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Autore: Light Clary    13/09/2017    2 recensioni
[Fantasia]
"Mi chiamo Iris e oggi raggiungo la mia maggiore età.
Il che vuol dire andarsene da questo monastero in cui sono stata costretta a rimanere per tutta la vita a causa della morte di mia madre avvenuta subito dopo il parto.
Dovrò cavarmela da sola in un mondo che non conosco. Ma non prima di aver sistemato un conto in sospeso. Avere delle risposte sulla persona che in una notte lontana mi ha donato una chiave in grado di aprire i portali attraverso ogni opera sia mai stata scritta.
Non dico che entrare nei libri sia un'esperienza spiacevole. E' bello avere amici in un mondo immaginario anziché venire disprezzati in quello reale.
Ma non è piacevole che qualcuno brami sempre di ucciderti pur di ottenere questa chiave.
Ripeto. Oggi vado via. Inizio il mio viaggio nella vita reale. Divento adulta.
Quindi solcare il confine tra realtà e magia non dovrà più essere di mio interesse"
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 1

Addio
 
Mi chiamo Iris e oggi raggiungo la maggiore età.
Proprio così. Compio 18 anni ed è anche l’ultimo giorno che passo tra le mura dell’Abbazia di Santa Isabella, situata in una zona campagnola di Filadelfia in Pennsylvania.
In molti penseranno che dover lasciare il posto in cui sono cresciuta non sia una cosa tanto facile da sopportare, ma si sbagliano di grosso.
Non aspettavo altro.
Mia madre è morta proprio qui. Dandomi alla luce.
Le suore mi hanno raccontato che durante il parto sono state costrette a un cesareo improvvisato a cui lei non è sopravvissuta.
La cosa di cui molte sorelle che le erano amiche, mi diedero colpa era che nacqui prematura di un mese. E fu proprio questo a ucciderla.
E la cosa peggiore. Anche lei era una suora, ceduta alla tentazione di un apparente gentiluomo che la piantò in asso la mattina dopo il sesso.
Per questo mi hanno fatta crescere con questo peso. Gli altri bambini erano orfani per altre ragioni oppure erano stati abbandonati, ma io ero quella che veniva definita come una specie di frutto del diavolo.
Da quello che so, l’unica ragione per cui non mi hanno cacciato dall’abbazia è che mia madre ha fatto giurare loro di crescermi.
Poteva anche risparmiarselo.
La maggior parte delle suore era ansiosa quanto me che arrivassi alla maturità per togliermi dai piedi. Hanno provato in tutti i modi a rendermi devota al signore per “espiare i miei peccati”, tanto da farmi prendere i voti di castità.
Col cazzo che ci sono riusciti.
Se non fosse stato per persone di cuore come giovani monache pivelle o alcuni dei frati che vivevano dal lato opposto, avrei ceduto.
Mi confortavano dicendo che Dio perdona ogni peccato, siamo tutti figli eccetera eccetera …
Ebbi bisogno di quelle parole però. Fino ai sette anni.
La notte in cui cominciò tutto.
 
Ricordo che pioveva. A quei tempi i temporali mi spaventavano più delle lezioni di religione di Suor Teresa, dove più delle volte mi beccavo una bacchettata sulla mano per non ricordarmi a memoria una parte dell’Antico Testamento.
I tuoni rimbombavano e i fulmini illuminavano il cielo.
Ero da sola nella mia cella (ora so che è così che i monaci chiamano le camere di un’abbazia, ma a quei tempi mi sembrava solo una prigione) e mi nascondevo sotto le coperte.
Dormivo da sola. Non avevo compagne di stanza. E se qualcuno arrivava era solo per due giorni, prima di essere adottato o traferito in un altro convento.
Per questo presi l’abitudine di non affezionarmi troppo a qualcuno.
Ad ogni modo cercavo di trattenere le lacrime, perché avrei potuto svegliare qualche bambino delle stanze vicine, che mi avrebbe accusato di non farlo dormire.
Ero con il viso affondato nel cuscino, quando un tuono più forte degli altri mi fece sobbalzare dal letto. Sperai che il rumore avesse coperto il mio grido. Ero scivolata e finita sul pavimento umido e avevo fatto cadere dal comodino il piccolo vangelo di cui dovevo recitare sei o sette versi prima di addormentarmi e una delle mie favole preferite; Il Mago Di Oz.
Se c’era un’alta cosa che mi dava la forza di andare avanti nonostante il poco affetto che ricevevo da tutti, era proprio la lettura.
Mi sono appassionata ai libri da … non riesco neanche a ricordare da quanto … sono sempre stata una lettrice accanita. Se un qualunque tomo che raccontasse una storia mi capitava tra le mani me lo divoravo in non meno di un giorno. In questo modo pensavo all’inizio, non potevo causare tanti danni. Me ne stavo in un angolo con i miei racconti e vivevo fantastici viaggi immaginandomi lì, con i protagonisti, a girare il mondo.
La parte peggiore era tornare alla realtà.
Se mi distraevo troppo con i miei libri, tralasciando quelli su cui dovevo studiare, mi venivano sequestrati quasi sempre a metà lasciandomi a bocca asciutta. Mi venivano restituiti di rado e a volte ero io a intrufolarmi nell’ufficio della Reverenda Madre e portarli via.
Non sapevo che quella stessa notte io e le storie che ho sempre amato saremmo diventati ancora più uniti.
 
