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Autore: Nanas    10/09/2017    2 recensioni
“[…] Perché Gotham è, prima di tutto, i suoi cittadini.
Cittadini che continuano a portarla sull’orlo del baratro solo per tirarla all’ultimo nuovamente via, desiderosi di combattere per l’anima di quella città che si ritrova ad essere ancora una volta appagata del caos che la compone, soddisfatta della consapevolezza che il vivere le sue ombre comporta.
Poiché tutti sono parte della sua esistenza, tutti sono sangue che scorre caldo nelle sue vene e che rende possibile la sopravvivenza al freddo della notte:
Tutti sono criminali, a loro modo. E finché vivono, così vive la città.
E poiché la città vive, così vive Batman.”
_________________________________
Hint: [KuroKen] [BokuAka] [DaiSuga] [IwaOi]
[Batman AU] [WARNING: Slow Build Fanfiction!]
Genere: Azione, Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Hajime Iwaizumi, Morisuke Yaku, Tetsurou Kuroo
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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9. A wise man gets more use from his enemies than a fool from his friends


 


 

(All'uomo saggio sono più utili i suoi nemici, che allo sciocco i suoi amici)

Baltasar Gracián, The Art of Worldly Wisdom


 


 


 


 

GOTHAM CITY Jezebel Center (Quartiere Bowery)

21/12/1976 – Ancora più tardi


 

L’ultima volta che Batman aveva combattuto contro Due Facce, ormai molti mesi prima, non vi erano stati né la luna, né le stelle, né i roventi fumi in uscita dalle arrugginite canne fumarie o le luci delle volanti in lontananza ad incorniciare la notte di Gotham e le sue fredde lotte intestine.

Nulla; nemmeno un dettaglio capace di imprimere, nella memoria dell’uomo pipistrello, ricordi che si allontanassero dagli sguardi lanciati alle alte vetrate a scacchiera – protette da spesse reti in ferro – o dagli alti lampadari d’epoca posti a cascata dai soffitti a volta. Nulla, quindi, se non i lunghi schermi rettangolari posti sulle colonne in quercia a dividere la grande sala in legno antico, tabelloni scuri a palette con i principali scambi di valuta segnati in bianco su caratteri alfanumerici a scomparsa, capaci di creare costruzioni geometriche che impreziosissero l’atmosfera datata dell’ambiente.


 


 

La “Gotham Bank”, la banca più importante e grande dell’intera città, era rinomata per avere un sistema di vigilanza e di sicurezza che andasse ben oltre quelle che erano le possibilità di molti dei ladri che popolavano il bassoventre della metropoli e che dovevano le loro origini, per la maggior parte almeno, al quartiere popolare di China Town. Una certezza che era però anche una lama a doppio taglio, poiché se era già di per sé difficile sentire l’allarme dell’edificio suonare più di una o due volte all’anno, era altresì probabile che, quando ciò accadeva, dietro al colpo vi fosse ben più di una semplice organizzazione di ladri in cerca di fortuna o di un criminale solitario speranzoso di passare inosservato nella notte.

L’ultima volta che quella sirena era scattata, il suono si era disperso nel quartiere come un lamento pedante e preciso, passando gli edifici adiacenti ed andando ad ampliarsi nell’aria grigia alla ricerca di un suo soccorritore che alla fine aveva trovato, nascosto nell’ombra ed a qualche tetto di distanza, il mantello nero e lungo a coprire gli angoli scarni di cemento. Proprio come una vera sirena lo aveva attirato a sé, facendolo planare silenziosamente nella notte sino a raggiungere le porte di vetro esplose nell’attacco mirato ad aprirle, e sempre nel mutismo della sua identità celata aveva puntato il suo rampino verso uno dei gargouille che decoravano la parte superiore degli interni di quell’enorme stanza, portandosi vicino al soffitto ed osservando i numerosi uomini che camminavano sotto di lui.

Aveva ascoltato le loro conversazioni, le loro lamentele sulla mancanza di celerità tra i compagni in azione, e si era alzato in piedi dalla sua posizione raccolta sopra la testa della statua quando uno di loro aveva intimato l’amico a fare più velocemente, avendo poco tempo a disposizione e volendo Due Facce vedere tutti i soldi contenuti nell’enorme cassaforte passare ai loro camioncini prima dell’arrivo della polizia.

Trovare Bokuto era stato difficile e aveva richiesto non solo la sconfitta di tutti i suoi tirapiedi, ma anche l’uso di più gadget per superare i passaggi che Due Facce aveva bloccato nel tentativo di rendere impossibile a chiunque di seguirlo.

