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Autore: Snix91    15/09/2017    0 recensioni
In assenza di Wynonna Earp pubblico questa storia nella categoria The100 dove ho già scritto "Hope" fanfiction sulle Clexa/Elycia.
Trama: Racconto breve sulle Wayhaught (per chi non lo sapesse sono Weaverly e Nicole una coppia del telefilm Wynonna Earp). La storia è ambientata nel mondo di Wynonna ma senza l'esistenza di demoni.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella notte non chiusi occhio con la speranza che le ore passassero in fretta solo per vestirmi e andare da Nicole. Era passato un giorno da quando non la vedevo e già mi mancava come l’aria. 

 

Arrivata in ospedale ebbi il consenso da parte dei medici per andare da lei e senza pensarci due volte mi precipitai nella stanza numero 51.

 

Entrai con molta calma e senza far troppo rumore. 

 

La vidi a qualche metro di distanza, distesa e inerme. Chiusi gli occhi al solo pensiero di vederla soffrire. Avanzai senza esitare sospirando di tanto in tanto. Mi morsi il labbro inferiore solo per trattenere le lacrime.

 

Presi una sedia posta accanto a lei e ne presi posto. Mi tolsi la giacca con molta delicatezza e scostai leggermente la mia coda di cavallo dalla mia spalla.

 

A quel punto cominciai a fissarla.

 

Aveva un’aria pallida e ancora era attaccata al respiratore. Un cerotto lungo più o meno 15 cm le fasciava una parte del collo fin sopra la clavicola. La gamba non riuscii a vederla poiché era coperta da un lenzuolo.

 

Mi voltai di nuovo verso il suo viso e respirai a fatica. Le sue braccia erano distese al di fuori della coperta.

 

D’istinto allungai una mano e la posai sopra la sua. Al tocco mi venne un brivido e calde lacrime rigarono le mie guance.

 

La strinsi con la speranza che lei mi disse un segno ma ciò non accadde.

“Baby.” la chiamai come lei mi chiamava di solito ma nulla, non sentì neanche quello.

 

Rimasi in silenzio standole accanto per tutto il tempo finché non terminò l’orario delle visite.

 

Da quel giorno cambiarono molte cose. Non avrei mai immaginato che sarei dovuta stare seduta su quella sedia per sei lunghi mesi. Durante quel periodo accadde di tutto, ma quella più importante fu quando ci informarono che purtroppo il corpo di Nicole non aveva superato l’infezione alla gamba e quindi furono costretti a prendere la decisione di amputarla dal ginocchio in giù. Quando ebbi quella notizia per una settimana non ebbi il coraggio di uscire di casa rischiando anche il licenziamento. Ogni giorno pregavo per il suo risveglio e puntualmente tornavo a casa sempre nello stesso modo.

 

Mi presi cura di lei tutti i giorni, persino quando fu in grado di respirare da sola, senza più l’aiuto della macchina ero presente.  

 

Tra tutte le cose più assurde quella che mi rimase in mente e che mi fece accorgere del tempo trascorso furono la lunghezza dei suoi capelli che con il tempo avevano raggiunto le spalle e di poco anche superate.

 

Era bella come sempre ed io non potevo fare a meno di starle accanto, pur soffrendo.

 

Il giorno della grande notizia ero da Shorty’s insieme a Rosita la mia collega nonché proprietaria del locale. 

 

Ero rientrata da un mese a lavoro e questo fu possibile anche grazie alla comprensione e al sostegno di Rosita e mia sorella. 

 

Stavo ripulendo la macchina del caffè quando ricevetti una chiamata dall’ospedale. Alle parole del medico sgranai gli occhi e cominciai a ridere e piangere allo stesso tempo. Rosita mi guardava spaventata e allo stesso tempo accigliata.

 

Qualche minuto dopo riappesi il telefono e la guardai.

 

“Si è svegliata.” mi uscii dalla bocca e senza alcuna spiegazione afferrai la giacca e andai verso l’uscita. Rosita non mi disse nulla e comprensiva mi lasciò andare.

 

Quando arrivai in quel luogo ormai familiare andai subito nella sua stanza ma ciò che vidi mi fece subito togliere il sorriso dalla bocca.

 

“Nicole.” dissi in trepida agitazione quando due medici ed un infermiere cercavano di farla calmare tenendole le braccia. Probabilmente era ancora scossa da tutta la situazione.

 

Al suo nome si voltò verso di me e sgranò gli occhi. 

 

Era spaventata.

 

L’infermiere fece in tempo a somministrarle un calmante e pian piano il suo sguardo si affievolì cadendo in un sonno profondo.

