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Autore: keska    18/06/2009    40 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Me ne stavo ferma, completamente immobilizzata dalla paura

Capitolo riveduto e corretto.

 

Me ne stavo ferma, completamente immobilizzata dalla paura. Sentivo ogni muscolo contratto, indolenzito come se avessi corso per ore; il cuore mi batteva velocissimo nel petto, ad un ritmo forsennato; il respiro era irregolare e breve.

Sentii tutta la stanza girare molto velocemente su sé stessa, ma mi concentrai in ogni modo possibile per rimanere ferma e imporre alle mie gambe di rimanere dritte. Se mi fossi mossa, anche solo di un centimetro, la lama affilata che mi minacciava avrebbe trafitto la carne sottile del mio collo. Sentivo nella mia gola un magone, come di paura, un blocco che non osavo mandare giù.

Due ringhi cupi nascevano dai petti della due figure leggendarie che si fronteggiavano.

Jacob, dietro di me, strinse la presa sul mio corpo. Era caldo. Davvero caldo. Troppo caldo. La mia schiena doveva trovarsi a contatto direttamente con la sua pelle bollente, quindi doveva essere a petto nudo. Anche se io, considerando la sua enorme stazza, dovevo arrivargli più o meno appena sopra un fianco.

Edward, a circa quindici metri di distanza da noi, in tutta la sua terrificante bellezza, era in posizione d’attacco: le ginocchia piegate, e il busto leggermente inclinato in avanti. Sul suo volto si leggeva il terrore, l’odio puro e la rabbia. La bocca era aperta a mostrare i denti bianchissimi in un ghigno spaventoso. «Lasciala immediatamente» ringhiò, con calma misurata. La sua voce faceva quasi paura anche a me.

Jacob fece un risata sfacciata, ostentando disinvoltura, sebbene sentissi dai muscoli contratti che mi stingevano a lui, che stava cercando di controllarsi. Non osavo neppure immaginare cosa mi sarebbe successo se si fosse arrabbiato tanto da tremare

«No» ringhiò poi, minaccioso «perché dovrei?». Il passaggio repentino d’umore lo faceva apparire ancora più folle e pazzo.

«Jacob, calmiamoci». Edward abbandonò la posizione d’attacco, lentamente, lasciando le braccia a mezz’aria, anche se potevo notare benissimo che la cosa gli costò non poco.

«No. Calmati tu se vuoi!».

Mio marito ebbe un fremito vedendo la lama così pericolosamente vicina alla mia gola. «Jacob, sai cosa accadrà se…» inspirò lentamente, come per calmarsi. «Se ti agiti troppo, le farai del male. Potresti anche ucciderla».

«No!» sbottò Jacob, facendomi cacciare un lieve gemito di paura. «Io so controllarmi. Piuttosto, se io mi agito troppo lei non muore per colpa mia. Muore per colpa tua» insinuò, alludendo al desiderio di Edward di bere il mio sangue.

«Spero non accadrà» rispose lui, ma suonava più come una minaccia che come una speranza. «Ma in tal caso, io, saprò controllarmi. Falla venire da me». Stava usando la sua voce da vampiro, quella suadente che usavano per incantare le vittime.

«Lei è mia» ringhiò allora Jacob.

«No, Jacob, no» sembrava quasi che si stesse sforzando di far ragionare un pazzo, o forse era proprio così. «Lei non è tua…».

«E allora di chi sarebbe, tua?» sputò.

Su volto di Edward comparve un debole sorriso. «Lei non è di nessuno. Tuttavia, ha deciso di stare con me e io non intendo negarle questo piacere».

«Chi te l’ha detto? Forse… lei vorrebbe stare con me…» Jacob sembrava quasi disorientato, i modi suadenti di Edward stavano funzionando.

«Non mi sembra» ribatté lui, calmo ma determinato.

«E chi te lo dice?» urlò l’altro.