Avevano lottato, lo ricordava bene. E per quanto Batman fosse riuscito alla fine a tirarlo fuori dalla banca mentre incosciente, lasciandolo all’alba del nuovo giorno davanti al comando di polizia della GCPD, non era passato molto tempo prima che la notizia della sua evasione, avvenuta mentre in viaggio verso il manicomio di Arkham, giungesse al suo orecchio e agli occhi di tutti i lettori del quotidiano di Gotham.


 


 

°°°°


 


 

«Ohya ohya, quanta fretta! Dove corri così velocemente?!»

Batman rotola di lato, portando il braccio in alto così da coprirsi il viso con il mantello, mentre una delle lunghe piante acuminate di Poison fendono l’aria accanto a lui, tagliando parti di tessuto ma fermandosi prima di arrivare a lambire la carne. Daichi stringe le labbra, la mano posata a terra che va a fare pressione contro la lastra verde ai suoi piedi, e si alza giusto in tempo per schivare una pallottola proveniente dalla pistola di Due Facce, roteando poi su se stesso e prendendo velocità per lanciare un bat-artiglio verso l’avversario.

Lo vede piegarsi di riflesso, la gittata del bat-rang troppo lunga per colpirlo durante il viaggio di ritorno verso il proprietario, ed utilizza quel momento di pausa per gettare una bomba fumogena verso Poison: lo vede farsi scudo con le sue liane prima che il gas si spanda velocemente attorno a loro, e mentre i corpi del metaumano e di Due Facce – ancora accanto a lui – scompaiono dal suo campo visivo Daichi usa la situazione per portarsi più in alto, indirizzando il rampino verso una delle scale di emergenza ai lati del palazzo e salendo sino ad arrivare al primo pianerottolo impolverato.

«Sai Batman, ho visto quanta gente lì sotto hai atterrato. Ma sono tutti incoscienti, non morti– vero?»

Il gas inizia già a diramarsi, e Daichi si inginocchia a controllare le armi che ancora tiene ancorate alla cintura, dal numero ormai piuttosto esigue e che va ad abbassarsi di secondo in secondo.

«Ohya~ è bello vedere come ancora tenti di seguire quelle tue regole.»

La voce di Due Facce è alta, febbricitante mentre quei globi grandi e dorati lo fissano dal basso; lo studia emozionato per quello che sembra un istante di pura follia, prima che l’espressione si trasformi in un battito di ciglia in una carica di ribrezzo, entrambe le mani che si alzano a puntare le due bocche delle sue semiautomatiche verso di lui, facendo fuoco. Batman si piega da un lato, usando la scala come protezione per quei proiettili sparati senza troppa mira e con troppa fretta – per sua fortuna – e mentre le canne ancora fumano per lo sforzo si trova a salire un altro piano, alla ricerca di una posizione che possa sfruttare meglio durante il combattimento.

«Un tempo avevamo una missione, ricordi?! Un sogno, un’utopia! O ancora credi che potesse essere realtà?! Ohya, ohya! Ma adesso– Adesso è molto più facile, sai?!»

Anche il fumo che ha annebbiato la figura di Poison si sta diramando lentamente, e Batman non ha bisogno di abbassare lo sguardo per sapere come anche Ives si stia preparando nuovamente a colpirlo, gli occhi socchiusi ma silenziosamente avvelenati davanti ai resti delle piante rampicanti ormai frammentate a terra.

« –Niente ansie, niente esitazioni, io e Bokuto adempiamo solo al volere del Fato!»

Bokuto, pensa Batman mentre infine si ferma, voltando lo sguardo verso i due criminali ormai a piani di distanza da lui e verso Due Facce, fissandolo in silenzio.

Ricordare, gli chiede.

Come se dimenticare fosse possibile– come se vedere mezzo di quel viso orrendamente sfigurato possa davvero far scordare a Daichi che Bokuto è ancora lì da qualche parte, dietro tutta quella pazzia, inglobato da quella seconda personalità completamente distaccata dalla principale e prevalsa dopo l’incidente, soffocato da una vita che non gli appartiene e che, forse, continua a non desiderare e a ripudiare con tutto se stesso.

«Bokuto, fermati– Puoi controllarlo.»

È una mossa azzardata, ma una parte di sé non riesce a non arrivare a questo punto ogni volta che si scontra con Due Facce. È quasi imprudente la tenacia con la quale tenta ogni volta di parlare con l’altro e di farlo tornare in sé, una imprudenza a cui difficilmente si lascia andare in qualsiasi altra situazione. Forse il problema è sempre stato lui: spinto dal senso di colpa e dalla speranza, o forse – e a volte non solo arriva a pensarlo, quanto a crederci – persino dall’egoismo nato dalla necessità di convincersi come non tutti gli esseri umani nascano con una predisposizione alla malvagità; come se, salvando Bokuto, in qualche modo redimerà forse anche se stesso, allontanandolo da quel vortice di marcio e di oscurità che avvelena Gotham ed i suoi cittadini.

