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Autore: Hikari_Sengoku    22/09/2017    2 recensioni
Ehilá, mi chiamo Hikari_Sengoku, e questa é la mia prima fanfiction su questo fandom. Ringrazio chiunque vorrá leggere e a maggior ragione dare il suo giudizio. Sono a conoscenza dell'usura del tema, ma vedere le cose da un'altra prospettiva é sempre una buona cosa, invito perciò alle critiche costruttive. Per questioni di trama, la storia si baserá unicamente sull'anime.
Cori é una ragazza italiana alle soglie della maturitá, con una famiglia particolare, un fratello scomparso che adorava ed un nonno pieno di misteri... Cosa potrá accadere quando da uno dei suoi anime preferiti pioverá letteralmente uno dei personaggi?
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Un po' tutti, Z
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sogno di una settimana di torture infernali 

Era stata una lunga notte, la prima notte in cella, ma se avesse potuto, a posteriori Cori avrebbe preferito che durasse ancora un po’. La noia e il dolore, il dolore e la noia. Le piaghe avevano cominciato presto a pulsare, ed il respiro, profondo, impediva loro di smettere di sanguinare, facevano male ma erano sopportabili. Il dolore più acuto era dato dalla testa, che non perdeva occasione per ricordargli ad ogni movimento la sua dolorosissima presenza, che se fosse servito a qualcosa Cori avrebbe voluto raggomitolarsi e piangere dal dolore. Faceva male! Bashe dormiva nella cella di fronte, raggomitolato nella sua lunga coda serpentina come in un bozzolo, ne sentiva il tenue russare. Si guardò intorno: Pallide mattonelle su pallide mattonelle, le sbarre, la luce azzurrina della sala operatoria. I tubi che aveva attaccati alla testa sembravano delle sanguisughe, o delle tenie. Sentiva che la divoravano dall’interno, e aveva fame, quella vera, non il languorino prima di pranzo. Per far passare il tempo canticchiava. Tutte musiche tristi. Il mattino arrivò con il vecchio che caracollava per i corridoi con quel suo bizzarro oggetto circolare in mano. Con la chiave, aprì la cella e vi entrò. Cori tentò di ritrarsi, ma era inutile: L’uomo la marchiò di nuovo sul braccio, attendendo la sua reazione. La ragazza sentì il braccio andare a fuoco, un fuoco che si espanse ovunque, ma resistette, stringendo i denti, alla nebbia nerastra che tentava di avvolgerla. Il vecchio osservata la sua reazione se ne andò ridacchiando. Cori si piegò in avanti e vomitò l’anima. L’odore penetrante del vomito misto alla bile e al sangue le fece sentire male ancora di più. Non avrebbe saputo dire quanto aveva aspettato in preda ai conati e alla febbre, ma era stato un tempo lunghissimo. La donna, col suo rigido chignon di capelli biondi fece la sua comparsa, ordinando di ripulire lo scempio e di permettere alla prigioniera di liberare gli intestini. Poi fece il suo teatrale trionfo facendo schioccare la frusta e tintinnare gli strumenti. Prima la frustò, aprendo nuove ferite sul torso, urlandole: “Stupida cagna! Ti ostini a trattenerti, ma io saprò bene farti liberare!”.  Poi, vedendo il sangue colare dalla bocca tumefatta, aveva sghignazzato, godendosi i guaiti di dolore di Cori. Alla fine si era seduta ai suoi piedi, e con pochi rapidi movimenti le aveva scuoiato le piante. Con un coltello aveva inciso un solco sopra il tallone sinistro, leccandosi le labbra alle sue urla, e aveva continuato finché sulla pianta non si lesse la parola ‘FECCIA’, beandosi di ogni suo lamento, ignorando i suoi vani tentativi di ribellione. Aveva afferrato il piede destro e aveva inciso, solco per solco, con un godimento che rasentava l’erotismo, la parola ‘SCHIAVA’. 
“Vediamo se sarai più ragionevole domani” sghignazzò la donna girandosi.
“Non basta un giorno di freddo per gelare un fiume profondo” sentenziò Cori con la voce roca. La donna si sbatté le sbarre dietro di se, sparendo infuriata nel corridoio. Un fugace applauso scoppiò nell’aria, era Bashe.