 

A bocca semi aperta assistetti a tutta la vicenda e subito dopo il suo medico mi fece allontanare.

 

Rimasi per una buona ora in seduta in sala d’attesa fin quando fui chiamata dal dottore.

 

Avendomi visto per sei mesi ormai sapeva bene chi fosse.

 

“Allora? Cosa succede?” chiesi con il cuore a mille. Non riuscivo a stare ferma.

 

L’uomo non la smetteva di fissarmi.

 

“La situazione è questa…” cominciò “…Nicole si è svegliata dal coma ed è stabile ma probabilmente al suo risveglio si è accorta della gamba e la cosa è andata a degenerare.”

 

Ero in silenzio. Volevo ascoltare ogni singola parola.

 

“…adesso l’unica cosa da fare è aspettare e informarla della situazione. E’ normale svegliarsi in questo modo dopo sei lunghi mesi…” non aveva poi così tutti i torti “…ha bisogno di sapere cosa è successo e soprattutto di ricordare.” Mi spiegò il medico.

 

Mi mise una mano sulla spalla.

 

“Ora deve starle accanto e farla sentire normale. Sarà una lunga convalescenza e difficile da gestire ma so che lei può farcela.” mi rassicurò ed io non feci altro che annuire.

 

Due giorni dopo mi diedero la notizia che poteva uscire dall’ospedale e dopo tante insistenze da parte di Wynonna sul fatto che volesse accompagnarmi le dissi che era meglio se andavo da sola.

 

Ero seduta di fronte a lei mentre un’infermiera l’aiutava a vestirsi. Non parlammo quasi per niente.

 

Nicole era pallida, triste e spaesata.

 

Durante quei giorni era stata messa al corrente di tutto ma purtroppo c’era d’aspettarsi quella reazione.

 

Aveva i suoi capelli del color del rame legati in una coda alta, corta e scomposta. L’infermiera le aveva fatto indossare un pantalone della tuta, una felpa grigia con su scritto “Purgatory Sheriff Department” e una giacca che io stessa ero andata a prendere personalmente a casa sua.

 

Era seduta sul letto. La schiena le faceva leggermente male.

 

Aveva entrambe i palmi delle mani poggiati sul letto e lo sguardo fisso a terra nel vuoto.

 

Non mi guardava, a differenza di me che la osservavo con apprensione.

 

L’infermiera si allontanò per qualche minuto permettendoci di stare un pò da sole.

 

“Sono così felice che tu stia bene.” le dissi con gioia.

 

Lei si limitò solo ad annuire.

 

Ritirai il mio sorriso. Avevo paura di dirle qualcosa che non andava.

 

La donna rientrò con una sedia a rotelle e aiutò Nicole a sedersi. Una volta accomodata fui io a trainarla fino all’uscita.

 

Fuori la stanza il medico ci fermò.

 

“Eccola qui l’eroina.” scherzò su l’uomo e lei accennò solo un piccolo sorriso. Il dottore allungò le mani spostando il volto di Nicole solo per accertarsi che la cicatrice si fosse rimarginata.

 

“Andrà tutto bene….” disse ricomponendosi. “…adesso dovrai stare un mese a riposo e poi inizierai la fisioterapia. Purtroppo centri specializzati sulle protesi qui a Purgatory non ce ne sono, quindi a tempo debito ti consiglierò io una struttura adatta, dove non dovrai pagare l’affitto dell’appartamento o spese mediche. E’ tutto a carico dello Stato e del servizio di polizia.” disse l’uomo e Nicole si limitò solo ad ascoltare.”

 

La guardò comprensivo e per qualche secondo rimase in silenzio, mi rivolse uno sguardo e proseguì.

 

“Adesso vi lascio andare. Mi raccomando Nicole, sii forte.” concluse con gentilezza e da quel giorno in poi non avrei mai immaginato di vivere momenti d’inferno.

 

Il primo mese fu davvero deleterio per me. Decisi di trasferirmi a casa sua dandole modo di superare la fase depressiva che ormai aveva invaso ogni centimetro del suo corpo. Non mangiava, si rifiutava di parlarmi, non si alzava dal letto e di tanto in tanto tornava in se rispondendomi in malo modo.

 

Sapevo in cuor mio che la situazione non era delle migliori ma dovevo comunque farmi forza soprattutto per lei.

 

Le cucinavo, lavavo la biancheria, l’aiutavo a lavarsi anche contro il suo volere, la spogliavo o mettevo a letto. L’unica cosa che mi riservavo era andare a lavoro e mia sorella fu persino costretta a portare mia nipote da Shorty’s anche solo per vederla 5 minuti.

