tu non sei disposto ad affidarti facilmente a ciò che non puoi vedere, ma…”

“No, fratello, la questione è ben diversa: si tratta di avere semplicemente cervello. Nostra madre è morta, ci è stata portata via prima del tempo, apparentemente senza alcun motivo e niente di questo è sopportabile.” gli rivolse un’occhiata quasi furente: odiava che gli si parlasse di faccende simili, che si tentasse di superare il dolore o afflizioni di qualsiasi tipo rinchiudendosi in una dimensione inesistente. Che senso aveva avere speranza in un miraggio irrealizzabile? “Ma non accetto inutili tentativi di consolazione usando favole che ci venivano raccontate da cuccioli”

“Dovresti essere più rispettoso per gli Antichi Sovrani del Passato” gli rispose il primogenito, abbassando quasi la voce in segno di rispetto per gli spiriti che era certo stessero vegliando su di loro anche in quel momento “Comprendo il tuo dolore, ma non puoi negare l’esistenza di qualcosa solo perché non la comprendi”

“Non si tratta di comprendere, si tratta di guardare in faccia la realtà: nostra madre se ne è andata e non la rivedremo più, non importa cosa tu inventi per rendere meno dolorosa questa perdita. Tu credi davvero che quelle luci lassù siano gli spiriti dei nostri cari e che ci uniremo a loro una volta che la nostra vita finirà? Svegliati Mufasa, per l’amor del cielo! Tutto quello che ci è stato detto non sono altro che fandonie!” Stava alzando la voce, anche se tentava di dominarsi “Erano favole, accidenti, favole che ci sono state raccontate da appena nati come qualunque genitore fa con i propri figli. È esattamente come il Cerchio della Vita: non siamo collegati, non siamo tutti uguali. Ci sono predatori e prede, dominatori e dominati, vincitori e vinti, è questa l’unica legge che mantiene l’equilibrio nella savana: perché credi che siamo noi leoni a comandare e non le gazzelle? Non posso credere” disse poi, scuotendo la testa con sufficienza “Che tu sia così legato a nostro padre, così dipendente da lui da credere che ogni parola che esce dalla sua bocca sia una verità assoluta”

Anche il suo interlocutore stava iniziando ad innervosirsi, pur mantenendo il tono basso per non disturbare la cerimonia, che stava volgendo al termine “Non sono sicuro di essere io lo sciocco, fratello: parlando con tanto sdegno e sufficienza delle nostre tradizioni, di tutto quello che ci ha formato e che costituisce ciò che siamo dimostri di non aver compreso affatto quale debba essere il nostro posto. Non è una questione di dominare e regnare, è la natura, ciò che siamo e a cui torneremo: un bravo sovrano deve saper vivere in sintonia con i terreni e la popolazione che amministra e stabilire l’armonia attraverso la quale tutti possono godere delle migliori condizioni possibili. È in questo senso che funziona il collegamento che tu tanto disprezzi ed è proprio perché ogni cosa si lega con le altre che c’è speranza, una speranza che tu puoi definire sciocca, ma persistente, che il nostro spirito si preservi dopo averci lasciati. Mi addolora profondamente che tu non abbia colto nulla di quello che nostro padre ha tentato di insegnarci fino ad ora”

Taka stava per rispondergli che era un discorso commovente, ma sarebbe stato ancora più convincente se Ahadi si fosse degnato di farglielo personalmente, invece che delegarlo al suo figlio preferito, quando il sovrano interruppe la loro conversazione. Dimostrando di aver ascoltato ogni parola fece segno a Mufasa di seguirlo, non degnando il secondogenito di un’occhiata se non uno sguardo breve, carico di qualcosa che sarebbe potuto somigliare molto alla delusione.

Il minore restò per un attimo pietrificato, non sicuro di cosa fosse appena successo, ma con il presentimento che non avrebbe portato a nulla di buono: le sue sensazioni vennero confermate dalle parole del padre che, salito sulla Rupe dei Re insieme al fratello, attirò l’attenzione dei sudditi prima di iniziare a parlare.

