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Autore: Cass_Pepper    13/09/2017    0 recensioni
-Kadar!- il suo urlo era straziante –Kadar! Perché? Kadar! KADAR!-.
Si aggrappava spasmodicamente alle mie spalle, come se cercasse di non scivolare in un burrone.
Infilò la testa all'incavo del mio collo, con la faccia rivolta verso l’esterno, le ciocche rosse mi solleticavano la pelle del collo e le sue lacrime, scivolavano dalla spalliera per finire poi a bagnarmi la tunica.
-Perché, Altaïr? Perché lui...?- Non riuscì a finire la frase. Pianse ancora, singhiozzando, strinse più forte la presa, come se avesse bisogno di una prova che fossi lì, che non fosse sola.
Nella mia mente, la frase poteva avere un solo esito:
"Perché lui... e non tu?"
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Desmond Miles, Kadar Al-Sayf, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Assassin's Creed: I'm With You'
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Capitolo 18

Buonasera!
Con un lasso di tempo maggiore di quanto mi fossi ripromessa ma, comunque, mantenendo il mio proposito di non abbandonare più la storia, ritorno a pubbliacare.
Mi scuso per non aver risposto alle tre recensitrici dello scorso capitolo, la mia fidatissima e instancabile Illiana, che saluto con affetto, e due nuove lettrici, Jonie e Wolfound, che ringrazio infinitamente per aver lasciato un commento.
Facciamo un breve ripasso delle puntata precedenti:


"Altair e Vega hanno scacciato i Templari da Damasco aiutando la Resistenza della città. Da loro hanno appreso della Profezia che li designa come discendenti della Prima Civilizzazione e che li lega in un chiaro destino... Hanno ceduto ai loro sentimenti. Poi, analizzando l'antica profezia, convengono che il loro destino si debba compiere a Gerusalemme dove, alla fine dello scorso capitolo, si stavano recando.
Vega era "promessa" di Kadar e, grazie al suo potere, sa che Altair è responsabile della sua morte, ma ha avuto modo di appurare il suo cambiamento. Altair crede, invece, che lei sia ancora all'oscuro di quel suo segreto e ha tentato di confessarglielo prima di recarsi, appunto, nella città in cui stanzia come Rafiq il fratello del ragazzo morto."

Ora, vi lascio al capitolo. Buona lettura!
Che la fortuna assista la vostra lama...


18. Darkness


Accadono cose senza senso,
allarmi che suonano, ricordi che si risvegliano:
Non è cosi che deve essere.
I Flashback ritornano ogni notte, ma non dirmi che tutto va bene.

Camminando attraverso il sottobosco, verso la casa nei boschi,
più mi addentro, più diventa oscuro...
Scruto attraverso la finestra, busso alla porta
e il mostro da cui ero cosi impaurito
sta rannicchiato sul pavimento, proprio come un bambino

Quando permetto che ciò accada, non ho nessun controllo su di me.

Peter Gabriel – Darkness




Mi chiamo Vega Al Sayf. Ho vent’anni. Sono nata a Masyaf e sono una fidāī. Ero in missione con Altaïr Ibn-La Ahad. Eravamo a Gerusalemme. Ho rivisto Malik, il mio fratellastro. Kadar è morto. L’ha ucciso Altaïr, ma è stato un incidente. L’ho perdonato. Amo Altaïr.

Sento un tonfo forte in lontananza, che mi fa perdere il filo dei pensieri e diversi battiti per il terrore. Non devo distrarmi, non ora. Ricomincio.

... perdonato. Amo Altaïr. Ho visitato la tomba di Kadar... Sono stata rapita.
Le mani presero a tremarmi in modo convulso, ma le strinsi così forte da conficcarmi le unghie nei palmi. Nessuno si stava avvicinando a me.

Mi stanno torturando. Stanno usando un frutto dell’Eden per cercare di confondere i miei ricordi, usando il dolore. Mi hanno picchiata e violentata. Sono in tre: Armand Bouchart, Rinaldo Oberdan... E lui, Roberto Di Sable. Io mi vendicherò. Devo resistere.

Se fossi riuscita a scappare, ovviamente.
E poi? Dopo la vendetta? Non avrei potuto offrire nulla ad Altaïr qualora fossi tornata, se non un corpo profanato, un’anima persa e una mente a pezzi.