Pioveva ancora e avevo rimesso a posto le cose cadute, provando a leggere qualche pagina del Mago di Oz per distrarmi dai fulmini e per qualche minuto la descrizione del gruppo che arriva alla Città di Smeraldo mi fece dimenticare tutto il resto.
Tanto che non notai subito di non essere più sola in camera.
Intravidi una sagoma nera ai piedi del mio letto.
Non ricordo se mi misi a urlare, a piangere o caddi di nuovo dal letto.
So solo che la scorsi per soli dieci secondi. Il tempo necessario perché tendesse una mano verso di me, posasse qualcosa sul mio materasso e si confuse nel buio, finché non riuscì più a riconoscerlo.
Mi strofinai gli occhi e puntai nella direzione dove l’avevo vista la lampada, che illuminò soltanto il mio armadio … e un piccolo oggetto luccicante ai piedi del letto. Mi sporsi e notai che si trattava di una chiave.
Entrava tutta in una mano. Aveva l’impugnatura con antichi fregi ed era rivestita in argento, con lo stelo intagliato a spirale. Era appesa a una catenina d’argento.
Me la girai e rigirai tra le dita presa dalla curiosità.
Infondo a sette anni hai ancora tante domande da porti su come gira il mondo, ma queste non riguardano fatti che invece necessitano di un’adeguata risposta.
Trovai quella chiave molto bella e decisi che l’avrei usata come segnalibro per non piegare i bordi delle pagine. Una cosa che tutt’ora odio fare.
 
Inutile dirvi cosa successe dopo. Immagino lo avrete capito.
Mi ritrovai catapultata nel libro del Mago di Oz.
La prima serratura che la mia chiave abbia mai aperto.
Non appena l’appoggiai sulle pagine del libro, queste emanarono un fascio di luce che quasi mi accecò. Un secondo dopo ero con un libro enorme davanti a me, aperto su una pagina a caso. Era come affacciarsi a una finestra da cui io dovevo semplicemente saltare.
Ero forse rimpicciolita io o il libro era diventato più grosso di me di dieci quintali?
Ripeto, quando sei bambino non ti poni queste domande.
Hai la possibilità di vivere un’avventura? La cogli al volo.
La mia tenera età comunque, mi permise di capire in fretta la situazione.
Una figura misteriosa, probabilmente una fata dei desideri mi aveva lasciato una chiave in grado di aprire portali nei libri perché deve aver capito che non esiste un’amante dei racconti più appassionata di me.
O almeno questa è sempre stata la teoria che mi sono fatta fino a una certa età.
Adesso che sono cresciuta voglio delle vere risposte.
Perché affidarmi un dono tanto potente, che non ho mai rivelato ad anima viva?
Non che non ci avessi provato.
 