“In un giorno simile, in cui ci è stata portata via qualcuno di caro in modo inaspettato e rapido, mi rendo sempre più conto di quanto sia facile cadere vittima del fato prima di aver raggiunto il nostro apice e l’obiettivo che ci eravamo prefissati: io stesso, con il procedere dei giorni, mi sento sempre meno sicuro e, ora che la mia, la vostra, regina è mancata, sarà tutto ancora più difficile. Per questo motivo, per garantire che le Pride Lands abbiano un futuro glorioso anche senza di me, quando un giorno non sarò più in grado di governare, ho deciso di designare già adesso il mio erede, colui che salirà al trono quando io avrò raggiunto i Nostri Antenati. Popolo della Savana, ho l’onore di presentarvi il vostro futuro re. Vieni pure avanti, Mufasa”

Una doccia fredda.

Anzi, no, una doccia fredda in qualche caso può essere quasi piacevole.

Quello che Taka provò vedendo il fratello salire a fianco del padre e venire omaggiato da tutti i sudditi presenti fu più un fulmine, talmente potente da spaccare, distruggere e quasi annientare: per poco non cadde dalla sua posizione e certamente perse la sua proverbiale compostezza al suono di tutte quelle esclamazioni e dimostrazioni di devozione che sentiva attorno a sé. Uru morta… Mufasa re… tutto nello stesso giorno? No, non poteva, non doveva avvenire in quel modo!

Avrebbe dovuto esserci lui al suo posto!

Chiunque al suo posto sarebbe scappato, anche lui era sul punto di fare lo stesso, ma per qualche strana ragione il suo corpo non si muoveva: era pietrificato, le zampe improvvisamente diventate troppo pesanti per poterle sollevare e l’espressione bloccata in quella che, ne era sicuro, doveva essere una smorfia sorpresa, arrabbiata e ferita insieme. Con grande fatica, dopo un tempo che gli parve eterno, voltò la schiena alla scena avendo come ultima immagine il viso di suo fratello che sorrideva, mostrando per la prima volta timidezza in tutta la sua esistenza, al branco di sudditi che si era immediatamente precipitato a rendergli omaggio: una parte di lui voleva andarsene, scappare al cimitero degli elefanti o persino più lontano e non tornare mai più. Era proprio questa che lo perseguitava da quanto lui riuscisse ad avere memoria, a continuare ad urlargli nella testa quanto fallito fosse e come tutti lo pensassero, come tutti lo sapessero. Dire che non era tentato di ascoltarla, darle retta e arrendersi sarebbe stata una bugia in quel momento, eppure qualcosa lo tratteneva; era un pensiero, una convinzione che era andata rafforzandosi in quegli ultimi mesi, mentre convinceva le iene, le addestrava e al contempo iniziava a progettare quello che sarebbe stato il suo futuro dominio: lui era migliore di Mufasa. 

Lo era sempre stato e nessuno se n’era accorto: era sopravvissuto quando chiunque lo avrebbe dato per morto, aveva affrontato tre iene da cucciolo e ne era uscito indenne, mentre gli era stato detto che non avrebbe mai vinto una battaglia, aveva ridotto in suo potere e all’ordine una specie conosciuta per la sua indisciplinatezza e odio per i leoni anche se gli era stato detto che mancava di carisma… aveva puntualmente disatteso tutte le aspettative che gli venivano rivolte, ma, se fino ad allora aveva visto questa come una sua caratteristica negativa, in quel momento comprendeva quale fosse il suo potenziale: d’altronde, chi aveva pensato che avrebbe potuto essere re? Nessuno. Ebbene, avrebbe dimostrato il contrario ancora una volta. Doveva solo attendere il momento giusto e avrebbe potuto provare al padre e al fratello di cosa in realtà fosse fatto.