«Guardala, Jacob» fece un cenno nella mia direzione «è terrorizzata. Non ha detto una parola, non si è mossa. E’ sconvolta. Guardala, Jacob, ha paura. Ha paura di te».

Ansimai. Stavano parlando di me? Tentai di visualizzare come potesse apparire la mia immagine in quel momento. Gli occhi sgranati, il viso pallido, le mani tremanti e il corpo immobile. E poi, quello che potevano sentire. Il mio respiro irregolare, e il cuore che forsennato mi batteva nel petto.

Il braccio che mi teneva ferma strinse più forte. «Beh, vorrà dire che questa volta la consolerò io, no?!» disse sprezzante «tu hai avuto la tua occasione, ieri sera…».

Aprii le labbra in un gemito sgomento. Era davvero entrato nella nostra camera!

Edward lo fissava furioso e confuso. «Eri tu?».

«Già, io» ghignò «avresti fatto bene a crederle sin da subito, sai succhiasangue? La tua…» sputò per terra «la tua mogliettina aveva ragione! Proprio così».

La mia mente vorticò faticosamente, come se stessi impastando della pasta densa con un mestolo. Come poteva Jacob sapere così tanto? Come poteva essere arrivato a noi?

Edward serrò la mascella, e parlò con i denti contratti. «Non c’era il tuo odore».

Jacob scoppiò ancora in una risata maligna. «Già, come adesso, vero?!». Rise ancora, e Edward strinse ancora di più i pugni. Pareva infuriato. Chissà quale mostruosità poteva avergli letto nella mente.

«Sai, Sanguisuga-Cullen, non dovresti lasciarti scappare certe informazioni, neppure mentre fate certi giochetti…». Sentii la bile salire e scendere velocemente per la gola. «E poi, tutta l’allegra famigliola entrava in camera a controllare e diceva “no, io non sento nulla”. Evitava con cura di farti notare che c’era un forte odore di liquirizia. Discreti come sempre!».

Fissai terrorizzata e disgustata mio marito, mentre tutto si faceva chiaro. In un qualunque altro contesto sarei avvampata fino allo stremo, ma in quell’istante impallidii, nauseata dal senso di schifo e di disgusto. Ci stava controllando!

«La liquirizia è il vostro punto debole, piacevole è vero, ma copre gli altri odori» ghignò sardonico.

Mi tornarono in mente le parole di Edward di poco prima. Penso che abbiano appena scaricato un carico di liquirizia… In qualche modo, ci aveva spiati, aveva scoperto che la liquirizia non permetteva ai vampiri di distinguere efficacemente gli altri odori. E così, l’aveva usata sia in camera, sia qualche istante fa, nel supermercato.

Le labbra di Edward si scoprirono in un ringhio, mostrando i denti.

Improvvisamente mi sentii trascinare. Jacob mi stava portando indietro, verso l’uscita. Non mossi un passo. Pur volendo le gambe non avrebbero risposto ai miei comandi.

«Ti conviene collaborare, Bells…» ringhiò ad un mio orecchio.

Non avevo ancora parlato, come se quelle cose non stessero, o non potessero, accadere a me. Come se stessi vivendo un incubo. Ma avevo il terribile sospetto che una volta sveglia non mi sarei trovata fra la braccia confortevoli di mio marito.

A quel punto vidi gli occhi terrorizzati di Edward incontrare i miei e decisi che dovevo ad ogni costo fare qualcosa. «L…lasciami…ti…ti prego…» protestai debolmente. La voce mi usciva flebile e rauca, la gola completamente secca.

Mi sentii strattonare indietro, con forza. «Cammina» sibilò invadendomi col suo fiato caldo.

I miei occhi erano ancora fissi in quelli di Edward, immobile al suo posto, di nuovo in posizione d’attacco. «No…non ci riesco…» sussurrai flebile.

Il coltello si strinse minaccioso e con più forza sulla mia gola, tanto da costringermi a inclinare la testa indietro. «Cammina» sibilò più lentamente, torvo.

