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Autore: Sospiri_amore    22/09/2017    0 recensioni
❤️SECONDO LIBRO DI UNA TRILOGIA❤️
Ritorneranno Elena, Kate, James, Jo, Adrian, Stephanie, Lucas, Rebecca, (Nik ??).
Ci saranno nuovi intrecci, guai, incomprensioni e amori.
Elena avrà dimenticato James?
Chi vivrà un amore proibito?
Riuscirà il Club di Dibattito a sconfiggere la scuola rivale?
Nik sara sempre un professore del Trinity?
Elena andrà al ballo di fine anno?
IL FINALE di questo libro corrisponde alla fine del liceo, il terzo libro sarà incentrato sulla vita adulta dei personaggi. Più precisamente quattordici anni dopo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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IERI:
Una giornata storta




Nonostante sia arrivato maggio mi sento uno schifo, non ne posso più di studiare, sto ripetendo le stesse cose da settimane e credo di aver immagazzinato più informazioni che nel resto della mia vita. Il SAT valuterà il nostro livello di conoscenza e grazie a quel voto sapremo se potremo avere la possibilità di accedere a Yale. Un test. Un voto. In poche parole il mio futuro è deciso da piccolissime, inutili, patetiche cifre.

Credo di odiare le lettere e le parole, per non parlare dei numeri e delle formule. Com'è possibile che segni tanto semplici possano complicarsi se mischiati tra di loro?

Il programma di Rebecca è talmente serrato che a volte vorrei mandare tutti a quel paese per poter passare un pomeriggio a fare nulla, tipo fissare il soffitto, ipnotizzarmi davanti la TV oppure stare seduta in un parco a osservare i piccioni.

 

Kate mi prende in giro anche se lei non è messa meglio di me, tra circa un paio di settimane le tocca il colloquio a New York e sembra stia camminando su un tappeto di carboni ardenti. Scatti, ansia e paranoie. Un bel mix visto il periodaccio degli esami a scuola. L'unico momento libero l'ho la sera dopo cena, ci sentiamo per raccontarci, o meglio sfogarci, su come è andata la giornata. Dopo la telefonata riprendo a studiare fino a che non mi si chiudono gli occhi.

 

Il sole è sorto.

La sveglia ha suonato.

Oggi è una giornata come le altre, non mi aspetta niente di nuovo all'orizzonte.

 

Papà entra tutto baldanzoso in cucina per preparare la colazione. Tira fuori due tazze, il che significa che Tess ha passato la notte nel nostro appartamento.

Al solo pensiero di quei due insieme ho un conato di vomito, mi è passata perfino la voglia di mangiare cioccolata. Per fortuna oggi devo andare a scuola, non potrei sopportare di passare una giornata con loro due nei paraggi.

Ingoio in un sorso la tazza bollente di te cercando di trattenere il dolore per la bocca in fiamme, prendo un paio di biscotti da mangiare più tardi e cerco di svignarmela il prima possibile. No. Ho voglia di stare ad ascoltare nessuno, vedere mio padre che si comporta da innamorato mi disgusta.

 

«Comunque buongiorno», mi dice in italiano papà, il che significa che non gli sta bene qualcosa.

 

Gli rispondo con un sorriso finto e sbattendo le ciglia velocemente.

 

«Non si saluta più? Non credo ti abbia insegnato la maleducazione», mi dice mentre aspetta che sia pronto il caffè.

 

Infilo a forza i biscotti in bocca cercando di fargli capire che non parlo perché ho la bocca piena, anche se in verità non ho la minima intenzione di rivolgergli la parola.

 

«Aspetterò che tu abbia ingoiato i biscotti, non ho fretta. Ho voglia di sentire la tua voce dirmi buongiorno papà», dice imitandomi malamente.

 

Di tutta risposta prendo il sacchetto dei biscotti affondo la mano e ne estraggo una manciata.

 

«Se continui ad infilarli in bocca rischi due cose, la prima è che ti si crei un ammasso colloso impossibile da ingoiare, la seconda è che se per caso riuscissi a mandarlo in gola non scivolerebbe mai nello stomaco. Potresti soffocare. Ti costa così tanto salutarmi?».

 

Prendo altri due biscotti e li incastro tra i denti. Anche se odio ammetterlo mi si sta formando un impasto colloso in bocca che faccio fatica a masticare, ma non demordo non voglio dargliela vinta.

 

«Quindi sei decisa a soffocare. Ok, ricevuto. Fammi sapere se hai bisogno di aiuto». Papà spegne il caffè che borbotta allegro sul fornello.

 

Alzo le spalla cercando di mostrare indifferenza e già che ci sono mi metto un altro biscotto in bocca.