Ma per questo aveva bisogno mantenere la calma e non commettere gesti avventati e questo era più facile a dirsi che a farsi visto come il sangue gli stesse ribollendo nelle vene: aveva bisogno di calmarsi, di ragionare e tentare di nuovo, d’altronde, la costanza era sempre stata una delle sue qualità. Si incamminò verso la tana, con il cuore che martellava e ogni passo che faceva doveva trattenersi dal prendere ad artigliate qualcosa: se era giunto alla conclusione che la pazienza fosse la virtù dei forti, questo non voleva dire che fosse disposto a dare ascolto alle sue stesse massime. Quello che gli serviva in quel momento era pace e silenzio per riflettere. E, soprattutto, non trovarsi di fronte il fratello per almeno una settiman…

“Taka!”

I suoi muscoli si indurirono al suono di quella voce e dovette fare un enorme sforzo per non voltarsi immediatamente e aggredire il suo interlocutore, pensando che in ogni caso sarebbe stata una battaglia persa, che non era da lui avere quel tipo di comportamento e che se l’avesse ignorato a sufficienza Mufasa se ne sarebbe andato.

“Taka, ascolta, ti devo parlare” Ruotò la testa di poco, guardandolo di sbieco e non accennando a nessun movimento che potesse essere interpretato come un invito a procedere. Sfortunatamente, a quanto pareva, “Chi tace acconsente” perciò il primogenito gli si pose davanti, obbligandolo a fermarsi e a guardarlo in viso: non l’aveva mai visto così turbato e, per un attimo, ma solo un attimo, si sentì sinceramente preoccupato per quello che egli poteva dirgli. Sentimento che sparì, mutò e cambiò completamente non appena l’altro aprì bocca.

“Ascolta, io… non so davvero cosa pensare di quello che è successo oggi. Prima la morte di nostra madre e… e ora questo… sono così confuso.” Scosse la testa, frustrato “Sono giovane, molto giovane, forse troppo giovane per regnare e, anche se tutti tentano di rassicurarmi, sento che il loro non è un giudizio obiettivo: nostro padre… Sarabi… a volte mi piacerebbe che non fossero tutti così condiscendenti verso quello che faccio. Tu, invece, tu sei quello fra di noi che ha la mente più lucida e razionale, lo sei sempre stato… cosa ne pensi? Riuscirò ad essere il sovrano che tutti si aspettano che io sia?”

Taka era attonito e quello che stava provando in quel momento non poteva essere descritto con nessuna parola di sua conoscenza: suo fratello si stava… lamentando? Lamentando di essere stata scelto “troppo presto”? Di avere tutto quello che lui aveva sempre desiderato? Di essere amato e di avere l’approvazione della sua famiglia? No, non poteva davvero dimostrarsi tanto ingrato, non poteva stargli sbattendo in faccia ancora una volta quanto la sua esistenza fosse perfetta e quanto lui invece non possedesse nulla. E non gli bastava! Desiderava che anche il suo caro fratellino si piegasse, che lo osannasse esattamente come tutti sembravano fare da sempre? Era ovvio che credeva in una risposta affermativa, altrimenti non glielo avrebbe neanche chiesto: come poteva dimostrarsi ipocrita fino a quel punto?

Era lui ad aver perso tutto, lui non Mufasa!

Ma l’altro pretendeva un giudizio, giusto? E Taka decise in quel momento che gliel’avrebbe dato, fosse stato l’ultimo della sua vita.

“No” disse quindi, trattenendo un sorriso quando vide l’espressione sorpresa e ferita del suo interlocutore “Non credo che riuscirai ad essere all’altezza del regno, né di nostro padre e tantomeno degli Antenati che tu sembri così ansioso di compiacere”

“Io…” Il primogenito sembrava non avere parole per quello che gli era stato appena detto e il giovane principe ne approfittò per infierire ancora di più, avvertendo chiaramente che la situazione stava sfuggendo al suo controllo, ma non riuscendo a fermarsi.