“Sei un genio! Sei stata grande con quella frase!” gioì. Cori sospirò, buttando la testa all’indietro. Nonostante la sfrontatezza dell'ultima frase, era distrutta, ricoperta di sangue e ferite.  In realtà le frustate, passato il bruciore del momento, si erano stabilizzate in un dolore continuo altalenante col respiro, e a poco a poco ci si stava abituando. I piedi bruciavano, e non riusciva a muoverli senza gridare, ma la testa, sempre la testa, non le dava tregua. Aveva la febbre e la vista appannata, ma non abbastanza da non vedere Bashe che tentava di consolarla. Gli sorrise debolmente prima di addormentarsi.


 Quando si svegliò non doveva essere passati molto tempo. La dottoressa inveiva contro il baffuto assistente: “Siete uno sciocco dottor Kopechy! Ve l’ho detto, se affretteremo il processo non ne avremo che benefici! Invece lei no, vuole studiare la cavia! Cosa vuole che sia un piccolo sacrificio, in confronto all’evoluzione scientifica! Non vuole capire che se riusciamo nell’intento, quella ragazzina saccente non ci servirà più! Pensate che risvolti avrebbe una scoperta del genere per la battaglia di Marineford mettendo in campo quest’arma! E saremmo stati noi a scoprirla, potremmo addirittura superare quel vecchio pallone gonfiato di Vegapunk!!” Cori era sicura che Miss Scopa nel sedere stesse gonfiando un po’ la cosa, perché il teletrasporto era figo si, ma ci voleva allenamento e non era poi così potente! Poi al primo impatto era pure dannoso. Quella era solo una sadica rompiballe, e basta. Altro che scienza. "Quella piccola imbecille, non fa altro che darmi rogne!" Il vecchio provò una debole resistenza, "Ma é solo una povera ragazza innocente, si tratta pur sempre della nipote di un mio caro collaboratore!" ma venne in breve sconfitto e umiliato da quella pazza isterica bipolare.
"Stupidi idioti!" Imprecò fra i denti, progettando la prossima provocazione. Quella donnaccia poteva pure scordarsi che sarebbe rimasta in silenzio! Porca miseria che male i piedi! Bruciavano da impazzire. Li mise bene in equilibrio sulla base dei talloni perché non toccassero terra e bruciassero ancora di più.
"Ti fanno molto male?” chiese Bashe preoccupato.
“Eh, un po’” espirò sofferente osservando le nuove ferite, pulsanti blocchi di dolore rosso sulla pelle appesa sulle costole visibili, il ventre gonfio per il poco cibo straziato da altre bollenti frustate grondanti sangue sugli abiti lerci e strappati, che lasciavano alla vista di tutti (quelle poche guardie di ronda, i due bastardi e, ahilei, Bashe) il corpo smagrito e penosamente martoriato, la pelle floscia sul petto, le gambe nervose ricoperte di sangue a tal punto da nascondere le ferite vere e proprie, e i piedi, massacrati, infamati, appendici rossastre ed inutilizzabili. Quei maledetti tubi sembravano accelerare il metabolismo ad un livello insostenibile per l’organismo. Assomigliava vagamente al Gear Second di Rufy per i sintomi, la pelle fumante e rossa, ma per il resto sembrava solo distruggerla dall’interno. Lei non era mica fatta di gomma!
“Tu… non mi hai detto ancora come…?” chiese al ragazzo con un gesto allusivo della mano per indicare come sarebbe finita.
“Non lo so. Credo che avremo lo stesso destino” le rispose mogio di nuovo con il volto affilato fra le sbarre.
“Intendi ammazzato di botte e dimenticato sul fondo di una prigione? Beh, dai, possiamo farci compagnia” gli sorrise debolmente. “Quando ero ancora nel mio mondo, amavo leggere e scrivere storielle. Era divertente” disse sovrappensiero.
“A me piaceva stare a guardare il cielo e immaginare di navigare col vento fra i capelli. Vedevo il mare, azzurro e bellissimo, ce l’avevo lì, e alla fine quando ho avuto l’occasione l’ho preso. Non credo di essere mai stato più sicuro di una mia scelta che quando sono entrato a far parte dei Pirati Heart.” Raccontò nostalgico.  