-Che succede qui? – chiese Suor Beatrice mentre raggiungeva me e gli altri bambini nel cortile.
-Iris è matta – disse quello stronzetto di Roger.
-Non è vero! – mi difesi io – Ho detto la verità!
La suora vide le due mocciose Kira e Lesley che io avevo “accidentalmente” fatto piangere.
-Spiegati, Iris.
-Dice che è andata ad Oz e ha conosciuto di persona Dorothy e lo spaventapasseri – singhiozzò Kira – E non vuole che li conosciamo anche noi!
-E’ una bugiarda! – replicò Roger.
-Non è vero! – dissi io mostrando ancora il libro e la chiave – Sono andata davvero a Oz, grazie a questa chiave magica. Ho aperto le pagine! Ho creato un portale! – ma all’ennesimo tentativo di dimostrazione, il libro e la chiave rimasero impassabili – Non so perché ora non funziona più … ma è la verità …
Le due piansero più forte di prima.
-Ora smettila Iris- disse Suor Beatrice – E’ intollerabile che tu ti inventa delle storie per vantarti e confondere gli altri.
-Non me lo sono inventata! Questa chiave …
-Dove l’hai presa?
Lì mi bloccai: - Io … l’ho trovata …
-Ora me la dai subito.
-No! La prego! Non me la porti via! È un regalo!
-Un regalo? E di chi? Non c’è nessuno qui che ti voglia bene! – mi sfotté Lesley.
-Basta anche tu – la rimbeccò la suora – Dammela, Iris. Potrebbe essere di qualche vecchia porta.
-Ma è mia! – cercai di nasconderla dietro la schiena ma quel piccolo bastardo di Roger me la fregò alle spalle – Ei ridammela!
-Altrimenti che fai? Fai uscire un drago dal libro?
-Non ci sono draghi nel mago di Oz!
-Sei solo una pazza che vive tra le nuvole – si mise a giocherellare – Se questa chiave è magica dovrebbe volare. Proviamo?
-NO! – gridai sapendo già le sue intenzioni.
Troppo tardi. La fece ruotare tre o quattro volte e questa volò via dal suo dito per poi finire dritta nel pozzo del chiostro.
-NO! NO! PERCHE’ L’HAI FATTO? PERCHE?
-Perché mi andava!
-Tu … razza di … - inutile dire che ebbi il mio primo attacco di violenza verso qualcun altro.
E non starà neanche a spiegarvi la punizione che ricevetti.
Vi dirò solo che dopo quella volta cominciai a chiedermi se non fosse stato tutto frutto della mia testa.
Se ritrovarmi in una favola che amo e conoscerne gli eroi fosse un sogno che solo le vere lettrici come me possono immaginare.
Mi ricredetti subito, quando mi ritrovai la chiave in camera quella notte. Che fosse stata la stessa figura misteriosa a riportarla da me? Non posso ancora saperlo.
So solo che riprovai con un altro libro; L’isola del Tesoro.
E da lì capii di non essere matta proprio per niente.
Perché diciamocelo, non avrei abbastanza fantasia in testa, per immaginarmi luoghi così realistici come i Caraibi.
Quella prima perdita mi servì da lezione. Non avrei dovuto dire a nessuno che avevo la possibilità di aprire portali.
Per cui, se avevo voglia di farmi un viaggetto, dovevo stare molto vigile, assicurarmi che non ci fosse nessuno dei dintorni e starci meno tempo di giorni, di più la sera.
Vi starete chiedendo come facevo a tornare dal libro? Nello stesso modo in cui sono entrata. Devo inserire la chiave nella porta dalla quale sono entrata e mi ritrovo punto e a capo.
 
Mentre sto rivivendo i primi momenti di tutta questa situazione sto finendo di preparare la valigia. A parte qualche vestito e un piccolo vangelo (che ho intenzione di buttare quando sarò abbastanza lontana) non ho niente di importante da portarmi appresso.
Ovviamente non mi è permesso portare via con me i miei libri. Infondo non erano del tutto miei. Appartenevano alla biblioteca del convento. Il che significava che se mai avessi voluto rientrare nella stessa storia ma da un libro diverso, sarei parsa estranea ai personaggi con i quali mi ero divertita a crescere.
Ma infondo me lo aspettavo.
Ho diciotto anni. Non posso giocare alla principessa per sempre.
Non ho un piano ben preciso. Ho i miei obbiettivi ma devo approfondirli una volta lasciata questa città.
Con tutti i risparmi che ho messo da parte, più qualche contributo da parte delle poche persone civili in questo posto di merda, prenderò il primo volo delle dieci al Philadelphia International Airport.
Grazie ad una corrispondenza via lettere durata quasi un annetto, sono riuscita ad assicurarmi una convivenza con altre tre persone in un appartamento a Boston.
Sarà temporanea. Giusto una sistemazione che mi consenta di condurre le mie ricerche e risparmiare. Perché ne sono certa, non sarà il primo e ultimo viaggio che farò.
 