Hai ragione, Vega... Ti disprezzerà. Vedrà lo sporco che c’è in te. Tutti lo faranno.
Malik ti ripudierà; Al Mualim ti caccerà dalla Confraternita; Altaïr non ti amerà più.

Dovevo ignorare quel sussurro sibillino, strisciante e allarmante che risuonava continuamente nella mia testa... Dovevo riuscirci o mi sarei spezzata.
E se mi fossi spezzata, davvero non ci sarebbe stato nulla di me da portare indietro.
Cercai di pensare all’ironia della situazione in cui mi trovavo e sentii un sorriso sarcastico nascere sul mio volto. Le guance, gonfie per i ripetuti schiaffi, presero a dolermi.
 Avevo passato tutta la mia breve vita a desiderare qualcosa che annullasse il mio potere.
Pur avendo intuito la sua meravigliosa potenzialità sin da bambina, era un dono che mi aveva impedito di essere a mio agio con conoscenti e amici e che, soprattutto, aveva sempre reso difficile vivere con serenità l’affettuosità della mia famiglia... e di Kadar.
Era difficile godere delle carezze di mia madre, senza percepire ed essere invasa anche da tutte le sue preoccupazioni per il mio addestramento. O continuare a credere agli incoraggiamenti di mio padre e dei miei fratelli durante gli allenamenti quando, se riuscivo a stendere il mio avversario, la loro prima emozione era pura sorpresa.
Una smorfia involontaria di disappunto mi fece nuovamente dolere le guance: Mi avevano sempre e comunque considerata come una donna, nonostante tutto il loro appoggio.
Nonostante tutti i miei sforzi.
Rabbrividii, poi, al pensiero di com’era stata dolorosa ogni perdita o gioiosa ogni buona notizia, considerando che ai miei sentimenti dovevano necessariamente aggiungersi i loro.
E com’era stato imbarazzante convivere con tutte queste persone, sapere cose che loro non avrebbero davvero voluto condividere con me, conoscere i loro segreti, i loro pensieri più cupi o oscuri. Dover stare attenta a non comportarmi in relazione a quella conoscenza, restare al passo della loro voce e non della loro mente.
Loro non avevano mai dimostrato di voler rinunciare a toccarmi, nonostante questo evidente svantaggio, ma ad un certo punto lo avevo ritenuto necessario io stessa. Addio abbracci o strette di mano, solo Kadar continuava imperterrito ad abbracciarmi e accarezzarmi, per non parlare dei baci... Spesso contro la mia volontà (almeno apparentemente).
Vent’anni di vita passati così penosamente, sempre a pregare di essere liberata da questo fardello, senza essere mai esaudita...
Ma, proprio ora che mi sarebbe tornato utile, avevo finalmente trovato una risposta alle mie preghiere e... puff, il mio potere era sparito. Obnubilato da quel Frutto Dell’Eden.
Quando i tre mi torturavano, nulla mi era più chiaro. Riuscivano ad impedirmi di spiare nella loro mente e, contestualmente, a far presa sulla mia, tanto che la realtà mi sembrava sempre più confusa con le loro menzogne.
Tutta questa tortura avrebbe avuto un senso se fossi riuscita, almeno, a carpire informazioni: dove mi trovassi, quali fossero i loro piani, se avessero o meno recuperato la Mela, se Altaïr e Malik stessero bene...

Non hai i tuoi poteri, ora, Vega.
E, evidentemente, non sei nemmeno abbastanza forte da difenderti.
Né abbastanza furba da riuscire a scappare.
Non hai più alcuna utilità, sei peggio del nulla.

