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Autore: lady lina 77    10/09/2017    0 recensioni
Seguito di Without you. Un anno dopo la nascita di Isabella-Rose, Ross e Demelza vivono una vita serena e felice a Nampara, insieme ai loro tre figli. Ma il destino si sa, è malefico. E un incidente scombinerà di nuovo le carte, facendoli precipitare in un tunnel di dolore, incertezza e difficoltà.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La nascita di Julia aveva portato la spensieratezza e la gioia delle favole, dove si pensa e crede che tutto andrà sempre bene.

La nascita di Jeremy, capitata in un momento della sua vita e del suo matrimonio difficilissimo, aveva portato angoscia e paura di amare e di soffrire.

La nascita di Isabella-Rose rappresentava la consapevolezza del suo ruolo di marito e padre e la felicità di aver di nuovo accanto la donna che amava e con cui voleva e poteva costruire ogni cosa desiderata.

La nascita di Clowance era diversa per lui, rappresentava un buco nero che mai avrebbe potuto colmare. Non si puo' tornare indietro nel tempo, non si puo' permettere al se stesso più giovane di non commettere quell'errore che gli aveva fatto perdere tutto, compresa la nascita della sua bambina. Si era rassegnato che mai, nonostante i racconti di Demelza, avrebbe saputo com'era sua figlia quando aveva abbozzato il primo vagito, com'era guardarla dormire nella culla da neonata, com'era quando ha detto la prima parola o fatto i primi passi. Per lui Clowance era nata in una giornata estiva londinese, a casa di Caroline Penvenen, ed aveva le fattezze di una bimba di due anni dai capelli rossi e pieni di boccoli tenuti bada da un nastrino che malsopportava e che già sapeva correre e parlare, anche se stentatamente.

Aveva sentito da subito un forte legame con quella piccola, testarda e vivace bambina che già sembrava sapere cosa volesse dalla vita. Anime affini, simili, nonostante ancora non sapesse che era sua figlia.

Poi aveva ritrovato Demelza e aveva scoperto la verità e da quel giorno Clowance era stata 'la sua figlia preferita'. Non per togliere qualcosa agli altri, ma perché era la figlia che aveva avuto di meno da lui. Era un qualcosa che lo aveva sempre fatto sentire in colpa, unito alla strana sintonia di carattere fra lui e la bambina. Erano simili lui e Clowance, stessa testa dura, stesso caratteraccio, stesso orgoglio che muoveva ogni loro passo. Ma Clowance era anche molto altro e di quel 'molto altro' lui era innamorato perso come solo un padre puo' essere. Clowance era la più Poldark fra i Poldark. Aveva in se il carattere, che aveva preso decisamente da lui, unito alla nobiltà e alla fierezza dei Poldark di vecchia generazione, quei Poldark nobili e raffinati che un secolo prima avevano costruito Trenwith. Clowance era elegante e nobile nel modo di porsi e di parlare, era bellissima e conscia di esserlo e spesso ti guardava con quell'espressione di chi ti sta concedendo l'onore di respirare la sua stessa aria e questo era un tratto del suo carattere che lo faceva impazzire. Non lo avrebbe tollerato in nessun altro, ma in sua figlia aveva un sapore diverso, dolce e deciso insieme ma mai altezzoso. E poi l'aspetto fisico, così simile a Demelza, così bella e selvaggia come lei. Adorava Clowance quando rideva, ma era soprattutto quando teneva il broncio che la trovava irresistibile. Esattamente come sua madre...

A passo spedito si avvicinò alla spiaggia, pensando a com'era sempre stato il rapporto con sua figlia e a come potesse essersi sentita tradita e messa da parte durante la sua malattia. Odiava se stesso per il modo in cui l'aveva trattata e sentiva sulla sua pelle la delusione e l'angoscia che doveva aver provato nell'essere messa da parte da quel padre che per lei aveva sempre straveduto.

Finalmente, la vide. Era fra l'erba alte delle dune che portavano al mare, in compagnia di Artù. Aveva i capelli sciolti e indossava un abitino semplice, di un colore viola pallido. La vide andare verso il bagnasciuga col cane, inginocchiarsi a terra e smuovere la sabbia alla ricerca di conchiglie e si ricordò che era un qualcosa che spesso, lui e lei, avevano fatto insieme prima del suo incidente alla miniera.

Ross deglutì. Non era mai stato molto bravo a parole e soprattutto a chiedere scusa. Ma con Clowance doveva sforzarsi di essere perfetto! Non voleva, non poteva perdere la sua bambina! E la situazione di stallo fra loro era durata pure troppo.

Si avvicinò a passo felpato, il suo arrivo attutito dal rumore delle onde che si infrangevano sulla battigia. Clowance si accorse del suo arrivo solo quando fu alle sue spalle. Sussultò, alzò la testa e rimase perfettamente immobile. Una volta gli sarebbe saltata al collo felice ma quei tempi erano finiti e forse non sarebbero più tornati, pensò tristemente. "Posso aiutarti?".

"No".

"Perché? Sono bravo a cercare conchiglie, sai?".

