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Autore: palanmelen    18/06/2009    3 recensioni
Draco vorrebbe non esser più. Harry, che qui lo trattiene, donagli l'annullamento ch'egli vuole. Ma vorrebbe far vincere in lui il desiderio d'esistere. Insieme.
Post 7mo libro senza epilogo.
Genere: Triste, Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Il trio protagonista, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy | Coppie: Draco/Harry
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Muoveva gli occhi sotto le palpebre chiuse.
Harry era il calore contro la schiena, era la carezza possessiva e pensosa sul fianco, era il respiro dietro l’orecchio.
Draco era stanco nel cuore di una stanchezza incosciente, infantile, pura, che Harry gli lasciava, che assomigliava al sonno di un bambino nel grembo.
La mano di Harry sul petto, sulla pancia, la pesantezza delle coperte, lo facevano sentire in acqua.
-Draco… ti ricordi dove dobbiamo andare domani, vero?-
Pesanti, le palpebre si rifiutarono di aprirsi. –Do. Domani?.
-Domani pomeriggio, io e te…-
-Mh?-
-Dai tuoi.-
Draco sussultò. –Ma… ma non era una cosa in forse?-
-Era una cosa in forse settimana scorsa.-
Draco deglutì, strinse le braccia al petto. –Ah… e… non si può rimandare?-
-Draco…- Il tono con cui Harry lo sgridava (lo faceva sentire in colpa) era serrato come la sua mano sull’anca.
Sospirò. –Sì, ecco… non sono preparato. Non… non mi ricordavo che era per domani.-
-Te lo sei voluto dimenticare, come al solito. Sai benissimo che non posso rimandare. Ho impiegato due settimane e parecchi favori per ottenere l’attivazione della passaporta. E sai benissimo anche che tu non sei mai pronto.-
Draco girò la testa nel cuscino. Ormai era svaporata la tranquillità necessaria al dormire. Sentiva un sapore ferrigno sotto la lingua. La pesantezza di una corda sul collo. Un freddo di metallo nel cuore, che faceva bruciare l’atmosfera insopportabilmente attorno a lui.
Harry gli cinse la vita e si strinse contro di lui. –Partiremo alle due e torneremo alle sei e mezza. Pensi di poterle sopportare, cinque ore e mezza?-
Draco annuì.
Il calore non era più piacevole, l’abbraccio non lo cullava più.
Draco avrebbe voluto sgusciare via dal letto.
Avrebbe voluto rifugiarsi in un luogo freddo almeno quanto era lui dentro, da solo.
Harry non lo avrebbe lasciato andare.

 

-Mi cambio.-
Harry rise (flash di denti bianchi sotto le labbra rosse). –No!-
(Grigio perché le palpebre rimanevano troppo tempo chiuse nel loro sbattere. Mani che tremavano) –Ma dai… mi cambio.-
-No!-
-Non sto bene.-
Harry lo guardò da sopra gli occhiali (lo sguardo di quando lo voleva nudo sul letto. O. Di quando riteneva che lui avesse fatto qualcosa di stupido) –Smettila. Sei bellissimo.-
Draco strinse e rilasciò i pugni. –Harry, sono pallido, sono biondo. Non posso vestirmi tutto di bianco.-
-Certo, vestiti di scuro, così ti squagli appena arriviamo. Dai, sbrigati, manca cinque alle due.- Alzò gli occhi al cielo, mentre lui (le mani agitate sulla giacca, sui pantaloni, nei capelli) si guardava intorno cercando chissà cosa, camminava avanti e indietro per il salotto. –Come se non avessimo impiegato tre ore a vestirti.- borbottò. –Razza di perditempo.-
-Mi cambio solo la maglia.-
-Sta fermo! Hai preso i fiori?-
-Sì, sì, sono qui, sulla poltrona…-
Harry gli afferrò con uno strattone le braccia. –Fermo.- Draco annuì, deglutì. –Smettila di sbatacchiare le palpebre.- Draco chiuse gli occhi. Harry fece un verso d’assenso. –Respira.- Draco si riempì fino in fondo i polmoni, trattenne il fiato, espirò. –Bravo. Prendi i fiori.- Draco li raccolse tra le braccia. Harry gli mise in mano la passaporta. -E ora andiamo.-

 