 

Trascorso quel mese, il medico ci informò dei prossimi avvenimenti ed io a malincuore presi la decisione di trasferirmi con lei per seguire il suo percorso. Lasciai tutto momentaneamente. Il mio lavoro, la mia famiglia e la mia casa. La destinazione fu Toronto, e li vi trascorsi quattro mesi in totale sofferenza. Dato che dormivo sul divano e non con lei, quello era l’unico momento in cui mi sfogavo e piangevo. C’erano dei giorni in cui andava tutto bene, altri che non poteva neanche vedermi.

 

Ogni sera mi riservavo del tempo per telefonare a mia sorella e ogni volta mi ascoltava apprensiva, dicendomi persino che dovevo tornare a casa e non farmi trattare in quel modo. Ma finalmente, un giorno, ebbi una reazione e decisi che era arrivato il momento di reagire e farsi sentire. Forse era l’unico modo per capirsi perché in fondo con il silenzio non potevamo capire cosa volevamo entrambe.

 

“Perché non la smetti di trattarmi in questo modo?” le dissi dopo che lei mi aveva riservato un rimprovero a dir poco inutile.

 

Era seduta sul divano, sguardo fisso davanti la tv.

 

“Fai quello che vuoi, Weaverly.” disse in totale calma. Non si scompose di un millimetro.

 

Da quel momento ci fu una discussione che forse durò quasi un’ora in cui io le spiegavo di tutti i sacrifici che avevo fatto per lei, e lei mi diceva di quanto fosse stupido ciò che dicevo visto che lei era quella che aveva perso una gamba, perso il lavoro della sua vita e le sue aspirazioni. 

 

Non ci vidi più.

 

Le lacrime tornarono a farsi sentire, questa volta di fronte a lei, ma con forza non le feci uscire. Presi a correre nella direzione del bagno ma prontamente Nicole dal divano mi afferrò per il polso ed io sorpresa mi fermai.

 

Non disse nulla. Io la guardai e finalmente, dopo tanto tempo, i nostri sguardi s’incontrarono nuovamente e nonostante tutto quello che era successo il mio cuore fece mille capriole.

 

I suoi occhi color nocciola erano dispiaciuti e stanchi e non facevano altro che scrutarmi.

 

“Scusa.” uscì dalle sue labbra dopo qualche secondo.

 

Mi venne ancora più da piangere.

 

Allentò la presa dal polso, e quel momento lo sfruttai per annuire e andare verso dove stavo andando poco prima. 

 

Da quel giorno le cose finalmente migliorarono. L’accompagnavo dalla fisioterapista, mangiavamo insieme sullo stesso tavolo, parlavamo del più e del meno arrivando persino a chiedermi cosa avessi fatto tutto il tempo che lei era in coma, ma puntualmente le rispondevo che passavo le mie giornate tra ospedale, casa e lavoro. L’accompagnavo a fare passeggiate trainandola sempre con la sedia a rotelle e l’aiutavo in casa ad abituarsi alle stampelle. 

 

In alcuni momenti riuscii persino a farla sorridere soprattutto quando cadde su di me con tutto il suo peso durante una prova che facemmo in casa. Vederla superare di nuovo la mia altezza fu un’emozione incontrollabile.

 

Durante tutto quel tempo non persi mai l’abitudine di telefonare ogni sera a mia sorella e quando mi ritrovai fuori al balcone a parlare con mia nipote non riuscii più a trattenermi.

 

Quando tornai a parlare con Wynonna piansi forte e lei non faceva altro che dirmi se poteva venire lì ma le dissi che andava tutto bene e che non serviva.

 

Mi mancavano da morire e l’unica cosa che feci era tenermi tutto dentro e non dare ulteriori preoccupazioni a Wynonna.

 

NICOLE:

 

Ero distesa sul letto cercando conforto tra le lenzuola. Avevo la schiena leggermente alzata e poggiata su due cuscini. In mano tenevo ben saldo un libro che non avevo nemmeno voglia di leggere. Lo guardavo e rileggevo sempre le stesse righe non riuscendo a concentrarmi. Improvvisamente sospirai, chiusi il libro e lo posai accanto a me sul letto.

 

Anche gli occhi mi abbandonarono e nel momento in cui raggiunsi il più totale silenzio la mia attenzione fu attirata da incessanti singhiozzi che non la smettevano di tamburellare le mie orecchie.

 

Riaprii piano gli occhi e riconobbi subito il pianto di Waverly proveniente dall’altra parte della stanza.