«Controllare me? Ohya, ohya!»

Ride, una risata sguaiata e rumorosa che porta le sopracciglia di Batman ad aggrottarsi da dietro la maschera.

«Ascolta Batman, ci servono molte cose per mandare avanti questo posto. È difficile guadagnare abbastanza per comprare tutto ciò che occorre per rapinare banche e scassinare caveau quando sei deturpato così

La mano ustionata di Due Facce va ad indicare con un gesto eloquente la metà del volto sfigurata, e Daichi usa quell’istante per calare nuovamente verso di loro, lasciandosi andare ad un verso di dolore quando una delle edere di Poison lo colpisce trapassandogli una parte della spalla. Dannazione – Perde quota velocemente, troppo velocemente, ma non riesce neppure ad atterrare dolorosamente su di un fianco che si trova Due Facce addosso, la schiena che preme contro tettoia del mercato mentre le mani dell’avversario si chiudono attorno al suo collo, bloccandolo a fissare un viso deformato in una smorfia di collera mista ad illogico fanatismo:

«Come ti senti quando vedi questa faccia, Batman?! Quando siamo così vicini che puoi vedere ogni singola piega della mia metà sfregiata? Ohya~ ti piace, non è così?»

Una risata sguaiata e poi un’espressione seria, mentre il taglio di un sorriso si fende in un secondo ad assecondare una scarica di rabbia, la dentatura che biancheggia allo scoperto di quelle labbra ritratte.

«Dopo tutto, tu hai bisogno di criminali quanto ne ha bisogno Gotham stessa. Prima ci trasformi in un mostro, e poi ci dai la caccia

La saliva crea fili lunghi e trasparenti tra i denti di Due Facce mentre questo parla, e nel frattempo che la pazzia irriga lo sguardo del criminale i suoi occhi, larghi e spalancati seppure a tratti privi di focalizzazione, sono puntati con fervore sotto di lui, dove Batman si sta ancora scuotendo nel tentativo di allontanarlo da sé.

«Bok–»

«Addio Batman, addio a te ed al tuo s–!»


 


 

È un secondo, e quello che prima era un peso sopra al suo corpo tutto ad un tratto diventa un fantasma, mentre Bokuto si piega improvvisamente da un lato accartocciandosi su se stesso, le mani sulle tempie e l’espressione contratta in una smorfia di dolore ed irritazione. Batman si alza a sedere, piegandosi velocemente di lato e rotolando qualche metro più dietro quando le lunghe edere di Poison creano istantaneamente un muro tra lui e Due Facce, isolando entrambi dalla vista di Daichi.

«SmettDobbiamo ucciderlo, dobbiamoNo, lui ci Lascialo, non–!»

Lo sente annaspare oltre quella barriera di verde, e rimane in silenzio mentre si alza in piedi, posando lo sguardo su Poison e scrutandolo in silenzio mentre questi compie alcuni passi silenziosi per porsi fra lui e l’alleato. Riesce a notare la mano destra allargarsi a lato, a fare un istintivo e forse persino inconscio gesto di protezione verso Bokuto, e quando una delle liane si muove appena ad aprire un momentaneo scorcio nella barriera di edere che lo protegge può vederlo ancora inginocchiato a terra, le unghie talmente premute contro la carne del cranio da lasciarvi sicuramente solchi sopra, lo sguardo fisso nel vuoto e le labbra socchiuse a mostrare l’incoscienza che sta vivendo il proprietario in quel momento. Una guerra sta avvenendo nel suo corpo, due personalità che si combattono per decidere chi delle due dovrà avere il comando del corpo che condividono, e Daichi sa che potrebbe essere il momento giusto, il momento per far tornare Bokuto in sé finalmente. Se solo Poison Ives –

«Poison»

«Ding Dong! Comunicazione di servizio.»

Sia Poison che Batman abbassano simultaneamente lo sguardo verso il foro che vi è nella tettoia, riconoscendo la voce gracchiante che giunge dal megafono.

«Mhm~ Ohya? Cosa vedono i miei occhi? Pare la festa si sia trasferita al piano di sopra! Quando si dice una piega inaspettata degli eventi~»

Una risata, seguita da un suono che potrebbe essere qualsiasi cosa e che Daichi si sforza di tenere a mente, un ticchettio metallico come di qualcosa che venga chiuso ermeticamente attraverso una serie di ganci, o forse di uncini in acciaio. Una valigia?

«Comunque! Per quanto questo posto faccia uscire tutta l’anima natalizia che è in me, vorrei avvisare i miei uomini che qui abbiamo finito. Poison, lascio Due Facce alle tue amorevoli cure, dopo tutto sei il suo metaumano preferito quando si tratta di affrontare le sue crisi esistenziali!»

