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Autore: Longriffiths    14/09/2017    1 recensioni
Ed eccomi tornata in questo meraviglioso Fandom a riproporvi una storia ritirata tempo fa, che narra piccole pillole della vita del personaggio più affascinante e meglio caratterizzato nonché mio preferito in assoluto: Bellatrix Black.
Spero piaccia questa piccola raccolta, ringrazio anche solo tutti voi che darete uno sguardo.
Genere: Angst, Erotico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Era sola tra le mura vuote della Villa in cui trascorreva il tempo da quando il suo cognome era mutato per mezzo di qualcuno. 
Il silenzio urla imperterrito, il silenzio le ricorda che non ha nessuno. La cosa la amareggiava: nuvole grigie all'orizzonte. 
Il tempo variava frequentemente andando di pari passo con il suo umore da troppo tempo, dall'ultima volta che aveva visto la figura del suo consorte sparire violentemente. Il rumore secco che accompagnò la sua smaterializzazione fu l'ultimo che udì. Non che le dispiacesse quel'assenza, ma non le era mai piaciuta, la tranquillità, portava ricordi, e lei non voleva ricordare. Era impossibile, più forte anche di lei. Mille immagini sovrapposte e scombinate si fecero largo nella sua mente, picchiandosi, contendendosi l'attenzione. 
Saliva su per le scale a piedi nudi, senza sentire nemmeno i suoi stessi passi. All'ultimo piano in quella stanza: teneva racchiusi tutti i ricordi più belli.
L'accesso è stato esplicitamente proibito a chiunque, da lei. Solo lei poteva entrare, e decidere chi far entrare. È dove andava a rifugiarsi quando sentiva di essere pronta a spezzarsi con un soffio di vento. Aprendo la porta non trova niente, se non il solito letto molto più grande del normale, legno scuro come i suoi occhi, come lei. Nell'armadio il suo lenzuolo preferito non è più del suo colore originale, il rosso scarlatto che aveva sentito sulla pelle l'ha cambiato, ora è molto più bello. Con cura maniacale l'aveva riposto e da quel momento lo custodiva come un tesoro prezioso, perché per lei rappresentava proprio quello. 
Una goccia, primo ricordo: quella notte. 