No!
Svia questi pensieri.
Cercai di cambiare posizione, per dare sollievo al mio corpo:
Avevo dormito poggiandomi sul busto chiazzato di lividi, ma messo meglio della schiena dove tanti squarci si incastravano tra di loro a formare una lugubre ragnatela rossa.
Era il bruciore, però, a mangiarmi viva: quello del sangue incrostato, il pizzicore dei lividi, l’umidità sulla ferite fresche... e il dolore nelle mie carni intime.
Poche lacrime (tutta quella perdita di sangue provava fortemente la mia idratazione) cominciarono a bagnarmi gli occhi, non tanto per il dolore fisico (anche se era devastante), quanto per la ferita emotiva.
Non solo la mia sensibilità era a pezzi, ma anche il mio orgoglio.
Avrebbero abusato in tal modo di un Assassino?
Ero pronta a subire qualsiasi tortura fisica, era prevista nella mia formazione anche l’idea di essere catturata e martoriata per ricevere informazioni: ero stata preparata a resistere, come un uomo. E come un uomo ero sempre stata trattata, anche dai Templari.
Non si risparmiavano nel combattere, quando e se capivano che ero una donna.
Mentirei se dicessi che, nel mio sentirmi uomo, non avessi avuto paura dello stupro. Ma non l’avevo mai veramente preso in considerazione:
Ero talmente spietata, così fredda, letale... Mascolina.
Mi trattavano da uomo e io mi sentivo uomo. La violenza... la violenza era intollerabile per entrambe le mie facciate.
Una ferita nell’orgoglio. Un oltraggio imperdonabile.
Vi ucciderò. Vi ucciderò tutti.

Trenta giorni. Non credevo di poter resistere tanto prima di morire.
Il tempo tra una tortura e l’altra era straziante tanto quanto i momenti della tortura stessa.
Attendevo, con ansia e paura, il prossimo sopruso.  Durante quei periodi riflettevo sul perché di quello che mi stava accadendo.
Era chiaro che volessero deviare i miei ricordi, traviare la mia mente.₂
Non facevano che torturarmi fisicamente, associando quel dolore ad immagini spietate su Altaïr e la Confraternita, generate da quello strano frutto dell’Eden a forma di scettro₃
.
Ma perché?
Per piegare la mia lealtà al Credo e portarmi dalla loro parte?
O, più probabilmente, per... oh!
Lo si stavano concentrando su Altaïr. Il loro obiettivo era lui!
Era lui che complottava con Al Mualim per uccidermi. Lui che mi picchiava, lui che abusava di me. Era Altaïr a riempirmi di schiaffi, lui a squarciare la mia intimità, lui ad aprirmi ferite nella carne. E poi c’era l’omicidio di Kadar.
L’avevo vissuto in così tante prospettive, l’avevo visto uccidere Kadar, il mio Kadar, in così tanti modi che mi sembrava di avervi assistito realmente. Avevo visto quelle mani sporche del suo sangue. Lo sguardo famelico e omicida.
Solo a ripensarci...  Lui me l’aveva portato via!
Un campanello d’allarme risuonò nella mia testa e sentii un fremito percorrermi la schiena. Altaïr era cambiato.

Ma la colpa è sua. E’ così prepotente, così marcio dentro.
Uccidilo, Vega.

Tremai così forte che sentii le costole, chissà in quale condizione pietosa, prendere fuoco e dilaniarmi dall’interno. Il desiderio di togliergli la vita era così bruciante che mi veniva da vomitare. Era tutta colpa sua se ero rimasta sola al mondo, se ero stata rapita.
No, non cedere, Vega.  Non cedere.
Cominciò a mancarmi il fiato.

Mi chiamo Vega Al Sayf. Ho vent’anni. Sono nata a...

 
 

Se solo non ti avessi lasciata sola.
Se solo l’avessi seguita, anche da lontano... se mi fossi accorto prima che era passato troppo tempo... se non ci fosse stata nessuna tomba sui cui andare a piangere...
Cinquanta giorni.
Ed era solo colpa mia.
Mi sembrava che il petto potesse esplodere per il dolore. E che la mia integrità mentale fosse stata fatta a pezzettini. Non capivo più nulla, volevo solo trovarla. Viva. Salvarla.
Non potevo neanche chiudere gli occhi e abbandonarmi per qualche ora all’incoscienza, perché le immagini raccapriccianti che mi figuravo da sveglio comparivano anche nei sogni.
Cosa le stava succedendo? Era ancora viva?
Oh Vega, hayete...