Con un gemito contrariato non potei fare altro che ubbidire. Lentamente, un piede, tremante, si sollevò dal pavimento piastrellato bianco del supermercato.

«Più veloce, Bells!» mi rimproverò, infuriato.

La mia paura e la mia angoscia esplosero in un attimo, trovando gli occhi di Edward che mi fissavano distrutti e terrorizzati.

«Lasciami!» urlai, dibattendomi inutilmente e pericolosamente nella sua morsa ferrea.

Da quel momento non sentii più il terreno sotto i piedi. Tutto sfrecciò intorno a me come una macchia veloce e mi ritrovai di nuovo ferma di fronte alla cassa del supermercato. Edward, ora, era a meno di dieci metri da me.

Notai distrattamente la cassiera che sobbalzava impaurita alla vista di quella scena.

I miei piedi toccarono nuovamente terra.

«Non osare avvicinarti. Non seguirci. Non muoverti. O la uccido». Quelle parole terribili, che sentivo rimbombare nel petto del mio carceriere, mi scatenarono un fremito di paura.

«Edward…» chiamai debolmente. Sentii una goccia di acqua salata scendermi lungo la guancia. Aveva promesso. Aveva promesso che la mia più grande paura non si sarebbe mai realizzata, che Jacob non sarebbe mai riuscito a portarmi via da lui.

«Non oseresti mai» ringhiò mio marito, guardandolo dritto in faccia. Probabilmente gli stava leggendo i pensieri per tentare di capire se stesse dicendo sul serio o fosse soltanto un bluff.

Udii un vocina stridula e angosciata di donna. «C…calma, non farle del male…» disse piano la cassiera, alzandosi dalla sedia con le mani in alto «ti do tutto quello che vuoi, lascia andare la ragazza…».

Sentii altre lacrime cadermi dagli occhi e scivolare lungo le guance, lente, fin sotto al mento, fino alla lama che minacciava la mia gola. Povera donna. Lei non sapeva. Non sapeva che in quel momento nessuno, nella stanza, stava prestando neppure un minimo d’attenzione a cosa stesse dicendo. Non sapeva quali leggendarie creature si stessero scontrando davanti ai suoi occhi. Lei era normale.

Bastò un attimo. Un solo attimo per ricordare la mia vita felice di pochi istanti fa. Un marito, una splendida luna di miele, una famiglia che mi aspettava a braccia aperte; solo per festeggiare la mia felicità. Ricordai il meraviglioso sorriso di Edward, ora sostituito da un ghigno spaventoso.

Quella donna non sapeva nulla, eppure aveva tentato di aiutarmi.

Il cellulare di Edward squillò impaziente nella sua tasca, ma lui non accennò a voler rispondere. Se fosse stata Alice, o chiunque altro della famiglia, comunque, come risposta sarebbe stata altrettanto esauriente. Ma non sarebbero mai riusciti ad arrivare in tempo. Impossibile.

Singhiozzai leggermente, avvicinandomi pericolosamente con la vena pulsante del collo alla lama. L’attenzione di Edward e Jacob si spostò immediatamente su di me.

«Edward…» lo richiamai, la voce rotta dal pianto. Che cosa avrei mai potuto fare se fosse veramente riuscito a prendermi? Sentii la presa di Jacob farsi più forte intorno a me e la mano che mi tratteneva ebbe un fremito.

Smisi di respirare, con un singhiozzo smorzato, spaventata a morte.

Edward si mosse impercettibilmente e Jacob ringhiò.

«Non. Ti. Muovere».

Edward lo scrutava, le braccia semi alzate. «Non oseresti mai ferirla» disse con ostentata sicurezza. Si muoveva con cautela. Non voleva farlo agitare, ma sapeva che non mi avrebbe mai intenzionalmente ferita.

«Non mettermi alla prova» rispose con durezza Jacob.

«Lasciala!» ringhiò ancora mio marito, questa volta più forte. Sembrava quasi spazientito. Non avevo mai visto Edward perdere la pazienza così.