“In effetti, con un Capitano così un pensierino ce lo farei pure io!” ammiccò, e Bashe rise. “Non ti manca mai la tua famiglia?”
“Tanto, soprattutto adesso. Ma mi vogliono bene, e un giorno o l’altro capiranno le mie scelte”  scosse la testa, triste “mi manca mio fratello”
“Fidati, nessuno come me ti può capire. Anch’io avevo un fratello” sorrise.
“Avevi? Cosa gli è successo?” chiese increspando la fronte.
“È sparito, da un giorno all’altro. Sono tre anni che è scomparso. Ma ti assicuro che mi manca ancora come il primo giorno.” Scosse malinconicamente la testa.
“Io ho conosciuto mio fratello il giorno che siamo rimasti orfani. Io vivevo con mia madre, e quando lei morì a causa della terapia, Lerik mi prese con se. È vero, non siamo del tutto fratelli, abbiamo in comune solo la mamma, ma Lerik diceva sempre che l’avevo conquistato alla fine. Lo assediavo tutti i giorni, gli facevo la posta al lavoro, costringevo quel Dolcecuore della sua ragazza a preparare un posto anche per me a tavola. Una notte, spostai la brandina in camera sua, quando avevo ancora gli incubi. Dopo quell’episodio non mi allontanò più. Ah, sono anche il Babysitter Ufficiale e il gioco preferito di Lurichiyo. Si divertiva a truccarmi e pettinarmi i capelli. Credo che un giorno abbia preso ispirazione dal coinquilino dei piani alti, quel Buggy”. Cori si sforzò di non ridere.
“Invece io e mio fratello da piccoli giocavamo alla lotta, a nascondino, ad acchiapparella... Sempre con Emilia, la balia. L’abbiamo fatta impazzire, quella povera donna!” tossicchiò qualche risata ripensando al vecchio sgabuzzino delle scope dove finivano per addormentarsi insieme.
“E i vostri genitori?” chiese curioso Bashe.
“Non ci consideravano molto in genere, erano spesso in viaggio, e Ottavio, che era il più grande, doveva essere sempre all’altezza delle loro aspettative. Un compito che ha lasciato in eredità a me. Prima che sparisse, mia madre era molto più felice, affettuosa quelle poche volte che li vedevamo. L’ultima volta che l’ho vista, gridava come una pazza, e io non ho potuto fare niente per lei. In realtà, gli voglio molto bene, solo che sono lontani per me. In fondo, mi hanno dato tutto, e a modo loro ci volevano bene” ammise alla fine Cori. Era servito dividersi da loro per sempre per capirlo?
“Mi dispiace” proferì il ragazzo.
“Non dispiacerti, non è niente di trascendentale. Come vedi, non ho turbe psichiche e sono sana come un pesce. Beh, più o meno” si corresse vedendo il sopracciglio del moro alzarsi.
Continuarono a chiacchierare del più e del meno (il tuo animale preferito, il colore, discussioni filosofiche sulla reciproca istruzione, una parola che per metà degli onepieceiani corrisponde a leggere, scrivere e far di conto) ancora per una mezz’oretta, poi finirono per tacere di nuovo, sfiniti dalla fame. I loro stomaci brontolavano a fasi alterne.
“Ah, ho faaame!” esplose Bashe.
“A chi lo dici! Mi mangerei un bue, ora come ora” gli diede ragione Cori.
“Secondo te, una scopa ed un mucchio di polvere possono avere un buon sapore? No , perché la prossima volta che passano potrei decidere di azzannarli” propose il ragazzo.
“Non sprecare così le tue ganasce. Di sicuro sono acidi come limoni” sghignazzò Cori appoggiando la testa al muro. Aveva un forte mal di testa e i conati di vomito, ma non aveva nulla da rigettare, e tutto quel rumore cominciava a darle fastidio. “Senti, ti dispiace se ne riparliamo domattina? Sono stanca”
“No, no, fai pure, dormi.”


Forse aveva sognato, dato che l’aveva sentito dopo un po’, o forse no, ma ad un certo punto, non avrebbe saputo dire quale, Bashe aveva iniziato a cantare. Forse lo faceva per farsi coraggio, non ne aveva idea, ma stava cantando una ninna nanna. Aveva una voce fresca, un po’ sibilante, e allungava molto le sillabe mantenendo un tono pacato. C’era silenzio intorno, come se il mondo si fosse fermato per ascoltare l’incanto del serpente.