 

Piano mi alzai facendo forza con le braccia e usando come supporto il comodino mi alzai in piedi tenendomi in equilibrio. Feci due balzi appigliandomi a qualunque mobile o muro che sia e raggiunsi l’entrata della mia camera.

 

Nel momento in cui mi sporsi la vidi rientrare e chiudere la finestra scorrevole. In quel preciso istante mi guardò, e quando mi concentrai su quegli occhi rossi e gonfi mi sciolsi completamente.

 

 

WEAVERLY:

 

Terminata la telefonata mi apprestai a rientrare. L’aria era pungente.

 

Chiusi la finestra alle mie spalle e quando mi voltai fui sorpresa nel vedere Nicole in piedi, poggiata sull’uscio della porta della sua stanza.

 

Mi fissava con tenerezza ed io ero totalmente ammaliata dalla sua bellezza, nonostante indossasse una t-shirt bianca e un pantaloncino sportivo. Aveva i capelli semi raccolti, il resto ricadevano sulle spalle.

 

Il mio sguardo cominciò a vagare lungo il suo corpo e mi fece un pò impressione vedere che una gamba non c’era ma la cosa non mi spaventò.

 

“Che ci fai in piedi?” le chiesi avanzando verso di lei e asciugandomi le poche lacrime che mi erano rimaste sulle guance. Tirai su con il naso.

 

“E’ tutto ok?” mi chiese con dolcezza, mentre posai il cellulare sul tavolino di fronte la tv.

 

“Si, sto bene.” mi limitai a rispondere mentre lei continuava a stare lì a braccia conserte.

 

“Era Wynonna?” mi domandò.

“Si era lei e poi stavo parlando con mia nipote…” esitai non volendo ripensare alla voce tenera della bambina e cambiai subito discorso “…tu piuttosto, non dovresti stare in piedi senza un sostegno. Hai sentito cos’ha detto la fisioterapista.” le risposi avvicinandomi di più a lei.

 

Le presi un braccio e me lo portai sulle spalle. Lei se lo lasciò fare.

 

L’accompagnai in stanza tenendola stretta a me. Sentivo il suo respiro caldo sfiorarmi l’orecchio. Mi era mancato il suo profumo di “Donuts" che emanava ogni volta che le stavo troppo vicino.

 

Sapeva di buono.

 

L’adagiai sul letto passando il suo braccio sopra la mia testa. Si sedette più comodamente.

 

Anche io mi sedetti accanto a lei sistemandole la t shirt che aveva scoperto la sua pancia. Da quando mi ero presa cura di lei era l’istinto a guidarmi nel fare le cose. Lei prontamente mi anticipò sistemandosela da sola.

 

Sorrisi.

 

“Io ora vado a dormire.” le dissi alzandomi dal letto con l’intento di andare in salotto e aprire il divano letto.

 

Mi fermò di colpo.

 

“Weaverly?” mi chiamò ed io tornai a sedermi. La guardai.

 

“Ti va di dormire con me?” mi domandò ed io rimasi senza parole. Non sapevo cosa fare ma dopo qualche secondo pensai che forse non c’era nulla di male nel dormire insieme.

 

Ormai le cose tra noi non erano più come un tempo quindi l’imbarazzo si faceva sentire. Era come se non la conoscessi, come se io dovessi conoscerla di nuovo.

 

“Va bene.” le risposi con un pelo di agitazione e mi apprestai a fare il giro del letto. Sentivo i suoi occhi puntati su di me. Mi seguirono per tutto il tempo.

 

Per un attimo le diedi le spalle, infine dopo un lungo sospiro mi allungai accanto a lei.

 

Entrambe lo sguardo fisso sul soffitto.

 

“Notte.” si limitò a dire dopo qualche minuto di silenzio, accompagnato solo dal rumore dei nostri respiri.

 

“Notte.” le dissi e provai a prendere sonno.

 

Ad un tratto sentii la sua mano afferrare la mia e me la strinse forte. Mi venne un brivido lungo la schiena che mi fece riaprire gli occhi. Non mi voltai a guardarla, semplicemente, ricambiai la sua stretta e provai a dormire, sentendomi al sicuro.

 

“So che vuoi tornare a casa dalla tua famiglia.” sentii la sua voce nel buio.

 

“Perché mi dici questo?” questa volta mi girai verso di lei vedendola appena.

 

Lei continuava a fissare il soffitto.

 

“Lo so che vuoi tornare da loro, ed è giusto che tu vada.” mi disse a malincuore. Sentivo nella sua voce il dispiacere ma nello stesso tempo il sollievo nell’avermelo detto.

 

Quella notte parlammo molto fin quando non presi la decisione di partire e tornare da Wynonna.





to be continued.....

  
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