Lidia
Aurelia Prisca soffocò nel
cuscino un urlo di frustrazione, mentre lacrime di rabbia le scendevano
dagli
occhi e bagnavano la federa di cotone violetto. Perché il
Fato sembrava
avercela tanto con lei? Perché, proprio quando la sua vita
sembrava aver
raggiunto una certa stabilità, il destino avverso si
scagliava contro di lei,
costringendola a ricominciare tutto da capo?
Essere
la figlia di un Senatore
avrebbe dovuto avere dei vantaggi, eppure lei, di vantaggio, non ne
aveva mai
visto nemmeno uno. Sì, aveva una casa grande e bella, ma
quel fatto non poteva
essere considerato una rarità tra la cerchia dei suoi
conoscenti, così come non
erano una rarità i numerosi servitori che
l’aiutavano nella vita di tutti i
giorni. Anche la possibilità di accedere a tutti gli eventi
esclusivi offerti
dalla grande metropoli le sembrava ormai una cosa di ben poco conto.
Singhiozzando
e asciugandosi
stizzosamente gli occhi, Lidia raggiunse la finestra e vi si
affacciò: il
meraviglioso giardino della sua villa, ricco di fontane e siepi in
fiore, si
estendeva davanti a lei, splendido nel tiepido sole di fine aprile. La
casa, i
servi, la vita di mondo, persino il suo giardino… erano
tutte cose che aveva
sempre dato per scontate. Erano tutte cose che presto, prestissimo, le
sarebbero state strappate. Per sempre.
La
notizia era arrivata come un
fulmine a ciel sereno. Anche se aveva già compiuto
diciannove anni, Lidia non
si era mai interessata un gran che di politica: del resto, era una
donna; e si
sapeva che le donne dovevano cercare la loro strada in altri campi.
L’arte, lo
studio della filosofia e, perché no, persino la medicina, ma
la politica era un
affare viscido e subdolo, un affare da uomini. Qualche voce era
arrivata anche
a lei, in verità, sapeva che nella Nova Germanica le cose
non andavano proprio
benissimo, aveva sentito parlare di un paio di scaramucce tra legionari
e
guerrieri barbari, ma non aveva dato troppo peso alla vicenda. Di
notizie del
genere se ne sentivano in continuazione, e quei nuovi battibecchi erano
tutto
fuorché un fatto eccezionale.
Quello
che la ragazza non sapeva
era che quegli scontri erano parte di un conflitto latente molto
più esteso che
aveva spinto i politici della capitale a cercare una soluzione che
consentisse
di preservare la pace nella regione della Germanica Inferiore, evitando
così di
perdere l’accesso a dei territori tanto importanti per
posizione e risorse
naturali. La scelta era ricaduta su un metodo che, seppur non brillava
per
originalità, in passato si era già dimostrato
piuttosto efficace, in occasioni
del genere: si era deciso di combinare dei matrimoni tra giovani romani
e
giovani barbari.
La
proposta era dunque partita da
Roma ed era stata accolta di buon grado non solo dagli Alti Sacerdoti
germanici, ma anche dai capi delle tribù locali, che avevano
visto nelle unioni
tra i propri figli e i rampolli delle più importanti
famiglie romane una
possibilità per infiltrarsi nella politica
dell’Impero. Ai rampolli in
questione, però, non era stato chiesto nulla: o, perlomeno,
nessuno aveva
chiesto nulla a Lidia, che quella mattina era stata convocata nello
studio di
suo padre da un servo che si era rifiutato di darle spiegazioni.
Il
Senatore Lucio Aurelio Prisco
era un uomo più giovane di quanto la sua chioma bianca
facesse presagire,
appesantito dagli anni passati a trascinarsi mollemente dal triclinio
allo
scranno del senato, ma aveva un carattere di ferro e poco incline a
compromessi
e discussioni. «Figlia mia», le aveva detto,
«ho una notizia da darti.
Siediti.»
Con
un pessimo presentimento nel
cuore – suo padre le dedicava raramente attenzione e, quando
lo faceva, di
solito per lei erano guai – Lidia si era seduta sulla
poltrona di pelle nera e
aveva incrociato nervosamente le gambe, senza riuscire a trovare il
coraggio di
chiedere spiegazioni. «So che la cosa non ti farà
piacere, ma, in quanto figlia
di Roma, hai il dovere di sacrificarti per la Patria.»
La
fanciulla aveva tremato. «Certo,
padre» aveva però detto, tenendo gli occhi bassi.
«Tra
circa due settimane ti
sposerai» le aveva comunicato suo padre, guadagnandosi
un’occhiata confusa. «Due
settimane?» aveva balbettato la ragazza, colta di sorpresa,
mentre il pensiero
correva al suo fidanzato. «Due settimane sono troppo poche.
Non riusciremo mai
a organizzare tutto per tempo. Tito vuole…»
Suo
padre l’aveva fatta tacere
con un cenno della mano. «Scordati Tito» le aveva
detto, in tono di sufficienza.
«Tu sposerai il figlio di un capo tribù germanico,
così come ha deciso il
nostro Imperatore.»
Lidia
era sbiancata e aveva
avvertito un capogiro che aveva rischiato di mandarla a terra.
«Un germanico?»
aveva chiesto, in preda allo stordimento, cercando di dare un senso a
quelle
parole. «Sì» aveva replicato suo padre.
«Settimana prossima partiremo alla
volta di Erding per conoscerlo.»
«Padre,
io… io non capisco» aveva
balbettato di nuovo la ragazza, mentre l’angoscia le montava
nel petto.
«L’Imperatore… l’ha deciso
l’Imperatore? Ha detto che io
devo sposare…»
«Per
ora non è necessario che tu
capisca» aveva tagliato corto il senatore, volgendo
già la sua attenzione
altrove. «Capirai più avanti. Adesso devi solo
ubbidire.» Lidia l’aveva
guardato, incredula e con le lacrime agli occhi. Non era possibile. La
liquidava così? Improvvisamente, aveva sentito la rabbia
esplodere dentro di lei.
«No!» aveva gridato, balzando in piedi e stupendo
persino se stessa.
«Lidia!»
aveva però abbaiato suo
padre. «Tu lo farai, parola mia! Non hai scelta!»
«Sì,
che ce l’ho» aveva
protestato, picchiando un piede per terra. «Non voglio
lasciare Tito! Non
voglio sposare un germanico!»
La
ragazza aveva spalancato la porta, intenzionata a fuggire nelle sue
stanze, ma
al cenno di suo padre i due servitori che l’attendevano
all’ingresso l’avevano
bloccata. «Tu lo farai», aveva ripetuto
l’uomo, «o giuro che ti farò processare
come traditrice della Patria.»
In
quel momento la fanciulla non era
stata in grado di dire se quelle di suo padre fossero minacce vane o se
davvero
avrebbe fatto sbattere in prigione la sua stessa figlia, ma la sua voce
controllata e i suoi gelidi occhi grigi le avevano fatto capire di non
avere
scelta. Era in trappola; se n’era resa conto mentre i
contorni del mondo si
facevano grigi e sfumati e le forze la abbandonavano tutto
d’un tratto. «Sì,
signore» aveva sussurrato allora, chinando il capo in preda
ai singhiozzi.
Appena
aveva pronunciato quelle
parole i due servitori avevano allentato la presa e lei era stata
libera di
andare a piangere la propria sorte nel privato della sua camera.