Notte
è notte oramai…
tardi
è tardi lo sai
dorme il cane
dorme il gatto
e nell’ acqua i pesci rossi sbadigliano
notte
di stelle verrà
notte
serena sarà
tutti sotto le lenzuola
e non vola una parola
In punta di piedi si và
tutti dormono già
dormono pesi e città
alberi e nuvole angeli e favole
notte
di sogni sarà
notte
un mistero che va
per le strade tutto tace
peri il mondo una speranza di pace chissà
In punta di piedi si và
tutti dormono già
dormono paesi e città
alberi e nuvole angeli e favole.
Notte
è notte oramai
tardi
è tardi lo sai
l’ora della buona notte
nelle case grandi
e in quelle più piccole va.

Cori non aveva avuto il coraggio di addormentarsi durante la canzone, ma appena questa finì chiuse gli occhi. Era stata una delle più belle ninna nanne che avesse mai sentito, la faceva sentire al caldo, al sicuro,  a casa.


“Hihihihihihi!” Risata da Cavallo avanzò nel corridoio con il suo solito passo strascicato. Cori alzò gli occhi al cielo e strinse i denti, subendo di nuovo il supplizio infernale. Come il giorno prima, nel vederla trattenere strenuamente la cosa, se ne andò via ridacchiando. Cori avesse potuto gli avrebbe strappato quella sua linguaccia. Due ore dopo, fisso, arrivò la biondona.
“Allora? Ci arrendiamo?” chiese aprendo con un cigolio sinistro la cella, portandosi dietro un carrello metallico.
“Mai” la seccò Cori fissandola dritto in quei minuscoli occhietti da topo.
“Mi hai stancata ragazzina.” Proruppe la donna portandole un bisturi alla gola. “Arrenditi, o saranno guai!” le sibilò in faccia, mentre un rivolo di sangue correva giù lungo il collo, imbrattandola ancora di più.
Impassibile, Cori le rispose come si era preparata: “Per quanto il vento ululi forte, una montagna non può inchinarsi ad esso”, girando il collo contro il bisturi, che approfondì il taglio. La faccia di quella donna si contrasse in una smorfia di disappunto.
“Siamo spavalde oggi, eh? Non ci è bastata la lezione di ieri, Esperimento 01?” la minacciò sfiorandole la pelle del lobo col coltello. Cori non raccolse la provocazione, ma stette stoicamente in silenzio, fissando quella donna di malaffare nei suoi occhiacci rapaci. La bionda si era leccata le labbra, e con lenti, lentissimi movimenti aveva cominciato a scarnificarla intorno ai tubi-sanguisuga, provocandole un dolore inimmaginabile, da arrivare alla pazzia. La sadica donna scavava nel suo cranio come in una coppetta da gelato ghiacciata, lentamente, ma con perizia, le aveva messo a nudo l’osso in qualche caso, raschiava con metodo, aprendo una grossa piaga intorno all’orecchio, dolorosa come poco al mondo, le provocava fitte infernali e triplicava il dolore giá di per se stesso insostenibile degli spinotti. Poi aveva abbandonato il bisturi e si era data alla frusta. Bashe era rimasto lí a guardare - sotto la perenne minaccia del telecomando se avesse osato intromettersi – la poverina che si dimenava inutilmente sotto le mani rapaci della sua aguzzina, pronta a carpire da ogni suo movimento un indizio che potesse esserle utile.  Da allora, Cori era rimasta in silenzio tutto il giorno, alternando fasi quasi lucide a deliri e sonno. Spesso proruppeva in urla improvvise e strazianti, o risa isteriche che finivano in sbocchi di sangue. Bashe tentò inutilmente di calmarla, provò addirittura a cantare la Canzone della Buonanotte, ma Cori sembrava sorda. 