Clowance sbuffò. "Sono brava anche io e non ho bisogno che mi aiuti".

Ross si inginocchiò per essere alla sua altezza e guardarla negli occhi, poi le sfiorò il mento. "Lo so che sei capace ma vorrei aiutarti lo stesso. Come una volta, ricordi?".

Clowance rimase seria, lo guardò in viso e poi scosse la testa. "Mi hai detto che dovevo imparare a fare le cose da sola e l'ho fatto. Ora non mi serve più che nessuno venga ad aiutarmi. Sto bene qui da sola, con Artù".

Si sentì in colpa al sentire quelle parole. Era vero, era stato severo ed inflessibile con Clowance durante la sua malattia e aveva preteso che facesse tutto da sola, senza rendersi conto che sua figlia, cercando il suo aiuto, non faceva che cercare il contatto con lui. Contatto che lui le aveva negato. "Mi dispiace di averti detto quelle cose, ero malato e non sapevo chi ero. E non sapevo nemmeno chi eri tu e cosa facevamo assieme. Ma non ho mai smesso di volerti bene e mi dispiace di esserti sembrato cattivo, non lo ero, stavo semplicemente male. So che ti ho detto che devi imparare a fare le cose da sola e lo penso ancora, ti servirà quando sarai grande, ma questo non significa che non potremo fare tante cose insieme, come una volta. Per quanto tu possa crescere e diventare adulta, io sarò sempre tuo padre e non ci sarà MAI nulla che non mi piacerà fare con te. E non ci sarà mai una volta in cui mi chiederai aiuto e io ti dirò di no".

"Sei un bugiardo!".

La voce di Clowance era fredda e piena di risentimento e lo fece sussultare. La guardò, aveva solo sei anni e mezzo eppure gli sembrava molto più grande della sua età, non tanto nell'aspetto – era esile e minuta – quanto nei modi di fare e nell'atteggiamento. Non stava facendo capricci o sbraitando ma stava, al contrario, gestendo quella situazione con la freddezza di un adulto. "Non ti ho mai mentito".

"Si invece! Anche adesso! Non è vero che mi dici sempre di si quando ho bisogno di aiuto, quando non riuscivo a imparare a scrivere mi hai sgridata e volevi lasciarmi senza mangiare. E mi hai detto che dovevo fare da sola!".

"Clowance!". Non c'era niente che potesse dirle per farle cambiare idea, c'era solo una cosa che poteva fare per farle sentire quanto la amava. Le prese le mani, la attirò a se e la abbracciò. La piccola tentò di ribellarsi, ma poi si arrese al fatto che lui era più forte di lei. La sentì tremare e poi singhiozzare, rilasciando una tensione che probabilmente aveva accumulato in tutti quei mesi. "Mi dispiace, i papà a volte sbagliano e io l'ho fatto. Senza volerlo e senza accorgermene, te lo giuro. Ma non ho mai e poi mai smesso di volerti bene, credimi. Ora sono guarito, sono di nuovo quello di prima e so che sei arrabbiata, ma credi di poter riuscire a fare la pace con me un giorno?".

"Mi avevi detto che ero la tua preferita" – singhiozzò la bimba, fra le sue braccia.

"E lo sei. Ti voglio bene come ne voglio a tuo fratello e a tua sorella, ma per me tu sei speciale per tanti motivi che ti spiegherò quando sarai più grande".

Clowance alzò lo sguardo su di lui, lo studiò in viso e poi si asciugò le lacrime con la mano. "Mi vuoi bene anche se ti dico che sono stata cattiva?".

"Non sei mai stata cattiva!".

"Sì invece. Rispondi! Mi vuoi bene anche se ti dico che ho fatto una cosa brutta?".

Ross sbuffò. Non capiva quel discorso e trovava stupefacente che sua figlia, così piccola, sapesse già metterlo alla prova. "Certo, ti vorrò bene anche più di quando sarai brava, quando sbaglierai. Sono tuo padre, non dimenticarlo".

Clowance abbassò lo sguardo, giocò con la sabbia smuovendola con un piede e poi sospirò, come se quello che stava per dire pesasse come un macigno sulla sua coscienza. "Sai quel drago con due teste, quello che ci avevi messo tutta la notte a farmi?".

Ross annuì. Era bello ricordare, finalmente... "Certo".

Clowance sbuffò. "Quando sono scappata di casa, ero così arrabbiata che l'ho distrutto e buttato nel fuoco del camino".

Ross espirò. Si aspettava una catastrofe, da com'era iniziata quella discussione e invece era solo un drago di carta... Le sorrise, accarezzandole i capelli. "Avevi ragione ad essere arrabbiata con me e quello che hai fatto non ti rende cattiva. Io avevo tradito la tua fiducia e tu ti sentivi abbandonata ed eri arrabbiata e triste. Per questo l'hai fatto".

"Si ma... Ci avevi messo tanto per farlo".

Ross la guardò. Percepiva quanto si sentisse in colpa per quel drago e tutto quello che lui desiderava era rassicurarla. "Non fa niente, era solo un drago di carta, ne faremo altri. Magari, se ci esercitiamo insieme, con tre teste. Che ne dici? Ci proviamo?".

