Capitolo 1
"Isabella, devi capire che il fatto che Corrado sia scomparso non rappresenta minimamente un reato o tanto meno un qualcosa su cui indagare. L'ha già fatto per seguire altri casi, chi ti dice che sia per forza correlato a quell'altra roba lì?"
Mario era il solito personaggio secondario di qualsiasi altro giallo mai scritto fino ad ora: con un nome generico tipo Mario, calvo, baffi bianchi, sulla sessantina, collega di un tale Corrado, ovviamente in contrasto con la nostra protagonista per qualche motivo che non possiamo definire immediatamente ma potrebbe essere un punto pivotale della trama.
"Non puoi bollare il fatto che quelle lampadine siano scomparse davanti a casa sua come una semplice coincidenza. Insomma, non è che esistono bande di ladri di lampadine."
Isabella, invece, contrariamente ai soliti stereotipi dei gialli, non aveva nessuna backstory particolarmente tragica.
Nata in Cina, fu adottata in tenera età da una coppia italiana.
Ebbe un'infanzia felice.
Prima che partano le speculazioni, no, Corrado non è il padre biologico.
Corrado era solamente colui che assunse Isabella come stagista nell'ufficio investigativo.
"Per quanto possa sembrare strano, le lampadine costano fin troppo al supermercato. Le lampadine e le pile per i telecomandi costano un occhio della testa. Secondo te perché quando compri i televisori dentro i telecomandi non ci sono le pile?"
"Senti, sono mesi che non abbiamo un lavoro che non sia seguire il coniuge di qualcuno per smascherare qualche fetish strano. Non ti chiedo neanche soldi per farlo. Dammi solo le chiavi del suo appartamento."
Mario tirò su con il naso. In piena estate.
"Tu pippi ancora." gli disse Isabella.
Mario tirò ancora su con il naso.
"Guarda, non mi interessa. Dammi le chiavi e mi farò un po' di cazzi miei."
Coincidentalmente, farsi i cazzi suoi coincideva con il frugare tra la roba di Corrado.
Mario tirò su con il naso per una terza volta. Poi indicò un cassetto.
Lì,
per un qualche motivo, c'erano le chiavi dell'ufficio e
dell'appartamento di Corrado.
Mario era solito tirar fuori deus
ex machina a destra e a manca, e non solo perché il ruolo di un
personaggio secondario è solo quello di facilitare il lavoro del
narratore: attraverso una scusa semplice come “ce le aveva per
un'emergenza del genere” si
può far finta che il fatto che Mario avesse le chiavi di Corrado
abbia un briciolo di senso nello schema generale di due persone che a
mala pena lavorano assieme pur condividendo l'ufficio.
"Gli agenti sono al lavoro da giorni per trovare al più presto i responsabili di questi atti gravosi contro la nostra comunità, ma, purtroppo, ancora brancolano nel buio."
Møbel prestava sempre attenzione alle notizie della radio quando faceva yoga.
Dal suo ultimo tracollo mentale si era convinto, corrompendo il principio di Pareto, quello che constata che l'80% delle risorse sarà distribuito sul 20% della popolazione, che l'80% dei momenti memorabili della sua esistenza sarebbe partito con quello che succedeva mentre faceva yoga, ovvero, il 20% della sua giornata.
Concludendo con un "Namaste", decise che era giunto il momento.
L'universo
gli disse di cambiarsi i pantaloni.
Non era interessato a quali
pantaloni si sarebbe dovuto mettere;
infatti quella decisione non
comportava in minimo modo una sua eventuale selezione, in quanto essa
comprendeva una miriade di variabili che partivano circa dall'ultima
lavatrice che Møbel decise che l'universo richiedeva, al pasto
precedente alla sessione di yoga precedentemente citata. In caso
fosse consistito di fichi avrebbe dovuto evitare a tutti i costi i
pantaloni bianchi.
Quello che era importante era che l'universo
gli avesse detto che c'era bisogno della sua particolare abilità nel
cambiarsi i pantaloni.
D'altronde,
farlo richiede svariate abilità che non sono proprio da tutti.
Il
camminare brevi distanze senza morire o rischiare la vita è una di
queste abilità, spesso dimenticata in favore di altre, come quella
di scegliere i pantaloni in base all'accostamento cromatico in
relazione agli altri capi che in quel momento si stanno indossando.
Insomma,
l'universo aveva, ancora una volta, bisogno della sua capacità nel
camminare brevi distanze senza morire perché c'era un qualcosa che
avrebbe dovuto fare che sarebbe partito proprio da quei
pantaloni.
Quello che Møbel ignorava, però, era cosa.
L'ufficio
di Corrado era il classico ufficio dei telefilm: porta vetro, con
questo, ovviamente, sabbiato, con il nome scritto a caratteri neri,
mobilio vecchio, risultato della crisi di mezza età continua che
perseguitava il proprietario da oramai trent'anni.
“Corrado,
quello che paga le bollette.” riportava la scritta sulla porta.
Avrà pur avuto una crisi d'identità, ma il suo titolo lo sapeva
bene.
In quel quadrilocale effettivamente c'erano solo due uffici
e una sorta di atrio, non è che potevi sbagliarti.
Per quanto
fossero oramai mesi che Isabella lavorava in quello studio, non era
mai riuscita a entrare nell'ufficio personale di Corrado. Già dalle
prime settimane lei cominciava a farsi delle storie assurde su cosa
potesse nasconderci, paragonabile soltanto a quelle che i veri fandom
creano in tutte le fanfiction.