La risata rimane come uno spettro a librarsi nell’umido dell’aria anche quando la musica di natale torna a graffiare gli altoparlanti segnati dalla battaglia, gemendo qualche parola in inglese prima di perdere potenza e rallentarne il suono in uscita in un effetto raccapricciante.

Batman torna a guardare davanti a sé, e lo fa giusto in tempo per trovare le piante di Poison intente a raccogliere Due Facce da terra portandolo verso l’altro; fissa il metaumano in silenzio, tenendo una mano sulla ferita alla spalla mentre lo vede fare qualche passo verso il confine del palazzo, la gamba ormai guarita grazie alla linfa prodotta dal suo stesso corpo.

«Po»

«Batman. È vero che non sono parte di questo piano, ma non sono alleato di questa città: Se Gotham cadrà per colpa delle sue stesse azioni» una pausa «Non sarò io a fermarla.»

Pronuncia quelle parole senza voltarsi, e Batman fa un passo avanti giusto in tempo per vedere Poison lasciarsi scivolare di sotto, Due Facce inconsciamente avviluppato dalle sue piante.

È un attimo, e l’attimo dopo è nulla più.


 


 

°°°°


 


 

Una volta scivolato nuovamente giù mediante la fessura usata per salire sulla tettoia, la prima cosa che Batman nota è il cancello nuovamente aperto, le luci dei vigili del fuoco ed il rosso dei loro grandi automezzi a dipingere il grigio che si staglia oltre le grate spalancate. I passi sono lenti e calcolati, lo sguardo che slitta poco più avanti verso i corpi riversi ed ora coperti da una serie di lunghi teli color ardesia a nasconderne i volti sfigurati o dolorosamente riconoscibili ai poliziotti piegati a piangerne la perdita.

Vede in lontananza Yaku, ma non fa in tempo a raggiungerlo che anche questo alza lo sguardo, dandogli un cenno e avvicinandosi a passi veloci, facendosi largo tra vigili e medici – ancora nella silenziosa ricerca di feriti o superstiti – sino ad arrivargli davanti.

«Batman! Cosa è successo là sopra? Abbiamo sentito la voce di Joker, poi gli spari, e poi presumo di averti visto scomparire oltre il tetto– Volevamo raggiungerti una volta aperti i cancelli, ma i miei uomini sono caduti in un’imboscata di Harlee Kenn. Dio–»

Il commissario si lascia andare ad un sospiro frustrato, le dita che vanno a correre tra i capelli chiari e corti e gli occhi a chiudersi stanchi.

«Ci crederesti mai? È riuscito a tenere testa a dieci dei miei migliori agenti, inizio a dubitare non sia umano da come si muove e salta da un punto all’altro. Poi con quell’espressione assolutamente apatica, sembrava non fare il minimo sforzo a stare dietro ai loro movimenti… Assurdo. A te come è andata, hai scoperto qualcosa?»

Ma Batman non risponde, la mente ormai un fascio di nervi percorsi da idee e ipotesi accavallatesi le une sulle altre dal momento stesso che ha lasciato la tettoia ed è tornato a camminare sulla via principale del Jezebel Center; continua anzi ad avanzare, il commissario al suo fianco che lo guarda con le sopracciglia leggermente aggrottate e l’espressione perplessa, sino a quando non arriva davanti alla sua macchina, le cui portiere si sono nel frattempo sollevate per farlo entrare.

«Dobbiamo andare da Serpe. Non abbiamo prove sia colpevole né innocente, ma ora sappiamo che Joker e Due Facce sono alleati. E Joker non fa mai nulla per nulla, quindi ci deve essere un motivo che lo abbia spinto a prendere di mira proprio questo posto, proprio oggi.»

Yaku lo fissa in silenzio per qualche secondo, metabolizzando le sue parole mentre un primo accenno di scetticismo si fa largo nei suoi occhi. Ma non hanno tempo per queste cose: Batman gli fa segno di salire in macchina, l’espressione indecifrabile dietro la maschera che ne cela più di metà sguardo, e rimane a fissare l’altro quando quest’ultimo alza un attimo la mano, facendogli segno di attendere. Lo vede tornare indietro e parlare ai suoi uomini, gesticolare qualcosa mentre impartisce probabilmente qualche tipo di compito, aspettando poi che tutti coloro che sono in ascolto annuiscano velocemente prima di posare una mano sull’avambraccio di uno di loro, poco più alto di lui – è lontano, ma Batman è abbastanza certo sia lo stesso visto la sera prima, sul terrazzo della GCPD – prima di voltarsi nuovamente nella sua direzione, raggiungendo la sua macchina a grandi passi ed entrando velocemente nella vettura, leggermente a disagio.

«… Dove sono le cinture di sicurezza?»