Da allora, ogni mattina, quando il vecchio arrivava, Cori si rintanava nel suo angolo, guardandolo con occhi che ogni giorno perdevano qualcosa di umano. Il tanfo si era fatto insostenibile, misto fra la sporcizia ed il sudore che le catene le impedivano di tergersi e l’orribile fetore delle ferite purulente e infettate, dai bordi neri di immondizia incrostata e siero rappreso, rossi e gonfi di pus, aperte e rosse di sangue vivo e secco incrostato anch’esso sulla pelle pallida, quasi traslucida. Se ne vedeva l’orribile interno della pelle trasudante liquidi puzzolenti, i muscoli, la carne viva e pulsante. Il vecchio sembrava non accorgersene, quando entrando ogni mattina nella cella la marchiava con quell’oggetto, creandole una nuova macchia scura sul braccio, in linea retta con le altre, attendendo una sua reazione. Ma Cori tendeva tutti i muscoli allo spasimo, mordeva le labbra a sangue, ma non demordeva. La sua pelle diventava lucida e rossa e cominciava a fumare, i muscoli ribollivano, ma lei resisteva. La febbre la assaliva per la maggior parte del tempo, impedendo ogni sorta di dialogo, ed era anche per questo che i rari momenti di lucidità di Cori erano come perle da custodire e sfruttare gelosamente. Molte volte Bashe tentava di rincuorare la sfortunata compagna, prendendosi sempre più spesso ringhi o guaiti, piuttosto che vere risposte. Il dolore la stava trasformando in una belva selvatica. Le spalle, perennemente appese, avevano finito per lussarsi, e Cori era costretta a farle schioccare sempre piú spesso, ma quello era il male minore. I piedi si erano ricoperti di uno strato di sporcizia e siero, sanguinavano perennemente e procuravano un dolore immane, ma niente di paragonabile alla pelle scarnificata del cranio nelle vicinanze di quelle appendici demoniache. I nervi, giá saturi di dolore per quelle cacchio di spine, semplicemente impazzivano, provocando un dolore incredibile, che le faceva perdere i sensi più volte. Anche quella era infettata, e pulsava, cozzando crudelmente con quelle cose succhia-vita. I primi due giorni erano stati un vero inferno, e a mala pena era riuscita a comprendere ciò che Bashe diceva, infastidita dal rumore insopportabile della sua voce che rimbombava nel suo cervello. Provava prurito ovunque. 
La tortura si era trasformata in un assedio, e quella disgraziata stava tuttora provando a prenderla per fame. Erano tre giorni che Cori non riceveva nemmeno quel tozzo di pane secco e quel po’ d’acqua che le buttavano una volta al giorno in cella, come se stessero buttando il cibo al cane rognoso. Bashe gliene lanciava metà del suo imbevuto d’acqua, ma più i giorni passavano, meno Cori era capace di allungarsi per prenderlo, e a poco a poco perdeva anche la forza e la voglia di masticarlo, mentre stretto fra le ginocchia lo dilaniava a morsi peggio di una belva. Spesso era dopo l’unico pasto che Cori riprendeva le forze sufficienti per sostenere un dialogo. Alla fine avevano sviluppato una sorta di cameratismo da cella, dato che erano gli unici nel Dipartimento.
La sera, Cori piangeva, in silenzio. Pregava il Signore che il suo supplizio finisse presto,di dargli la forza di sostenere il peso delle torture, e ai Santi Martiri di prestarle la loro forza, perché non sapeva quanto sarebbe durata. Questo le dava un po' di conforto e la forza di andare avanti ogni mattina, e nonostante tutto non smetteva di credere. Forse per altri era un misero metodo consolatorio, ma lei ci credeva davvero.


L’Idea venne a Bashe all’alba del quarto giorno di fame. Il sesto livello era in subbuglio: Guardie e carcerati parlavano di un intruso, e nessuno faceva caso a loro, che in confronto alla potenza di quella gente erano bruscolini. Si mormorava che persino Magellan stesse entrando in campo! Il ragazzo chiamò Cori e le spiegò: C’era un livello nascosto sopra le loro teste. Se fossero riusciti a scappare approfittando della confusione, si sarebbero potuti rifugiare lì. Sapeva che nel Dipartimento c’era una rampa di scale che portava su al quinto livello, ma che nessuno usava mai. Approfittando della sua nuova forma, sarebbero passati direttamente all’interno della rampa, sorpassando i due dottori pazzi e fuggendo al livello 5. Da lì, sarebbero dovuti riuscire a raggiungere il livello 5 ½ in qualche modo. Non importava come, ma non gli interessava, volevano solo fuggire da lì sotto. Gli unici problemi erano le catene di Cori e il suo collare esplosivo (per lui era facile liberarsi anche delle catene più strette, così avevano ripiegato su questo espediente di fortuna piuttosto degradante). Il ragazzo chiese a Cori se nella sua altra forma sarebbe stata in grado di spezzare le catene, arrivare fino a lui e isolare il collare mentre andavano fuori giusto il tempo perché il collare stesso esplodesse, ma la ragazza non sapeva come attivarlo. Di sicuro non poteva lasciarlo attivare al controllo del mattino! Così la mezza-serpe le propose di rubare il marchio. Il vecchio non era sveglio, e la dottoressa sarebbe arrivata per le torture solo due ore dopo, come al solito.