Il rumore della risacca sugli scogli sembrava irreale. Il vento tiepido mascherava il calore del sole. La luce era bianca ed accecante. Chiuse gli occhi. Tanto c’era la mano di Harry sulla sua schiena a guidarlo.
Tonc. –Tonc. –Tonc.
Draco sapeva riprodurre la cadenza di quel suono a memoria.
Tonc. –Tonc., faceva il bastone di suo padre.
-Signor Potter. È riuscito a riportarlo qui, finalmente.-
Quel tono vibrante la sua voce l’aveva acquistato col tempo.
Draco socchiuse gli occhi e vide Harry e suo padre stringersi la mano.
Lucius era invecchiato. I suoi capelli erano candidi e brillanti. Le punte delle ciocche si arricciavano sulle sue spalle. Rughe attorno alle labbra, agli occhi. Strana aria da saggio.
Suo padre indossava un completo color sabbia, in onore del loro incontro, e sembrava un attore degli anni d’oro, con tanto di Panamà col nastro nero. Non c’era più il bastone d’ebano col pomello d’argento. Ora Lucius di sosteneva con una stampella di titanio.
Draco si accorse che Harry gli aveva tolto i fiori dalle braccia.
Sapeva cosa ci si aspettava da lui.
Si avvicinò a quell’uomo così anziano cercando di aggiogare le proprie labbra ad un sorriso. Lo abbracciò, lui gli poggiò una mano (mano nodosa, mano tremante) tra le scapole.
Draco respirò un odore di mare, d’acqua di colonia. Di vecchiaia.
Quell’uomo sapeva di vecchio, di malattia.
Draco strinse le sue spalle non più forti, col naso nel suo collo e gli occhi chiusi. Nel fondo del suo odore riconosceva quello di suo padre. Così in fondo. Troppo in fondo. C’era troppo odore di vecchio a nasconderlo.


Eppure, quando arrivarono al porticato, Draco rimase incantato nel vedere sua madre.
Era una donna anziana, sì, e i suoi capelli non erano più color del grano, e i suoi occhi erano troppo chiari, troppo lucidi quando ricevette i suoi fiori.
Draco rimase incantato ad ammirare quanto l’amore e la commozione la trasfigurassero in una bambina.
Si sentì un cane, un vero bastardo, peggio di come lo faceva sentire Harry, perché realizzò che al mondo c’era qualcuno che lo amava forse più di lui.
Come, con che coraggio, che vigliaccheria avrebbe potuto fare del male ad una bambina così fragile?


Erano due anni che non si vedevano e non si parlavano. In due anni, neanche avevano potuto scriversi.
Loro, per quanto privilegiati, erano criminali di guerra. L’isolamento dalla comunità era la loro pena.
La lontananza da loro figlio, quasi una punizione divina.
Per Draco era stato quasi un sollievo. Non vedere la sofferenza di suo padre, la premura ansiosa di sua madre. Ed era più facile fare finta che non esistessero, che a parte Harry non ci fosse più niente a legarlo.
Harry e Lucius parlavano di politica. Suo padre era affamato di notizie, perché l’ozio era difficile da sopportare per un uomo che come lui era stato impegnato tutta la vita.
La cronaca di Harry su chi tra i suoi vecchi amici e nemici salisse e scendesse nei giochi di potere era sincera e completa.
Lucius raccontava vecchi aneddoti e Harry ghignava, chiedeva conferme con un “Sì?” un po’ maligno.
Draco non si interessava di quelle cose.
Sua madre, seduta davanti a lui dietro il vassoio di dolcetti (Lucius aveva avuto il permesso di mangiarne solo due), gli carezzava la mano allungata attraverso il tavolo.
Draco aveva paura che arrivasse la domanda (la domanda “alla Harry”), perché a lei non poteva mentire.
Però lei non chiedeva niente, lo accarezzava e basta, come se volesse consolarlo, con i suoi occhi troppo chiari e troppo dolci, troppo buoni.
Draco si sentì in colpa come un bambino. Molto, molto peggio che con Harry. Sua madre gli faceva pizzicare il naso e gli occhi.


Per quanto rimanere con loro lo mettesse a disagio, quando arrivò l’ora del tè, Draco sentì che era troppo presto.
Fu preso da una strana ansia infelice nello scoprire che già erano le cinque.
Da una mezzora Lucius li aveva coinvolti in una discussione su quello che volevano fare (il tono lo riportava alle estati della scuola, a quella del terzo anno, “cosa vuoi fare da grande?”, e Harry era solo una scocciatura in una vita quasi felice, e Voldemort era un nome che non si pronunciava, e i purosangue e la guerra erano storia).
Suo padre lo guardava, perché voleva sapere che intenzioni avesse lui.
Allora Draco si voltava verso Harry, che gli stringeva rassicurante un ginocchio sotto il tavolo. Rispondeva usando un “noi” che chissà se esisteva davvero, visto che era lui a fare sempre tutto. Eredità Potter, o Black, o Malfoy. Processi, riabilitazioni, permessi speciali.
Il loro contratto di convivenza.
La cessione del palazzo a loro in quanto coppia de facto.
Draco si sentiva così a disagio che avrebbe preferito chiedere “Come va, papà? Il cuore, il rene?”, tirare in ballo argomenti di cui tutti preferivano non parlare, lui per primo. Perché se pensava spesso all’andarsene, l’idea che suo padre potesse morire e troppo presto lo angosciava.
Il profumo dei gigli che avevano regalato a Narcissa, grandi, bianchi, inondava il porticato, insaporendo persino il tè. Draco immaginò che il vento lo avrebbe sparso per tutta l’isola.