Solo in quel momento, quando un capogiro m’investì, ricordai che non stavo respirando.

Poi, tutto accadde molto velocemente, quasi contemporaneamente. Edward approfittò del momento di distrazione di Jacob, che strinse maggiormente la presa su di me per trattenermi e non lasciarmi scivolare, per muoversi in avanti. Ma poi, inaspettatamente, sentii un dolore bruciante infiammarmi la gola, mentre la lama del coltello si moveva per lacerarmi la pelle e non riuscii a trattenere un urlo.

La povera donna che assisteva alla scena, sgomenta, cacciò uno strillo di terrore.

Subito dopo un liquido caldo e denso mi colava sul collo, nauseandomi con il suo odore.

Edward mi fissava con gli occhi sgranati, sorpreso e terrorizzato. Non se lo sarebbe mai aspettato. Jacob non stava bluffando.

«Ti avevo avvertito. Faccio sul serio sanguisuga». La voce di quello che un tempo - ora non riuscivo a capire quanto lontano - avevo creduto un amico, aveva un che di nervoso e isterico. Non riuscivo a capacitarmi che ci fosse ancora qualcosa di umano in lui. Mi sembravano così lontani i tempi in cui la sua faccia sfocata occupava i miei giorni bui…

Tentai di portarmi una mano sulla gola, per controllare quanto profondo potesse essere il taglio, ma la stretta di Jacob non me lo permise.

D’un tratto, si voltò si scatto verso la porta e imprecò qualcosa, troppo a bassa voce perché potessi sentirlo. Forse, i Cullen stavano arrivando.

Una forte scarica d’adrenalina mi vibrò in tutto il corpo. Mi dibattei, affondando le unghie nel braccio che reggeva la lama. Mi contorsi, pallida in viso, la voce soffocata in gola per la minaccia del coltello.

«Non ci seguire. E questa volta farai bene a fare ciò che ti dico, o la lama andrà più o fondo» minacciò, subito prima che la figura di Edward, sformata ai miei occhi dalle mie lacrime, uscisse dalla mia visuale.

In poco più che dieci secondi mi ritrovai sul sedile di un auto da corsa, il coltello ancora puntato alla gola.

Jacob, accanto a me, ingranò la prima con la sinistra e partì sgommando sulla strada bagnata dalla pioggia. In un ultimo istante mi parve vedere la figura di Edward, per la strada, immobile, sotto la pioggia battente.

Non aveva mantenuto la promessa. Non aveva potuto farlo. E adesso Jacob mi stava portando via da Edward. Via da mio marito. Via dall’amore della mia vita. In pericolo.

Urlai, urlai forte contorcendomi sul sedile.

Jacob levò via il coltello dalla mia gola. Non serviva evidentemente a intimidire me. Io potevo anche essere fermata molto più semplicemente. Quello serviva solo a minacciare Edward. «Sta ferma» sibilò, concentrandosi sulla guida fra le strade ricoperte dalla pioggia.

«Lasciami andare! Lasciami andare! Lasciami!» urlai, agitandomi sul sedile, sbattendo forte i pugni contro il suo braccio, che rimaneva illeso. Lui restava fermo, concentrato sulla strada che fissava torvo.

Allora mi voltai, e feci per aprire la portiera dell’auto.

A quel punto mi bloccò con un braccio.

«Forse non ci siamo capiti, devi fare la brava» ringhiò cupamente.  

«No!» gli urlai forte in faccia, furiosa. Presi a dimenarmi sul sedile, sbattendo pugni contro il finestrino. «Dove mi porti?! Dove mi stai portando? Fammi ritornare indietro! Non ti voglio, lo capisci? Non ti voglio! Mi fai schifo! Sei un arrogantissimo pezzo di merda!» sbraitai, prima di essere costretta a prendere un respiro.

Sorrideva. «Sei sempre stata così gentile con me. Adoro i tuoi complimenti».