Lo sente domandare, mentre lo sguardo va a posarsi diffidente ai lati del sedile. Daichi rimane a fissarlo per qualche secondo prima di voltarsi verso il volante, mettendo in moto la macchina. Le portiere si chiudono velocemente, ed altrettanto velocemente una cintura di sicurezza ad X compare ai lati del posto del passeggero e del guidatore, avvolgendo entrambi i corpi e facendo soffocare al commissario un respiro lasciato a metà.

«Ah– comodo. Credo– Comunque, ho lasciato i miei uomini a perlustrare la zona e a raccogliere il massimo delle informazioni possibili su cosa vendessero i negozi dello Jezebel; in caso manchi qualcosa ci mandano una lista. Ora– Perché stiamo andando da Serpe? È ancora nel penitenziario, difficilmente saprà qualcosa di questo attacco.»

«Forse, ma sicuramente sa di più di noi sui traffici di questa zona.»

«Perché?»

Batman lancia uno sguardo verso il commissario, guardandolo per una manciata di secondi prima di tornare alla strada, il volante che viene inclinato velocemente mentre una curva stretta li porta a voltare su una strada secondaria; il semaforo giallo all’incrocio lampeggia impassibile, indicando un’accortezza che Daichi non sente di poter avere al momento, mentre con la coda dell’occhio nota il modo in cui Yaku ha le mani saldamente chiuse a pugno ai lati del sedile, la bocca socchiusa e pronta a fare qualche tipo di commento sul codice stradale che l’altro sta decidendo con così tanta leggerezza di ignorare.

No, non hanno tempo nemmeno per quello.

«Perché è lui ad amministrarla.»


 


 

°°°°


 


 

GOTHAM CITY Manicomio di Arkham (Arkham City)

21/12/1976 – Notte


 

La prigione di Arkham era esattamente come Yaku ricordava di averla lasciata nemmeno una settimana prima: buia, fredda, inospitale ed incredibilmente umida. Per quanto fosse stato in molte prigioni da quando aveva iniziato la sua carriera di commissario di polizia, non vi era tuttavia stato altro carcere capace di procurare sin dai primi minuti passati al suo interno quella sensazione di malessere e fastidio che lo accompagnavano non appena passato il cancello, portandolo a grattarsi sovrappensiero un avambraccio nel mentre in attesa dell’apertura del montacarichi o durante la camminata per raggiungere la cella del prigioniero.

«Prego, da questa parte.»

Yaku potrebbe dire alla guardia che sa già dove andare, ma alla fine rimane in silenzio, dovendo ammettere a se stesso in maniera piuttosto vile di preferire avere una terza persona accanto a lui in quella discesa tra gli abissi del manicomio, le voci degli “ospiti” della struttura che graffiano con tonalità acute le pareti dagli angoli di muffa, una patina verde e sudata che va percorrendo i bordi dei corridoi lunghi e stretti. Allontana lo sguardo da quei dettagli lacrimanti umido e sporcizia, e dopo aver osservato la sentinella ad un paio di metri da lui si volta alla sua sinistra, posando lo sguardo sulla macchia nera che lo sta accompagnando nei meandri di quell’edifico senza fondo.

Gli occhi si posano sulla cinta che ad ogni passo il mantello scopre appena alla vista, e le sopracciglia si aggrottano scettiche mentre riesce a riconoscere tra i vari gadget affissi alla vita dell’altro le bat-manette, la cerbottana, il rampino, un paio di bat-artigli–

«Ti hanno mai fatto storie per tutte le armi che porti nella prigione ogni volta?»

Domanda infine inesorabilmente vinto dalla curiosità, mentre nel frattempo lo sguardo torna a fissare la guardia avanti a sé, l’espressione sottile e volutamente diplomatica che va a posarsi con falso disinteresse sul giubbotto imbottito che questi indossa. Batman rimane in silenzio per quelli che sembrano essere secondi interminabili, continuando a camminare con passo sostenuto e controllato, mentre Yaku si trova costretto ad aumentare impercettibilmente il suo quando si rende conto di essere andato a rallentare, forse nell’attesa di una risposta.

«Solo una volta.»

Dichiara infine, ed il commissario non riesce ad evitare di lanciargli uno sguardo sott’occhio, le iridi che slittano per un istante sul collega prima di tornare in avanti, un filo di interesse ad incrinare quella maschera di perfetta indifferenza.

«Poi hanno smesso di domandarlo?»

«Poi hanno capito che è più utile avermi armato.»

«Sembra l’inizio di una di quelle storie che valga la pena raccontare ai proprio nipoti.»

«Mi creda, non lo è. Soprattutto se i protagonisti sono Joker ed il suo mettere fuori uso dall’interno i sistemi di sicurezza del manicomio per fuggire dalla struttura.»