Sono con le valigie pronte, nell’atrio del Monastero. Tutte le suore, alcuni monaci e qualche nuovo bambino sono qui per dirmi addio.
Da quando ero piccola a questa parte solo cinque ragazzi sono rimasti come me al convento. Due perché ancora troppo piccoli e tre perché hanno messo il velo. Tra loro c’è quella stronza di Kira (Ora Suor Catherine). Tutti penserebbero che sia “cambiata” dopo aver preso i voti, ma io riesco ancora a percepire quel sorrisetto perfido che mi rivolgeva sempre prima di qualche umiliazione.
Ora invece è neutra. Guarda davanti a sé, aspettando come tutti che arrivi il taxi che mi porterà all’aeroporto.
Su dodici persone ne saluto affettuosamente solo tre.
Suor Maria Angela, una delle novizie che mi confortava nei suoi primi giorni, ora è diventata una donna ma è sempre premurosa.
-Trova la felicità. Dio sarà con te– mi augura baciandomi le nocche e mettendomi un rosario tra le dita. Questo credo proprio che lo conserverò. D’altronde lei è sempre stata una delle poche a dirmi che la libertà è dietro l’angolo quando meno te lo aspetti.
Poi mi avvicino all’abate Gregor, uomo coscienzioso, ma non duro di cuore.
-Le vie del signore sono infinite – mi dice – Ma so per certo che la tua è stata segnata da molto tempo. Pregherò perché tu possa trovarla e seguirla – non so se si riferisce al fatto che non mi sia mai degnata anche solo a pensare di farmi suora. Ma accetto comunque il suo consiglio.
-Grazie – gli bacio le mani.
Passo davanti a tutte le altre suore. Di quelle che più mi bacchettavano è rimasta solo Suor Teresa. Quel suo sguardo cagnesco verso la sua allieva peggiore non varia mai. Non mi scomodo a farle un cenno con la testa.
Mi preparo a salutare la piccola Louiselle.
Ha sei anni, ed è arrivata da un anno dopo che, da come mi ha raccontato, suo padre non vuole che lei un giorno si sposi. Il che vuol dire che molto presto anche lei porterà il velo, dovendo rinunciare ai suoi splendidi ricci.
In quest’ultimo periodo trascorso qui, ho voluto provare a tirarle su il morale e mi sono messa a raccontarle le mie storie preferite, a inventarmene alcune sul fatto che “non tutte le suore sono cattive” e lo penso davvero.
Mi chino davanti a lei. Sta piangendo.
-Ei – le dico accarezzandole la guancia – Non fare così.
-Mi mancherai – singhiozza sottovoce – Chi mi racconterà le favole adesso?
-Loro ne saranno più che felici– non sono molto indotta mentre indico le sorelle – Ti farai tante nuove amiche e racconterai loro tutto quello che io ho raccontato a te.
-Anche quella del tappeto magico?
-Specialmente quella – Le mille e una notte erano sempre stati i suoi preferiti.
-E avrò delle sorelle buone come te?
Il fatto che mi considerasse una sorella maggiore mi fa venire voglia di abbracciarla ma non voglio dare la soddisfazione di andarmene con rimorsi: - Si certo. Avrai tante sorelle, piccole e grandi e sarete una grande famiglia.
-Chi mi garantisce che ci rivedremo?
Esito un secondo. La risposta che vorrei darle significherebbe illuderla e non voglio che già da ora le insegnino che “mentire è peccato” e cazzate simili.
-Nessuno – rispondo sinceramente – Ma non puoi mai sapere cosa ti riserba il futuro.
Sento un taxi alle mie spalle suonare il clacson. È ora di andare.
-Guarda sempre avanti. Prima o poi la felicità arriva – concludo con Louiselle prima di darle un bacetto sulla guancia.
Lei mi prende alla sprovvista saltandomi al collo. Ecco ora posso dire di avere un rimorso; quello di lasciarla lì sapendo quello che ho passato io.
Ma forse con lei sarà diverso. Non è una “figlia del demonio che ha ucciso sua madre”.
Suor Teresa la strattona via da me: - Basta così. Dobbiamo andare in classe – mi rivolge un’occhiata rapida – Addio, Iris. Che Dio ti abbia in gloria.
La vedo trascinare via la bambina ancora in lacrime e questo mi mette davanti a un altro rimorso, ovvero di non aver mai avuto le palle per fare ciò che ho sempre voluto fare ovvero tirarle un sonoro calcio in quel suo culo grasso e dirle di andarsene a f…
-Allora ci muoviamo? – strepita il tassista suonando il clacson.
Mi riscuoto mentre mi ricordo che ora sono maggiorenne, ovvero sono libera.
Infilo la valigia nel cofano, apro di scatto la portiera e rivolgo un ultimo gesto alle suore rimaste sulla porta che ricambiano lievemente.
Finalmente la macchina parte.
-Aeroporto, giusto? – si informa il tassista.
-Sì – confermo mentre superiamo il cancello ed entriamo in aperta campagna.
Presto, l’Abbazia di Santa Isabella si fa sempre più piccola.
So meglio delle monache che non tornerò mai più in questo posto.
Mentre sta scomparendo non la seguo con lo sguardo.
Mi infilo una mano nella collottola e tiro fuori la mia chiave, appesa al collo dalla catenina da cui è unita.
Stringo il pugno e non mi volto per guardare un’ultima volta la mia “casa”
Non ho rimorsi.
  
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