«Fottutissimo stronzo! Ti piace questo complimento? Non sei degno nemmeno di respirare la mia stessa aria, mi appesti con la tua presenza!».

«Gentile» commentò, continuando a guidare impassibile.

Ansimai, i pugni stretti tanto da ferirmi i palmi con le unghie. I denti erano così serrati che sentivo un disgustoso sapore metallico in bocca. La ferita mi bruciava sulla gola, e delle gocce di sangue si erano infiltrate fino alla scollatura dell’abito. Volevo vomitare. Avrei voluto graffiarlo fino a farlo sanguinare, colpirlo e urlargli “smettila, smettila, smettila e lasciami in pace!”.

Invece presi un respiro e mi calmai. Non sarei mai riuscita a infliggergli un danno fisico. E insultarlo non stava portando a nulla. «Jacob. Ti rendi conto che stai attuando un vero sequestro di persona. Stai infrangendo la legge. E quest’auto? Scommetto che l’hai rubata. Mio padre è lo sceriffo di Forks! Pensi che ti lascerà libero quando ti ritroverà?! Andrai in galera!».

Non ottenni alcun risultato. Scoppiò in una fragorosa risata. «Non ci troveranno, ma anche se lo facessero non ho niente da perdere» disse, sicuro di sé. Scrollò le spalle.

Chiusi gli occhi, arrovellandomi alla ricerca di un altro tentativo. Non dovevo pensare a quello che stava accadendo. Non potevo. Non ne sarei uscita viva. Davanti ai miei occhi chiusi comparve vivida l’immagine di una busta bianca con il mio nome. «Non ci pensi a Billy? A tuo padre? È in pensiero per te, lo sai».

Vidi i suoi pugni stringersi con maggiore foga intorno al volante. La sua espressione pareva tormentata. «Lui non è più mio padre» sputò infine.  

Sbiancai. Non avevo capito fino a che punto erano arrivati. Compatii il povero Billy Black, e questo mi fece solo provare più repulsione per Jacob.

Solo con la coda dell’occhio coglievo il paesaggio scorrere in lontananza. Lontano, lontano, sempre più lontano. Fino a dove ci saremmo spinti? Quanto spazio avrebbe messo fra me e Edward? E poi? E poi, cosa ne sarebbe stato di me?

Deglutii, e sentii un latro fiotto caldo di sangue colare dalla ferita. Edward non era riuscito a chiedermelo. Non era riuscito a dirmi che sacrificarmi, lasciando che Jacob facesse del mio corpo quello che voleva, sarebbe stato meglio per lui, piuttosto che suicidarmi. Non me l’aveva chiesto, perché mi aveva promesso che non sarebbe mai riuscito a portarmi via da lui.

Eppure sembrava proprio che ora dovessi decidere…

Con un urlo mi lanciai contro il volante facendo sbandare gravemente l’auto contro il suolo bagnato. Sentii il cuore il gola mentre schizzavamo verso il guardrail, sempre più veloci, sempre più veloci… chiusi gli occhi, e una stridio di freni mi penetrò nelle orecchie. Eravamo fermi.

Ansimai, fissando la strada.

Con una mano afferrò la mia maglietta, sollevandomi dal sedile. Lo fissai con gli occhi sgranati. Era davvero incazzato. «Tu ora verrai con me».

«No» sputai, ricacciando strenuamente indietro le lacrime. Non avrei pianto, non davanti a lui.

Ringhiò, avvicinando il suo viso al mio. «Non sei tu a decidere».

«Ah, no? E chi, allora?» sbottai tremante, tentando inutilmente di liberarmi dalla sua  presa. Mi sentivo soffocare.

«Io» rispose con naturalezza, come se se lo fosse ripetuto mille volte. «Evidentemente non sei in grado di decidere per te».

Scossi il capo. «Ci troverà, lo sai» sibilai fra i denti.