A quelle parole il commissario si volta del tutto, decidendo evidentemente di arrendersi al palese coinvolgimento che la sua espressione deve esprimere in quel momento, mentre le sopracciglia vanno ad aggrottarsi appena, lo sguardo acuto e partecipe e la voce che rimane bassa e rauca, nel tentativo di farsi sentire solo dall’altro.

«Il caso dello psichiatra corrotto, intendi? Come si chiamava, il dottor Kozum–…?»

«Siamo arrivati.»

La voce della guardia è vicina, ma non abbastanza per superare quella di Batman, grave e impassibile mentre pronuncia l’ultima frase, lo sguardo ancora una volta puntato davanti a sé.

«Ora lo conosci come Harlee Kenn.»


 


 

L’agente davanti a loro si ferma, interrompendo involontariamente quella conversazione avvenuta a qualche metro da lui, e volge le spalle verso la grande porta blindata in acciaio che si trova alla fine di quel lungo corridoio, prendendo un abbondante mazzo di chiavi dal cinturino che tiene stretto in vita mentre ne va a cercare una in particolare, i numeri sbiaditi sulle varie etichette che scivolano veloci fra le sue dita.

«Non avete molto tempo, verranno a portargli il pasto tra poco.»

Dichiara asciutto, aprendo la porta che dà alla stanza che Yaku già conosce e rimanendo poi di lato, permettendo a Batman ed al commissario di fare il loro ingresso all’interno. È ancora sulla soglia, ma al poliziotto non serve nemmeno abituarsi alla luce tenue della cabina per riconoscere subito il prigioniero posto oltre le sbarre in metallo: e questo non perché sia disteso nello stesso modo in cui lo ha trovato la volta scorsa, o per i vestiti riconoscibili, o ancora per il modo tipico attraverso il quale le sue mani sono posate sul busto, come in attesa di cadere addormentato in una favola vecchio stile.

È il sorriso. Yaku può vederlo, può vedere la delicatezza leggera e strafottente attraverso la quale le labbra del criminale sono già piegate verso l’alto, due petali beffardi che inquadrano quell’espressione mal celata di scherno nei loro confronti e probabilmente fiorita da prima ancora che fossero dentro la cella.

Dio, non ha bevuto abbastanza caffè per affrontare quella situazione.

«Serpe, vogliono parlarti.»

La voce della guardia è lontana, ed il commissario non ha bisogno di voltarsi per intuire come l’agente abbia preferito rimanere accanto alla porta, vigile ma a distanza da quelle sbarre che separano il criminale da tutti loro.

«… Vogliono?»

La voce di Serpe acquista una leggera nota di interesse nel pronunciare quella parola, e pare il desiderio di sapere di più su questo plurale sia sufficiente a convincerlo a girarsi, voltando lo sguardo e posando quasi istantaneamente lo sguardo su Yaku. Accenna ad un sorriso serpentino non appena le iridi strette arrivano a riconoscerne i tratti familiari, le fini e corte sopracciglia che rimangono rilassate a sostegno della fronte liscia e pallida.

«Commissario, ancora qui? Allora è proprio vero che sono le prede a cercare i predatori, alle volte.»

Decisamente, troppo poco caffè.

«Non vedo tue possibili prede in questa stanza, Suguru. Fra le altre cose non sono solo, come vedi.»

«Mhm~? Eppure non è forse il topo preda del serpente, commissario? Sono sorpreso, lei prima di tutti non dovrebbe mancare di simili nozioni basilari di zoologia.»

Serpe sorride maggiormente, i canini lunghi ed acuminati che biancheggiano alla luce mentre le labbra retratte ne scoprono i contorni pungenti. Sempre sorridendo si alza a sedere, gli occhi lunghi e stretti che vengono nascosti dalle palpebre sottili prima che essi vengano puntati nella direzione del secondo ospite di quella stanza, la lingua biforcuta che scivola fuori per qualche istante prima di scomparire nuovamente all’interno.

«Ed avevo già notato avessimo compagnia. Batman–»

Un rapido accenno con la mano, svogliato nel suo palesare un disinteresse su misura per la situazione.

«Ti mancavo forse, che sei venuto a trovarmi?»

«Sono venuto per chiederti di Joker.»

Serpe sembra pensarci su, e nel mentre che rimane in silenzio tira indietro le spalle, stirandosi con la schiena e muovendo le scapole all’esterno ed all’interno, terminando con un fluido e serpentesco movimento della colonna vertebrale; solo allora torna a posare nuovamente lo sguardo su Batman, ancora immobile accanto a Yaku.

«Joker, mhm? Alto, capelli scuri, trucco opinabile, una passione malsana per il suo assistente–?»

«Vogliamo sapere cosa stesse cercando nel tuo territorio.»

È un attimo, ma Yaku può vedere chiaramente quella virgola di incertezza che si fa strada nello sguardo di Suguru mentre questo immobilizza il movimento dei polsi in rotazione, guardando Batman in silenzio per una manciata di secondi prima di tornare ad aprire le labbra in un sorriso arguto, che non riesce tuttavia a raggiungere gli stretti occhi poco più sopra.