Tornai alla Dimora che era ormai l’alba.
Il mio ennesimo giro di perlustrazione era stato del tutto inutile, di nuovo.
Aprii la grata dorata del tetto e mi calai dentro per inerzia, provocando un tonfo sordo inaccettabile per un Maestro Assassino. Non che me ne fregasse qualcosa.
Tale rumore richiamò Malik nel piccolo ingresso con solerzia, la sua faccia era provata  dall’assenza di sonno e dalla disperazione. Probabilmente la mia espressione non era eco della sua perché, qualsiasi cosa lui stesse provando, io mi sentivo peggio.
-Sei tornato- biascicò –Vieni, vieni a rifocillarti, ho qualcosa pronto- e tornò indietro sui suoi passi, rapido come era stato nell’arrivare.
Lo seguii arrancando e senza una vera pulsione, ma feci come mi aveva detto e mi sedetti sui cuscini, pronto a mangiare e a rimettermi in forze.
La stanchezza di quegli ultimi cinque giorni di viaggio mi sembrava irrisoria rispetto alla voglia che avevo di ripartire per cercarla in un altro luogo.
In qualche posto deve trovarsi, mi ripetevo, non cercarla significa perderla in partenza.
Questo pensiero ossessivo mi stava tenendo in piedi; questo e il non pensare al fatto che c’erano infiniti modi in cui lei poteva non essere da nessuna parte. Nella mia anima non prendevo in considerazione quelle ipotesi, o semplicemente non ce l’avrei fatta.
Sospirai, buttando la testa all’indietro, sperando che quei pensieri molesti uscissero immediatamente dal mio corpo.
Malik ritornò con un piatto pieno di cibo nell’unica mano che ancora gli rimaneva, non mi sforzai nemmeno di capire cosa mi stesse servendo, un pasto era uguale all’altro purché mi rimettesse abbastanza in forze da ripartire. Tra il busto e il moncherino, invece, tratteneva una grande pergamena arrotolata che poggiò accanto al piatto.
Prima ancora di mangiare, srotolai la mappa della regione e segnai una nuova “x” sulla pianura desertica che circondava Damasco. Ormai c’erano più posti segnati che zone rimaste incontrollate, ma non mi lasciavo scoraggiare nemmeno da questo pensiero. Potrebbero averla portata nei loro paesi natii: nelle Gallie, nella penisola italica, in Britannia... mi sarei spinto ovunque, per cercarla.
Malik fissava quella x fatta di semplice inchiostro come avrebbe fatto con una presenza demoniaca, solitamente era ansioso di sentire i miei piani per la prossima perlustrazione, pieno di idee e consigli e soprattutto di incoraggiamenti e ammonizioni sul fatto che, se avessi perso anche sua sorella, non avrei trovato rifugio dalla sua ira anche se mi fossi nascosto sotto uno sasso ubicato mille metri sotto il mare.
Nonostante la velata, seppur ironica, minaccia, la sua vicinanza mi era risultata di conforto ed era stata la mia unica altra forza oltre la negazione... mi sentii in dovere di fare altrettanto per quel suo momento di sconforto.
-Non importa dove, ma la ritroverò, Malik...- dissi, mettendogli una mano sulla spalla, sperando di non esagerare –Non prendo nemmeno in considerazione l’idea di arrendermi finché non la ritroverò-.
Il petto del Rafiq ebbe un singulto e i suoi occhi si inumidirono, eppure annuì con fervore ricambiando la stretta.
-Io...- biascicò, mentre mi faceva segno di mangiare –Mi accontenterei anche di sapere cosa le sia successo, a questo punto. Sai, per trovare un po’ di pace-.
Il boccone mi si incastrò in gola per quella frase, ma lo ricacciai giù immediatamente: non dovevo dare spazio a supposizioni e frasi di quel genere o non sarei servito più a nulla.
Mantenni una espressione moderata e fiduciosa –Sarà lei a raccontarti cosa le è capitato quando la riporterò qui- sussurrai, evitando quegli occhi così scuri e profondi di disperazione –Malik, non smettere di credere in me, io..-
Un urlo mi interruppe -Malik! Rafiq!-.
Ci avviammo entrambi verso l’ingresso del Covo, per capire chi stesse cercando il Rafiq con così tanta esuberanza ed urgenza da urlare (incautamente) per attirare l’attenzione.
Quando vidi che si trattava solo di un Novizio un po’ impanicato che cercava a tutti i costi di entrare, persi anche quel minimo interesse che era nato in me e la stanchezza prese il sopravvento sulle mie membra.
Mi girai, pronto a trangugiare velocemente quello che rimaneva del piatto per poi infilarmi subito in un pagliericcio ma, di nuovo, fui trattenuto.
-C’è anche lei, Maestro Altaïr. Fantastico!- il ragazzo, una volta entrato nel Covo, doveva avermi riconosciuto anche se gli davo le spalle –Io devo parlarvi, Maestro. Vedete...-
Lo troncai sul nascere, alzando una mano a mezz’aria –Nulla di cui tu possa voler parlare mi interesserebbe, ora- biascicai, sentendomi andare a pezzi –Per cui, se vuoi scusarmi....-
Il ragazzo deglutì rumorosamente –Si tratta della Maestra Vega-
Malik perse la presa sulla boccetta dell’inchiostro, che cadde e si frantumò in mille piccole schegge con un sonoro crash.
Crash, i vetri sparpagliati per tutta la stanza. Un lago nero d’inchiostro sotto.
-.... quindi ammetto di essere stato colto impreparato: Quei templari mi hanno stordito e portato in questa capanno rudimentale, nel sottobosco di Gerusalemme. Lei era lì, maestro-
Crash, più o meno il tonfo sordo del mio cuore.
-...  mi è sembrata così deperita e ferita, incatenata nell’altra stanza. Abbiamo parlato attraverso quel buco nella parete durante le ore in cui sono stato lì. Mi ha detto che mi avevano rapito per errore, di stare tranquillo...-
Crash, il suono delle loro ossa quando li avrei trovati.
-...
mi avrebbero riportato indietro, senza permettermi di riconoscere la strada, ma lei la sapeva. Mi ha detto di correre da voi, di riferirvi il cammino e che voi avreste fatto il resto. Ad ovest della cattedrale, superata la valle del Kidron, prima di arrivare al gat šemanîm... un sentiero, un’ora a cavallo... Sono lì!-
Crash, il rumore della grata che si richiudeva con uno schiocco dietro di me.