Un ghigno divertito comparve sulle sue labbra. «Invece no. Ho costruito un perfetto rifugio» fece un cenno col capo verso l’esterno, indicando delle sagome rocciose, «il mondo è ampio, enorme. Non penserà mai di cercarci qui, a Goat Rocks».

Mi lasciò andare di colpo, e con un ansito sconvolto caddi sul sedile, gli occhi persi nel vuoto. Non ebbi tempo o modo di ribellarmi, che mi trovai con i mani e i piedi legati dalla corda ruvida, che mi incatenava al sedile.

«Adesso. Sta. Ferma» ringhiò, dando nuovamente gas. Le sue sopracciglia ebbero un sussulto. «Ti piacerà, vedrai» borbottò con convinzione.

Mi lasciai andare sul sedile, completamente distrutta, senza tentare più di arginare le lacrime.

In un attimo tutto il mondo mi stava cadendo addosso. Le promesse che Edward mi aveva fatto in quell’istante furono irrealizzabili. Tutto era cambiato nel giro di pochi istanti, tutta la mia meravigliosa vita era andata in frantumi per il volere di un solo essere.

Il cuore mi fece una capriola nel petto al pensiero di mio marito. Non avevo ancora imparato a chiamarlo così che già dovevo perderlo. Quanto grande sarebbe stata la sua afflizione nel sapere di non aver potuto tenere fede ad una promessa così grande?

E cosa sarebbe stato meglio per lui, sapermi con un altro o sapermi morta? Perché avrei preferito mille volte morire piuttosto che stare con qualcuno che non fosse lui.

Quando un ennesimo singhiozzo mi scosse un ennesimo fiotto di sangue cadde ad inzuppare la mia maglietta. Delle piccole fitte acute mi rendevano difficile respirare.

Mi portai entrambe le mani, legate, all’altezza della ferita, e quando le ritirai le ritrovai copiosamente macchiate di rosso vermiglio. Iniziai inevitabilmente a respirare con la bocca, mentre vedevo intorno a me tutto girare lentamente, dandomi la nausea. Se volevo continuare a vivere avrei avuto bisogno di un bendaggio. Altrimenti, chissà… sarebbe solo servito a facilitare il mio compito d’evasione

Fui scossa da un brivido. Un’idea mi era baluginata nella mente. Un piano complesso, per chiunque, e fatto anche di molte casualità. E Edward era uno degli elementi determinanti. Ma come potevo abbandonare del tutto la speranza? Se volevo arrivare fino in fondo dovevo almeno sforzarmi di lottare.

«Jake…» lo chiamai, facendo bene attenzione a chiamarlo con il suo nomignolo. «Ti…ti prego posso… posso mettermi qualcosa…» deglutii «sulla ferita…?».

S’irrigidì, e si voltò lentamente a scoccarmi un’occhiata preoccupata. Mi scrutò combattuto  valutando quello che il mio gesto avrebbe potuto comportare.  «Fa’ quello che vuoi» sibilò fra i denti, voltandosi repentinamente verso la strada.

Sollevai le mani all’altezza del suo volto perché potesse vederle. Si voltò a guardare le manette. «Non ce la faccio altrimenti…» sussurrai.

Con un ringhio rabbioso sbatté le mani sul volante, facendomi trasalire. Ci pensò un attimo, valutando se concedermi una cosa simile, alla fine espirò, sicuro di sé. Poi afferrò un oggettino dalla tasca e lo avvicinò alla corda. Mi guardò negli occhi. «Se ti muovi, ti faccio del male. Non scherzo Bells. D’ora in poi si fa a modo mio. Capito?!».

Annuii, inerme, terrorizzata. Le mia espressione parve tranquillizzarlo. Sentii il metallo del coltellino scattare e mi ritrovai le mani libere.

Jacob mi lanciò dei fazzolettini e abbassò lo specchietto di cortesia, in modo che potessi guardarmi. «Fai in fretta» m’intimò, e capii che presto mi avrebbe legata di nuovo. In quel momento imboccammo l’autostrada. Dovevo sbrigarmi.