«E cosa vi fa credere io lo sappia, miei irrispettosi ospiti?»

Yaku sta per ribattere quando Batman lo precede, la voce ferrea e la risposta così tempestiva da far pensare al commissario fosse già nella mente dell’uomo pipistrello da prima di entrare ad Arkham.

«La tua conoscenza del sottobosco criminale di Gotham non è seconda a nessuno, Serpe. Non si muove foglia in città senza che tu lo sappia, e stento a credere che l’essere qui dentro da qualche giorno non ti abbia già dato la possibilità di mandare i tuoi informatori in giro a cercare notizie su cosa stia succedendo al di fuori di queste mura.»

Serpe sorride, la lingua che torna a saggiare l’aria per qualche istante prima di tornare indietro, gli angoli della bocca che si alzano a tagliare le guance bianche in una smorfia intrisa di beffa.

«Mandare informatori, Batman? Queste sono insinuazioni pesanti. Si sa che in questo triste posto qualsiasi collegamento con l’esterno è assolutamente vietato. Non è così, guardia?»

Lo sguardo cade con eccessivo interesse verso l’agente ancora alla porta, e la lingua saetta veloce dentro e fuori il caldo rifugio offerto dalla bocca così da assaporare famelica chissà quale umore presente nell’aria. L’uomo in divisa getta velocemente uno sguardo sul criminale prima di indurire nervosamente la mandibola, distogliendo subito gli occhi dall’altro.

«Nervoso? Strano, sembra quasi– In ogni caso, commissario, mi rammarica dirvi che non so cosa cercasse Joker nel mio quartiere, né tanto meno perché non me lo abbia semplicemente potuto chiedere, se era così interessato ad averlo.»

«Gli avresti dato ciò che gli serviva, in caso?»

Stavolta è Yaku a chiedere, seppure forse semplicemente spinto dalla necessità di parlare piuttosto che rimanere in silenzio sotto lo sguardo di Serpe; sono poche parole, eppure sembrano essere sufficienti a far sì che l’altro si lasci sfuggire un verso di apprezzamento, forse soddisfatto di averlo fatto parlare o forse per la risposta che è già pronto a dare, magari preparata battute prima e in attesa di venire sfoggiata al momento giusto.

«Ah~ non posso mentirle, lo sa: direi di no. Non senza un lauto compenso, almeno. Ma sono discorsi inutili: è risaputo Joker abbia un problema piuttosto grave con qualsiasi mezzo di vendita che abbia valore solo nominale; non sarebbe disposto a pagare più per presa di posizione che per altro. Eppure si tratta di educazione: lei avrebbe chiesto prima di rubare, no?»

Yaku sta per schiudere le labbra, già pronto a fare i suoi commenti riguardo cosa sia per Serpe “l’educazione”, quando una serie di passi veloci e calzanti irrompono inaspettatamente all’interno della cella, portandosi dietro un ragazzo giovane in uniforme dal respiro agitato ed un lungo foglio tra le mani.

«Per– Per lei commissario. Dalla sua squadra–»

Annaspa mentre Yaku allunga una mano per prendere quel pezzo di carta, probabilmente uscito dal fax qualche minuto prima a giudicare dalla sua temperatura alta e dalla scrittura leggermente storta risultata dalla stampa, e ringrazia a voce bassa la probabile matricola prima di portarsi più vicino alla piccola luce al neon che illumina la parte riservata a lui ed al collega in nero, alzando leggermente il foglio nel tentativo di leggerne più chiaramente il contenuto.

«Batman– mi hanno mandato la lista. Dalle ricerche pare manchino una serie di cose che avevano in stock, qualche filo, alcune ventole, degli orologi, dei rossetti– ah.»

Yaku si ferma un attimo, aggrottando le sopracciglia mentre il documento viene portato più vicino alle iridi castane, forse nel tentativo di leggere meglio quelle piccole lettere e capire se sia possibile si sia sbagliato nella fretta. Cosa non accaduta, a quanto pare.

«… Questo è strano, a quanto pare anche moltissimi profumi. Ma davvero molti, parliamo di migliaia di prodotti. Ammetto non facessi Joker un amante del genere, lo vedo più da– erba gatta? O anche solo da erba, a dirla tutta.»

«Di che locale?»

È– inaspettato. È tutto quello che Morisuke riesce a pensare mentre lui e Batman si girano verso Serpe, il primo guardandolo con espressione leggermente sospettosa mentre dall’altra parte delle sbarre il criminale continua a fissarlo insistentemente, in attesa di una sua risposta.

«Come?»

«Da che negozio li ha presi.»