I sette templari a guardia di quella rudimentale abitazione giacevano morti davanti a me, alcuni ridotti piuttosto male, quando non ero riuscito a trattenere la rabbia.
Dalla casa, nessun rumore, nessun verso di speranza o di aiuto.
Il Novizio l’aveva descritta come deperita e ferita... forse non avevo fatto in tempo e avrei trovato solo il suo cadavere, ad attendere.
Cinquantacinque giorni.
Cosa avrei trovato? Chi avrei trovato?
Io, se fossi stato in lei, probabilmente non avrei perdonato tutta quella attesa, passata tra chi sa quali sofferenze. Vega era buona, meravigliosamente buona e piena di fiducia in me, ma non meritavo nessuno dei suoi buoni sentimenti, per tante ragioni.
Improvvisamente, tutta la smania che avevo avuto di entrare, quel furore cieco e bruciante che mi aveva reso facile brutalizzare quegli uomini pur di vederla subito, era completamente sparito.
Per la prima volta sperimentai quella apatheia di cui i maggiori filosofi dell’antichità avevano parlato.
Riuscii a svuotarmi di qualsiasi cosa:
Da una parte, il mio lato umano era fossilizzato dalla paura, non volevo provare niente. Qualsiasi emozione mi avrebbe sconvolto. Vedere Vega in qualsiasi stato, mi avrebbe ucciso in ogni caso, di gioia e pena. Avevo davvero paura di incontrarla.
Dall’altra, il mio lato da fida’ī era in completo allarme: quale trappola poteva celarsi per me, lì? Magari non c’era Vega, ma Di Sable pronto a mozzarmi la testa. Oppure avrebbero catturato me. Perché avevano, improvvisamente, reso così facile trovarla...?
Tutti questi misteri urlavano “Precauzione!” e, di conseguenza, era richiesta  la più completa freddezza da parte mia.

 Anche se, molto probabilmente, avevo appena ritrovato l’amore della mia vita.

Con questi pensieri, cercando di mantenere quello stato di catatonica pace nella mia mente, avevo mosso quei pochi passi che mi separavano dalla casa buia e silenziosa.
Da una prima occhiata alla finestra, sembrava tutto assolutamente calmo e privo di vita. C’era una catena attaccata alla parete di fondo. Era, con ogni probabilità, quella a cui era stato attaccato il Novizio.
Basta tergiversare. Entra in questa maledetta casa, Altaïr.
Entrai.