 

«A proposito, ho pensato di modificare la disposizione dei mobili in salotto. Potremmo così ricavare dello spazio per una scrivania per Tess. Quando si ferma ha bisogno di un posto dove lavorare. Poi magari trasformare la tua camera nella sua cabina armadio e già che ci siamo potresti regalarle i tuoi vestiti. Ovviamente le ultime cose sono uno scherzo, lo specifico perché non mi sembra tu abbia molto senso dell'ironia in questo momento», mi dice papà mentre versa il caffè nella tazza annusandone l'aroma.

 

Stringo talmente la mano che sbriciolo il biscotto che tengo in mano. Il mio sguardo assetato di sangue racconta più di molte parole.

 

«Visto che non mi rispondi vuol dire che per te va bene. Chi tace acconsente, non si dice così? Inoltre tra due weekend andrò al lago con Tess, quindi prenderò una baby sitter per tenerti compagnia, visto che non ho una figlia di diciotto anni, ma una mocciosa che porta ancora il pannolino e si diverte a fare i capricci».

 

Questo è troppo. Butto per terra il sacco di biscotti e con l'indice puntato sul petto di mio padre inizio a spingere. Nella bocca ho ancora parecchi biscotti che mi impediscono di parlare, ma la mia faccia rossa e gli occhi iniettati di sangue non sono difficili da interpretare. Se potessi lo strozzerei.

 

«Mi stai dicendo che per te va bene? Come sei comprensiva Elena, sono felice che tu sia felice per me», mi dice papà allontanandosi da me e aprendo il frigo. Mi allunga il cartone del succo: «Bevi prima di restarci secca», mi dice annoiato.

 

Prendo la mia tazza, ormai senza te, e la riempio fino all'orlo di succo d'arancia. Bevo il contenuto cercando di farlo entrare in bocca e non sulla divisa di scuola. In pochi secondi le fauci tornano libere di muoversi autonomamente pronte a sparare a zero su mio padre:«Credi di essere molto simpatico?».

«Sì, a dire il vero credo di essere molto simpatico», mi dice mentre sorseggia il caffè.

«Bene. Bene. Bene. Puoi fare quello che vuoi in questa casa, se vuoi dare spazio a Tess, se vuoi darle la mia camera, se vuoi regalarle le mie cose, fai pure, accomodati. Sappi però che credo sia un errore dare tanto spazio a una donna che neanche saprai se starà ancora con te quando scoprirà quanto sei noioso, antipatico e barboso», gli urlo in faccia.

Papà mi guarda con il sopracciglio alzato: «Credi che sia un problema così grave spostare di un metro il mobile vicino al tavolo per mettere una piccolissima scrivania per il portatile di Tess? Non puoi farmi credere che questa piccolezza ti sconvolga tanto... Elena, avevi detto che avresti provato ad accettare la mia relazione, cosa fai, ti rimangi tutto?».

«Assolutamente no, non mi rimangio nulla. Però sappi che non era nei patti tutto questo. Le colazioni a casa, spostare i mobili e i weekend fuori città. Sono un tradimento bello e buono alle promesse che ci siamo fatti», gli dico con un broncio scolpito nel volto.

«Elena, smettila. Non ti rendi conto che stai esagerando? Basta, finiscila con questa guerra. Vieni qui e abbracciami», mi dice papà stanco di litigare.

«Mi dispiace, faccio tardi. Devo andare a scuola». Prendo al volo la mia borsa con i quaderni e i libri senza voltarmi indietro, sbatto la porta d'ingresso. 

 

Sono fuori casa, non ne potevo più di stare ad ascoltare quel traditore.

 

Per strada c'è un viavai di studenti e gente pronta ad andare al lavoro. Mi dirigo a passo deciso verso la fermata del bus, anche se ci sono molte persone in attesa non ho voglia di parlare con nessuno. Sono trincerata dietro al mio broncio e guai a chi mi parla.

 

«Giornata storta?», una voce familiare giunge da poco lontano.

Mi guardo intorno.

È James, se ne sta appoggiato alla sua macchina nera, mi guarda divertito.

«Che ci fai qui?», gli chiedo curiosa.

«C'è un motivo per venire a prendere una mia amica e portarla a scuola?». Con un gesto sicuro mi sfila la borsa dalla spalla per appoggiarla sul sedile passeggero. «Avevo voglia di vederti, tutto qui».

«Hai loschi piani in mente? Oppure controlli che io non stia organizzando complotti per  farti le scarpe a Yale?», le dico ironica.

James ridacchia:«Sali pivella. Non voglio fare tardi per colpa tua».