Puntuale come al solito, l’anziano scienziato strascicò i piedi fino alla cella di Cori e l’aprì con un lento cigolio. Nella mano protesa teneva il marchio. La ragazza, per non insospettirlo, protestò debolmente. Nel momento in cui l’oggetto stava per toccare la pelle, Cori si girò e morse con tutta la forza che aveva la mano ossuta del vecchio fino a far scricchiolare le ossa e sentire il sangue in bocca. Sentiva la sua pelle sottile lacerarsi come una stoffa sotto i suoi denti, sapeva di vecchio, di polvere. Dopo un grido acuto, l’anziano lasciò cadere l’oggetto. Cori strinse ancora un po' per convincerlo ad andarsene, calciandolo. Alla fine l’anziano scienziato corse via urlando. Con le ginocchia, si avvicinò il marchio e lo pestò con la gamba. Il bruciore era intenso. La pelle, il sangue cominciò a ribollire, ma Cori non si trattenne stavolta. La pelle si ricoprì all’istante di uno strato di sostanza nera. La sua mole si ingrossò a tal punto da spezzare le manette. Bashe osservò il fenomeno ad occhi sgranati. In pochissimo tempo, Cori si era trasformata in un gigante da due metri e passa. La creatura si alzò faticosamente e con tre lentissimi passi raggiunse le sbarre. La sostanza le permetteva di non sentire dolore, ma la stanchezza c’era tutta, ed era pressante. Non si accorse nemmeno di aver oltrepassato le sbarre se non per un forte risucchio. Il ragazzo dall’altra parte la vide stringersi ed allungarsi nella fessura. Cori allungò le mani, e dopo poco incontrò una resistenza. Era il collare di Bashe, che si era girato. Cori non attese oltre: Sapeva perfettamente dov’erano quelle scale.  Con la mano, tastò il nulla, finché non sentì una piega, che aprì. Riempì di nuovo la fessura, e in pochi istanti un forte risucchio la ributtò dall’altra parte. Il collare a cui era attaccata sparì sotto le sue dita. Sbatté la testa contro qualcosa, si abbassò e continuò a camminare per pochi secondi, finché non cadde distesa per terra, mentre la sostanza la abbandonava. Bashe, finalmente libero, la prese sulle spalle, e lei agganciò gli arti magri e doloranti al corpo asciutto del ragazzo. C’era una cosa positiva: Anche il dolore alla testa l’aveva abbandonata, ma non c’era più niente che le impedisse di addormentarsi. Appesa nervosamente al corpo della mezza-serpe, salirono una cinquantina di scalini prima che davanti a loro si aprisse una botola. Ci misero per lo meno una mezz’ora, perché nemmeno Bashe era tanto in forma e doveva fermarsi per riprendere le forze. Spesso cadeva con le mani sui gradini, sorreggendosi a braccia. Cori voleva scendere, davvero, ma ogni volta che scivolava dalla sua schiena e pregava Bashe di lasciarla lì, che poteva venire a prenderla più tardi con qualcuno, lui tenacemente la riprendeva sulle spalle e ricominciava a strisciare. Aprirono la botola:  Un vento gelido li ghiacciò. Il livello era ricoperto di neve, che turbinava anche sulle loro teste! Il freddo era intenso, insopportabile per loro che erano praticamente nudi. Le dita e la punta del naso stavano tingendosi di un’accesa sfumatura rossastra, che presto si sarebbe trasformata in un bel blu cobalto se non si fossero sbrigati. Cori, intirizzita dal freddo, si stringeva alla schiena di Bashe, gelida come il ghiaccio. Il ragazzo ansimava nuvolette congelate di vapore, che si condensavano sulle labbra e sul mento in un sottile strato di ghiaccio. 