“Cosa c’è? Eri venuto da me per un parere sincero e io te l’ho dato! Ma mi sorprende che tu dia tanto peso alle mie parole, considerando che non mi hai mai ascoltato in vita tua: dimmi, Mufasa, dimmi una sola volta in cui tu abbia preferito prestarmi ascolto invece che correre dai tuoi amici! Volevi davvero la verità oppure ti aspettavi che ti avrei indorato la pillola come sembrano fare tutti attorno a te? Sii sincero con te stesso!” l’ultima frase era stata quasi ringhiata e bastò per scuotere il primogenito dall’espressione scioccata che aveva assunto.

“Non essere ingiusto con me, fratello: comprendo che il dolore per la morte di nostra madre ti abbia offuscato la mente, ma non puoi accusarmi di mentire quando sai che sono sempre stato sincero con chi mi era vicino. Sono venuto da te con intenzioni genuine e mi dispiace che tu abbia pensato altrimenti, però…”

Non poteva più sopportare questo insulso modo di parlare: il fratello era sempre calmo, sapeva sempre vedere le migliori intenzioni negli altri e anche questo addurre scusanti al suo comportamento, che voleva essere meramente cattivo, lo fece infuriare ancora di più, fino al punto di rimanere privo della sua proverbiale freddezza per un momento.

Momento in cui, per far tacere quella dannata bocca, tentò di dargli un’unghiata e stenderlo per terra.

Momento in cui il primogenito, intercettando le intenzioni del fratello e reagendo per istinto, si dimostrò ancora una volta più veloce ed esperto nel combattimento dell’altro: se il colpo del secondo, causato dall’ira e privo di precisione, mancò il bersaglio, quello del primo, che nel suo anno e mezzo di vita aveva messo in pratica tutti gli insegnamenti di Ahadi, andò perfettamente a segno, con una potenza inaspettata da entrambi e certamente non voluta.

Un dolore lancinante esplose sul muso di Taka, che arretrò immediatamente di qualche passo e portandosi una zampa alla parte sinistra di esso, guardando con l’occhio destro per qualche secondo un incredulo e chiaramente colpevole Mufasa prima di voltargli la schiena e fuggire a perdifiato lungo la scarpata, lasciandosi alle spalle in breve tempo la Rupe dei Re. 

Correva, neanche lui sapeva dove, tentando di mettere più distanza possibile fra quello che era successo e lui e soprattutto cercando disperatamente di aprire la palpebra colpita, che non accennava minimamente a rispondere ai suoi comandi. 

Si fermò solo molto più avanti, in prossimità di una pozza d’acqua deserta e di ridotte dimensioni, e, facendosi coraggio, si sporse leggermente sul riflesso del liquido, vedendo per la prima volta le reali condizioni in cui versava dopo lo scontro con il compagno. Riportava piccoli tagli e ferite, probabilmente causate dalle unghie che avevano appena scalfito la pelle, ma quello che lo spaventò quasi al punto di spingerlo a riprendere la sua fuga fu la vista di un taglio profondo e centrale, che percorreva interamente la palpebra superiore e inferiore e sanguinava copiosamente.

“Mi ha fatto questo…” pensò, sconcertato, mentre contemplava la sua nuova immagine sfigurata “mio fratello… mio fratello mi ha fatto questo!”

Non tuo fratello lo corresse una voce sibillina nella sua testa Mufasa. Tu non hai un fratello. Non lo hai mai avuto.

Quale fratello d’altronde poteva ferire a tal punto un altro componente della sua stessa famiglia?

Il suo ultimo colloquio con lui continuava a turbinargli nel cervello: se era stato patetico e parecchio scorretto da parte del primogenito venire a chiedere la sua compassione in un momento simile, doveva anche ammettere che lui stesso si era dimostrato stupido a tentare di attaccarlo, seppure solo mosso dalla rabbia. Rabbia che in quel momento stava sbollendo in maniera sorprendentemente veloce, lasciando spazio ad un sentimento che solo pochi mesi fa Taka non credeva che avrebbe mai potuto provare per chiunque, specialmente non per qualcuno che era sempre stato così vicino a lui.