Narcissa lo strinse contro il suo corpo non più morbido.
Draco rispose un po’ meccanicamente. Una parte di lui già si era allontanata. Un po’ per volta, per non soffrire tutto assieme.
Sua madre era forte, sorrideva. Suo padre aveva gli occhi lucidi.
Draco sentì le budella stringersi. Sperò che non succedesse ancora.
Quando lui aveva pianto, sottomesso dal dolore della ferita, dalle accuse e dalle cause, da tutti i mille problemi che gli stavano cadendo addosso nel momento in cui stava fisicamente più male… Draco sapeva quante cose suo padre aveva sopportato, cose che avrebbero dovuto colpire lui e sua madre. Lucius li aveva sempre protetti, ma quel giorno, per meno di un minuto, per meno di tre lacrime, era crollato.
Era crollato il mondo di Draco.
L’uomo che era davanti a lui e Harry era vecchio, malato e vedeva partire l’unico suo figlio per un tempo indeterminato, ma lungo.
Però quell’uomo sorrise mentre stringeva le loro mani.
Quando Lucius e Harry si guardarono, Draco capì che suo padre non aveva alcun rancore nei suoi confronti, ma anzi era grato per la cura che si prendeva del suo bambino, ora che non poteva farlo di persona.
Draco non era pronto a smettere di incolpare Harry (la colpa di essere stato dalla parte giusta – la colpa di avergli salvato troppo spesso la vita) e forse non lo sarebbe mai stato.
Le mani di suo padre gli dissero di essere forte, di andare avanti.
Come se lui non fosse il figlio vigliacco che era, che rifiutava l’unica cosa che i suoi genitori volevano (che fosse felice).
Draco non voleva lasciargli le mani, che anche se non stringevano collo stesso vigore di dieci anni prima, erano ancora le salde mani di un padre. Si costrinse a farlo.
Si costrinse ad afferrare la passaporta.
Suo padre abbracciava sua madre e si appoggiava alla stampella. Per loro tutto andava nel migliore dei modi, perché Harry era con lui.
Tornare a casa fu come il risveglio da un incubo.


Sbattere le palpebre davanti alla familiarità del salotto i cui contorni sembrano sbagliati, come se la realtà fosse il sogno. Però cogli incubi tutto torna giusto presto. Ora Draco dovette chiudere gli occhi perché nulla era più al suo posto.
Draco sentiva le gambe molli e la testa pesante.
Il corpo solido di Harry, la sua spalla, il suo braccio. Erano lì.
Lui che gli aveva stravolto l’esistenza e ogni possibile normalità. Pretendeva di dargli l’una e l’altra.
Perché avrebbe dovuto essere facile accettarlo, come aveva fatto suo padre?
Tutti volevano che lui cedesse, perché erano sicuri che Harry avrebbe saputo rimettere insieme i suoi pezzi. Volevano che lui toccasse la disperazione in fondo al suo cuore, perché erano sicuri che Harry lo avrebbe risollevato subito.
Lui voleva solo fuggirla. Nessuno glielo permetteva.
Harry glielo aveva impedito l’unica volta che avrebbe davvero potuto farla finita. Harry (che ogni tanto sembrava rimproverargli di voler star male, che forse lo pensava) era libertà e catena che ormai non aveva più forza (la voglia) di spezzare.
Draco sentì che non riusciva più a reggere, come se ormai tutto fosse venuto a galla, come se ormai il suo malessere lo impantanasse, come se i suoi mostri ormai l’avessero raggiunto.
Harry, il corpo solido (su cui abbandonarsi), la spalla (su cui poggiare la fronte), il braccio (da cui farsi stringere). Erano lì.
E se ormai era tardi per scappare, lui che non voleva stare male, forse era il momento di provare se suo padre avesse ragione. Se Harry fosse forte abbastanza. Se Harry lo amasse abbastanza.
Draco dovette aprire la bocca per respirare.
-Harry.- lo chiamò colla gola chiusa. –Harry. Non sto bene.-
Lui annuì e gli premette la testa sulla spalla.
Davvero tutto poteva andare bene? Draco in quel momento non riusciva a capirlo. Si lasciò andare e basta e ogni respiro rumoroso a bocca aperta, ogni goccia che gli sfuggiva dagli occhi serrati era un peso in meno sull’anima. Era una corda in più che si scioglieva.
Non aveva mai voluto cercare la libertà tra le braccia di Harry, lì dove avrebbe sofferto e l’avrebbe trovata.
Lasciò finalmente che il dolore infrangesse le catene.

 

Domo:

Ringrazio Vera Lynn per la recensione e per le belle parole con cui ha descritto la storia.

  
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