“Ci sei?” le chiese. Cori mugugnò qualcosa, ma non riusciva a parlare. Osservava la piatta landa desolata in cerca di qualcosa. In fondo, lontano, vedeva delle celle, e ancora più in là cime innevate di alberi. Qualcosa le diceva che era quello il posto dove dovevano andare. Bashe cominciò ad arrancare sul terreno gelato, scivolando sul ghiaccio con le sue lunghe spire. Di quel passo, non sarebbero arrivati mai. Il ghiaccio entrava loro fin nelle ossa, intirizziva i loro muscoli, gelava i loro pensieri al punto che dopo pochi minuti non facevano che ripetersi in un loop infinito: “Ancora un passo, ce la posso fare, resisti, la meta è lì…”. Ma la meta non era mai lì, era sempre un passo avanti su quel terreno ostile, dove rimbombavano i ringhi dei lupi. Stavano congelando, non ce l’avrebbero mai fatta. Ogni volta che la coda strisciava sul piano irto di schegge dolorose, sentiva il freddo bloccargli ogni cosa. Il suo stesso sangue serpentino si ribellava, ad ogni passo imponeva al corpo, perdendo, la resa. 

Erano forse cinquecento metri più in là, quando videro una casupola bianca. Era piccola, con delle feritoie, e… si muoveva! All’inizio non si capiva bene, ma sembrava proprio che si muovesse! Si avvicinarono di gran trotto. Si, era proprio una casetta di cera, con sotto due paia di piedi che camminavano. Un centinaio di metri dietro, un branco di lupi correva per raggiungerli. Bashe si buttò dietro un cumolo di neve, vedendo i lupi bianchi accerchiare la casupola e penetrarla scavando sotto il pavimento. Due detenuti – Buggy il Clown e Mr.3 – corsero fuori, abbandonando la casetta.
“Ehi Cori, che ne dici? Tanto quei due idioti si sono tirati appresso tutti i lupi” le chiese indicandole il riparo. Cori annuì debolmente sulla sua spalla. “Almeno finché non siamo arrivati al bosco. Là potremo trovarci un rifugio migliore, e si spera anche un passaggio”
Per Cori era avvilente stare sulle spalle di Bashe, tanto più che ora sentivano meno il freddo. Insomma, possibile che non fosse nemmeno in grado di reggersi in piedi?! Era davvero così debole?! Beh, in effetti camminare su quei piedi probabilmente li avrebbe solo rallentati, ma Bashe, denutrito com’era, non avrebbe potuto sostenere a lungo da solo il suo peso e quello della casa di cera, lo sentiva ansimare e sbuffare sotto di lei. Grasso che colava se teneva cinque minuti, non gliene dava di più.
“Bashe” sussurrò nel suo orecchio “non possiamo andare avanti così, sono troppo pesante, non dureremo cinque minuti! “ lo ammonì. Il moro sospirò, fermandosi. “E cosa proponi? Non sei in grado di camminare. Non abbiamo un posto dove stare!” Bashe riprese il cammino, piano, piano…
Voce di uomo che grida nel deserto, un okama gridava la sua disperazione qualche centinaio di metri più in là, per le condizioni in cui versava lo sfortunato amico…




Ok, mi rendo conto che questo capitolo è particolarmente fine a se stesso, e che a parte le torture c'è poco altro, ma mi dispiaceva farle passare velocemente!  Insomma, ho fatto passare una bella settimana d'inferno a Cori, ma spero di farmi perdonare, prima o poi. Cosa pensate del capitolo? Troppe descrizioni, troppe poche, dovevo studiarlo di più? Immagino che capire cosa accadrà non sia difficile, almeno per adesso. Spero che qualcuno abbia riconosciuto la Canzone della Buonanotte di Sonia di Super3! Dio, che bei ricordi! Grazie a chi continua a recensire, è un onore ricevere i vostri giudizi! A presto!
Hikari _Sengoku 


http://www.grandeblu.it/index.php?url=saccheggio&id=53936
   
 
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