Odio. 

Sì, odiava Mufasa, in quel momento a tal punto da desiderare con tutte le sue forze di ucciderlo. Lo odiava per essere sempre stato al centro della scena, mentre lui veniva confinato nell’ombra. Lo odiava perché nessuno si permetteva mai di criticarlo, perché sembrava sempre fare la cosa giusta al momento giusto, per l’occhiata di sincero senso di colpa che gli aveva lanciato subito dopo averlo aggredito, perché era sempre così coraggioso, nobile, sincero da far sfigurare chiunque al suo fianco, ma soprattutto il fratello che ormai non si riteneva più tale. Lo odiava perché il padre l’aveva sempre preferito, in qualsiasi cosa, credendolo perfetto incapace di fallire…

Al pensiero di Ahadi, Taka si trovò a sorridere malignamente e con un pizzico di speranza nonostante le fitte lancinanti che ancora sentiva al muso: se avesse saputo quello che il suo protetto gli aveva fatto sicuramente sarebbe stato furioso. Si sarebbe arrabbiato, adirato, avrebbe rimproverato ampiamente Mufasa e, perché no?, avrebbe potuto decidere che la sua scelta era stata sbagliata. Anzi, sicuramente sarebbe andata così.

Improvvisamente, il segno che gli attraversava l’occhio non gli parve più come una disgrazia, quanto come una nuova opportunità: si bagnò delicatamente la ferita nell’acqua, facendo disperdere il sangue raggrumato e, con sua grande gioia, riuscendo finalmente ad aprire le palpebre fino a quell’attimo serrate. Si ammirò per qualche secondo, giungendo alla fine alla conclusione che quasi certamente non sarebbe mai tornato come prima; non era necessariamente uno svantaggio però: non era sicuro di voler ancora essere lo stesso leone che era stato in precedenza. 

In tutti i sensi

 ****************

Tornato alla Rupe, trovò il sovrano già ad aspettarlo e, cercando di assumere un’aria afflitta e al contempo scioccata che contrastava completamente con quanto in realtà sentiva, gli si avvicinò lentamente, non distogliendo lo sguardo e facendo in modo che i suoi occhi fossero sempre fissi in quelli di Ahadi.

“Padre, io…” iniziò, venendo subito interrotto dal suo interlocutore.

“Non serve che ti spieghi. Mufasa mi ha già raccontato tutto. Sappi che sono molto deluso” la sua espressione incollerita non sfuggì al principe, che alzò lievemente le orecchie, in segno di vittoria: malgrado tutto ciò che era successo in passato, ora era certo che il re avrebbe preso la decisione giusta e si sarebbe ricreduto. Aprì la bocca, pronto ad esprimere il suo assenso e, se possibile, rigirare ancora di più la faccenda in suo favore, quando nuovamente gli venne tolta la parola.

“Come hai potuto comportarti in quel modo verso tuo fratello, Taka?”

Una frase. L’ennesima risposta inaspettata della giornata. Scosse la testa, incredulo: aveva davvero intenzione di rimproverare lui e non il primogenito? Il rimanente rispetto che sentiva per il genitore si stava dissolvendo rapidamente, lasciando posto ad una sensazione di fastidio che somigliava molto a quello che provava già per Mufasa.

“E cosa avrei fatto questa volta, per meritarmi tanta asprezza?” rispose quindi, non curandosi neanche di mascherare il tono arrogante della sua voce.

“Hai anche il coraggio di domandarlo?” Ahadi si parò davanti a lui in tutta la sua imponenza in un atteggiamento che solo qualche ora prima lo avrebbe intimorito, ma che in quel momento non poté che trovare quasi divertente: avanti, che gli dicesse pure quanto fosse un fallimento, sicuramente non l’avrebbe più sorpreso o ferito. “Sei stato ingiustamente crudele verso di lui quando ti chiedeva esclusivamente il tuo appoggio, lo hai colpito dove sapevi che era più insicuro e non contento hai anche tentato di ferirlo! Per i Re Antenati, cosa pensavi di ottenere con la violenza?”