Clowance vacillò per un attimo, quasi timorosa ed indecisa se accettare e tornare a fidarsi di lui o rimanere chiusa nelle sue posizioni. Ma poi, timidamente, allungò la mano prendendo quella di suo padre e stringendola. E sorrise. "Sei tornato davvero, papà".

"Davvero!". La strinse a se, la abbracciò forte e le baciò la testolina rossa.

"Papà?".

"Sì?".

"Va bene, puoi aiutarmi a cercare le conchiglie per il braccialetto di mamma".

Ross sorrise. "E allora vieni con me, conosco un posto dove ne troveremo di bellissime".

"Dove?" - chiese la bimba, dandogli la mano.

Presero a camminare sul bagnasciuga, seguiti da Artù che giocava fra le onde. "In una grotta qui vicino".

A quelle parole, Clowance si bloccò. "No, non voglio venire in una grotta, ho paura delle grotte. L'ultima volta, mamma è quasi morta".

Ross strinse la sua mano, si chinò e la prese in braccio, mettendosela sulle spalle. "Nessuno ti farà del male e nessuno ne farà mai più alla mamma. Puoi starne certa! Ti fidi di me?".

"Si".

"E allora andiamo nella grotta?".

Clowance sospirò. "Va bene, andiamo nella grotta".

Ross la rimise a terra e le ridiede la mano, cercando di infonderle coraggio e la bimba, dopo un'iniziale titubanza, lo seguì a passo più spedito. Lo guardò di sottecchi, studiandolo ancora, poi timidamente gli raccontò cosa aveva fatto negli ultimi mesi, come se lui non ci fosse stato e fosse appena tornato da un viaggio. Infine... "Papà, posso chiederti una cosa?".

"Certo!".

"Perché mamma non vuole farmi essere amica di Valentin Warleggan? Sai che Artù me lo ha regalato lui?".

Ross a quella domanda si irrigidì. Valentin Warleggan... Quel nome riportava indietro tanti, troppi ricordi dolorosi. La sua gioventù, Elizabeth, la guerra, il tradimento ai danni di Demelza, l'espiazione delle sue colpe. Aveva avuto quattro figli nella sua vita e forse ce n'era un quinto, Valentin. Ma non riusciva a considerarlo tale, per lui i suoi figli erano coloro che stava crescendo e che portavano il suo cognome. Valentin forse aveva il suo stesso sangue ma era un Warleggan cresciuto ed educato da George. Non era suo figlio, non lo conosceva e forse non l'avrebbe mai conosciuto, nulla li avrebbe mai uniti in qualcosa. Ma quell'ipotetico legame di sangue restava e capiva il perché Demelza avesse deciso di recidere i rapporti fra Clowance e il bambino. "Un giorno te lo dirò, quando sarai grande. E' una storia un po' complicata da capire per una bambina ma quando sarai capace di comprenderla, ti prometto che te la racconterò".

Clowance sospirò. "Siete così misteriosi voi adulti! Ma Valentin è cattivo? Per questo non volete che sia mia amico?".

"No, non è cattivo! Ma è meglio che tu gli stia lontana".

"Tu lo conosci, papà?".

Ross scosse la testa. No, non lo conosceva, l'aveva visto di sfuggita solo una volta, quando era corso a Trenwith dopo aver saputo della morte di Elizabeth e da allora aveva cercato di rimuovere l'immagine di quel bambino dalla sua mente. Ma da allora aveva deciso che, una volta cresciuti, ai suoi figli avrebbe detto la verità circa la sua vita e i suoi errori. Demelza non era d'accordo su questo ma lui lo desiderava. Non voleva né segreti né ombre nel suo rapporto coi suoi figli e anche se non sapeva come l'avrebbero presa, voleva essere sincero, una volta cresciuti. "L'ho visto solo una volta" – disse, fugacemente.

Clowance non disse altro, capendo che era meglio non proseguire a chiedere. E anche questo era tipico di lei e del loro vecchio rapporto, il capirsi senza bisogno di parole. Il rapporto con sua figlia sarebbe stato diverso da com'era prima dell'incidente, lo sapeva. Ma sapeva anche che era talmente forte da essere indistruttibile e che ciò che li univa si sarebbe modificato con gli anni ma non sarebbe mai finito. Sarebbero cresciuti insieme lui e Clowance, ognuno in modo diverso. Ma le loro strade non si sarebbero mai divise davvero, anche se la vita avrebbe potuto portarli fisicamente lontani. "Siamo arrivati, la grotta è questa" – disse, indicando l'ingresso roccioso alla piccola.

"Sicuro?".

"Sicuro! Vedrai, ci sono conchiglie di mille colori, trasporate dalla marea di notte".

Clowance sorrise. "Mamma sarà contenta del bracciale".

Ross le strizzò l'occhio. "Mamma sarà contenta di sapere che abbiamo fatto pace, che ne dici?".

La bimba ricambiò il suo sguardo complice, come una volta. "Sì, anche per quello" – esclamò finalmente allegra, correndo senza più esitazioni nella grotta.


  
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