Quando entrò vide la dotazione
standard di un qualsiasi ufficio: scrivania, fogli di carta, un
portatile polveroso, memorabilia dei vari casi.
Sapendo di che
tipo di casi si occupavano, sapeva benissimo che non era proprio il
caso di toccare nulla.
Non che fosse pericoloso in qualche modo,
ma era meglio evitare di toccare ciò che era stato trovato sotto al
letto di un coprofago.
Quello spazzolino la teneva ancora alzata
la notte.
Accese il portatile, e dopo una trentina di secondi,
riuscì a vedere la schermata della password.
Ci pensò un po'.
Cercò un post-it o un qualcosa che era stranamente vicino alla
scrivania con una data o un nome qualsiasi, un quadro spolverato con
su scritto qualsiasi informazione desueta, come il numero di
scatolette di tonno che Corrado comprava mensilmente, ma nessuno ha
più quadri nel proprio ufficio e nessuno si ricorda la password in
modo così stupido.
Provò,
quindi, a improvvisare.
Dopo i primi tentativi, quasi ironici,
come “password01” e “mariopippa”, capì che Corrado non era
tecnofobico come la maggior parte della sua generazione, e se aveva
una password, allora aveva una password sicura. Certo, era uno di
quelli che metteva il nastro adesivo sulla webcam, ma proprio per
questa sua paranoia Isabella sapeva che la password doveva essere
sicura.
Corrado non era un fanatico di una cosa in particolare,
anche se il suo lavoro l'aveva portato a conoscere qualsiasi tipo di
pratica sessuale praticata negli ultimi quarant'anni da qualsiasi
deviato del nord Italia, senza poi contare quelle illegali, non
propriamente definibili sessuali, e quelle borderline legali, sempre
non propriamente definibili sessuali.
“pannoliniperadulti” non
era la password.
Optò
per i kakhi corti.
Li scelse per molteplici ragioni.
Garantivano una massima mobilità, avevano ben sei tasche, gli permettevano di mostrare il polpaccio allenato al mondo, e in più, erano gli unici puliti.
Uscito di casa slegò la bici dal palo e inforcò i pedali.
Arrivato al primo semaforo rosso, appena cento metri da casa, si domandò perché si dicesse "inforcare" i pedali.
Scattò il verde. Lui non partì, ma tirò fuori il telefono per cercare la risposta alla sua domanda.
Proprio in quel momento, da destra arrivò un SUV che bruciò un rosso e prese in pieno la macchina che, appena tre secondi prima, era alla sinistra di Møbel.
Mattinata normale a Milano.
L'etimologia è derivante dal latino volgare, "forca". Non spiegò molto.
Riprese a pedalare, schivò l'unione dei rottami delle due macchine e proseguì per la sua strada.
Møbel non usava un vero e proprio navigatore. Lui contava le persone ferme sul marciapiede e se erano pari girava a destra al primo semaforo, se erano dispari girava a sinistra. Se non c'erano persone continuava dritto.
Quando tentò di fare il pizza boy venne licenziato dopo la prima consegna, ovviamente avvenuta in ritardo di diverse ore.
Arrivò, non si sa esattamente come, davanti a un complesso residenziale della Milano più ricca di quindici anni fa: tra corso Magenta e corso Vercelli. Capì dove fermarsi per il numero di volanti ferme davanti al portone d'ingresso di un palazzo bianco.
Due.
Lo interpretò come un segno e legò la bici ad un palo lì vicino.
Capendo perfettamente che non c'era modo di entrare senza destare sospetti, fece una delle cose più sospette possibili.
Si mise dall'altro lato della strada e tirò fuori un binocolo con cui esaminò il palazzo.
L'odore
che c'era nell'appartamento non era quello di sigaro, come Isabella
si aspettava da Corrado, ma era di bruciato e di pipì di gatto.
Non
sapeva che Corrado avesse un gatto.
I
segni del gatto erano visibili ovunque, effettivamente.
Mobili
graffiati, piume per terra, probabilmente provenienti dal divano,
scatolette di tonno mezze aperte sparse per tutto quello che era il
mono ambiente salone-cucina. Però, nessun gatto.
Isabella lo
cercò per un po', più per altruismo che per amore effettivo per gli
animali. Pensò che se Corrado si fosse rimaterializzato, sarebbe
stato rincuorato nel sapere che la sua palla di pelo non era morta di
fame.
Ma
non c'era.
Cercò sotto il letto, sopra al letto, dentro
l'armadio, fuori dall'armadio, dietro le tende e davanti alle tende.
Non lo trovò.
“Sarà scappato.” Disse una voce fuori campo.
Ecco, nella eventuale versione cinematografica questa scena sarebbe molto più semplice da descrivere: fate finta che la voce appena sentita era, di fatto, familiare.
Entrò dalla finestra che dava sul cortile interno del condominio, contemporaneamente alla voce, la testa di un ragazzo caucasico, capelli castani e disordinati.
A questa testa era già diretto un bicchiere che Isabella prontamente gli lanciò contro.
“La
legge di Poe constata che senza nessun tipo di emoticon, la parodia
dell'estremismo e l'estremismo puro non sono discernibili.
Se un
testo si mantiene sulla zona grigia del non essere prettamente
parodistico e del non essere esattamente rappresentativo di un
genere, pur mantenendo i punti chiave dello stesso, come si
definisce?”
“Quel bicchiere ti ha fatto male”