“Quello che entrambi sembrate guadagnare continuamente con lo stesso metodo: rispetto. Perdonate il mio fallo, ho semplicemente creduto fosse il momento per mettere in pratica i vostri consigli e rimproveri: non dite sempre che dovrei essere più come Mufasa?” inclinò il muso, mettendo bene in evidenza lo squarcio che ancora non si era rimarginato “E poi, correggetemi se sbaglio, non è lui quello ad avere qualche centimetro di pelle in meno sulle palpebre”

“Tuo fratello è stato già rimproverato a sufficienza” ringhiò il padre “Gli ho ribadito che la violenza non è la soluzione, in nessuna situazione e che avrebbe potuto farti seriamente del male, il che fortunatamente non è avvenuto, ma il suo senso di colpa era genuino e in più si era solamente difeso. Cosa che non si può certo dire di te, che invece hai dimostrato una cattiveria che non pensavo potessi provare. L’unica scusante che posso addurre per il tuo comportamento è la morte di tua madre, anche se non sono sicuro che essa sia la causa scatenante, e in memoria sua ho deciso di non prendere altri provvedimenti più seri come ero tentato di fare”

“Intendete cosa?” il corpo del giovane leone si contrasse per la rabbia “Se volete, padre, io di certo non vi trattengo né voglio la vostra pietà: date un ordine come sovrano o risparmiatemi le minacce vuote. Sappiamo molto bene entrambi che non mi hanno mai spaventato”

“Non sfidarmi, Taka!” ruggì Ahadi, prima di prendere fiato e, dopo un bel respiro, tentò di calmarsi “Questo è stato un giorno difficile per tutti nel regno e non sommeremo ulteriori cause di sconforto a ciò che è già avvenuto. Mufasa diventerà il sovrano delle Pride Lands una volta che io sarò morto e non voglio più sentire alcuna lamentela in merito, da parte tua o di chiunque altro. E a proposito di ciò, voglio che tu vada da lui immediatamente e gli chieda perdono per il tuo inqualificabile comportamento: tuo fratello ti vuole bene, lo ha sempre fatto ed era distrutto dopo le frasi che gli hai rivolto. Non posso permettere che questo lo avvilisca e distragga dai suoi compiti come futuro re e neanche puoi tu, se ancora, come spero, ricambi il suo affetto. Bada bene, inoltre, di essere convincente: so quanto abile tu possa essere con le parole e non accetterò delle scuse non sentite”

La richiesta dell’ennesima umiliazione a cui Taka si sarebbe dovuto sottoporre gli riempì l’animo di rinnovato rancore e, se avesse seguito l’istinto e l’orgoglio, gli avrebbe detto chiaramente in faccia ciò che pensava di lui, di suo figlio e del suo dannatissimo regno, ma, con la sua rinnovata lucidità di pensiero unita ad una strana freddezza mai sperimentata prima d’allora, comprese che in quel momento la cosa migliore da fare era stringere i denti e piegarsi: avrebbe avuto tempo e modo, un giorno, di ripagarli entrambi con la stessa moneta.

“Come desiderate” rispose, quindi, accennando un inchino e accentuando il veleno nella sua voce “Vostra Maestà”

Non lo avrebbe mai più chiamato con l’appellativo di padre. Non era degno di esso, esattamente come Mufasa non meritava di essere definito “fratello”, non in modo sincero, almeno. Se fino ad allora il desiderio del trono gli era parso come un modo per affermarsi e dimostrare il proprio valore, comprese, allontanandosi, come avesse guardato il problema dalla direzione sbagliata: lui non bramava il regno solo in vece di sfida contro la sua famiglia, o i suoi sudditi, no. Per giungere al suo obiettivo avrebbe dovuto iniziare a considerarlo al pari di una competizione personale e privata, in cui solo lui e il tempo sarebbero stati i giocatori. Non era necessario arrivare al traguardo in fretta, commettendo sbagli simili a quelli che aveva fatto fino ad ora, affidandosi alle emozioni e alla logica, a quanto pare carente, altrui, quanto piuttosto arrivare vittoriosi: avrebbe contato solo su se stesso, si sarebbe creato la sua strada da sé e non importava se ci sarebbero voluti mesi, anni o anche tutta la vita. Giunse a questa conclusione e si fece tale promessa nel momento esatto in cui entrava nella tana dell’ex compagno, assolutamente ripugnato per quello che stava per fare.