Bellatrix passava con il polpastrello del dito indice il contorno del bicchiere di cristallo ormai vuoto, nell'ampio salone di Villa Lestrange. Erano settimane che il marchio non bruciava più, che il suo padrone non la chiamava a sé per una missione, in compenso ci mandava suo marito,  e lei si trovava da sola. Ancora. Distrattamente posò gli occhi sul suo avambraccio sinistro notando con grande stupore ed eccitazione che il suo marchio non era più sbiadito.  Era nero, nero come la pece. Corse alla finestra, una nube di fumo nero sotto la luce argenta della Luna stava prendendo forma proprio davanti alla porta d'entrata. L'uomo non fece in tempo a bussare che questa si spalancò, lasciandolo con una mano a mezz'aria davanti alla figura della riccia, che s'inchinò in segno di saluto e rispetto. Gli occhi rossi di Lord Voldemort scrutarono quella che era la sua pupilla. Così giovane, tremendamente brava. Venticinque anni lo separavano dalla ventenne ora intenta ad inviarlo ad entrare. Senza proferir parola, Voldemort avanzò.
《Ancora sveglia, Bellatrix? 》
《Solo una delle mie notti insonni,  Mio Signore. Come procede la missione? Gradite qualcosa?》
《Vino Elfico. Questa notte le bestie del bosco hanno voluto privarci dei loro lamenti. Mi sono detto: i miei Mangiamorte gradiranno la quiete. Poi, mi è venuto in mente che ce nè una che potrebbe impazzire senza, non avendo che quelli ad accompagnare il suo sonno nei momenti in cui il suo letto è vuoto per metà. E sono venuto qui. Curioso, non è vero? Avevo ragione?》
Le lancette dell'orologio cambiarono di posto varie volte, i rintocchi accompagnati dalle loro voci. Non aveva ben capito il motivo preciso della Sua presenza lì,  ma trovarsi così vicina a Lui e sapere che a parte loro due e la servitù l'abitazione era vacante, accendeva in lei desideri proibiti e pensieri indegni, che non sfuggirono all'uomo perfettamente in grado di leggerli. 
《Bevi con me, Bella. La tua compagnia consiste anche in questo.》
《La.. mia compagnia? Siete qui per avere la mia compagnia?》
《Mi sembrava di averti già fatto presente il motivo della mia improvvisa comparsa in casa tua.  Non mi ascolti più,  forse? O magari, non ti sono gradito.》
《No Mio Signore! Certo che vi ascolto,  io... sono onorata di avervi qui. Solo non mi aspettavo di potervi essere utile in tal modo, a quest'ora》
《Mh. Lo so. So anche questo, Bellatrix. Evidentemente avevi, /hai/ altre intenzioni. Avanti, dimmi che cosa vuoi.》
Troppo vicini per impedire al vino che aveva nel bicchiere di barcollare pericolosamente al suo interno. Rosso come l'inferno e nero oscurità dei loro occhi entrarono in contatto. La stava mettendo alla prova? Quel "Voi, Mio Signore" in un sussurro appena percettibile uscì dalle labbra della donna. Con un ghigno divertito, Lord Voldemort decise di concedersi le grazie che la sua pupilla era pronta a offrire. Si fece scortare in una camera precisa, la più bella della Villa, di proprietà della strega. Senza alcuna forma di delicatezza, scivolò con la mano verso la coscia di lei sino a recuperare il pugnale che aveva in un fodero allacciato su di essa, tagliando in malomodo tutti i fili che tenevano legato il corsetto sino a liberarla dal vestito cocente avendo assorbito il calore del suo fuoco sveglio e bollente. Disteso sul letto scuro dal lenzuolo smeraldo,  Voldemort sentì il suo lato umano ancora inesorabilmente presente in lui metre la lingua della riccia percorreva il suo collo, e la detestò. Perché lei gli ricordava tutta la debolezza delle carni. Doveva punirla. 
Bellatrix si trovò schiacciata sotto il Suo peso. I due corpi nudi e pronti per unirsi aspettavano solo un ultimo cenno d'assenso che non tardò ad arrivare. Il basso ventre di lei fremeva sotto il Suo tocco, che non era altro che una muta richiesta di supplica. Non si era mai sentita cosi viva. Gemeva nell'attesa di fondersi col suo padrone. Un urlo di piacere risuonò nella stanza quando la distanza tra loro fu annullata, e lei accolse caldamente il languido modo in cui era stata presa. Quel lamento lo spinse a continuare sempre più forte senza darle tregua, ma lei non obiettava: ne era avida e ingorda. Le unghie smaltate di nero si conficcarono nella Sua pelle graffiandone ogni centimetro, portando quella schiena a sanguinare non poco.  Morsi, graffi, dita avvolte i capelli, odore di sangue, odore di sesso. Un doloroso piacere infinito.  Una notte perfetta. Proibita, e viva.



Osservò la sua collezione di pugnali messi in ordine sul mobile in cui teneva le maschere d'argento e i vari mantelli per le missioni che adempiva. Sfiorava le loro lame con fare esperto con l'assoluta sicurezza di non ferirsi mai. Eppure fu tradita. Una calda scia ricadeva sul palmo della mano insinuandosi nelle linee di esso, risaltandole. Linea della vita, linea della fortuna, linea dell'amore. È un taglio così fine da non essere nemmeno visibile ad occhio nudo, impossbile pensare che il suo liquido colava, come la sua vita. Impossibile credere che abbia iniziato a poco più di quindic'anni, eppure i segni che lasciava davano prova della sua bravura testimone di molti anni di duro impegno.
Seconda goccia, secondo ricordo: quelle notti. 