 

La giornata partita male sta prendendo una piega molto interessante. Negli ultimi mesi non ho avuto tempo di stare da sola con James, la previsione che mi aveva fatto sugli impegni di questo periodo si sono rivelati azzeccati. Non sarei mai stata in grado di portare avanti una storia con lui e impegnarmi nello studio come ho fatto. Del resto le energie sono limitate, meglio goderci il tempo che ci spetta quest'estate, con calma.

 

«Avevi una faccia strana alla fermata, che è successo?», mi chiede James mentre guida verso la scuola.

«Solite cose, papà, Tess, colazioni a casa, stravolgimenti di vita e weekend fuori», dico come avesse un senso quello che dico, anche se so benissimo che sono parole buttate a caso tanto per sfogarmi.

«Ricapitoliamo. Papà e Tess posso capirlo. Colazioni a casa credo di intuirlo. Ma il resto mi pare un po' troppo nebuloso anche per un arguto e intelligente ragazzo come me», dice ironico.

«Papà vuole mettere una scrivania per il portatile di Tess nel nostro salotto. Dico io, poi cosa farà quella lì, deciderà di cambiare il colore alle pareti, cambierà ubicazione alle stanze, farà rifare l'impianto elettrico?». La mia acidità arriva a livelli mai raggiunti prima.

«Non credi di esagerare? In fondo lavorano insieme, mi pare normale», mi dice James.

«A me non sembra normale. Già faccio uno sforzo tremendo ad accettare che metta piede in casa mia, figurati ad immaginarmela tutto il giorno seduta a lavorare sul suo computer. Sarebbe una tortura. Inoltre papà vuole andare al lago. In vacanza. V A C A N Z A. Capisci?». Guardo James aspettandomi da lui una reazione simile alla mia, ma l'unica cosa che noto è un sorrisetto triste sul suo volto.

 

Non capisco.

Perché cavolo fa quella faccia?

 

«Adesso non dirmi che ti sembro una pazza isterica e che ha ragione mio padre, perché io...», ma James mi interrompe.

«No. Cioè, sì. Credo tu stia esagerando, ma chi sono io per dirti come ti devi comportare. Sei grande abbastanza. Il fatto è che ogni volta che tratti male tuo padre, ci litighi o dici che non capisce nulla, mi viene in mente mia madre. Non so perché a dire il vero. Forse sarà il periodo. Del resto è quasi un anno che mamma è... è... morta». James  si guarda intorno per poi immettersi nel parcheggio del Trinity.

 

Adesso mi sento uno schifo.

Uno schifo superficiale.

Uno schifo superficiale e infantile.

 

«Mi dispiace. Scusa, non volevo farti venire in mente Demetra con i miei discorsi», dico mogia.

«A dire il vero ogni volta che ti vedo penso a mia madre. È difficile sai. Lei vedeva in te una persona speciale, quella che anche io ho conosciuto e che continui ad essere. È come se in te ci fosse una parte di mamma. Quando sei arrabbiata con tuo padre è come se ti trasformassi, come se tu sparissi e uscisse una Elena che non conosco, una estranea. Mi piaci di più sbadata e impulsiva che arrabbiata e capricciosa», mi dice James mentre parcheggia.

 

Adesso mi sento uno schifo colossale.

La mamma di tutti gli schifi esistenti al mondo.

 

«Non so che dire», dico senza filtri.

«Non covare tanto rancore, non farlo. Le cose cambiano da un momento all'altro, l'importante è avere chiari gli obbiettivi. Non distrarti da Yale, dallo studio e da quello che abbiamo programmato. Una scrivania in più, un fine settimana fuori o altri cambiamenti sono solo cavolate», mi dice mentre mi fissa con dolcezza.

«Quindi?», chiedo come fossi ipnotizzata dal suo sguardo.

«Pensa a me. Pensa a noi. Pensa a come saremo felici, lontani da tutto e da tutti».

 

James sfiora con il naso le mie labbra, con delicatezza morde il mio mento poi con piccoli baci raggiunge il mio orecchio per poi immergere il viso nei miei capelli.

Un brivido parte dalla cima della testa per arrivare in fondo ai piedi.

Mi sciolgo.

 

«Penso sempre a te. Penso sempre a noi», dico tra un sospiro e l'altro.

«Brava pivella».

 

Le labbra di James sono più morbide del velluto, più calde del sole. Immersa in un bacio profondo mi perdo tra le due braccia. Il battito del mio cuore ha il ritmo del battito d'ali di mille uccelli. Colori bellissimi, arcobaleni e profumi dolci. Mi sento in paradiso, voglio vivere questa sensazione all'infinito.

Amo James e lo amerò per sempre.

 

   
 
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