Mi ero ripromesso di sopprimere qualsiasi mia reazione.
Qualunque fosse stato il suo pietoso stato, o per quanto grande sarebbe stata la mia gioia, io sarei dovuto rimanere impassibile, in modo tale da poterla osservare in modo critico e poterla aiutare fisicamente senza essere incauto emotivamente.
Eppure, quando la vidi, ogni mio argine si ruppe per il soffocante sollievo che provai.
Persi ogni controllo, ogni mio freno venne completamente sbaragliato e i muri costruiti per proteggere i miei sentimenti crollarono come sabbia al vento. Il petto mi esplose nel vederla, anche se rannicchiata in posizione fetale, emaciata e quasi del tutto immobile, se non per il ritmico alzarsi e abbassarsi del suo torace che, ineludibilmente, mi confermava che fosse viva.
-Habeebti- sussurrai, sopraffatto da tutto, buttandomi verso il suo corpo.
Volevo solo abbracciarla e abbracciarla ancora mentre la baciavo.
Vega si girò verso di me, come per accogliermi e il mio cuore perse un battito per la gioia.
Poi ne persi qualche altro, mentre la sua lama celata si conficcava nel mio petto.







****
1) Il mio amato Peter Gabriel accompagna questo nuovo capitolo. Darkness è una canzone dell'album "Up" (2002), in cui l'artista sperimenta questi suoni "audaci" molto sintetizzati. L'atmosfera altalenante fra confusione e placida calma ha ispirato molto l'andazzo di questo capitolo. Non è proprio un facile ascolto, ma spero vi piaccia.
Come al solito, vi consiglio di leggere il resto di questa nota dopo aver letto l'intero capitolo.
Dalle mie parti, chiameremmo questo un "Ritorno col botto". Anche se nei piani originali ci sarebbe dovuto essere un capitolo mediano, ho preferito rilanciarvi un po' nella fase attiva della storia. Forse un po' troppo attiva, considerato che manca ormai poco alla conclusione. Questa volta Di Sable se l'è pensata molto bene, vero?
Ci tengo a chiarire che, sì, in AC1 è detto chiaramente che Altair è immune al potere psichico della Mela, ma non a quello fisico. Essendo Vega una discendente della Prima Civilizzazione, come lui, la cosa dovrebbe valere anche per lei... Quindi com'è che l'hanno accoppata così bene? Mi riservo di spiegare tutto nei successivi capitoli.
Spero di non avervi bistrattato troppo con questo triste destino per il nostro affascinante Assassino.

2)
Mi è sembrato di dover camminare un po' sulle uova per scegliere i termini da far usare a Vega per descrivere quello che le stava succedendo. Di certo, il termine "Lavaggio del Cervello" non era contemplato all'epoca ma, d'altra parte, parlare di "indottrinamento" mi sembrava esagerato. Se vi dovesse risultare inappropriato, mi appello al famoso aspetto del Traduttore dell'Animus che traduce tutto in un linguaggio più corrente in modo tale che tutto sia più comprensibile.

3) Di questo particolare Frutto Dell'Eden si fa menzione in AC2, in uno dei documenti del Soggetto 16 e, inoltre, Rodrigo Borgia ne fa uso in una battaglia. Mi sono presa la libertà di averlo fatto appartenere ai Templari da quei tempi. Non tutti i Frutti hanno gli stessi poteri, in Bloodlines si fa menzione al fatto che i Templari fossero in possesso di diversi Manufatti meno potenti di quello posseduto da Altair.

4)
Kidron/ Gat šemanîm: La Valle del Cedron, è una valle situata tra la Città Vecchia di Gerusalemme e il Monte degli Ulivi, che prende il nome dal torrente Cedron che vi scorre vicino. E' inevitabile passarci per arrivare al Getsemani, il famoso piccolo Oliveto in cui Gesù pregò prima di essere arrestato. Il Getsemani si trova sul Monte Degli Ulivi. Mi è piaciuta molto l'idea di far muovere Altair in questi posti "biblici".

5) Apatheia: Virtù imprescindibile di qualunque filosofo Stoico dell'antichità, l'Apatia (non clinica) è la completa mancanza di "passioni", quei sentimenti troppo forti e dannosi, poiché obnubilano la razionalità, il più grande bene dell'uomo. Altair dice proprio "Fanculo" all'apatheia. 
 
  
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