Alla vista della mia immagine sgranai gli occhi. Grossi rivoli di sangue mi cadevano dal collo e la maglietta del completo ne era intrisa. La testa presa a girarmi, tuttavia mi imposi di rimanere lucida. Non dovevo farmi prendere dalla debolezza e dalla nausea, non ancora. Strinsi i denti, per farmi coraggio.

Esaminai il taglio, tamponandolo con i fazzolettini. Così sembrava di certo meno grave: una linea rossa dai bordi pulsanti. Mi sollevai la maglietta fino a rivelare la canotta a righe rosse e bianche che mi aveva preparato Alice quella mattina.

Ne strappai un grosso lembo, molto più grande del necessario. Da quello ne strappai ancora una strisciolina, con cura, in modo da tagliare perfettamente una riga rossa. Altrimenti il mio messaggio non avrebbe avuto alcun senso. Mi ci volle un po’ di tempo perché le mani mi tremavano troppo, e dovevo stare attenta al fatto che Jacob non badasse troppo ai miei gesti.

Presi la parte restante e me l’avvolsi intorno al collo, come una benda, stringendola di lato in un nodino.

Posai la striscia di stoffa rossa sulla ferita, macchiandola con qualche goccia di sangue che era colata dal bendaggio. Poi, la nascosi in un pugno. Così il mio odore sarebbe stato più forte. Soprattutto per i vampiri.

A quel punto mi lasciai andare sul sedile, concedendomi di essere sconvolta e respirando con la bocca. Lanciai un’occhiata alla mia immagine pallida, quasi verdognola, nello specchio e tentai di ricordarmi com’ero con tutto il sangue addosso. Sentii lo stomaco contorcersi e delle gocce di sudore si affrettarono a comparire sulla mia fronte.

«Jacob…puoi… puoi aprire il finestrino… non… non mi sento bene…». E quasi gioii di come la mia voce apparisse debole e tremante.

«No, mia furba Bells» sbottò. Ma quando si voltò nuovamente verso di me qualcosa nel mio viso dovette fargli cambiare idea.

«Ti prego…» lo supplicai, ansante.

Imprecò. Poi, con uno scatto, legò ancora rapidamente la corda attorno ai miei polsi. Abbassò un finestrino elettrico. Tirai un lievissimo sospiro di sollievo. Il cuore sembrava essermi impazzito.

Mi sporsi verso l’esterno, per quanto la corda che mi teneva legata al sedile lo permettesse. Stava piovendo.

Cazzo, stava piovendo. Le tracce d’odore svanivano più velocemente. Tentai di non farmi prendere dall’inutile panico e lasciai comunque andare il pezzo di stoffa dalle mie mani, mentre delle deboli lacrime sfuggivano ai miei occhi.

Contemporaneamente sentii un ringhio e mi ritrovai con la schiena appiccicata allo schienale.

«Che hai fatto?!» sbraitò Jacob.

Mi feci piccola sul sedile, terrorizzata. Stava tremando visibilmente. Se ti muovi ti faccio del male. Chiusi gli occhi. Speravo non troppo male. Non erano i lividi e le ossa rotte quello che non potevo sopportare.

Scoppiò in una risata fragorosa.

Sgranai gli occhi, stupefatta.

«Oh, Bells, cosa hai fatto?» rise ancora, un suono gutturale e terrificante. «Stiamo facendo una deviazione. Anche se trovassero la tua reliquia, non ne sentirebbero mai l’odore, perché sta piovendo! Ma io spero che lo trovino sai, così, il tuo succhiasangue andrà fuori strada, e sarai stata tu stessa a farlo!» esclamò allegro, continuando a ridere.  

Mi gelai sul mio posto. Avrebbe comunque funzionato, mi ripetevo fra me. Si, Edward avrebbe capito tutto. Lui mi avrebbe salvata.

Dovevo crederlo. O morire.

Sperai che non avesse perso ancora la passione per il nostro quadro preferito.

   
 
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