“Mufasa…” Il suo interlocutore si voltò con una rapidità e una sorpresa dipinta sul muso che fece nuovamente venire il desiderio al minore di rimangiarsi la parola data e ripetergli nuovamente quello che pensava davvero di lui e delle sue capacità di comando. Si sforzò di controllarsi e, con un’aria di assoluta afflizione, continuò il suo piccolo discorso improvvisato “… volevo solo scusarmi per il mio comportamento. La morte di nostra madre… il suo funerale… credo mi abbiano scombussolato al punto di non riuscire più a capire cosa stessi facendo. Non devi pensare, neanche per un momento che quello che ti ho detto sia vero.” stava sputando fuori quelle parole una dopo l’altra, pronunciandole e correggendole nel pensiero una per una e provando sensazioni contrastanti da quella serie di bugie: se da una parte detestava l’idea di dover ancora una volta piegarsi davanti al primogenito, quelle menzogne, proprio perché erano tali, lo facevano sentire stranamente libero.

“In realtà” l’altro si avvicinò, con un sorriso sincero che gli diede ancora più fastidio “Credo di non meritare le tue scuse: tu hai reagito di istinto e io non avrei dovuto colpirti. Guarda quello che ti ho fatto… ho paura che non se ne andrà via per un bel po’” Solo Mufasa poteva essere così dannatamente gentile ed equilibrato in ogni situazione, anche quando avrebbe avuto tutte le ragioni per essere furioso: la voce che il principe cadetto usò, quando ribatté alle sue parole, era talmente melliflua che per un attimo si preoccupò che potesse effettivamente suonare falsa.

“Non preoccuparti, fratello” e come era dolce quella parola ormai che aveva perso ogni significato affettivo “Ammetto di essermelo meritato”

“Allora… siamo pari?” Oh, non sarebbero mai stati pari. Mai, o almeno per un periodo indefinito di tempo.

“Certamente. Questo d’altronde è stato un gran giorno per te, seppur offuscato dal lutto: è giusto che ora pensi al futuro, senza perderti in un passato che non ci è dato di cambiare” Con un ultimo sorriso, si diresse verso l’uscita, sicuro di aver tranquillizzato a sufficienza Mufasa e rispettato ciò che Ahadi gli aveva chiesto di fare, perché, anche se molti non lo avrebbero detto, lui manteneva sempre le promesse, quando nuovamente la voce del primogenito lo chiamò, facendolo voltare.

“Grazie. Grazie davvero, Taka” Quanto odiava quel nome, in quel momento più che mai, perché rispecchiava qualcosa che non era, qualcuno che ormai aveva deciso non dovesse più esistere: si era aperto un nuovo capitolo nella sua vita e la spazzatura non trovava spazio in esso, né in quelli seguenti. Un sorriso gli si distese sul muso, pensando alla sua immagina sfigurata che si rifletteva in quella piccola pozza d’acqua e rispondendo nel medesimo istante:

“D’ora in avanti, chiamami Scar”











 
Angolo dell'autrice: Ehhhhh ci siamo finalmente! Taka è ufficialmenre diventato Scar! Allora, che ne pensate? Spigeazione plausibile? Come al solito, aspetto impaziente di sapere le vostre opinioni! Ormai siamo a più di metà storia, perciò i prossimi capitoli saranno solo su "Scar" e non su Taka... ma spero possano interessarvi lo stesso!
Ci risentiamo tra due settimane!
L_A_B_SH
   
 
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