Le mura del Castello non erano mai state tanto noiose, da quando aveva saputo. Quindici anni e idee chiare, ambizione alle stelle. Libri di magia dal reparto proibito della biblioteca stretti sotto il suo braccio, la bacchetta stretta in un mano. Un'aula nel bel mezzo della notte pronta ad essere usata per campo d'allenamento. Insonorizzazione effettuata,  non restava che agire.
Sfogliò il libro appoggiato sulla cattedra per poi far si che una delle sedie diventasse un innocente gatto bianco. Dopo un pò una X fiammeggiante era in bella vista sul suo pelo bruciato, l'odore della carne arrivò alle narici della ragazza che ai lamenti sofferenti dell'animale rideva sadica e soddisfatta. Una zampa squartata, la coda ridotta in cenere, un orecchio mozzato ed infine, la fattura della frusta. Gli organi interni dell'animale lesionati  con un'emorragia corso. E lei si nutriva di quell'esistenza cessata per mano sua.




Il braccio destro scoperto è segnato da una lunga scia lucente e brillante. Andava sino al gomito ove terminava il suo percorso lasciandosi andare sul tappeto sottostante. È il braccio sbagliato, non è quello più ama contemplare anche se il suo colore preferito la chiamava. Spostò i suoi profondi pozzi di oscurità sull'avambraccio sinistro. 
Terza goccia, terzo ricordo: la sua notte. 

Il maniero dei Black era tranquillo. Gli abitanti dormivano: tutti a parte lei.
Aveva messo a disposizione la casa per il momento in cui sarebbe stata marchiata fuoco.
La luna era scomparsa quella notte, intimorita. 
Decine di uomini iniziarono ad entrare in casa venendo serviti di cibo e alcolici dagli elfi giovani.  Quando la sedia a capo del lungo tavolo de salone fu occupata, tutti tacquero, udibili erano solo le forzate suppliche incomprensibili del babbano legato e sospeso a mezz'aria. 
《Divertiti, giovane Black.》
Nessuna pietà,  nessuna esitazione,  solo eccitazione e prontezza albergavano in lei. Alzandosi e fissandolo negli occhi con un abbaglio di cattiveria e divertimento,  Bellatrix lo torturò a dovere sotto le risate d'approvazione e incitamento dei futuri colleghi, finché non fu interrotta dal sibilo di un grosso serpente avvolto intorno alle spalle  Lord Voldemort,   successivamente dalla voce.
《Basta. Uccidilo.》
Di nuovo silenzio. Un lampo di luce verde illuminò i presenti e consentì all'anima di quell' uomo di abbandonare il corpo, e a quella bestia di nutrirsi. 
Sentì il suo braccio scottare in un modo inimmaginabile,  ripagata del piacevole dolore da un meraviglioso serpente nero.
《Benvenuta nella cerchia,  Bellatrix Black.》 



Sembrava così lontano ormai quel momento in cui aveva affidato mente, corpo ed anima permettendo a qualcuno di farne il suo volere. Il volere che anche lei brama. Che brama fare. Improvvisamente quel silenzio non sembrava più tanto cattivo, in quella stanza. Lasciò vestito scivolarle lungo i fianchi e le gambe scavalcandolo per vestire solo dell'aria e dei pizzi che nascondono la tua intimità. S'abbandonò ai ricordi, e la pioggia battè contro la finestra. Spalancò le sue porte e con cautela poi si adagiò sul materasso, beandosi della morbidezza delle piume nel cuscino. La cascata di ricci corvini diventò l'unica coperta per le sue spalle nude. La pancia schiacciata sul letto, il braccio sporco intorno alla vita a ricordarle che lei stessa c'era sempre quando aveva bisogno del conforto fisico, il braccio sinistro all'altezza del volto adagiato sulle sue labbra. Un sospiro andò a smuovere il meraviglioso serpente nero che sotto il suo tocco danzò per lei. Per ricordarle che invece la sua mente era ininterrottamente confortata a dovere dall'immagine indelebile di colui che l'aveva condannata al peccato dell'amore maledetto, addormentandosi tranquilla, e dannata.

   
 
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