C’è qualcosa di strano nel modo in cui Serpe lo sta guardando, e seppure la domanda sembri venire posta nella tonalità più asciutta e disinteressata del mondo Yaku può sentire chiaramente qualcosa stonare all’interno della sua frase, una crepa invisibile ai lati di quella sua maschera di tranquillità che porta il commissario ad abbassare lo sguardo, le iridi che si muovono alla ricerca dei nomi dei locali controllati.

«Controllo. Ah– ecco; sembra questi furti si siano focalizzati solo sulla Jezebel Parfume, specializzata in profumi ecosostenibili ad uso di–»

Si blocca, aggrottando le sopracciglia ed adottando un’espressione tra il confuso e preoccupato, i muscoli della mascella che si contraggono leggermente mentre rimane qualche istante in silenzio, rileggendo più volte la stessa riga come a volersi accertare di averla letta in maniera giusta.

«Di cosa?»

Domanda infine Batman, spronandolo con una certa imposizione della voce a continuare.

«Batteri.»

La risposta arriva di lato, e le iridi di Daichi vanno a puntarsi istintivamente verso la sorgente da cui quella parola sembra essersi materializzata, scorgendo la figura di Serpe seduta sulla brandina, la schiena leggermente curvata in avanti ed i gomiti poggiati sulle ginocchia, a scrutarlo in silenzio.

«… … Vado a chiamare la scientifica.»

La guardia si fa da parte mentre Yaku stringe la carta tra le mani, facendo veloci passi verso l’agente ed allontanandosi dalla cella. Batman può notare il modo attraverso il quale Serpe rimane a guardare le spalle del commissario finché possibile, e solo quando sente i tacchi delle scarpe laccate di Morisuke diventare echi ovattati decide di continuare la conversazione, la tonalità bassa ed impostata.

«Di che batteri stiamo parlando?»

Serpe torna a guardarlo, lanciando un ultimo sguardo alla porta blindata adesso occupata dalla sagoma della guardia prima di voltarsi verso di lui, un’espressione indisponente a modificarne i tratti fino a qualche istante prima lisci ed eterei.

«Ah, non saprei. Piuttosto, la vera domanda che mi farei al momento se fossi in te sarebbe–»

E nel continuare un sorriso tagliente si apre sul viso, le labbra strette che disegnano una luna chiara su quella pelle pallida come il latte.

« –In che altro modo potrebbero esseri usati?»

«… Qui abbiamo finito.»

E con questa Batman si volta verso la guardia, il mantello scuro che si libra fendendo l’aria e creando zone d’ombra sul pavimento sporco mentre esce velocemente dalla stanza, superando l’agente e percorrendo il corridoio mentre sente Serpe continuare a parlare e poi ridere di gusto, seppure ormai lontano.

Ma non ha tempo, non oggi. Perché la risposta alla domanda di Serpe, conoscendo Joker, è solo una, e non è certamente quel tipo di risposta che si vorrebbe avere quando si sa che il criminale in questione adesso ha tutti i mezzi per realizzarla.

Un’arma batteriologica.

Batman si chiede se esista qualcosa di più pericoloso del bioterrorismo scatenato dalle mani di un pazzo.


 



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Ok ok ok, sono in ritardo. Lo ammetto. Sono una brutta persona. (…)
Ringrazio immensamente la mia beta-reader Francesca perché ha trovato il tempo per leggere questo capitolo prima di farmelo postare. Grazie mille! ♡ Ringrazio inoltre anche le persone che commentano, quelle che mettono i preferiti e i seguiti, insomma un sacco di gente che non mi aspettavo di trovare interessata a questa Batman AU e hjfbskjkjf, mi fate commuovere. ;_;) (??)
Cosa ne pensate del capitolo, comunque?! Povero Bokuto, mi fa un sacco tenerezza in questa storia…! Non so se è molto comprensibile anche per le persone che non conoscono il personaggio (?), ma Due Facce soffre di disturbi di personalità multipla dovuti ad un trauma fisico e morale che è anche causa della poco estetica ustione che segna metà del suo corpo. Ho voluto enfatizzare la cosa in vari modi:
– Primo tra tutti, il fatto che parla al plurale di se stesso!
– Secondo, il fatto che spesso combatta con se stesso riguardo ciò che sia bene o meno fare. (??)
– Terzo, il fatto non sempre si ricordi di avere anche altri se stesso dentro di lui. (?!)
Ammetto inoltre di adorare malamente anche Suguru, è più forte di me mannaggia. E adooooro il fatto che ci provi spudoratamente con Yaku. (…) E a proposito di Yaku… Ma quanto è carino!? ♡
Come pure Kenma, che fa la pelle a dieci poliziotti come fosse nulla. Rrrh! ♡ (??)
Fatemi sapere che ne pensate!
Al prossimo capitolo!

  
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